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A sostegno della protesta pro Palestina nelle università

  Giù le mani dagli studenti! Palestina libera! Si diffonde la protesta nelle università italiane . Una protesta che unisce migliaia di stud...

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A sostegno della protesta pro Palestina nelle università

 


Giù le mani dagli studenti! Palestina libera!

Si diffonde la protesta nelle università italiane. Una protesta che unisce migliaia di studenti, docenti, ricercatori, contro la barbarie che si sta consumando a Gaza, dove giorno dopo giorno, in un crescendo di orrore e brutalità senza fine, uomini, donne, bambini vengono privati di cibo, casa, cure, e sono oggetto di una guerra di annientamento; mentre nella vicina Cisgiordania non si contano i rastrellamenti omicidi dell'esercito israeliano contro le forze della resistenza, uniti alla violenza squadrista dei coloni che sequestrano terre, distruggono case, promuovono il terrore contro i palestinesi residenti.

Di fronte a tutto questo, migliaia di studenti in tante università italiane hanno detto semplicemente “basta!”. Lo hanno detto in forme diverse: o contestando la partecipazione a conferenze universitarie di dichiarati esponenti della campagna sionista pro Israele, o interrompendo lezioni ordinarie per leggere e diffondere comunicati di denuncia, o facendo pacifica irruzione nei rispettivi senati accademici per prendere parola e avanzare richieste.
La richiesta comune è la fine della collaborazione delle università italiane con le università israeliane nel campo della ricerca scientifica, tecnologica, militare. Una richiesta sottoscritta da migliaia di docenti ed esponenti della cultura. Una richiesta che sosteniamo.

Contro la protesta studentesca si è prontamente levato il governo a guida postfascista. Giorgia Meloni si è detta preoccupata. Il suo cognato-ministro Lollobrigida ha denunciato il pericolo di un ritorno del terrorismo (!). La peggiore stampa reazionaria ha evocato l'intervento di polizia e carabinieri per "riportare l'ordine” nelle università. La ministra per l'Università Bernini, più cautamente, ha riunito i rettori in conclave per affidarsi alle loro autonome decisioni, inclusa quella di chiamare eventualmente la polizia. Su tutto primeggia l'appello solenne alla “democrazia”, alla “tolleranza”, al “rispetto delle opinioni”, assieme alla rituale denuncia dell'”antisemitismo risorgente”. Una denuncia che... in bocca agli eredi postfascisti dell'Olocausto fa una certa impressione.

La verità è che l'antisemitismo non c'entra nulla, come non c'entra nulla Giorgia Meloni con la democrazia. C'entra invece il sionismo, l'ideologia nazionalista reazionaria che supporta lo Stato d'Israele quale Stato coloniale, costruito sulla cacciata dei Palestinesi dalla loro terra. Un'ideologia che, identificandosi abusivamente con l'ebraismo, non solo ignora e calpesta la migliore tradizione storica di quest'ultimo, ma perciò stesso lo espone in tutto il mondo al rischio dei peggiori rigurgiti antisemiti.
Quando migliaia di studenti chiedono la fine della collaborazione con le università israeliane non chiamano affatto in causa gli ebrei. Chiamano in causa una forma di complicità e di sostegno allo Stato sionista, alla sua ricerca tecnologico-militare, alla sua azione di sequestro della terra, dell'acqua, del cibo, dei palestinesi. Complicità e sostegno che l'Italia continua ad assicurare ad Israele.

“Intolleranza”? Lo scandalo sta semmai nella tolleranza dell'azione genocida, da ormai cinque mesi, da parte della cosiddetta comunità internazionale. Quella che mentre piange lacrime ipocrite per l'”eccesso” di vittime civili a Gaza, continua ad armare lo Stato sionista, ripiana i suoi bilanci, gli mette a disposizione il fior fiore della ricerca. Migliaia di studenti non sono più disposti a tollerare tutto questo, né la negazione di tutto questo.

