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La fine di Rizzo tra le braccia di Alemanno
Dallo stalinismo al rossobrunismo. Le basi culturali di una deriva
Potremmo limitarci a guardare la vicenda da un'angolazione, per così dire, antropologica, in riferimento alle caratteristiche della persona. Trasformismo spregiudicato, ambizioni istituzionali debordanti, estrema spregiudicatezza manovriera, assenza teorizzata di principi, posture misogine evidenti... Sono tutti ingredienti di un sottotraccia “culturale” che ha sorretto l'incessante peregrinazione di Marco Rizzo nell'arco di trent'anni: prima da dirigente di Rifondazione Comunista il sostegno al governo Prodi e alle sue peggiori misure antioperaie (lavoro interinale, record di privatizzazioni, campi di detenzione per i migranti...) al fianco di Bertinotti, Cossutta, Ferrero; poi la scissione a destra di Rifondazione a fianco di Cossutta e Diliberto con la fondazione del Partito dei Comunisti Italiani, per sostenere i governi D'Alema e Amato (inclusi i bombardamenti NATO su Belgrado); poi il pubblico e ostentato sostegno a Romano Prodi quale presidente della Commissione Europea nelle vesti di capogruppo del PdCI ,a Strasburgo; poi la rottura col PdCI di Diliberto in reazione alla propria marginalizzazione di ruolo e la nascita di Comunisti-Sinistra Popolare (poi Partito Comunista); poi la riverniciatura a sinistra del proprio profilo pubblico con l'improvvisa conversione a un apparente ultrasinistrismo (“sinistra e destra pari sono”, rifiuto di ogni unità d'azione a sinistra); infine la deriva rossobruna con la rottura di ogni (formale) riferimento di classe, nel nome del “popolo” e dell'interesse nazionale. Ognuna di queste stagioni ha pescato nella vocazione avventuriera del soggetto. Uno, nessuno, centomila, così è se vi pare. A caccia di una telecamera o di un taccuino purchessia.
Eppure una lettura esclusivamente antropologica risulterebbe riduttiva. Il fenomeno rossobruno va al di là di Marco Rizzo e dei confini nazionali. Lo testimonia la recente scissione a destra di Die Linke in Germania da parte di Sara Wagenknecht. nel nome del respingimento dei migranti e di un'apertura all'estrema destra di AfD. Lo rivela più in generale lo slittamento campista a sostegno dell'imperialismo russo e cinese di settori significativi dell'ambiente stalinista internazionale in diversi paesi e continenti. Ovviamente non tutta l'area campista approda nel rossobrunismo. Ma certo quest'ultimo attecchisce per lo più proprio all'interno dell'area campista, dentro una cultura che rimuove ogni argine classista nel nome del primato della geopolitica. Ne è un esempio la cosiddetta Piattaforma mondiale antimperialista, un'area internazionale di matrice stalinista che aggrega diversi soggetti rossobruni, da Vanguardia Espanola (che rivendica la colonizzazione spagnola dell'America) al Partito Nazional-Bolscevico di Russia (che esalta lo sciovinismo grande-russo, e naturalmente l'invasione dell'Ucraina).
Non è un caso se è proprio l'ambiente politico culturale di estrazione staliniana a essere maggiormente esposto al fenomeno. Sia perché la traiettoria storica dello stalinismo, nella sua dinamica di svolte e contro svolte, ha più volte incrociato stagioni rossobrune: come in occasione del patto sciagurato fra Hitler e Stalin del 1939-1941, quando l'intero movimento comunista internazionale fu costretto a celebrare la Germania nazista nel nome di comuni valori popolar-nazionali e della comune avversione alle vecchie democrazie plutocratiche. Sia perché da un punto di vista più generale la rottura staliniana con l'internazionalismo proletario nel nome delle “vie nazionali” e delle tradizioni nazionali ha fornito un retroterra culturale, seppur indiretto, alle conversioni più spregiudicate: nel Partito Comunista Francese degli anni '30 il passaggio dallo stalinismo al fascismo di Jacques Doriot nel nome della nazione francese fu paradigmatica. Quando si rompe l'ancoraggio internazionalista ogni deriva diventa possibile.
