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LETTERA APERTA ALLE COMPAGNE E AI COMPAGNI DI SINISTRA UNITA E POTERE AL POPOLO

 

A partire dal 18 ottobre scorso abbiamo voluto rivolgerci alle compagne e ai compagni della sinistra d’opposizione di Bologna al fine di aprire una interlocuzione che favorisca la più ampia unità d’azione nelle mobilitazioni tra le nostre forze.

Abbiamo inviato la lettera che potete leggere di seguito ai recapiti reperiti sui siti web e Facebook ufficiali delle diverse organizzazioni.

Ad oggi non abbiamo avuto risposta.

Speriamo vivamente che ciò sia dovuta solamente ad un normale ritardo dovuto magari alla necessità di una complessa ma costruttiva risposta o puramente ad un errore di recapito da parte nostra del qual caso ci scusiamo.

Rimaniamo in attesa di un riscontro perché pensiamo che sia un’occasione importante per mettersi al lavoro nell’interesse esclusivo della classe lavoratrice e dei ceti popolari.

Saluti comunisti

 

LETTERA APERTA ALLE COMPAGNE E AI COMPAGNI DI SINISTRA UNITA E POTERE AL POPOLO

COSTRUIAMO L'UNITÀ D'AZIONE DELLE ORGANIZZAZIONI CHE FANNO RIFERIMENTO ALLA CLASSE LAVORATRICE

Care compagne e cari compagni.

Le scorse elezioni amministrative per l'elezione del sindaco e del consiglio di Bologna ci hanno visto divisi su liste contrapposte.

La ragione è molto semplice: abbiamo presentato programmi differenti e che cercano di dare una risposta diversa alle rivendicazioni fondamentali della classe lavoratrice e delle classi popolari sia sul terreno politico che su quello sociale.

Per quanto ci riguarda noi abbiamo sentito il dovere di presentare il nostro programma rivoluzionario che avanza le rivendicazioni fondamentali per dare soddisfazione ai bisogni fondamentali delle lavoratrici, dei lavoratori e delle classi popolari.

Questi bisogni possono essere soddisfatti solo rovesciando il capitalismo e iniziando l'edificazione socialista sotto la direzione delle organizzazioni e del governo delle lavoratrici e dei lavoratori.

Per raggiungere questo fine riteniamo indispensabile la costruzione del partito rivoluzionario sia a livello nazionale che internazionale e perciò abbiamo inteso ingaggiare la battaglia elettorale. Come ben sapete non siamo elettoralisti e non riteniamo il mero risultato elettorale il metro per giudicare la correttezza delle proprie posizioni e dell'azione di propaganda nei confronti della classe operaia. Tuttavia riteniamo la presentazione elettorale uno strumento importante per portare la nostra propaganda rivoluzionaria all'attenzione di una vasta platea di lavoratrici, lavoratori e settori popolari, interessati alle elezioni. In definitiva cerchiamo di contestualizzare la tradizionale tattica elettorale leninista.

Sappiamo che la vostra proposta politica non corrisponde ai criteri che abbiamo inteso seguire. Pertanto, al contrario di una parte importante dell’elettorale di sinistra, comprendiamo bene le differenze che esistono tra di noi e l'impossibilità, almeno per quanto ci riguarda, della composizione di un'unica lista genericamente di sinistra alle elezioni.

Abbiamo visto come, nonostante il fallimento dell'obiettivo di eleggere un consigliere comunale, il complesso delle nostre tre liste abbia registrato uno spostamento a proprio favore di alcune migliaia di elettori che hanno in ogni caso manifestato con il loro voto una volontà di contrastare da sinistra l’amministrazione targata PD, il partito che meglio rappresenta l'architrave della governabilità borghese oggi in Italia.

A questa domanda, oggi, crediamo, sia necessario dare una risposta, essendo fortemente convinti che la vera unità della sinistra si costruisca, non alle elezioni, ma nella mobilitazione.

Infatti è questa unità d’azione, a partire dall’avanguardia politica della classe lavoratrice, che può essere disposta utilmente a supporto della costruzione del più ampio fronte unitario di massa della classe lavoratrice, possibilmente con il contributo di tutte le organizzazioni che vi fanno riferimento.

A questo scopo il Partito Comunista dei Lavoratori è quotidianamente impegnato nella costruzione di percorsi unitari politici e sindacali e nel loro reciproco intreccio.

I terreni di incontro ed elaborazione comune, possono essere molteplici, fatto salvo che ogni organizzazione conservi del tutto legittimamente la propria autonomia di proiezione, proposta politica e programmatica,

Possono variare dal terreno delle rivendicazioni sindacali, con la ricerca costante della possibile unità d'azione del sindacalismo di classe, a temi sociali sentiti dall'opinione pubblica (ad esempio il rilancio della sanità pubblica), a temi più strettamente politici ideologici come l’antifascismo, il cui rilancio è tornato di estrema attualità dopo l’attacco fascista alla sede della CGIL.

Costruendo tra le nostre organizzazioni un momento di confronto comune e possibilmente un coordinamento sul terreno dell'azione risponderemmo al contempo alla domanda di unità che ci viene dall’elettorato di sinistra e ci doteremmo di uno strumento utile e favorevole alla costruzione della più ampia mobilitazione unitaria della classe lavoratrice e dei settori popolari a partire dal nostro territorio, l'unica unità che può veramente contrastare l'attacco padronale e delle amministrazioni locali sue subalterne.

Ovviamente il nostro percorso di coordinamento sarebbe e rimarrebbe aperto all'apporto di tutte le forze di sinistra di opposizione disponibili a cui continuerebbe a proporre la più ampia interlocuzione tanto più incisiva quanto resa forte dall’unità tra di noi.

Con la speranza di una favorevole accoglienza da parte Vostra di questa nostra proposta vi facciamo i nostri migliori auguri di buon lavoro per le ragioni della classe lavoratrice e delle classi popolari.

Saluti comunisti

PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI - SEZ. DI BOLOGNA

Non è il green pass la frontiera dello scontro

 


Un commento del Collettivo di fabbrica GKN a una dichiarazione dei portuali di Genova

Pubblichiamo questo post dei lavoratori del Collettivo di fabbrica GKN sulla vicenda del green pass, che ci pare positiva e significativa. Non ricalca esattamente la nostra posizione ma va, a nostro avviso, nella giusta direzione. Non solo perché evita di assumere come riferimento il sindacato autonomo a direzione reazionaria del porto di Trieste, distinguendolo nettamente dal Collettivo dei portuali di Genova segnato al contrario da un profilo chiaramente classista e antifascista («la nostra famiglia»), ma soprattutto perché denuncia la falsità del terreno “no green pass” come frontiera dello scontro, ponendo invece la necessità di una mobilitazione generale della classe operaia che ponga al centro un programma complessivo su licenziamenti, delocalizzazioni, appalti, precariato, pensioni, sicurezza sul lavoro, sanità pubblica. Le questioni vere dello scontro sociale.

È vero, come dicono i compagni della GKN, nei luoghi di lavoro la misura è colma. Non a causa di un certificato ma a causa dello sfruttamento capitalista, del governo che lo rappresenta, di una burocrazia sindacale che non lo combatte ed anzi lo copre. È in questo quadro d'insieme che si debbono contrastare le modalità di gestione del green pass da parte di governo e Confindustria (cancellazione dello stipendio, frequente inaccessibilità dei tamponi, abusi padronali...). Invece dirottare la rabbia sociale sul green pass in quanto tale significa muoversi oggettivamente a rimorchio dei no vax e di pulsioni reazionarie, indipendentemente da ogni illusione soggettiva, lasciando passare così la vera offensiva dei padroni e di Draghi. Ci pare che i compagni del collettivo GKN, con la loro nota, aiutino a capirlo.





Noi conosciamo i portuali di Genova, il Calp Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali. I portuali di Genova sono la nostra famiglia. Di loro ci fidiamo. Ci fidiamo del loro antifascismo. Un antifascismo doc, storico, vero, radicato, serio, costante, partigiano.

Dentro la nostra famiglia si discute e si può avere anche posizioni diverse. Noi però siamo sicuri che dentro la nostra famiglia concetti come responsabilità collettiva e sicurezza sul lavoro sono usati correttamente e non come spot o peggio come clava per colpevolizzare e penalizzare il mondo del lavoro.

Governo e Confindustria, per quanto ci riguarda, non hanno invece la credibilità di entrare nel merito di questi concetti. Nè possono pensare di scaricare sul mondo del lavoro il disastro della gestione pandemica.

In questo video parla la nostra famiglia e lascia chiaro un concetto importante: nei luoghi di lavoro la misura è colma.

Il rischio è che il disagio profondo che si vive si scarichi esclusivamente sul tema green pass sì, green pass no. Invece tale discussione va riportata al centro di un programma complessivo che tocchi temi come appalti, delocalizzazioni, salari, licenziamenti, precariato, pensioni, sicurezza sul lavoro, sanità pubblica.

Se oggi in Italia il mondo del lavoro rischia di essere attraversato quindi da logiche divisive e lo scontento rischia di scaricarsi interamente sulla questione del green pass, la colpa per quanto ci riguarda sta in capo a chi ad oggi si rifiuta di prendere in considerazione una lotta aperta, a tutto campo, con lo sciopero generale, per unificare le lotte e dare a questo profondo scontento uno sbocco organizzato e di classe.

Se non ti organizzi per insorgere, non ti lamentare se chi insorge non lo fa secondo i tuoi canoni. Noi #insorgiamo e ripartiamo dalla manifestazione del 18 settembre.

Collettivo di fabbrica - Lavoratori GKN Firenze

La legge di stabilità del governo Draghi

 


21 Ottobre 2021

Al riparo della cortina fumogena no green pass, il governo procede come un rullo compressore. È ora di una opposizione vera, come chiedono i compagni della GKN

Al riparo della cortina fumogena delle iniziative contro il green pass, il governo Draghi colpisce lavoratori e disoccupati. Le misure annunciate dalla nuova Legge di stabilità parlano chiaro.

Si cancella l'elemosina di "quota 100" tornando a grandi passi verso una legge Fornero a pieno regime (quota 102 il primo anno, quota 104 il secondo...). Si peggiora la miseria del reddito di cittadinanza, con l'obbligo di accettazione della seconda “offerta” pena l'abbattimento del sussidio. Si annuncia una riforma del fisco in cui al momento l'unica cosa certa è l'abbassamento delle tasse sulle rendite finanziarie (dal 26% al 23%), la cancellazione dell'IRAP (che finanzia la sanità pubblica), l'incentivo fiscale alle fusioni d'impresa (altri 4 miliardi ai padroni).
Per la sanità, in piena pandemia, si destinano le briciole (2 miliardi in più al fondo sanitario), meno della metà degli sconti fiscali offerti al padronato e alle banche. Per gli ammortizzatori sociali, la grande riforma epocale annunciata da Orlando, avanzano appena 3 miliardi e rotti: di conseguenza addio all'estensione della cassa integrazione alle imprese di piccole dimensioni (da 1 a 5 addetti). Quanto poi ai famosi provvedimenti contro le delocalizzazioni, il veto di Confindustria ha chiuso l'argomento. I padroni non solo continueranno a licenziare, ma vedranno allargato lo sblocco per la piccola impresa e l'industria tessile già a partire dal 31 ottobre. I padroni che non volessero licenziare possono beneficiare di una cassa gratuita per tredici settimane, a carico delle finanze pubbliche, cioè a carico dei lavoratori. Ma la loro libertà di licenziare è garantita.