Di più. Migliaia di studenti oggi si chiedono: come è possibile che l'opinione pubblica mondiale sia a favore del popolo palestinese e invece le principali autorità del mondo difendono lo Stato d'Israele e la sua politica genocida, al punto persino da proibire o minacciare o manganellare le manifestazioni pro Palestina? Dove sta la democrazia, le sue promesse, la sua retorica, se i fatti la sbugiardano ogni giorno? Gaza diventa allora uno squarcio di verità sull'intero scenario del mondo.

E la verità è che la decantata “democrazia” è solo una finzione nella società borghese. Il potere reale si concentra nelle mani di una minoranza privilegiata di grandi azionisti, grandi manager, grandi capitalisti, e degli apparati statali al loro servizio. Il famoso diritto internazionale da tutti evocato è solo il diritto della forza degli Stati imperialisti, vecchi e nuovi, che lottano tra loro per la spartizione del mondo sulla pelle dei popoli oppressi e della maggioranza dell'umanità.

Il colonialismo è inseparabile dall'imperialismo. Il colonialismo sionista non a caso si è appoggiato prima all'imperialismo britannico e poi all'imperialismo americano, che oggi ne costituisce lo scudo assieme agli imperialismi europei. Quanto all'imperialismo russo, sta approfittando della guerra in corso in Palestina per proseguire la propria guerra d'invasione in Ucraina, mentre l'imperialismo cinese si allarga in Africa, in America Latina, e sul Pacifico.
Intanto la corsa gigantesca agli armamenti attraversa tutti i continenti e minaccia in prospettiva una nuova grande guerra.
Così va oggi il mondo. Né potrebbe andare diversamente, nel quadro del capitalismo.

Solo una rivoluzione socialista può liberare l'umanità e tutti i popoli oppressi dalla piaga del capitalismo e dell'imperialismo, e quindi da ogni forma di colonialismo e di guerra. Il sostegno ai palestinesi e alla loro resistenza può e deve connettersi a questa prospettiva storica di liberazione.

A maggior ragione oggi diciamo: giù le mani dagli studenti! Palestina libera!

Partito Comunista dei Lavoratori


ANCORA IL MANGANELLO AL SERVIZIO DEL SIONISMO

 


Il Partito Comunista dei Lavoratori esprime la propria incondizionata solidarietà alle studentesse e agli studenti che ancora una volta hanno subito la repressione violente delle forze del disordine.

È successo mercoledì davanti al Rettorato del Università di Bologna.

Oggi il PCL si associa alla legittima occupazione dello stesso Rettorato da parte delle giovani e dei giovani palestinesi

Stigmatizza il comportamento becero del rettore che ha impedito alle studentesse di esprimere la propria denuncia della complicità istituzionale, compresa quella dell’Università, del genocidio perpetrato dal regime sionista israeliano nei confronti del popolo palestinese, e contro la missione militare dell’imperialismo italiano nel Mar Rosso.

Ritiene indegno questo personaggio, con il suo comportamento da energumeno, a rappresentare il prestigioso ateneo.

Si è già scatenata a comando la canea politico mediatica filosionista che usa come una clava l’accusa di antisemitismo contro il movimento studentesco che solidarizza con la causa palestinese.

Si tratta di una vomitevole ipocrisia e di autentiche lacrime di coccodrillo.

Rigettiamo con forza questa accusa, e anzi rivoltiamo l’accusa di razzismo nei confronti dei mass media, del mondo politico e istituzionale che favoriscono obbiettivamente l’eccidio di un intero popolo.

A istituzioni criminali come queste e ai loro sgherri non si deve ubbidire. Bisogna solamente programmarne il rovesciamento verso una società socialista, l’unica in grado di tutelare il diritto di chiunque di autodeterminarsi, come individui e come popoli.