Potremmo dire che la biografia di Marco Rizzo ha in fondo ricalcato in sedicesimo quella di un Jacques Doriot: dal governismo borghese del fronte popolare all'approdo estremo del rossobrunismo. Evidentemente la mala pianta dello stalinismo non ha cessato di generare figli postumi. La differenza è che un tempo fu tragedia, oggi semplicemente una farsa.
Partito Comunista dei Lavoratori
Armi italiane allo Stato sionista
Gruppo Leonardo e Banca Intesa riforniscono la guerra contro i palestinesi. Il governo italiano è coinvolto
La potenza di fuoco criminale dello Stato sionista contro il popolo palestinese si avvale del contributo italiano. Il 30 ottobre 2023, nei giorni dei primi bombardamenti a tappeto su Gaza, Il gruppo Leonardo SpA, società leader del settore militare tricolore, si accordava con Elbit Systems, azienda israeliana della difesa, per lo sviluppo di un nuovo sistema laser che le truppe possono usare per esplorare le posizioni nemiche e coordinare gli attacchi. L'accordo fa seguito alla cospicua fornitura di elicotteri militari a Israele da parte del gruppo Leonardo avvenuta nella scorsa primavera.
Non si tratta di affari “privati”, per quanto immondi. Il gruppo Leonardo – prima azienda militare in Europa e dodicesima a livello mondiale in fatto di vendita d'armi – è controllato dal “nostro” ministero dell'Economia e delle Finanze, ed anche per questo gode del finanziamento massiccio di Banca Intesa, fiore all'occhiello assieme a Unicredit del sistema bancario italiano. Questo significa che l'imperialismo italiano e il governo Meloni sono pienamente coinvolti nel massacro in corso contro la popolazione di Gaza. Lo sono non solo sul piano politico, col proprio sostegno allo Stato sionista, ma anche di fatto sul piano militare.
L'opposizione alla guerra genocida di Israele richiama dunque più che mai il dovere dell'opposizione all'imperialismo di casa nostra. L'intero movimento operaio e sindacale italiano deve battersi per boicottare ogni traffico e complicità militare col sionismo, unendosi all'azione di boicottaggio intrapreso contro Israele dai settori più avanzati del movimento operaio internazionale.
Partito Comunista dei Lavoratori
Libertà e rientro immediato per Ilaria!
3 Dicembre 2023
Dal mese di febbraio nelle carceri dell'Ungheria del regime di Orban è rinchiusa Ilaria Salis, compagna anarchica delle occupazioni del Ticinese, da sempre attiva nelle lotte per il diritto alla casa e nella solidarietà verso detenuti anarchici come Cospito, per aver partecipato secondo l'accusa agli scontri contro neonazisti provenienti da tutta Europa durante una parata organizzata dai neonazisti nostalgici del regime fascista e fortemente antisemita dell'ammiraglio Horthy.
Le ultime notizie provenienti dalla prima lettera che è riuscita a inviare dopo più di sei mesi di detenzione ai suoi avvocati ci parlano di condizioni insopportabili, di celle piene di topi e cimici, di detenute costrette a lavorare per 50 euro al mese e dell'impossibilità per la compagna di accedere anche agli accessori per garantirle il minimo di igiene personale.
Come negli scorsi mesi abbiamo solidarizzato con la battaglia in carcere di Alfredo Cospito, da comunisti internazionalisti non possiamo non auspicare che nasca una mobilitazione in solidarietà in tutto il paese per il rilascio ed il rientro di Ilaria e contro il trasferimento nelle carceri ungheresi di Gabriele Marchesi, l'altro compagno anarchico arrestato a Budapest in quei giorni.
Contro il reazionario regime bonapartista di Orban, che gode del convinto sostegno di partiti di governo come la Lega. Per la libertà delle compagne e dei compagni!
Partito Comunista dei Lavoratori
La violenza è strutturale: abbattiamo il capitale!