“Libertà, libertà” gridano i cortei no vax e no green pass. Libertà dal vaccino o dal tampone o da entrambi. La libertà dai licenziamenti, dalla fatica di 67 anni di lavoro per pensioni da fame, dal precariato e dal lavoro nero, non incrocia la loro sensibilità. In compenso il governo usa il movimento no green pass e l'ambiente reazionario che lo guida per procedere indisturbato come un rullo compressore contro le condizioni dei salariati. Avevano annunciato ai mari e ai monti che i soldi europei avrebbero cambiato il volto dell'Italia, invece serviranno solo a irrorare i portafogli di industriali e banchieri. Per il resto, tutto come prima ed anzi peggio di prima. Con l'attiva corresponsabilità di una burocrazia sindacale che protesta giustamente contro i fascisti ma non muove un dito per difendere i lavoratori. Ed anzi fa leva sull'abbraccio di Draghi per iscriversi all'unità nazionale. Una politica che non tutelando chi lavora lo regala a volte ai demagoghi reazionari di turno, e agli irrazionalismi più demenziali.

Tutta la sinistra di classe, politica e sindacale, deve allora voltare pagina, ritrovando il passo di un'opposizione radicale a padronato e governo sui temi veri dello scontro sociale. Parliamoci chiaro. Lo sciopero dell'11 ottobre è stata un'occasione preziosa buttata al vento per inseguire i no green pass, col risultato di offrire loro una nuova passerella mediatica e di alimentare la confusione anche all'interno dell'avanguardia. Occorre ora cambiare registro. Riprendere la centralità della piattaforma originaria dello sciopero di ottobre. Recuperare le ragioni di classe poste dall'iniziativa di lotta dei lavoratori della GKN e dalla grande manifestazione del 18 settembre a Firenze. È il tema di uno sciopero generale vero, unitario e di massa, attorno a una piattaforma di lotta unificante che interessi diciassette milioni di salariati. Altro che star dietro a sindacati reazionari (Trieste) e alle Madonne di Medjugorje.

Partito Comunista dei Lavoratori

La polizia e la piazza di Trieste

 


Affilano le armi contro gli altri per usarle contro i lavoratori

20 Ottobre 2021

Siamo contro la violenza poliziesca anche quando si esercita contro ambienti e manifestazioni reazionarie. Perché è la stessa violenza poliziesca che colpisce le battaglie classiste e le ragioni del lavoro. Per questo condanniamo lo sgombero poliziesco del presidio di Trieste.

Detto questo, è bene chiarire cosa concretamente è avvenuto, fuori da ogni leggenda e mitologia.

L'accesso al porto non era bloccato dai portuali, come hanno continuato a ripetere i giornali. Il gruppo dei portuali del sindacato autonomo di destra che il giorno 15 aveva proclamato il blocco a oltranza annunciando la sollevazione generale per il ritiro del green pass aveva già ripiegato in meno di 48 ore, prima dicendo che i lavoratori che avessero voluto lavorare avrebbero potuto farlo tranquillamente, poi annunciando che tutto era finito in cambio di un incontro (promesso) con un ministro (forse). Non male per quella che doveva essere una... rivoluzione.
Il portavoce del coordinamento portuali Stefano Puzzer era stato per questo minacciato dalla parte più reazionaria del suo stesso ambiente, capitanata dal noto pugile di Forza Nuova Fabio Tuiach, e pertanto costretto alle dimissioni. In compenso, mentre i pochi portuali rimasti, tra loro divisi, hanno levato il disturbo, la scena è stata occupata dal movimento no vax e no green pass di Trieste, elettoralmente rappresentato dalla Lista Tre V ("Vaccini Vogliamo Verità"), e rinfoltito dalle presenze solidali provenienti da altre città. Un ambiente eterogeneo e pittoresco, popolato dai soggetti più disparati: portatori di croci e della Madonna di Medjugorje, piccolo-borghesi inferociti, avvocati del diritto violato, un po' di studenti. Dei novecento portuali triestini meno di due decine, a dir tanto. Da qui è nato il nuovo “coordinamento 15 ottobre”, che coi portuali non c'entra nulla, e che ha eletto Puzzer a portavoce. Alla testa del nuovo coordinamento stanno i peggiori figuri, a partire da Dario Giacomini, già candidato di CasaPound alle elezioni politiche del 2013, radiato dall'Ordine dei Medici per le sue campagne contro il vaccino, leader della FISI (Federazione Italiana Sindacati Intercategoriali), il sindacato reazionario che aveva formalmente indetto lo sciopero al porto di Trieste.

La polizia ha sgombrato questo presidio, sotto la pressione dell'Autorità portuale, dei terminalisti ed armatori preoccupati dei propri affari, ma anche di un governo e di una ministra degli interni Lamorgese che dovevano mostrare il pugno duro per riabilitare la propria immagine dopo la copertura fornita ai fascisti nell'attacco alla sede della CGIL. La piazza di Trieste si prestava alla perfezione per l'occasione, per inaugurare una gestione più muscolare delle manifestazioni di piazza, rodando strumenti e forme d'intervento utili per il futuro. Forme d'intervento peraltro già praticate con determinazione e violenza bel superiori contro i picchetti degli operai immigrati della logistica, per fare solo un esempio.
La verità è che il governo sta usando le manifestazioni no vax e no green pass per limitare ancor di più lo spazio di libera manifestazione, restringere la libertà dei cortei, imporre solo manifestazioni stanziali ecc. La stessa manifestazione nazionale di Roma del 30 ottobre contro il G20 sarà oggetto di nuove “attenzioni” del ministro degli interni e dei corpi repressivi.

Per tutte queste ragioni siamo contro la repressione dello Stato anche quando si esercita contro manifestanti reazionari. Affilano le armi contro gli altri per usarle contro i lavoratori e le lavoratrici.

Partito Comunista dei Lavoratori

Giù le mani dei fascisti dalla CGIL!

 


Per l'autodifesa delle lavoratrici e dei lavoratori dalla violenza fascista e reazionaria. Per una svolta radicale della politica del sindacato

15 Ottobre 2021

Testo del volantino per la manifestazione del 16 ottobre

Questo è il volantino che il PCL distribuirà domani alla manifestazione antifascista convocata da CGIL, CISL e UIL dopo i fatti di sabato scorso. Parteciperemo alla manifestazione con le nostre bandiere, un nostro striscione, le nostre parole d'ordine; contro i fascisti ma da un'angolazione di classe indipendente. In solidarietà con la CGIL contro l'attacco fascista, ma senza un grammo di sconto alla sua burocrazia dirigente, alla sua politica, alle sue enormi responsabilità di fronte ai lavoratori e alle lavoratrici.


L’attacco fascista alla sede nazionale della CGIL è un atto infame. I fascisti non attaccano una politica sindacale ma il sindacato in quanto tale, ossia il diritto delle lavoratrici e dei lavoratori a una propria organizzazione, a tutela degli interessi della propria classe. È la natura stessa del fascismo, che si distingue da ogni altra espressione reazionaria proprio perché mira alla distruzione di tutte le organizzazioni del movimento operaio. Oggi le organizzazioni fasciste usano il movimento reazionario No vax e No green pass come proprio terreno di pascolo, di reclutamento, di organizzazione. L’attacco fascista del 9 ottobre è frutto di questa miscela.

Contro le organizzazioni fasciste è necessaria un’azione indipendente del movimento operaio. Affidarsi allo Stato è un'illusione, come dimostra l’intera esperienza del dopoguerra. Le leggi antifasciste già ci sono ma non hanno portato a risultati, o perché non vengono applicate o perché non producono effetti concreti. Lo scioglimento di Ordine Nuovo (1973), di Avanguardia Nazionale (1976), del Fronte Nazionale (2000) non ha cancellato la presenza dei fascisti, che si sono riorganizzati ogni volta in altre forme e sotto altre sigle. Ed oggi Fratelli d’Italia e la Lega provano addirittura a far leva sulla proposta di scioglimento di Forza Nuova per invocare misure liberticide contro le organizzazioni comuniste, sventolando la squallida mozione del Parlamento Europeo che equipara nazismo e comunismo.

La violenza reazionaria non è solo quella delle organizzazioni fasciste, che ha la sua specificità. È anche quella delle squadre di picchiatori assoldati dalle aziende contro i picchetti di lavoratrici e lavoratori in sciopero, nella logistica, alla FedEx, alla Texprint. Una violenza incoraggiata dalle leggi contro gli immigrati, dalla tolleranza degli abusi padronali, dalla copertura dello Stato. I decreti Salvini e la criminalizzazione delle forme di resistenza sociale (picchetti, blocchi stradali, etc.) ha moltiplicato i casi di repressione aziendale, poliziesca, giudiziaria contro le lotte operaie.

Tutto questo va contrastato e respinto. Contro le organizzazioni fasciste e ogni forma di violenza reazionaria le lavoratrici e i lavoratori hanno diritto a difendersi, a difendere le proprie Camere del lavoro, le proprie pratiche di lotta, i propri spazi, le proprie conquiste. La cultura dell’autodifesa appartiene alla storia migliore del movimento operaio. Se i fascisti vogliono riproporre azioni squadriste da anni ’20, allora le lavoratrici e i lavoratori hanno diritto a rispondere: presidiando le Camere del lavoro, organizzando la difesa dei picchetti, opponendo alla forza reazionaria la propria forza organizzata. Lo stesso vale contro le azioni squadriste di picchiatori o crumiri.

Parallelamente va rivendicata la cancellazione dei decreti Salvini, sia nella parte che criminalizza i migranti sia in quella che attacca i diritti di lotta del movimento operaio. Come va respinta la pretesa del governo Draghi e del Ministro degli Interni Lamorgese di restringere ulteriormente i diritti di manifestazione prendendo a pretesto l’aggressione fascista di sabato scorso. Far leva sulle azioni fasciste per restringere la libertà di manifestare è un'operazione inaccettabile che la CGIL ha il dovere di contrastare.