Nello stesso momento, la stessa canea con le medesime firme scatena un’ondata di odio razzista islamofobo senza precedenti nei confronti degli insegnanti della scuola di Pioltello rei ei di aver interrotto per un giorno le lezioni in occasione della fine del ramadan, dimostrando così in modo esemplare cosa vuol dire una scuola inclusiva e antirazzista.

Mentre il pericolo di antisemitismo viene sbandierato ipocritamente dalle forze eredi del regime fascista che perseguitò a morte gli ebrei, quelle stesse forze spandono il mefitico veleno del razzismo antislamico.

Avanti con la solidarietà al popolo palestinese e alla sua lotta di liberazione

Incondizionatamente a fianco della Resistenza dei partigiani palestinesi

Per la distruzione rivoluzionaria dello Stato di Israele

Per una Palestina, libera laica e socialista nell’ambito di una Federazione socialista del Medio-Oriente.

PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI - SEZIONE DI BOLOGNA

Le elezioni in Sardegna e la capitolazione della sinistra


 Sinistra Italiana e Rifondazione Comunista come ruote di scorta dei poli borghesi

Le elezioni regionali in Sardegna hanno registrato una sconfitta politica di Giorgia Meloni. Sul terreno strettamente elettorale le liste della destra hanno persino ampliato la propria percentuale di voto rispetto al risultato delle elezioni politiche del 25 settembre 2022. Ma l'impopolarità del candidato Paolo Truzzu, in particolare a Cagliari, ha zavorrato la coalizione trascinandola nel burrone.
Giorgia Meloni si era intestata sia il candidato sia la campagna elettorale, con punte di esibizione macchiettistica nella volata finale. La sconfitta di Truzzu è dunque a suo carico. Investe le relazioni interne alla destra e intacca l'immagine pubblica della premier. Meloni cerca naturalmente di minimizzare la valenza del risultato. Salvini ne approfitta per rilanciare la carta del terzo mandato per Zaia e i governatori del Nord, cercando di sopravvivere alla disfatta del proprio progetto di Lega Nazionale (“Per Salvini premier”). Nessun immediato terremoto in vista, beninteso, ma le acque della coalizione si increspano, in attesa del voto in Abruzzo.

La coalizione tra PD, M5S e Alleanza Verdi-Sinistra ha capitalizzato il tonfo di Truzzu. La candidata pentastellata Alessandra Todde ha beneficiato di un voto più largo di quello della sua coalizione, non senza l'apporto del voto disgiunto targato Lega e Partito Sardo D'Azione.
Il successo politico è stato in ogni caso superiore al successo elettorale. Non ha risolto né poteva risolvere le contraddizioni che attraversano il centrosinistra su scala nazionale, a partire dalla lotta tra PD e M5S per l'egemonia. Ma ha rafforzato Schlein all'interno del PD, disarmando per il momento i malumori interni sul terzo mandato, ed ha legittimato ruolo e ambizioni di Conte.
L'apertura di Calenda al centrosinistra dopo il fallimento dell'operazione Soru è un ulteriore portato del risultato sardo. L'alleanza borghese di liberalprogressisti, liberalconfindustrali e pentastellati rafforza in prospettiva la propria candidatura all'alternanza, in una logica bipolare. È, in prospettiva, un possibile governo di ricambio del capitalismo italiano, in un quadro NATO ed europeista. Il sostegno di PD e M5S alla missione navale nel Mar Rosso, in appoggio allo Stato sionista, riassume la loro natura.

Ciò che invece le elezioni sarde confermano impietosamente è l'assenza di una sinistra autonoma e alternativa ai poli borghesi.
Sinistra Italiana, in compagnia dei Verdi, rafforza il proprio ruolo di ancella subalterna del polo borghese liberale. L'unica vera preoccupazione di Fratoianni era di essere svuotato elettoralmente dall'effetto Schlein e di essere dunque scaricato dalla prossima coalizione di governo. Il 4% e rotti lo ha rassicurato su entrambi i fronti, come il fatto che Calenda non ponga problemi circa la presenza di Alleanza Verdi-Sinistra (AVS) in coalizione. La larga intesa in Abruzzo da AVS a Calenda, e persino a Italia Viva di Renzi, è in questo senso per Fratoianni un successo strategico.