Pubblichiamo il volantino delle compagne Femministe Rivoluzionarie per la giornata di lotta del 25 novembre contro la violenza di genere
Sono giunte a 101 le vittime di femminicidio in Italia e a 3 le vittime di transicidio. Queste si sommano alle morti avvenute nel passato e alle altre migliaia di vittime in tutto il mondo. Molti di questi omicidi o suicidi indotti trovano le proprie radici nell’ambiente domestico e nelle relazioni tossiche. Questo è solo uno dei tanti volti della violenza di genere, la sua espressione più profonda, che origina da un problema culturale e strutturale. Il sistema capitalistico si è sviluppato sulla proprietà privata e sulle oppressioni di genere per dominare incontrastato sulle nostre vite. Questa è la doppia oppressione che dobbiamo distruggere in maniera indipendente da tutte le forze politiche borghesi.
Ci sono donne e persone T* che corrono maggiori rischi di subire violenza: le persone con disabilità, l* migrant*, e le persone che vivono in contesti marginali e precari. Questo ci dimostra che, per quanto la violenza di genere sia una questione trasversale, differenti sono i livelli di oppressione e, per noi, è fondamentale riconoscere una matrice di classe dove l’oppressione miete la maggioranza delle proprie vittime.
Siamo in una fase di grave crisi economica e sociale, acuita dai conflitti bellici, in cui la recessione si accompagna ad un tasso di inflazione al 5,4% e alla compressione salariale. In Italia nonostante i proclami politici e il recepimento, in termini legislativi, del contrasto alla violenza di genere, il governo Meloni continua a tagliare sulla spesa sociale per investire nelle spese militari, nel ponte sullo stretto e nelle imprese. Mentre avanzano le privatizzazioni. Questi sono gli altri volti della violenza: le guerre imperialiste, le morti dovute ad un sistema sanitario e di cura inefficiente, il disinvestimento nella scuola che alimenta ignoranza e stereotipi pericolosi, le morti sul lavoro.
È ora di dire NO! e di coniugare la lotta contro il patriarcato alla lotta anticapitalista, con rivendicazioni chiare:
• ripartizione del lavoro con la riduzione dell’orario di lavoro settimanale a 30 ore pagate 40; parità salariale per tutt*
• Salario minimo di 12 euro l'ora (1500 euro mensili) e indicizzata all'inflazione; forti aumenti salariali di almeno 300 euro netti, e di una scala mobile dei salari; Il salario garantito per chi è in cerca di occupazione, contro ogni forma di reddito slegato dalla condizione lavorativa, che non garantisce autonomia, ma al contrario prospetta maggiori possibilità di rinchiudere le donne nell’ambiente domestico.
• Tutela della maternità e congedi parentali retribuiti per tutt* (affinché la genitorialità non sia prerogativa delle sole donne).
• Revisione e aggiornamento della sicurezza sui posti di lavoro; istituzione del delitto di omicidio sul lavoro.
• Un welfare statale che non ci renda schiave e schiavi all’interno della famiglia, con l’istituzione di un ampio programma di servizi sociali che si prenda in carico l’enorme quantità di lavoro di cura che oggi pesa maggiormente sulle spalle delle donne, nella prospettiva della socializzazione del lavoro di cura.
• Requisizione di tutte le case sfitte da assegnare in primo luogo a tutte le persone con difficoltà di inserimento lavorativo e alle persone con disabilità, a garanzia dello sviluppo della propria autonomia personale.
• Consultori pubblici per le donne e per le persone LGBT*QIAP+, sotto il controllo dell* utent* e con accesso a tutte le tecniche e alle informazioni mediche per autodeterminare le decisioni sul proprio corpo; Centri antiviolenza strutturati e non ridotti ad una sorta di ufficio reclami sulle spalle dei volontari.
Solo un governo de* lavorator* può realizzare queste misure! Solo nella prospettiva anticapitalista e socialista su scala mondiale potremo vivere in un mondo senza violenze e oppressioni di genere.
Femminist* Rivoluzionari*
La vittoria ultrareazionaria in Argentina
La nuova fase dello scontro sociale. Il ruolo della sinistra rivoluzionaria
Il candidato ultrareazionario Milei (La Liberad Avanza) ha ottenuto una vittoria travolgente al ballottaggio delle elezioni presidenziali argentine, con 11 punti di vantaggio sul candidato peronista Massa, espressione del governo uscente (55,7% contro il 44,3%). Tra il primo e il secondo turno Milei è passato da 8 milioni a 14,5 milioni di voti, vincendo in 21 circoscrizioni su 24. Determinante sicuramente il sostegno della coalizione di destra tradizionale guidata da Patricia Bullrich, Juntos por el Cambio (Insieme per il cambiamento), che ha largamente travasato su Milei i suoi 6 milioni di consensi.