In realtà è tutta la politica sindacale a essere chiamata a un cambio di rotta. Come siamo intransigenti nel difendere la CGIL dalle minacce fasciste, così vogliamo essere netti nel giudicare la linea del suo apparato dirigente, che consideriamo disastrosa, sindacalmente e politicamente. Da anni e decenni si insegue la concertazione con il padronato e i suoi governi, cioè la trattativa sulla piattaforma della controparte. Prima sulla scala mobile; poi sulla precarizzazione del lavoro, le privatizzazioni, i tagli sociali; poi ancora sulle pensioni, con le ridicole tre ore di sciopero contro la Legge Fornero, che hanno regalato a Salvini milioni di voti operai; infine, persino sui licenziamenti, concedendo a padroni e governo lo sblocco in cambio di un “avviso comune” che è solo una truffa. Parallelamente si sono abbandonate a loro stesse centinaia di vertenze per la difesa del lavoro, senza dar loro una indicazione unificante né in fatto di rivendicazioni né in fatto di forme di lotta e di organizzazione.

Il risultato di tutto questo è uno solo: i padroni si sono rafforzati, la precarietà del lavoro è dilagata, e le morti sul lavoro ne sono una misura agghiacciante. Ma soprattutto è arretrata la coscienza delle masse. Milioni di lavoratrici e lavoratori, sentitisi senza tutela, hanno cercato a destra quello che non trovavano a sinistra, finendo con l’essere dirottati contro falsi bersagli: ieri contro i migranti e oggi magari contro i vaccini. Lo stesso movimento No vax e No green pass catalizza, su basi reazionarie, diversi motivi di malcontento. Lo spazio dei fascisti è figlio di questo clima.

La direzione della CGIL non può chiamarsi fuori da questo bilancio. In quanto direzione del più grande sindacato di massa, ne porta per intero la responsabilità. Eppure, vediamo che persevera come se nulla fosse accaduto. Persino i fatti di sabato scorso sembrano diventare una leva di accreditamento presso il governo Draghi, nel segno dell’abbraccio tra Draghi e Landini. Un abbraccio che non è solamente uno scatto d’immagine ma la cornice simbolica di una politica, una politica di unità nazionale con il governo del capitale finanziario. Lo stesso che liberalizza i licenziamenti, peggiora il reddito di cittadinanza, abbassa la tassazione delle rendite finanziarie, cancella persino l’elemosina di Quota 100, destina alla sanità pubblica l’ultima voce di spesa tagliando per di più l’IRAP che la finanzia. Continuare a sostenere di fatto questo governo, come fa Landini, significa disarmare le lavoratrici e i lavoratori, e alimentare anche nelle loro file gli umori peggiori.

Occorre allora un’altra direzione del sindacato e della CGIL. Occorre un sindacato che unifichi le vertenze del lavoro, che costruisca una cassa nazionale di resistenza, che dica che le lavoratrici e i lavoratori debbono occupare le aziende che licenziano, come hanno fatto in GKN, e che rivendichi la loro nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo operaio. Occorre un sindacato che si batta per la cancellazione di tutte le leggi di precarizzazione del lavoro e per la riduzione generale dell’orario di lavoro a 30 ore pagate 40. Occorre un sindacato che chieda il raddoppio dell’investimento nella sanità pubblica, finanziato dalla cancellazione del debito pubblico verso le banche e da una patrimoniale di almeno il 10% sul 10% più ricco. Un sindacato che recuperi insomma la propria autonomia dai padroni e dal governo, e per questo possa unire le lavoratrici e i lavoratori in un vero sciopero generale.

Il Partito Comunista dei Lavoratori si batte in CGIL e in ogni sindacato classista per questa svolta generale di indirizzo. Per restituire il sindacato a lavoratrici e lavoratori. Per unirli in una lotta comune, al di là di ogni diversa appartenenza sindacale. Per ricondurre ogni loro lotta alla prospettiva di un loro governo. Un governo anticapitalista, basato sulla forza e l’autorganizzazione delle lavoratrici e dei lavoratori. L’unico governo che possa cambiare davvero le cose.

Partito Comunista dei Lavoratori

Chi sono i duri di Trieste?

 


Guardare in faccia la realtà

15 Ottobre 2021

«Il Covid ha poche differenze con l'influenza stagionale... Il vaccino me lo sono fatto anch'io ma chissà quanto veleno c'è dentro.». Sono le opinioni di Stefano Puzzer, di provenienza CISL, capo del Coordinamento dei Lavoratori Portuali di Trieste (CPLT), che ha rotto con USB nel 2019 da posizioni “indipendentiste”. Cosa significa posizioni indipendentiste? Significa che il Coordinamento chiede per il Porto di Trieste l'extraterritorialità, ossia la condizione di porto franco: un porto dove non si pagano le dogane e tariffe che si pagano negli altri porti italiani. Un porto per questo più competitivo che garantisca a terminalisti e armatori condizioni di vantaggio rispetto ai porti concorrenti. I portuali del Coordinamento triestino pensano di poter ricavare dall'extraterritorialità una condizione di privilegio rispetto a quella degli altri portuali italiani; non solo paghe più alte. Il manifesto costitutivo del Coordinamento rivendica testualmente “la priorità per i triestini nelle assunzioni e negli incarichi al Porto di Trieste”. È la logica reazionaria del leghismo.

La composizione politica del Coordinamento è eterogenea. Il suo presidente, Sebastiano Grison, vota dichiaratamente la Lega. Il suo segretario, Alessandro "Sandi" Volk, si definisce “un comunista che si trova meglio con i fascisti”, sostanzialmente un rossobruno. Un gruppo consistente è rappresentato dagli ultras della Triestina, area di estrema destra vicina a Forza Nuova. Il CPLT ha rapporti con la FISI (Federazione Italiana Sindacati Intercategoriali), un sindacato di destra che ha proclamato lo sciopero generale dal 15 al 20 ottobre, la cui segreteria nazionale è composta da soggetti già candidati nelle liste di CasaPound (Pasquale Bacco).

Queste non sono opinioni, sono fatti. Non capiamo come sia possibile ignorarli. Soprattutto non capiamo come compagni e organizzazioni del sindacalismo di classe possano salutare con entusiasmo l'iniziativa del Coordinamento dei portuali triestini indicandolo come riferimento per la classe operaia. Il "no green pass" sta annebbiando non solo la ragione ma anche la vista?

Partito Comunista dei Lavoratori

GKN e porto di Trieste, avanguardia e retroguardia

 


14 Ottobre 2021

Non è tutto oro ciò che brilla. Una riflessione di metodo sulle dinamiche di lotta

“Basta con la distinzione tra fascismo e comunismo, ideologismi che sono serviti solo a dividere il popolo”. Lo ha affermato Stefano Puzzer, cattolico praticante, oggi impegnato nello sciopero contro il green pass, capo di un sindacato autonomo del Porto di Trieste con cui USB ha rotto nel 2019 perché in mano a elementi di destra. Non pare esattamente un'avanguardia. È utile averlo presente per evitare di confondere lucciole e lanterne.

Ricapitoliamo.
La vaccinazione di massa è da sempre una battaglia del movimento operaio, contro oscurantismi ideologici antiscientisti. L'abbattimento del tasso di contagio, di ricoveri e di morti è oggi dovuto all'estensione della vaccinazione anti-Covid, come chiunque può capire. In un paese in cui il Covid ha ucciso più di 130.000 persone (oltre 5 milioni al mondo) solo i reazionari possono contrastare la vaccinazione.
A questo punto delle due l'una: o l'obbligo vaccinale o il green pass.
L'obbligo vaccinale è una soluzione assolutamente legittima. Se la pandemia dovesse aggravarsi potrebbe rivelarsi necessaria. Ma sapendo le implicazioni logiche: sanzioni maggiori per chi viola la legge, e in ogni caso, ovviamente, la certificazione della vaccinazione avvenuta.
Il green pass è una soluzione di mediazione: riconosce il diritto a non vaccinarsi, assieme al diritto dei vaccinati di abbassare drasticamente il rischio di contagio e le conseguenze peggiori della malattia. Una certificazione, come un certificato elettorale o una patente. Non un “ricatto” ma la certificazione di un diritto.

Altra cosa è la gestione del green pass da parte del governo. La privazione dello stipendio per chi non vuole vaccinarsi è un'enormità. Scandalosa è la difficoltà per molti lavoratori a tamponarsi per la carenza di farmacie, luoghi e dipendenti che facciano i test. Assurdo che le multe per la violazione delle regole siano maggiori per i lavoratori che per i padroni che non controllano. Si possono fare molti esempi. Per non parlare di possibili discriminazioni padronali. Su questo terreno è necessaria ovunque un'azione di mobilitazione, di vigilanza sindacale, di controllo operaio. È il terreno della lotta di classe. Ma contestare il green pass in quanto tale, senza rivendicare l'obbligo vaccinale, è una posizione di indifferenza al contagio, ai ricoveri, ai morti. Non la difesa dei lavoratori, ma il loro abbandono.

Il fatto che posizioni reazionarie possano penetrare in settori di lavoratori, e orientare scioperi, non è un fatto nuovo. Nella lunga storia del movimento operaio è accaduto tante volte. Nel tardo Ottocento e nel primo Novecento vi sono stati scioperi contro la parificazione dei diritti tra uomini e donne, scioperi contro l'uguaglianza tra lavoratori bianchi e neri, scioperi contro i diritti degli immigrati, persino scioperi a favore di guerre imperialiste. Uno sciopero non è di per sé una garanzia della natura progressiva delle sue ragioni. I comunisti, se sono tali, sanno distinguere, sapendo anche andare controcorrente rispetto al senso comune dei lavoratori, quando questo è segnato da posizioni regressive. Viceversa chi benedice indifferentemente ogni lotta e ogni movimento per il solo fatto di essere tali, può anche pensarsi come irresistibile rivoluzionario ma svolge di fatto un ruolo di conservazione della società borghese.

Certo, quando posizioni reazionarie si diffondono anche tra lavoratori – oggi fortunatamente una netta minoranza – è necessario chiedersi perché. Il movimento no vax e no green pass non nasce dal nulla. Capitalizza su un terreno reazionario un'insoddisfazione sociale diffusa che, privata di riferimenti e prospettiva alternativi, trova a volte nel “no green pass” una valvola di sfogo onnicomprensiva. Lavoratori pressati dall'erosione dei salari, dal caro bollette, dalla minaccia di sfratti, dall'attacco al posto di lavoro, dalle mille disfunzioni di una sanità pubblica falcidiata dai tagli (per ingrassare la sanità privata e pagare il debito pubblico alle banche), possono farsi abbagliare da chi presenta loro il green pass come vessazione e ricatto. Per distogliere la loro attenzione dalle vere questioni di classe e dirottare la loro rabbia sociale verso falsi bersagli.