Quanto a Rifondazione Comunista si è coalizzata con... Azione e +Europa di Emma Bonino attorno alla candidatura del padrone di Tiscali Renato Soru. Per noi nessuna meraviglia. Rifondazione Comunista è stata nella giunta di Renato Soru dal 2004 al 2009. Il suo segretario regionale ha rivendicato pubblicamente non a caso l'esperienza di governo con Soru per tutta la campagna elettorale, ringraziando Soru per il riconoscimento di Rifondazione. Il fatto che Soru, in perfetta coerenza con la propria natura padronale, abbia fatto una campagna elettorale denunciando il reddito di cittadinanza come assistenziale, col plauso naturale di Calenda e Bonino, non ha turbato Rifondazione. L'importante per Rifondazione era il proprio riconoscimento da parte di Soru. Penoso.
Non meno penosa l'assenza di una sola parola sul sito nazionale del PRC circa le elezioni in Sardegna. Delle due l'una. O la scelta di Soru era condivisa (o comunque coperta) dalla Segreteria nazionale, e allora era corretto rivendicarla e intestarsela, oppure non lo era, e allora occorreva dissociarsi. Il silenzio è l'opportunismo peggiore, che i militanti del PRC non si meritano.

La battaglia per un partito indipendente della classe lavoratrice sulla base di un programma anticapitalista è l'unica vera risposta alla capitolazione della sinistra politica. Il PCL è oggi l'unico partito che si batte controcorrente, con coerenza, per questa prospettiva. Costruiamolo insieme.

Partito Comunista dei Lavoratori

Il governo dei manganelli alla prova della Palestina

 


Si allarga il divario tra le politiche filosioniste e il sentimento pubblico

Le cariche poliziesche a Pisa e Firenze contro manifestazioni studentesche pro Palestina hanno scosso ampi settori di opinione pubblica. L'immagine diretta della violenza repressiva ha suscitato una reazione diffusa di sdegno. Il Presidente della Repubblica, che il giorno stesso delle cariche poliziesche aveva censurato come «inaccettabile violenza»... il manichino di stoffa bruciato di Giorgia Meloni, ha cercato di riequilibrare la propria immagine con ventiquattro ore di ritardo parlando del ricorso al manganello come fallimento dello Stato.

La verità è che il governo a guida postfascista ha inaugurato una stagione nuova nel rapporto con la piazza. Un rapporto selettivo, naturalmente, a seconda della base sociale coinvolta. Le manifestazioni dei trattori hanno potuto bloccare ripetutamente le strade con relativa facilità, trattandosi della base sociale del governo, seppur contesa tra Fratelli d'Italia e la Lega. Lì la polizia non si è mossa. Quando la base sociale è diversa, diverso è l'intervento dello Stato. Che si tratti dei rave party, degli ambientalisti, dei picchetti operai, degli studenti, lì scatta ripetutamente il riflesso d'ordine degli apparati di sicurezza.
Non c'è bisogno sempre di una direttiva esplicita di Piantedosi, che forse in qualche caso avrebbe persino desiderato di evitare grane. Si tratta del comportamento indotto oggettivamente dal nuovo quadro politico. Il poliziotto si sente incoraggiato dalla presenza al governo, finalmente, degli “amici della polizia”. Da qui un senso di copertura e legittimazione che libera la facilità del manganello, cui si aggiunge la corsa di Lega e Fratelli d'Italia ad intestarsi, in reciproca concorrenza, il plauso della polizia. «Chi tocca un poliziotto o un carabiniere è un delinquente» afferma Salvini dopo i pestaggi per fare da controcanto a Mattarella. È la politica legge e ordine come marchio identificativo della destra.