In ogni caso Milei è riuscito a polarizzare un vasto blocco sociale interclassista attorno alla bandiera del “cambio”, unendo attorno a sé il grosso della piccola borghesia e ampi settori di popolazione povera: il classico blocco reazionario con base di massa che ha sorretto a suo tempo le fortune di Trump e Bolsonaro. La sua vittoria segna la crisi del vecchio bipolarismo tra il peronismo e la destra liberale. La profondità della crisi argentina ha rotto gli argini della tradizionale alternanza.
Il governo peronista di centrosinistra guidato da Alberto Fernandez è stato l'artefice della vittoria di Milei. Le sue politiche di collaborazione col Fondo Monetario Internazionale per pagare l'ingente debito estero hanno accompagnato una crescita abnorme della povertà, sino al 40% della popolazione. La ulteriori misure di precarizzazione del lavoro hanno colpito la condizione dei giovani. La progressiva svalutazione del peso ha aumentato a dismisura i costi delle importazioni producendo un'inflazione fuori controllo al 140%, che ha polverizzato salari e pensioni. La copertura delle burocrazie sindacali a questa politica d'austerità ha fatto il resto.
Milei ha dunque raccolto, purtroppo, una vasta pulsione di rigetto e disperazione sociale. La retorica “anticasta” e la sua recita mediatica – la motosega quale metafora della rottura col passato – ha sfondato nell'immaginario popolare. La Libertad Avanza è apparsa confusamente a suo modo un programma di liberazione alla maggioranza della società argentina.
Ma nella realtà il programma di Milei ha il profilo della reazione pura, persino della provocazione sfrontata: dalla privatizzazione integrale di sanità e istruzione, alla dollarizzazione dell'economia, all'abrogazione dei sussidi sociali, alla cancellazione di conquiste democratiche elementari (aborto), alla pubblica rivalutazione della dittatura militare e delle sue politiche assassine. Il sostegno a Milei di tante sue vittime annunciate segna il paradosso del voto argentino. Un paradosso certo non nuovo nella storia, ma che misura nella sua portata la profondità della disfatta peronista, e la serietà della sconfitta del movimento operaio.
Ora si apre in Argentina una fase nuova dello scontro politico e sociale. Milei ha riportato una vittoria elettorale schiacciante, ma non dispone di un potere istituzionale proporzionale. Dispone di 38 deputati su 257 e di 8 senatori su 72, in virtù dei risultati delle elezioni di ottobre. Non ha propri governatori nelle provincie. Ha pochissimi sindaci delle città. Sicuramente si avvarrà dell'appoggio parlamentare dichiarato, e negoziato, della destra tradizionale di Macri e di Bullrich, ma anche col loro sostegno non raggiungerà la maggioranza necessaria. Il divario tra il programma annunciato e i numeri parlamentari rappresenta dunque il suo primo problema. Non il solo.
Il Fondo monetario aspetta il pagamento nel prossimo mese di 44 miliardi di dollari, le riserve della Banca centrale sono a secco, l'incasso delle privatizzazioni annunciate, al netto di ogni altra considerazione, richiede tempi lunghi. Milei ha annunciato che farà dell'Argentina...“la prima potenza del mondo”, ma intanto deve misurarsi con la sua crisi verticale.
Il terreno decisivo del confronto che si prepara è quello della lotta di classe. La terapia d'urto che il nuovo Presidente ha annunciato rappresenta una dichiarazione di guerra contro il movimento operaio e sindacale e le organizzazioni di massa. L'onda euforica delle illusioni (e della confusione) lascerà presto il campo alla realtà di nuovi imponenti sacrifici. Le disponibilità compromissorie delle burocrazie sindacali peroniste dovranno confrontarsi con la resistenza della propria base. Le organizzazioni del movimento piquetero stanno organizzando una prima risposta. Le organizzazioni studentesche e il movimento di massa delle donne hanno annunciato la propria mobilitazione. Il fronte unico di classe e di massa contro il governo più reazionario dai tempi della dittatura è certo la prima necessità politica, in un contesto molto difficile.