Non è questa una buona ragione per accodarsi al no al green pass, come purtroppo hanno fatto forze diverse dello stesso sindacalismo di classe. È invece una ragione più che sufficiente per costruire una vera prospettiva classista e anticapitalista che ricomponga l'unità di lotta dei lavoratori e delle lavoratrici attorno a una piattaforma generale progressiva, contro il padronato, contro il governo, contro la linea di unità nazionale attorno a Draghi oggi promossa dalla burocrazia CGIL. Ma per questo occorre partire dalla distinzione tra avanguardia e retroguardia. Tra la lotta GKN e quella del porto di Trieste. La prima è la possibile locomotiva di un riscatto attorno alle ragioni generali del lavoro, la seconda è un fanalino di coda che fa da zavorra.

Partito Comunista dei Lavoratori

È uscito il nuovo numero di Unità di Classe

 


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13 Ottobre 2021

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In questo numero:


GKN. Allargare la breccia, unificare le lotte. Editoriale - Marco Ferrando

Appello nazionale "Unire la lotta contro i licenziamenti"

Dalla parte di quale Afghanistan? - Salvo Lo Galbo

Germania. La Linke, tra opportunismo e mancanza di prospettive - Alessandro Infurna

Opporsi ai padroni e al governo, non alla vaccinazione di massa!

La questione energetica: i soviet più l'elettricità - Luca Gagliano

Partito Comunista dei Lavoratori

La questione energetica: i soviet più l’elettricità

 


Il controllo delle risorse energetiche da parte del proletariato si rivela l'unica alternativa possibile per la salvaguardia del pianeta

La velocità di degradazione ambientale del nostro pianeta ha raggiunto livelli record. La portata del disastro è un prodotto della storia che ha come concause tutti gli aspetti naturali, economici e sociali. Infatti, i bisogni in epoca feudale di un contadino povero non sono gli stessi di un proletario di oggi, e le sfruttamento delle risorse del Medioevo non è paragonabile alla domanda energetica odierna.


Consideriamo ora uno dei principali problemi ambientali, ovvero il cambiamento climatico: si tratta dell’innalzamento delle temperature medie globali come conseguenza dell’attività umana. Il principale motivo per cui si ha questo innalzamento è l’immissione nell’atmosfera di gas ser
ra. E qual è la principale fonte di immissione di gas serra nell’atmosfera? La risposta ce la fornisce l’ISPRA: «Il settore energetico è […] responsabile della quota emissiva prevalente, circa 80% delle emissioni totali. Il settore elettrico costituisce a sua volta una quota rilevante del settore energetico, rappresentando in termini emissivi circa il 30% delle emissioni nazionali di origine energetica.».

La questione energetica domina la società moderna, da un lato dal punto di vista politico, economico e sociale e dall’altro con la sua enorme influenza sull’inquinamento. Si possono studiare nuovi indicatori sociali, come il consumo energetico pro capite, e usarli come stima di “benessere” e sviluppo di una nazione. Per esempio, il consumo annuale di kilowattora pro-capite in Norvegia si aggira sui 24 mila, invece spostandoci in Africa i consumi sono molto più contenuti: in Sudafrica si toccano i 4 mila kilowattora annui pro capite, mentre in altri Paesi più poveri, come la Guinea Bissau, il consumo pro capite si ferma a 17 kilowattora. All’Africa corrisponde l’uso del 4% del consumo globale di energia elettrica, nonostante sia il continente che ospita un quinto della popolazione mondiale.

Le proiezioni su questo tema sono preoccupanti, secondo l’Agenzia Statistica e Analitica del Dipartimento dell’energia degli USA (EIA), il consumo mondiale di energia crescerà del quasi 50% tra il 2019 e il 2050. La crescita si focalizzerà prevalentemente nel settore industriale. Si prevede, infatti, che il consumo di energia nel mondo cresca all’aumentare del consumo di merci. La crescita del consumo totale e mondiale di energia causerà un parallelo aumento (pari al 79%) nella generazione di elettricità. E chi consuma di più nel mondo energia? Oltre a essere i responsabili dei maggiori problemi ambientali, sono i paesi industrializzati i maggiori consumatori di energia al mondo: nonostante rappresentino il 15% della popolazione globale, il loro consumo energetico supera il 50% dell’energia consumata in totale.


PROGRAMMA DI TRANSIZIONE

Il socialismo è uguale ai soviet più l’elettrificazione” fu lo slogan politico della campagna politica per elettrificazione della Russia nel 1920 (piano GOLERO), dove Lenin, in modo brillante, anticipa ed individua nell’elettrificazione un elemento di primaria importanza per lo sviluppo economico e sociale della Russia.
Tutt’oggi, soddisfare il bisogno energetico diventa un obiettivo politico immediato per i comunisti ed una necessità per il proletariato mondiale. La peculiarità di questo nuovo periodo storico sta anche nel contenere i consumi dei paesi avanzati, i quali, come abbiamo appena visto, sono esagerati e distruttivi.

Il mercato capitalista porta ad una produzione di merci (e quindi impiego di energia) sempre maggiore e senza razionalità, con l’unico fine di accrescere il capitale. Perciò è da rivendicare l’esproprio di tutto il settore energetico, centralizzarlo in un unico programma a livello mondiale, in modo da poter pianificare un futuro sostenibile, ponderare la distribuzione di energia e creare nuovi impianti di forniture energetiche nei paesi in via di sviluppo. Le fonti energetiche rinnovabili e non rinnovabili devono essere censite e tenute rigorosamente sotto il controllo dei lavoratori per la loro sostenibilità a lungo termine. In questo modo si va a gestire l’energia per la produzione di beni e non di merci, nel quadro di un programma eco-compatibile.


DALLA CRISI AMBIENTALE ALLA COSTRUZIONE DI UNA NUOVA SOCIETÀ

Il superamento del capitalismo non può fondarsi semplicemente sui buoni propositi della politica, ma deve avere delle corrette fondamenta economiche e scientifiche. Questo lo chiarirono Marx ed Engels nella battaglia politica contro il socialismo utopistico; tuttavia, nelle loro analisi mancavano concetti chiave come l’entropia, che pone dei limiti oggettivi allo sfruttamento energetico. Marx ed Engels, nonostante riconobbero i problemi di inquinamento collegati allo sfruttamento della natura, considerarono “gratuite” le forze-naturali. Ora entra in gioco l’energia (o forza-naturale) come “nuova” (nel senso non più ignorabile) condizione da considerare nel sistema economico-sociale: si inserisce nel processo produttivo oggettivizzandosi in una merce ma non rimane semplicemente “gratuita” poiché presenta dei costi. Infatti, per via del concetto di aumento di entropia in una trasformazione irreversibile (tutte quelle che avvengono in natura), l’energia è direttamente collegata alla degradazione di materia e alla produzione di rifiuti inutilizzabili.

Visto che nel capitalismo le forze-naturali sono una merce, possiamo calcolare il loro valore facendo un parallelismo con la forza-lavoro: è pari al valore dei mezzi di "sussistenza” necessari a riprodurla, che, tradotto, è la capacità delle fonti energetiche primarie (sono quelle fonti che sono presenti in natura e quindi non derivano dalla trasformazione di nessun’altra forma di energia; rientrano sia fonti rinnovabili come l’energia solare, sia fonti esauribili come il petrolio) di rigenerarsi. Così come per l’uomo, che si affatica ogni volta in cui cede forza-lavoro, così anche in una trasformazione irreversibile si hanno dei “costi”, poiché si va ad aumentare l’entropia del sistema chiuso, e questi “costi” vanno messi a bilancio.
Per la precisione, quando abbiamo un aumento di entropia, una parte di energia va “persa”, ma non è effettivamente andata distrutta; infatti, non si può contraddire il Primo Principio (conservazione dell’energia): essa si è solo degradata in una forma non più utilizzabile per produrre lavoro (che è il modo in cui l’energia e la forza-lavoro si estrinsecano per dare valore ad una merce). Già nel 1880 un giovane socialista ucraino, Podolinskij, partendo dai principi della termodinamica, aveva proposto una revisione della teoria marxiana della produzione. La fecondità delle idee di Podolinskij, tuttavia, non fu intesa adeguatamente da Marx ed Engels; Engels si espresse in proposito in modo sostanzialmente (anche se non interamente) negativo in due lettere a Marx del dicembre 1882. Entrambi furono ostacolati nel giudizio poiché non avevano ancora fatto approfonditamente i conti con il principio di entropia e le sue implicazioni.

Inoltre, se definiamo l’energia “l’attitudine di un sistema o di un corpo a compiere un determinato lavoro”, possiamo considerare anche la forza-lavoro come una forza-naturale. Andando a conclusione, dato che l’accrescimento di capitale è fondato sulla mercificazione della forza-lavoro e quindi della forza-naturale, l’emancipazione umana e naturale in una società superiore passa per la liberazione della forza-lavoro e delle forze-naturali dalla posizione di merce.
Con ciò si vuole cercare di spiegare che una prospettiva ecologica deve demolire la causa prima di degradazione ambientale, che è il capitalismo, altrimenti si attueranno soltanto delle “toppe” al sistema che non risolveranno mai completamente il problema. C’è anche dell’altro: ossia che una prospettiva anticapitalista deve basarsi su precisi fondamenti economici e sociali, aggiornarsi con le nuove conoscenze scientifiche e considerare fattori che prima di ora non sono stati appieno calcolati.

Luca Gagliano

La pacificazione alla Beppe Grillo

 


L'odor di fascismo che ancora emana dalla Camera del lavoro devastata di Roma deve aver inebriato Beppe Grillo.

A corto di voti da quando ha mostrato nudo e crudo il volto reazionario e razzista del M5S, oggi per recuperarne qualcuno prova a pescare anche lui nel mare non troppo largo ma comunque cospicuo dei no vax anti-green pass.

La CGIL capitolò al fascismo col "Patto di pacificazione" del 1921. Un secolo dopo, Beppe Grillo capitola ai no vax chiedendo la pacificazione sul green pass.

Ha fatto i calcoli. Sono ancora 19 milioni gli italiani da vaccinare, un terzo. Tolti dodicenni, diciottenni e over sessantenni, restano sei milioni di persone tra la popolazione attiva senza vaccino.

Due terzi però potrebbero essere «disoccupati o inattivi o non occupati». Quindi restano ancora 3,5 milioni di lavoratori a tempo indeterminato, gli unici evidentemente che esistano per Beppe Grillo da vaccinare.

Infatti i lavoratori precari a tempo determinato non entrano in questo strano conteggio. Probabilmente, avendo il suo movimento abolito la povertà, Beppe Grillo deve aver messo i precari tra i beati che possono fregiarsi del ricatto da due soldi del reddito di cittadinanza e godersi la vita spaparanzati sul divano.