E tuttavia nei fatti di Pisa e Firenze non c'è solo questo. C'è anche il riflesso indiretto della pressione sionista e del clima generale cui questa concorre.
L'ambasciata israeliana, come peraltro in altri paesi, sta moltiplicando le pressioni istituzionali per delegittimare le manifestazioni pro Palestina. Siamo (ancora) molto lontani dal livello di Germania e Francia, dove la stessa libertà di manifestazione viene abolita o chiamata in causa. Lo dimostrano le mille manifestazioni pro Palestina che si sono svolte liberamente in questi mesi. E tuttavia cresce una campagna intimidatoria, a partire da scuole e università, tesa a rappresentare ogni espressione di antisionismo come sospetto antisemitismo da censurare ed eventualmente reprimere. Basta vedere cosa è accaduto sul palco di Sanremo con la censura a Ghali, e davanti alle sedi della Rai, con pestaggi polizieschi esibiti e rivendicati. Lo stesso intervento del ministro Valditara contro le occupazioni studentesche ha tratto spunto, guarda caso, da occupazioni intitolate (anche) alla solidarietà verso la Palestina. Così a Pisa si è detto che il manganello era necessario per difendere la sinagoga dai facinorosi «amici di Hamas» (Donzelli). Una specifica circolare del ministero degli Interni, dopo il 7 ottobre segnalava peraltro alle forze di polizia il rischio di obiettivi sensibili da tutelare.

Gli ambienti della borghesia liberale mostrano disappunto verso questa politica repressiva. La loro principale preoccupazione è che possa incendiare gli animi e radicalizzare i giovani. È una preoccupazione dal loro punto di vista assolutamente fondata. E tuttavia si tratta degli stessi ambienti borghesi che sostengono con entusiasmo la politica estera filosionista del governo Meloni, che ospitano sulle proprie pagine apologie incantate di Israele (vedi Corriere della Sera e Repubblica), che appoggiano la missione navale imperialista a guida italiana sul Mar Rosso, che invocano pubblicamente la massima unità nazionale tricolore attorno a questa politica contro ogni possibile defezione. In altri termini, l'opposizione borghese liberale al governo Meloni, e al suo manganello, è la stessa che gli assicura una preziosa cintura di sicurezza. Il cosiddetto Piano Mattei, le nuove ambizioni dell'imperialismo italiano in terra d'Africa, i programmi di riarmo accelerato dell'Italia per mettersi al passo delle nuove sfide mondiali conoscono proprio in quegli ambienti la massima celebrazione. Basti vedere l'orientamento strategico della rivista Limes di Lucio Caracciolo. Il governo e i suoi metodi repressivi si avvantaggiano di questo sostegno.

E tuttavia il fronte borghese ha un problema che si chiama proprio Palestina. Cresce infatti ogni giorno il divario tra l'isteria filosionista della borghesia italiana e il senso comune dell'opinione pubblica, in particolare tra i giovani. L'orrore quotidiano delle politiche genocide nella terra di Gaza, le crudeltà dell'occupazione sionista in Cisgiordania, suscitano un naturale senso di identificazione nella causa palestinese nella maggioranza della società. Le manganellate e le censure contro le manifestazioni pro Palestina contribuiscono a rafforzarlo.
Il movimento operaio deve entrare finalmente sulla scena per prendere la testa di questo sentimento giovanile. Dare a questo sentimento una coscienza politica e una prospettiva programmatica – antisionista, antiimperialista, anticapitalista – è il compito dei marxisti rivoluzionari.

Partito Comunista dei Lavoratori

La nostra solidarietà a Ghali


 Diamo la nostra piena solidarietà al rapper Ghali che dal palco di Sanremo, nel più totale silenzio del mondo dello spettacolo, ha avuto la sensibilità e il coraggio di denunciare il genocidio in corso a Gaza. Una denuncia autentica, sentita, profondamente umana.