In questo contesto la sinistra trotskista argentina (Frente de Izquierda - Unidad) è e sarà un punto di riferimento importante per l'avanguardia larga della classe operaia e dei settori oppressi della società. I quasi 800000 voti riportati nelle elezioni di ottobre su una politica di opposizione di classe e di alternativa di sistema (“obreros al poder”), la conferma di un'importante presenza parlamentare, il prestigio di un'ampia riconoscibilità operaia e popolare anche al di là dei voti ottenuti, candidano le organizzazioni del FIT a un ruolo importante nella costruzione dell'opposizione di massa al nuovo governo Milei, combinando la parola d'ordine del fronte unico contro la reazione con lo sviluppo di una direzione alternativa al peronismo. Un'indicazione tattica unitaria delle organizzazioni del FIT per un voto a Massa contro Milei al ballottaggio (ovviamente senza alcun sostegno politico a Massa) avrebbe rafforzato, e non indebolito, questa battaglia per l'egemonia alternativa presso la base operaia peronista. Non farlo è stato a nostro avviso un errore. In questo senso la posizione assunta da Izquierda Socialista ci è parsa corretta, a differenza di quella “astensionista” variamente declinata di PO, PTS, MST. Ma l'errore non toglie nulla al ruolo indispensabile che il FIT è oggi chiamato a svolgere. Ai compagni del FIT va tutto il nostro sostegno politico in questa importante battaglia nella fase difficile che si apre. La costruzione del partito rivoluzionario argentino, attraverso un'unificazione delle organizzazioni del FIT in un comune partito, ci pare più che mai un'esigenza posta dallo scenario politico. Non da oggi, ma tanto più oggi.
Partito Comunista dei Lavoratori
A difesa del diritto di sciopero
Per il più ampio fronte unico di classe e di massa
Il governo a guida postfascista dichiara illegittimo lo sciopero generale del 17 novembre indetto da CGIL e UIL. Non era mai accaduto nella storia repubblicana che uno sciopero generale confederale venisse impugnato dal governo.
È l'ennesima riprova, se ve ne era bisogno, del totale fallimento della linea di pace sociale regalata al governo Meloni-Salvini nel suo primo anno di vita. Se le burocrazie sindacali si attendevano un riconoscimento di ruolo hanno ottenuto l'opposto: uno schiaffo umiliante.
Il punto è che la dichiarazione di “illegittimità” dello sciopero non rappresenta semplicemente di un affronto alle burocrazie sindacali ma una aperta provocazione nei confronti di tutto il movimento operaio. Un grave precedente, una minaccia per il futuro. Per questo esige una risposta unitaria di tutto il movimento operaio. Una risposta all'altezza della provocazione.
Lo sciopero del 17 va esteso all'intero territorio nazionale e a tutte le categorie, per la difesa stessa del diritto di sciopero. Tutte le organizzazioni del sindacalismo di classe dovrebbero unire le proprie forze allo sciopero, sulle base delle proprie piattaforme, attorno alla difesa di questo diritto, allargando l'iniziativa di sciopero di SI Cobas già indetta per quel giorno. Va rivendicata unitariamente la cancellazione della legge 146/1990 in quanto legge antisindacale, purtroppo avallata per tanto tempo dalle burocrazie sindacali e tante volte usata contro il sindacalismo di classe. Va rivendicata unitariamente l'abolizione della stessa Commissione di Garanzia Sciopero, di fatto agenzia del governo.
Più in generale i fatti dimostrano la necessità del più ampio fronte unico di classe e di massa contro il governo e il padronato. La massima unità e al tempo stesso la massima radicalità.
La pratica rituale degli sciopericchi in ordine sparso, piccoli o grandi, si è rivelata impotente. È necessaria una mobilitazione di massa prolungata attorno ad una piattaforma di svolta. È l'ora di una vertenza generale del mondo del lavoro. È l'ora di uno sciopero generale vero. Per ribaltare i rapporti di forza, fermare la reazione, aprire una stagione nuova.