Ad ogni modo, per gli ultimi irriducibili no vax, Beppe Grillo propone di pagare il tampone fino a dicembre. La spesa si aggira sul miliardo di euro. Ma il patto di pacificazione alla Beppe Grillo non mette un solo euro sul conto dei padroni. Tutto sul groppone dell'INPS, ossia dello Stato, e cioè non direttamente ai no vax, ma indirettamente a tutti i lavoratori vaccinati e non vaccinati che dovranno pagare un miliardo tasse in più per l’aumento del debito pubblico. Il tutto mentre da qui a dicembre i padroni evaderanno più o meno 20 miliardi di euro.

La pacificazione di Beppe Grillo è tutta qua. È una pacificazione sempre coi padroni. Come Di Maio, prima delle elezioni, faceva il giro delle sette chiese per ingraziarseli, oggi Beppe grillo fa il giro dell'ottava, quella dei no vax, cioè quella più intrisa di squadristi e fascisti, per ingraziarsi anche i loro più fedeli e ignobili zerbini.

In attesa di un'improbabile pacificazione coi lavoratori, auguriamo a Beppe Grillo di fare pace col cervello. Sarà il giorno, almeno, che avrà imparato a fare i conti.

Lorenzo Mortara

MASSIMA SOLIDARIETA' AGLI ATTIVISTI APS COLPITI DALL' AGGRESSIONE OMOFOBA: LA LOTTA CONTRO OGNI DISCRIMINAZIONE DI GENERE E LA NECESSITA' DELL'AUTODIFESA

 

I


Il Partito Comunista dei Lavoratori-sezione di Bologna esprime la massima solidarietà verso gli/le attivisti/e del Gruppo Trans APS per l'aggressione di stampo omofobo subita sabato notte all'esterno della loro sede in via dell'Unione, a Bologna.

Purtroppo non è la prima volta che queste/i attiviste/I subiscono episodi di questo stampo e tanto più questo richiama la necessità della vigilanza contro qualsiasi atto discriminatorio contro il genere sessuale e l'organizzazione di forme ormai urgenti di autodifesa. 

Crediamo altresì che normative come il DDL Zan debbano entrare al più presto in vigore per tutelare le persone LGBTQI+ da simili episodi.

Da comunisti rivoluzionari e marxisti conseguenti non abbiamo fiducia nella legislazione borghese, e pensiamo che le normative che vi si inseriscono non possano risolvere i problemi e le discriminazioni a cui quotidianamente sono esposte le minoranze, ma difendiamo ogni singolo passo in avanti nella conquista di maggiori diritti per esse.

PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI
SEZ. DI BOLOGNA

Squadrismo fascista, no vax, autodifesa

 


Riflessione sui fatti di Roma

10 Ottobre 2021

L'attacco squadrista del 9 ottobre a Roma contro la sede nazionale della CGIL richiede alcune considerazioni aggiuntive rispetto al comunicato che abbiamo pubblicato, anche a fronte di alcuni elementi di confusione presenti nello stesso dibattito dell'avanguardia, o di posizioni che riteniamo profondamente sbagliate.

La prima considerazione riguarda la natura dell'atto compiuto, la sua matrice, il suo retroterra. Su questo non possono esserci dubbi o rimozioni di sorta. Si è trattato di un atto squisitamente fascista, guidato dai massimi dirigenti politici (Roberto Fiore) e militari (Giuliano Castellino) di Forza Nuova, per l'occasione affiancati da squadristi riconosciuti di altre formazioni di estrema destra, inclusi i capi delle curve (Verona in primis). Un atto non improvvisato, ma preparato e organizzato per tempo, nel quadro di una manifestazione nazionale, come tale convocata con post e locandine on line, con simbologie tricolori e parole d'ordine di Forza Nuova. Un atto che rientra nella peggiore tradizione del movimento fascista, come sa chiunque conosca la storia d'Italia, e non solo.

L'attacco è stato rivolto contro la sede nazionale del principale sindacato italiano. Non è un fatto casuale. Il movimento fascista si distingue storicamente da ogni altra espressione reazionaria proprio perché mira in ultima analisi alla distruzione di tutte le organizzazioni del movimento operaio, dalle più moderate alle più radicali. L'aggressione alle Camere del lavoro fu infatti l'esordio dello squadrismo un secolo fa.

Nessuna considerazione sulla politica della burocrazia sindacale può giustificare il rifiuto di condannare l'azione squadrista e/o il rifiuto di dare la solidarietà all'organizzazione sindacale aggredita. Non è questa infatti la tradizione dei comunisti rivoluzionari.

La burocrazia sindacale della CGL di un secolo fa era la stessa che aveva tradito il biennio rosso, che giunse a siglare il patto di pacificazione coi fascisti nel 1921, che finirà con l'accettare il proprio scioglimento da parte del governo fascista nel 1925 (Patto di Palazzo Vidoni). Alcuni dei suoi massimi dirigenti passeranno dalla parte del regime dopo le leggi eccezionali. E allora? I comunisti che combattevano questa politica della burocrazia con tutte le proprie forze furono in prima fila a difendere le Camere del lavoro dallo squadrismo, lasciando sul campo per questo centinaia di morti e feriti. Perché difendere le Camere del lavoro non era difendere la burocrazia ma il sindacato, la propria organizzazione di classe, più in generale il proprio diritto ad avere un sindacato.

Così, su un piano diverso, nel secondo dopoguerra. La CGIL di Di Vittorio – nata in contrapposizione alla CGL classista di Napoli con un'operazione burocratica diretta da Togliatti – era quella che tra il 1943 e il 1947 difese i governi di unità nazionale con Badoglio, Bonomi, de Gasperi, e quindi la loro politica di sacrifici, sblocco dei licenziamenti, incremento dello sfruttamento, ritorno dei vecchi padroni (come Valletta), e persino l'amnistia per gli aguzzini fascisti decretata da Togliatti, ministro di Grazia e giustizia. Fu la stessa burocrazia stalinista che nel 1948 tradì l'enorme sciopero generale spontaneo in reazione all'attentato a Togliatti abbandonando decine di migliaia dei propri militanti alla vendetta dei padroni e di Scelba. Eppure, quando dopo il 1948 si scatenò la reazione contro il movimento operaio, e si moltiplicarono gli attacchi a diverse Camere del lavoro, tutti i militanti classisti difesero la CGIL dalla reazione condannando senza riserve le aggressioni. Perché difendevano il proprio sindacato, e più in generale il diritto al sindacato come diritto dei lavoratori.

Naturalmente ad oggi non siamo né al 1921 né al 1948. Ma il punto è di metodo generale. Quando si difende un sindacato dalla reazione si difende un diritto collettivo della classe operaia, non i burocrati che lo tradiscono ogni giorno. Confondere le due cose, smarrire il confine tra movimento operaio e reazione nel nome della denuncia della burocrazia sindacale e delle sue malefatte non solo favorisce la tenuta di quest'ultima nel rapporto con la propria base, ma rischia, oltre una certa soglia, di portare lontano. Come portò lontano un secolo fa settori disorientati del sindacalismo rivoluzionario che in odio alla burocrazia finirono col confluire nel campo della reazione. Nessuna organizzazione del sindacalismo di classe, sia chiaro, ha oggi propensioni del genere, ma è bene da subito segnalare e rimuovere posizioni equivoche e pericolose. Tanto più se e quando si manifestano nel campo del sindacalismo di classe più combattivo e radicale.

I fatti di Roma inducono a una chiarificazione ulteriore sulla natura del movimento no vax e no green pass. Lo ribadiamo a scanso di equivoci: non equipariamo il movimento no vax e no green pass al movimento fascista. Tanto meno ci sogniamo di affermare che tutti i no vax e no green pass sono fascisti. Ma non è possibile mantenere ambiguità ed equivoci sulla natura reazionaria di questo movimento. L'humus che lo alimenta – non l'unico ma quello essenziale – si fonda sulla “libertà individuale” contrapposta alla solidarietà sociale, e sulla contestazione della scienza a favore di ciarlatanerie grottesche.
Sono gli ingredienti classici di movimenti populisti di carattere reazionario, non diversi da quelli che negli USA si sono raccolti attorno a Trump per la libertà di non vaccinarsi, libertà che oltretutto ha moltiplicato contagi, ricoveri e morti negli stati repubblicani del Sud. Movimenti populisti di carattere reazionario non diversi da quelli che in Brasile, col sostegno delle Chiese evangeliche, impugnano i crocifissi contro i vaccini, in un paese in cui il Covid ha fatto oltre seicentomila morti (e sono solo quelli censiti). Il 9 ottobre a Roma è stato applaudito dalla piazza il messaggio fatto pervenire da Monsignor Carlo Maria Viganò, simpatizzante lefebriano: “La pandemia è stata causata da Dio per punire peccati individuali e sociali”. C'è bisogno di aggiungere altro?

Questa è la ragione per cui le organizzazioni fasciste trovano nei movimenti no vax, nelle loro diverse declinazioni, un terreno naturale di pascolo, di reclutamento, di organizzazione, di egemonia di piazza. Quei compagni che pensano di contrastare l'egemonia dei fascisti sul terreno da loro scelto non solo contraddicono le ragioni di classe ma sono destinati a una marginalità umiliante e subalterna. La Piazza del Popolo a Roma della giornata del 9 ottobre ha fornito in questo senso un'immagine plastica: i caporioni fascisti sul palco a comiziare davanti a un pubblico plaudente, e un gruppetto di sinistra ai margini della piazza a fare da comparsa impropria e infelice in un film che non solo non è il suo, ma ha registi, scenografi, attori che militano ogni giorno contro di lui. Gli stessi che magari domani davanti allo sciopero dei trasporti denunceranno “il caos , le code, i diritti violati dei consumatori...” e naturalmente “la libertà costituzionale” di muoversi violata e impedita. È la libertà del piccolo-borghese di ogni tempo.

Per queste ragioni ribadiamo che è stato un errore aver introdotto la parola d'ordine del no al green pass nella piattaforma di lotta dello sciopero di domani. Un conto è opporsi alla cancellazione dello stipendio per chi non si vuole vaccinare, cosa importante, necessaria e giusta. Altra cosa è contrastare in quanto tale una misura che favorisce di fatto l'estensione della vaccinazione senza imporne l'obbligo (obbligo che oggi non è necessario e che avrebbe implicazioni assai più vincolanti e pesanti per chi non vuole vaccinarsi). Il rischio ora è che settori dei media presentino lo sciopero dell'11 come sciopero contro il green pass, ignorando totalmente la sua piattaforma classista. Circuiti no vax, infarciti di reazionari e fascisti, già hanno annunciato in alcuni territori la volontà di partecipare alle manifestazioni dell'11 “contro il green pass”. Crediamo, tanto più dopo i fatti di Roma, che ogni inquinamento delle manifestazioni sindacali da parte di tali ambienti vada respinto con la massima chiarezza e fermezza da tutte le organizzazioni promotrici.