La reazione isterica dell'ambasciatore d'Israele, che censura la presa di posizione del cantante nel nome della denuncia del 7 ottobre, misura ancora una volta l'arroganza cinica del sionismo, che capovolgendo la realtà presenta ogni legittima resistenza palestinese all'oppressione sionista, quali che siano le sue direzioni e le sue forme, come ragione dei propri crimini mostruosi.
Abbiamo sempre criticato la natura politica di Hamas, ma Hamas è parte della resistenza palestinese, e la resistenza è un diritto di ogni popolo oppresso. Tanto più contro un'occupazione che ha un secolo di storia alle proprie spalle, e che oggi rivela una volta di più, in particolare a Gaza, tutta la propria criminalità genocida: con decine di migliaia di morti, innanzitutto bambini, il 70% di case distrutte, la privazione di acqua, cibo, medicine, fosse comuni di palestinesi bendati, prigionieri esibiti nudi su carri bestiame, uno scenario di orrore senza fine.
Il più crudo atto di resistenza all'oppressione, anche nei suoi aspetti più discutibili, è nulla di fronte a tutto questo.

Ancora più scandaloso, se possibile, è il pronto sostegno alla censura sionista da parte dei vertici della Rai, che hanno sentito il bisogno di rassicurare l'ambasciata sionista circa la linea editoriale filoisraeliana dell'informazione pubblica. Da sempre la Rai e i media hanno rivelato una cinica indifferenza di fronte all'oppressione quotidiana del popolo palestinese. Di più, hanno sempre coperto e giustificato i crimini sionisti contro civili, donne, bambini, e le responsabilità delle potenze imperialiste nel loro sostegno determinante ad Israele. Il fatto che oggi partecipino in prima persona alla pubblica censura di Ghali misura una volta di più il loro squallido servilismo verso il sionismo.

A maggior ragione ribadiamo la nostra solidarietà a Ghali. Ci auguriamo che la sua denuncia aiuti a rendere ancor più partecipata la manifestazione del 24 febbraio a Milano, a sostegno del popolo palestinese e della resistenza palestinese.

Partito Comunista dei Lavoratori

Ennesimo suicidio nei CPR. No alle prigioni di stato! Abbattiamo i muri del capitale!

 


"Se un giorno dovessi morire, vorrei che il mio corpo fosse portato in Africa, mia madre ne sarebbe lieta (…) I militari italiani non capiscono nulla a parte il denaro. Mi manca molto la mia Africa e anche mia madre. Non c’è bisogno di piangere su di me, la pace sia con la mia anima e che io possa riposare in pace."


Con queste parole, scritte sul muro della sua prigione di Ponte Galeria, Ousmane Sylla, guineano di 22 anni, si è sottratto alla reclusione insensata e crudele inflittagli dallo stato italiano negli ultimi mesi della sua vita. Una reclusione dovuta al suo aver varcato i confini di questo paese, e solamente a questo. Ousmane si trovava in un CPR. Non aveva quindi commesso alcun reato. Era recluso in quanto privo di lavoro, e quindi di permesso di soggiorno.

Con queste parole Ousmane, senza saperlo, risponde anche a Giorgia Meloni e alla sua Africa immaginaria, l'Africa di quel Piano Mattei che dovrebbe tradurre in pratica l'"aiutiamoli a casa loro", cioè l'Africa fantasticata e propagandata a uso e consumo di quella classe capitalista europea che, a suon di prestiti e investimenti, si accinge a spolpare l'osso lanciato dal neocolonialismo dal volto meloniano.