Infine i fatti di Roma introducono un nuovo tema nella riflessione sulle pratiche dell'antifascismo, il tema dell'autodifesa e dell'azione diretta. L'esperienza del 9 ottobre ha confermato una volta di più che non sarà lo Stato borghese a proteggere le Camere del lavoro, e più in generale a contrastare i fascisti. I fermi di Fiore e Castellino valgono lo spazio di una telecamera.
Ciò che tutti possono osservare e sperimentare è che i picchetti operai sono sfondati a manganellate, con licenziamenti e fogli di via, o magari assaliti a bastonate dalle guardie private delle aziende con i poliziotti che stanno a guardare, mentre ai fascisti è stato consentito di devastare la sede nazionale della CGIL nella capitale d'Italia, con tanto di inni e foto ricordo. Ciò che è accaduto a Roma può accadere altrove. Occorre allora affrontare seriamente la questione dell'autodifesa. Non si può delegare allo Stato borghese una funzione che per sua natura non può assolvere. Occorre che ci pensi il movimento operaio e le sue organizzazioni.

La questione dei fascisti rimarrà sul tappeto nella prossima fase, e non solo per i no vax. Il 2022 è il centenario della Marcia su Roma, e già si annunciano iniziative di commemorazione dell'evento (manifestazioni, conferenze, raduni anche di carattere internazionale...) con le diverse organizzazioni fasciste Forza Nuova, CasaPound, Lealtà Azione, che in parte unitariamente, in parte in concorrenza tra loro, stanno lavorando ai festeggiamenti. Noi pensiamo che queste manifestazioni, comunque mascherate, non si debbano tenere. Punto. Ma per impedirle è necessario preparare e organizzare per tempo una mobilitazione antifascista che miri allo scopo.
A mettere fuori legge i fascisti non sono le leggi della democrazia borghese, come mostra l'esperienza italiana del dopoguerra e la stessa esperienza della Repubblica di Weimar con i suoi decreti antinazisti dei primi anni '30. Può essere solo la forza organizzata del movimento operaio, in una logica di fronte unico d'azione, ampia e risoluta.
Il Partito Comunista dei Lavoratori intende porre a tema questa necessità in tutte le organizzazioni antifasciste, di classe e di massa.

Partito Comunista dei Lavoratori

Verso lo sciopero generale dell'11 ottobre

 


9 Ottobre 2021

Unire l'azione d'avanguardia, proiettarla verso la massa più larga del lavoro salariato. Per un fronte unico di classe e di massa

Il governo Draghi esce rafforzato dall'esito delle elezioni amministrative del 3 e 4 ottobre.

Nessuno dei partiti borghesi ha oggi l'interesse e la volontà di ritirare il proprio sostegno al governo. Non certo il PD e la sua succursale a Cinque Stelle, che fa dell'identificazione in Mario Draghi una delle proprie ragioni di partito organico dell'establishment. Non la Lega, indebolita dal voto e percorsa da forti tensioni interne, con un segretario sotto pressione a favore di una politica di governo più lineare e convinta, senza ammiccamenti populisti.

Prima dell'elezione del nuovo Presidente della Repubblica non sono alle viste cambiamenti politici di sorta. Il grosso del capitale finanziario chiede che Draghi continui a rappresentare l'interesse generale di sistema per gestire i fondi europei, negoziare il nuovo Patto di stabilità continentale, preparare le politiche di rientro dall'enorme indebitamento. L'incertezza dei circoli dominanti è solo sul modo di garantire la continuità: se assicurando a Draghi la presidenza della Repubblica, mettendolo al sicuro per sette anni, oppure puntare sulla sua permanenza come Presidente del Consiglio sino al 2023, e intanto varare una riforma elettorale che consenta di poterlo ripescare come Presidente del Consiglio anche per il dopo voto.

La risultante immediata è la continuità dell'azione di governo. Sblocco progressivo dei licenziamenti, con la sua estensione al settore tessile e alla piccola impresa. Archiviazione di "quota 100" in direzione di una riforma pensionistica che aumenta di fatto l'età pensionabile entro il quadro della Legge Fornero. Riforma peggiorativa del reddito di cittadinanza, per allargare il lavoro precario e sottopagato. Continuità di una politica sanitaria che destina al servizio pubblico la voce di spesa più bassa del PNRR mentre rafforza la sanità privata. Continuità di una politica scolastica che copre dietro il sipario della vaccinazione la conservazione delle classi pollaio e l'assenza di trasporti locali che garantiscano sicurezza. Riforma fiscale fondata sulla cancellazione dell'IRAP, che oggi finanzia la spesa pubblica, e su una riduzione della tassazione delle rendite finanziarie (dal 26% al 23%).
Il tutto dentro la cornice di una Nota di aggiornamento al DEF che prevede per il 2022 una riduzione del deficit di bilancio da 11,8% al 5,9%. «Ben 120 miliardi in un anno di minori spese pubbliche e maggiori entrate fiscali» (Il Sole 24 Ore, 5 ottobre).

Questa politica prosegue il proprio corso col sostegno della burocrazia sindacale. Dopo aver concesso lo sblocco dei licenziamenti a Draghi e Confindustria a fine giugno, in cambio di un “avviso comune” che è stato semplicemente una truffa, la burocrazia insiste per essere coinvolta nel negoziato di questa politica di governo. Ma il governo è talmente forte della sua unità nazionale e soprattutto del plauso di tutta la stampa borghese che può permettersi di tenere i sindacati in anticamera, sapendo bene che le loro minacce di mobilitazione sono solo recite da talk show alle quali non seguirà nessuna azione concreta. A sua volta la totale passività sindacale moltiplica i suoi effetti di disorientamento nei luoghi di lavoro, mentre il moltiplicarsi degli omicidi bianchi nelle fabbriche e nei cantieri, a partire dalle ditte d'appalto, misura gli effetti drammatici della precarizzazione del lavoro e della mano libera concessa ai padroni.

In questo quadro l'azione di sciopero generale promossa unitariamente dall'insieme del sindacalismo di classe ha un significato molto positivo. Non ci nascondiamo i limiti dell'azione di sciopero annunciata, a fronte dell'imponenza dello schieramento avversario, né il permanere di pulsioni settarie e microconcorrenziali. E tuttavia è la prima volta dopo tanto tempo che si supera la logica dello sciopero di sigla, autocentrato, in direzione di una convergenza unitaria d'azione.
La piattaforma unitaria su cui è stato convocato lo sciopero ha un forte profilo classista. L'apertura al "no green pass" da parte di alcune delle organizzazioni promotrici pensiamo sia un grave errore, su cui ci siamo già pubblicamente espressi, che potrebbe essere usato strumentalmente dal circuito mediatico per distorcere il significato della giornata di lotta e nascondere la piattaforma classista di convocazione dello sciopero. A maggior ragione, su questa piattaforma, siamo impegnati a sostenere attivamente lo sciopero dell'11 ottobre in tutti i luoghi di lavoro e in ogni organizzazione sindacale. L'opposizione interna nella CGIL (area programmatica Riconquistiamo tutto) ha espresso pubblicamente un appoggio allo sciopero che è importante si traduca in azione reale e presenza diretta nelle manifestazioni annunciate.

Al tempo stesso è necessario ricondurre lo sciopero dell'11 ottobre a un piano d'azione più generale: alla costruzione di un fronte unitario di classe di massa che punti a coinvolgere e rimotivare quella maggioranza dei lavoratori e delle lavoratrici che oggi si attesta per responsabilità delle burocrazie su una posizione di passività, di sfiducia, di scetticismo. Per costruire realmente un fronte unitario di massa e non ridurlo ad una evocazione retorica è essenziale far leva sulle lotte più avanzate che si sono prodotte, per unificarle e dare loro una prospettiva.

GKN, Whirlpool, Alitalia: decine e centinaia di lotte in corso restano ad oggi frantumate e disperse, senza una piattaforma unificante e un'azione comune.
L'appello promosso da centinaia di lavoratori di avanguardia e quadri sindacali di diversa appartenenza “Per l'unità di lotta contro i licenziamenti” mira esattamente a questo. Occupare le aziende che licenziano, creare una cassa nazionale di resistenza, rivendicare la loro nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo operaio, significa cercare di far leva sulle esperienze di lotta più radicali (GKN), generalizzare la loro lezione, unificarle al livello più alto, indirizzarle verso una prospettiva anticapitalista.
Per questo porteremo questa proposta dentro lo sciopero dell'11 ottobre e nelle manifestazioni di piazza di quella giornata, per estendere il sostegno all'appello e sviluppare la nostra campagna. Al servizio come sempre di tutto il movimento dei lavoratori.

Partito Comunista dei Lavoratori

Le lezioni servono solo per chi le sa ascoltare

 


Il voltafaccia di Angelo D'Orsi, che vota PD perché “si è spostato a sinistra” (!)

«Ho constatato che Lo Russo nel corso della campagna elettorale ha raccolto varie indicazioni del mio programma e ha avuto un sia pur misurato ma evidente spostamento a sinistra». (La Stampa, 7 ottobre)

Con questa dichiarazione il professor Angelo D’Orsi – lo storico candidato a sindaco del Partito della Rifondazione Comunista, Potere al Popolo, PCI e Sinistra Anticapitalista a Torino – ha motivato sul quotidiano della FIAT il proprio voto per il candidato del PD Lo Russo in vista del ballottaggio.

A Torino il PD è da sempre il partito della FIAT. Il partito che in città e alla Regione ha amministrato per decenni gli interessi del padronato, delle banche, delle grandi società immobiliari. Il partito della privatizzazione della sanità, della svendita dei trasporti pubblici, degli sfratti. Il partito del TAV, delle questure e delle procure nella repressione di centinaia di attivisti.

Ora il professor D’Orsi ci informa che il PD si è «spostato a sinistra». Uno spostamento «misurato» ma «evidente». Come sarebbe avvenuto il miracolo? Ma è semplice: Lo Russo ha raccolto le «indicazioni» di D'Orsi. Quando? Nel corso della campagna elettorale, perbacco! Durante i confronti pubblici tra candidati sindaci, mentre D'Orsi parlava Lo Russo prendeva appunti, abbagliato dalle illuminazioni irresistibili del professore. Lo spostamento a sinistra è avvenuto così, inavvertitamente, per forza inerziale delle parole di uno storico. Ci avevano raccontato che D'Orsi era uno storico materialista, uno convinto del peso degli interessi materiali nel conflitto di classe. Sarà. Di certo il suo materialismo chiude un occhio quando si tratta delle... idee di D'Orsi. In quel caso le idee spostano montagne. Nel caso concreto, il PD e il suo programma.