Non c'è nulla di nuovo, in questo ultimo ordinario suicidio di Stato, che lo differenzi dalle decine di altri che sono già avvenuti negli oltre venticinque anni di esistenza degli infami Centri di Permanenza per i Rimpatri, lascito politico del Padre della Patria Giorgio Napolitano, ministro del centrosinistra di Romano Prodi (legge Turco-Napolitano), rimasti in vita con peggioramenti successivi sin dal 1998.
Nulla di nuovo nella modalità in cui il giovane era stato ritenuto idoneo a una permanenza nel CPR. Nulla di nuovo nell'iter burocratico che aveva eliminato ogni possibilità di una sua uscita. Nulla di nuovo nelle proroghe successive, che avevano trasformato la sua detenzione in un incubo che era apparso ai suoi occhi, e che era, senza fine. Nulla di nuovo nella constatazione dell'humus di corruzione del luogo e delle istituzioni coinvolte ("i militari italiani non capiscono nulla a parte il denaro"). Nulla di nuovo neanche nella solitudine e nello strazio con cui la sua vita è giunta a conclusione, fra abbandono, assenza di cure e controllo, ritardo nei soccorsi, impossibilità di prevenzione.

Non poteva esserci nulla di nuovo perché l'inferno della cosiddetta detenzione amministrativa non può che generare solo, e sempre, la morte di chi non riesce a trovare abbastanza forza per poter a quell'inferno sopravvivere.
Ousmane quella forza non l'ha trovata, perché anche di quella forza è stato privato.

Non esiste un caso "CPR di Milano" o "di Potenza", "di Trapani", "di Macomer", "di Gradisca" o "di Roma": esiste solo un caso "CPR" e "detenzione amministrativa". Facciamo nostre le parole della Rete Mai più Lager - No ai CPR.
Ciò significa, per noi, che non può esserci lotta allo strumento CPR, al suo fine e alla sua logica, se non riconoscendo la loro natura stessa di dispositivo atto a selezionare, smistare, ed eventualmente ed eccezionalmente sopprimere, quella particolare merce che è la forza lavoro importata in questo paese. Ciò vuol dire, semplicemente, affrontare la regolamentazione capitalistica del lavoro immigrato, "regolare" o "irregolare," in Italia e in Europa.

La lotta ai CPR nel nome dello stato di diritto equivale a lottare contro il capitalismo nel nome della bontà d'animo (1). Come se non fosse già il testo della legge a prescrivere che nei CPR (e nelle altre strutture simili) «lo straniero deve essere trattenuto con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza ed il pieno rispetto della sua dignità». Come se, una volta che si dovesse mai riuscire ad ottenere (ammesso che ciò sia possibile) il rispetto della dignità umana dei detenuti e la trasformazione dei meccanismi di funzionamento dei CPR, il problema sarebbe risolto.

Al contrario. La lotta ai CPR chiama in causa i lavoratori in quanto tali, immigrati e nati in Italia. Chiama in causa i sindacati. Chiama in causa un programma che unifichi le lotte in difesa delle condizioni di lavoro, del salario, con le lotte per i diritti di chi vive e chi arrivi in Italia.
La lotta ai CPR è una lotta a questo modello di società, una società che innalza muri intorno alle persone mentre li abbatte intorno alle merci e al denaro. La lotta ai CPR è la lotta al capitalismo.




(1) Ci chiediamo che senso abbia, da comunisti, parlare di «assenza di titoli per cui si è presenti nel territorio nazionale» come di una «condizione» da dover affrontare e sanare con non meglio precisati «processi di regolarizzazione». È proprio il concetto di "titolo per poter essere sul territorio nazionale" che va respinto, in quanto cardine della logica criminale e criminogena, oltre che reazionaria in sé, della irregolarizzazione (e clandestinizzazione) dei migranti. Da comunisti e anticapitalisti, la parola d'ordine dovrebbe essere: abbasso le frontiere, no alla divisione dei migranti e alla criminalizzazione, accoglienza di tutti e tutte coloro che cercano migliori condizioni di vita

Partito Comunista dei Lavoratori