Il punto è che D'Orsi ha commesso uno sgarbo. Si è dimenticato di avvisare PRC, PaP e Sinistra Anticapitalista che durante la campagna elettorale il PD si stava spostando a sinistra, grazie al suo benefico effetto di persuasione. Non sappiamo se non ha avvisato per falsa modestia, non volendo esibire le proprie capacità taumaturgiche, oppure perché voleva incassare il voto del primo turno per poi rivenderselo al turno successivo, come potrebbero pensare i soliti malpensanti. Resta il fatto che uno sgarbo è uno sgarbo. E PRC, PaP, Sinistra Anticapitalista sembra ci siano rimasti male.

Suvvia professore! PRC, PaP, SA l'avevano presentata non solo a Torino ma in tutta Italia come manifesto vivente della celebrata unità di una sinistra autonoma e alternativa – che solo trinariciuti settari come noi si ostinavano a non vedere – e lei si dimentica di avvisarli che il loro sostegno è servito per... spostare a sinistra il PD? Non sapendo e potendo trovare un equilibrio tra loro si erano affidati a lei, usandola per raggruppare voti, e lei li ripaga con questa moneta? Non è un esempio di generosità e gratitudine.

Però anche PRC, PaP e SA quanto a vuoti di memoria non scherzano. I nomi di Antonio Ingroia e di Barbara Spinelli non dicono niente? Potremmo citare decine di casi analoghi sui territori nel corso degli ultimi dieci anni. Ogni volta quintali di retorica spesi a spiegare le virtù di candidati civici, nel segno dell'apertura alla società civile, della cosiddetta cittadinanza democratica e progressista e del superamento della vecchia logica di partito, hanno selezionato candidati illustri che non rispondevano a nessuno se non a sé stessi, fuori da ogni vincolo di appartenenza condivisa e progetto comune. Pronti a trasmigrare per altri lidi dopo aver preso i voti, o semplicemente dileguati nel nulla. È stato uno dei prezzi pagati all'abbandono della centralità di classe. Il voltafaccia del professor D'Orsi ha solo confermato la regola.

Eppoi il professor D'Orsi avrebbe anche lui qualche buon argomento da sollevare. Il PRC è stato partito di governo col centrosinistra per cinque anni nazionalmente (tra primo e secondo governo Prodi), e per diversi anni anche al comune di Torino con la giunta Chiamparino, quella targata FIAT per eccellenza. Ogni volta la ragione pubblica era “spostare a sinistra il PDS/DS/PD” con la propria azione di pressione. Ogni volta è accaduto l'opposto, con il coinvolgimento compromissorio del PRC nelle politiche padronali, a tutto vantaggio delle destre. D'Orsi potrebbe dunque rivendicare con qualche diritto di richiamarsi alla tradizione del partito. In fondo lui al momento si limita a un'indicazione di voto, non prenota (ancora) assessorati. Perché tanto scandalo?

Stupisce invece lo stupore di PaP, che ora si straccia le vesti gridando al tradimento del programma concordato. Sembrano Alice nel paese delle meraviglie. I programmi formali sono pezzi di carta, ciò che conta sono i programmi reali, i codici politici che li sorreggono, i riflessi condizionati che li accompagnano, i candidati che selezionano. Era davvero così imprevedibile che un candidato civico che non risponde a nessuno, ma sicuramente non in difetto di autostima, dichiarasse al secondo turno il pubblico voto per il PD convinto di averlo spostato a sinistra? “Il professor D'Orsi non sa dove vive!” protesta ora PaP. Il sospetto è che sia PaP a non aver compreso con chi si metteva. Sono gli infortuni di un civismo sociale e di lotta molto elettoralista e con illusioni istituzionali. De Magistris docet.

Quanto a Sinistra Anticapitalista, il suo destino è quello di fare i reggicoda, eternamente critici, dei riformisti, esponendosi a corpo morto all'effetto boomerang dei loro disastri. Il tutto naturalmente nel nome sempreverde dell'unità.
È il caso di dire che le lezioni sono importanti solo per chi voglia ascoltarle.

Noi continuiamo a perseguire un'altra strada: la massima unità nelle lotte e al tempo stesso la massima autonomia politica e programmatica dai cartelli riformisti. I voti che prendiamo, tanti o pochi che siano, non sono e non saranno mai prestati ad altri programmi, tanto meno ad altre classi. Sono e saranno investiti nella costruzione controcorrente di un partito rivoluzionario, l'unico partito di cui i lavoratori e le lavoratrici hanno bisogno.

Partito Comunista dei Lavoratori

Le elezioni, l'unità della sinistra, la presenza elettorale del PCL


 Il primo turno delle elezioni amministrative del 3-4 ottobre ha registrato un'affermazione del centrosinistra nella maggior parte delle grandi città (Milano, Torino, Bologna). Questa affermazione è dovuta non a uno spostamento di elettori dal blocco di centrodestra ma alla dimensione abnorme di un'astensione dal voto che ha interessato in larga prevalenza l'elettorato della Lega. La Lega è la vera sconfitta di questo passaggio elettorale. Più precisamente, il segretario della Lega. La sua ricollocazione nella maggioranza di governo a sostegno di Draghi nel quadro dell'unità nazionale ha sicuramente inciso sul voto, assieme allo scarso appeal di candidati civici improvvisati e posticci, risultante del braccio di ferro tra Lega e Fratelli d'Italia per la guida della coalizione. Fratelli d'Italia si avvantaggia del netto arretramento della Lega ma non in misura proporzionale. Giorgia Meloni non ha capitalizzato che parzialmente la caduta della Lega; il grosso dell'emorragia leghista si è indirizzata verso l'astensione. Significa che la Lega e il centrodestra nel suo insieme continuano a disporre di un blocco sociale ed elettorale maggioritario, sia pure temporaneamente passivo.


Qualunque proiezione della vittoria del centrosinistra sulle prossime elezioni politiche sarebbe dunque ad oggi del tutto sbagliata. Il voto amministrativo è ben diverso dal voto politico, diverso il peso delle motivazioni e della riconoscibilità delle leadership. Così non va confuso il voto delle grandi metropoli col voto dei piccoli centri e della provincia profonda, dove l'astensione al voto è stata molto minore, il centrodestra è più forte e i risultati hanno spesso altro segno. A tutto questo si aggiunge l'assetto ancora in fieri della coalizione del centrosinistra, con un Movimento 5 Stelle che ha virato nel suo gruppo dirigente verso la coalizione col PD ma che registra una forte caduta elettorale, al punto da non risultare determinante in fatto di voti né a Bologna né a Napoli, dove pure ha corso nella coalizione vincente. Parallelamente, la forte affermazione politica di Calenda a Roma può dare volto e riferimento a un processo di raggruppamento al centro capace di aprire contraddizioni nuove e incidere sugli equilibri politici.

Il negoziato sulla legge elettorale inciderà in modo rilevante sugli assetti politici di rappresentanza della borghesia italiana. Una parte importante dell'establishment e dei suoi uomini di riferimento vuole rimuovere la legge attuale, che presumibilmente assegnerebbe al centrodestra una vittoria con ampio margine, tanto più dopo il taglio dei parlamentari. L'idea è quella di una riforma elettorale di tipo proporzionale che possa liberare uno spazio più ampio per un raggruppamento di centro capace di tagliare le ali “populiste” e dare organicità e stabilità all'esperienza Draghi o simil-Draghi anche dopo il 2023. I circoli dominanti della politica borghese sono da subito al bivio di una scelta inaggirabile: se mettere Draghi in sicurezza per sette anni quale Presidente della Repubblica, trovandogli un sostituto di unità nazionale come Presidente del Consiglio e arrivare così a fine legislatura; o se puntare sulla continuità del governo Draghi trovando un'altra soluzione di unità nazionale per la presidenza della Repubblica, lavorando nel frattempo su una riforma elettorale che possa favorire un ripescaggio di Draghi in qualche forma dopo il 2023.

Nell'immediato, da qui al febbraio 2022, il governo continuerà la propria navigazione. Le mosse di Salvini sul catasto servono solo a coprire la sua sconfitta elettorale e a mostrare il proprio peso politico e istituzionale nella stessa Lega, dove la differenziazione con la linea organicamente draghiana di Giorgetti, estraneo alle posture populiste, permane con tutto il suo peso ma è destinata al momento a restare congelata.


IL VOTO AVARO DELLE SINISTRE

Il quadro politico della competizione borghese è al riparo dalla sinistra politica. Il voto del 3 e 4 ottobre conferma la marginalità complessiva della sinistra politica italiana. Chi si aspettava uno scenario diverso in ragione di questo o quell'altro accrocchio unitario è rimasto inevitabilmente deluso. Chi si aspettava di incassare elettoralmente la superesposizione mediatica non ha conosciuto sorte migliore.

Il PC di Marco Rizzo , che annunciava urbi et orbi che avrebbe preso più voti di tutto il resto della sinistra messo assieme è rimasto al palo. Lo 0,3% a Roma e Milano è indicativo. Il PCI viaggia tra 0,3% e lo 0,5% grazie alla rendita di posizione del vecchio simbolo. Rifondazione Comunista, che a Roma doveva sfondare con Berdini grazie alla sommatoria civica di tante sigle, rimedia lo 0,4%, mentre a Torino e Bologna manca largamente l'approdo in Consiglio comunale. Potere al Popolo ha un risultato relativamente migliore, prevalendo a Roma rispetto alle organizzazioni concorrenti con lo 0,6%, e incassando il notevole 2,4% a Bologna, frutto di una presenza elettorale continuativa tra elezioni nazionali, regionali, comunali, oltre che del sostegno di USB. Ma non prende eletti neppure a Napoli, che pure è la sua roccaforte. Il nostro partito riscuote un voto modestissimo, tra lo 0,4% a Bologna e lo 0,1 e 0,05% nelle altre città (Roma, Milano, Torino), sostanzialmente il voto riportato da Per una Sinistra Rivoluzionaria alle elezioni politiche del 2018, ritoccato al rialzo a Bologna, al ribasso altrove.

Come sempre, ma forse più che in altre occasioni, l'esito del voto fornisce un'occasione di sfogatoio ai tanti compagni e compagne che inveiscono contro tutto e tutti: le troppe divisioni, i partitini dello zero virgola ecc. ecc. Abbiamo addirittura, oggi, Il Manifesto che spende un editoriale per chiedere ai partiti a sinistra di Sinistra Italiana di chiedere scusa ai propri elettori, definendoli “un piccolo mondo antico” di testimonianza. Evidentemente la testimonianza inizia dove finisce il centrosinistra. Non c'è male per un quotidiano... “comunista”, come ancora recita abusivamente la sua testata. Cosa non si fa per cercare di vendere qualche copia in più lisciando il pelo agli umori dei lettori.

Noi invece questo pelo non lo vogliamo lisciare. Non dobbiamo vendere merce ma presentare le nostre idee. Cercando di diradare la nebbia dei luoghi comuni e la grande confusione che ne deriva. Sì, c'è una enorme crisi della sinistra politica in Italia. Le elezioni sono solo il suo specchio. Prendersela con lo specchio serve a poco. Serve indagare la crisi della sinistra nella sua realtà, nelle sue radici e ragioni. È l'unico modo per cercare di venirne a capo.


LA CRISI DELLA SINISTRA. LE SUE RADICI, LE SUE RAGIONI

Il voto della sinistra politica non è e non può essere indipendente dalle dinamiche della lotta di classe. Così è stato sempre, in Italia e in Europa.

Negli ultimi dieci anni i fenomeni di polarizzazione a sinistra in Europa sono stati il sottoprodotto di ascese sociali. Così è stato per lo sviluppo di Syriza in Grecia, sull'onda delle grandi mobilitazioni di massa contro l'austerità; così è stata per lo stesso Podemos in Spagna, al di là del suo carattere ibrido, a ridosso delle grandi manifestazioni di piazza della giovane generazioni degli indignados. Naturalmente le esperienze di governo di entrambe – l'una già tristemente consumata, l'altra in corso – hanno disperso la domanda sociale che avevano polarizzato seppellendola sotto il macigno dell'austerità della Troika (Syriza) o di politiche padronali (Podemos col governo Sanchez che bastona i migranti, tratta l'aumento dell'età pensionabile, nega l'autodeterminazione della Catalogna). A riprova che anche i successi elettorali, persino i più travolgenti, sono effimeri se combinati con le compromissioni ministeriali. In ogni caso, i successi elettorali sono stati figli delle piazze e delle lotte, non viceversa.

In Italia lo scenario degli ultimi quindici anni è stato peggiore. Il Partito della Rifondazione Comunista, che raccoglieva la mitologica “unità della sinistra”, si suicidò tra le braccia di Prodi nel 2006, al piede di partenza della grande crisi capitalistica mondiale, votando missioni militari, detassazione dei profitti, precarietà del lavoro, tagli sociali, al modico prezzo di un ministero, di qualche sottosegretariato, della presidenza della Camera dei deputati. Da qui l'inevitabile big bang che ha travolto quel partito, accompagnandone il crollo. Quel crollo a sua volta ha liberato lo spazio di quel ciclo populista reazionario, non ancora esaurito, che è passato attraverso il grillismo, il salvinismo, il melonismo. Un populismo nutrito dalla crisi sociale, che ha coinvolto e coinvolge l'immaginario di massa di tanta parte del lavoro salariato, dirottandolo contro falsi bersagli a tutto vantaggio dei padroni.

La crisi della sinistra politica ha qui la sua radice. Non nella frantumazione, come vuole il senso comune di tanti orfani della vecchia Rifondazione. Quello è l'effetto del crollo del PRC, non la sua causaLa crisi della sinistra è quella della sua irriconoscibilità sociale, a seguito della sua esperienza traumatica e fallimentare. Milioni di lavoratori e lavoratrici che avevano votato a sinistra nel nome di una speranza l'hanno abbandonata perché l'hanno vista tradita. Un abbandono che non ha riguardato soltanto le formazioni responsabili di quelle politiche ma si è estesa anche a chi, come noi, le ha contrastate. Quando si abbassa la marea si arenano tutte le barche, al di là della rotta di navigazione. Pensare di risolvere questa crisi di riconoscibilità con accrocchi elettorali significa continuare a farsi del male con un accanimento terapeutico crudele. Gli accrocchi elettorali possono confortare (a volte e in parte) le illusioni dei militanti, ma non rispondono ai lavoratori elettori. Da qui, ogni volta, la delusione degli esperimenti, con relative frustrazioni, straccio delle vesti, imprecazioni e abbandoni. Non è questa la strada.

A maggior ragione non lo è quando nel nome della più ampia unità nelle urne si scolora sempre più la stessa identità della sinistra classista (non diciamo comunista) in direzione di liste civiche, genericamente democratiche, di cittadini progressisti, sotto le quali nascondere partiti e simboli nella speranza di renderle più attrattive. Arcobaleno, Rivoluzione Civile, Altra Europa con Tsipras, Potere al Popolo, La Sinistra... sul piano nazionale; una infinità di liste civiche sotto le denominazioni più fantasiose su scala locale. Le une e le altre presentate ogni volta come la soluzione finalmente scoperta per uscire dalla marginalità, e ogni volta finite nello sconforto. Ora pare sia la volta dell'appello a De Magistris da parte del PRC per le prossime elezioni politiche, una sorta di Ingroia 2.0, vestendolo dei panni di un possibile salvatore. Altro giro, altro regalo. Auguri.


UNA RISPOSTA VERA ALLA CRISI DELLA SINISTRA, FUORI DA ILLUSIONI E IMPRECAZIONI

Dalla crisi della sinistra si può cercare di uscire solo da un'altra porta. O meglio, da due altre porte.

La prima è il terreno della ricomposizione di un fronte sociale di classe sul terreno della lotta. L'unità da ricercare sta innanzitutto qui. È singolare che i tanti predicatori dell'unità nelle urne non avanzino proposte e iniziative sul piano dell'unità di lotta della classe operaia. E non poche volte avallino scelte e posizioni, politiche o sindacali, che vanno in direzioni opposte.

Noi come PCL ci siamo mossi in questi anni in direzione della più ampia unità di lotta dell'avanguardia di classe, dal Coordinamento delle sinistre di opposizione al Patto d'azione anticapitalista, portandovi sempre il contributo delle nostre proposte, ma mai ponendole come condizione dell'unità d'azione. Al tempo stesso, in ogni raggruppamento unitario dell'avanguardia abbiamo posto la necessità della più ampia proiezione di massa contro ogni visione che confonda la massa col proprio ombelico.
Il problema che tutte le avanguardie hanno, se sono tali, non è quello di recintare il proprio perimetro ristretto, ma è quello di rianimare la resistenza della massa, infonderle fiducia nelle proprie forze, ricomporre l'unità delle sue file contro un avversario di classe determinato e agguerrito come mai in passato. GKN, Whirlpool, Alitalia... in ogni lotta particolare poniamo l'esigenza dell'unità generale delle lotte, e dunque di un piano d'azione che possa generalizzare le esperienze più avanzate, rafforzare la linea di resistenza, portarla sullo stesso terreno di radicalità oggi imposta dalla radicalità di padronato e governo. L'appello nazionale contro i licenziamenti, per l'occupazione delle aziende che licenziano, una cassa nazionale di resistenza, la rivendicazione unificante della loro nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo operaio va in questa direzione. Con la stessa logica unitaria e radicale interveniamo in ogni movimento, a partire oggi dalle mobilitazioni giovanili sul terreno cruciale dell'ambientalismo.

La seconda direzione riguarda la prospettiva politica. Senza una prospettiva politica, e dunque una direzione che la incarni, anche il più grande dei movimenti va a sbattere prima o poi contro il muro. Oppure viene usato da altri per altri scopi rispetto alle sue ragioni.
Oggi non c'è in campo una prospettiva politica riformista. Il crollo dell'URSS, la grande crisi capitalistica internazionale, le nuove contraddizioni tra gli imperialismi vecchi e nuovi per la spartizione del mondo, hanno chiuso da tempo quello spazio. Senza elaborare questo lutto si è destinati ogni volta a rinverdire vecchie e nuove illusioni senza futuro, prima nei Prodi, poi negli Tsipras, poi nei Sanchez, persino in Biden. Salvo uscirne ogni volta con le ossa rotte, come sinistra e soprattutto come classe lavoratrice, a tutto beneficio dei padroni e spesso delle destre più reazionarie.
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Per questo poniamo al centro di tutta la nostra politica la prospettiva anticapitalista di un governo dei lavoratori e delle lavoratrici. Non perché ci piace una formula più radicale, ma perché davvero non esiste altra prospettiva storicamente progressiva al di fuori di questa. Perché tutte le rivendicazioni più elementari, sul terreno del lavoro, del contrasto all'inquinamento, della lotta contro la pandemia, rimandano alla messa in discussione di questo sistema fin dalle sue fondamenta. Appunto una prospettiva di rivoluzione. L'alternativa non sono le riforme, ma la reazione.


LA RAGIONE ORGOGLIOSA DELLA NOSTRA PRESENZA ELETTORALE

Quando il PCL si presenta alle elezioni con questo programma. Anzi, proprio in ragione di questo programma ci presentiamo alle elezioni. Da inguaribili leninisti non ci interessa avere un buon programma da tenere in tasca. Ci interessa un programma d'azione da portare alle masse, nei luoghi di lavoro, nei sindacati, in ogni movimento e lotta degli sfruttati.

La coscienza di massa è lontana dalla comprensione della necessità di questo programma? Lo sappiamo bene, lo constatiamo ogni giorno. Lo vediamo nelle urne. Ma è una ragione in più per cercare di elevare questa coscienza, non per nascondere questo programma.

Questo programma riscuote oggi pochi voti? Verissimo. Ma questo non dipende dal fatto che il PCL si presenta alle elezioni, dipende dall'arretramento della coscienza generale – di cui certo non portiamo responsabilità, anche se ne subiamo gli effetti – e naturalmente dall'esiguità ad oggi delle nostre forze. Di certo non è rinunciando a presentare un programma che potremmo accrescerle. In ogni caso non è rinunciando a presentare un programma rivoluzionario che potremmo accrescere la coscienza dei lavoratori.

Oggi siamo la sola organizzazione, tra quelle interessate a presentarsi al voto, ad avere come programma la rivoluzione sociale, cioè il governo dei lavoratori. Per questo ci presentiamo da soli. Per nessun'altra ragione che questa. È possibile, sicuramente auspicabile, che in futuro altre tendenze e organizzazioni possano far proprio questo programma, magari passando e provenendo da altri percorsi. In quel caso un blocco elettorale attorno al comune programma sarebbe un fatto altamente positivo, ed anzi sarebbe la premessa di un comune partito marxista rivoluzionario, che resta la questione strategica decisiva. Senza la quale, fuori dalla quale, si è destinati ogni volta a ricominciare da capo.

Allora non vi interessa che vi sia una frammentazione di sigle e dunque una gran confusione a sinistra? Certo che ci interessa, anche perché ci danneggia. Danneggia la visibilità e riconoscibilità dell'unico programma comunista sommergendolo sotto una valanga di nomi e di sigle apparentemente similari, ma raccolte attorno a programmi riformisti, dunque utopici.
Forse sarebbe utile, non solo possibile, che le diverse organizzazioni (diversamente) riformiste si unissero elettoralmente per ridurre la confusione. Tanto più che non vi sono principi che le dividono. Di certo non si può chiedere di levare il disturbo a chi si batte per un governo dei lavoratori e intende presentare questo programma alla massa più larga, per farlo conoscere, per rafforzare anche per questa via la costruzione di un partito rivoluzionario.

Partito Comunista dei Lavoratori