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martedì 31 agosto 2021

La lotta contro i licenziamenti

 


Per una risposta unitaria che sia pari all'attacco

31 Agosto 2021

Un contributo che il Partito Comunista dei Lavoratori sottopone alla riflessione e alla discussione di tutte le organizzazioni del Patto d'azione anticapitalista, di cui siamo parte

Cari compagni e care compagne,

Crediamo sia necessario aggiornare con uno sguardo d’insieme lo scenario che si presenta al piede di partenza dell’autunno dal punto di vista delle lotte per il lavoro. Anche per evitare, come talvolta è accaduto in passato, di dover rincorrere gli eventi, e di essere costretti a forme di precipitazione della nostra discussione.

Il padronato sviluppa la propria offensiva dopo lo sblocco dei licenziamenti, gentilmente concesso dalla burocrazia sindacale con uno scandaloso “avviso comune”. I licenziamenti non saranno un fatto generalizzato e indistinto, perché una parte della forza lavoro è stata già liquidata con il mancato rinnovo di un milione di contratti precari, e per via degli effetti compensativi parziali del rimbalzo economico in atto. Tuttavia, non saranno licenziamenti ordinari. Si concentreranno in settori centrali dell’industria e del proletariato italiano. Nel settore dell’automotive (dalla componentistica a Stellantis), interessato alla profonda riorganizzazione della produzione automobilistica; nella siderurgia, che resta in forte sovrapproduzione globale; nell’industria tessile e della moda, fortemente esposti sul terreno dell’esportazione, dove lo sblocco è previsto per il 31 ottobre. Parallelamente investiranno il settore dei trasporti (Alitalia) e del credito (MPS), interessati a forti processi di concentrazione capitalistica.

Questa offensiva si dispiega oltretutto senza disporre di una rete tempestiva di ammortizzatori, come chiedeva la burocrazia sindacale. L’operazione ammortizzatori dovrà entrare a bilancio nella prossima Legge di stabilità, assieme alle nuove misure sulle pensioni, e non potrà essere operativa prima del 2022. Peraltro, gli ammortizzatori in discussione si configurano come atterraggio morbido dei licenziamenti e creazione di nuovo precariato (allargamento della cassa differenziato per tipologia d’impresa, contratto di espansione come scivolo pensionistico a perdere, contratto di rioccupazione con declassamento incorporato attraverso l’apprendistato) più che come protezione sociale dei licenziati. La probabile revisione peggiorativa del reddito di cittadinanza, con l’obbligo di accettazione dei contratti stagionali, su richiesta delle imprese, completa il quadro. Per di più anche gli spiccioli della “riforma” saranno messi a carico dei salariati, perché la pressione sul debito pubblico italiano limita lo spazio di manovra del governo, già alle prese con la promessa corale di un'ulteriore detassazione del capitale (cancellazione IRAP e riduzione IRES).

La legge in gestazione contro le delocalizzazioni (Orlando-Todde) punta a normalizzare i licenziamenti dal punto di vista procedurale: tempi di preavviso, piani di mitigazione delle ricadute occupazionali, coinvolgimento di istituzioni e sindacati nella gestione dei licenziamenti. La minaccia di multe e di privazione dei contributi pubblici per chi non seguisse la procedura prevista è poco più che simbolica per aziende che vogliono chiudere. Peraltro, la procedura non riguarda le aziende che chiudono per crisi economico-finanziaria e le delocalizzazioni interne alla UE, tutelate dalla libera concorrenza continentale. Per di più la legge è ora sotto attacco di Confindustria e sarà rivista al ribasso, con la cancellazione delle sanzioni, già scomparse, non a caso, nell’ultima versione della legge. In altri termini, com’era prevedibile, si tratta di una truffa, al pari della legge Florange (Francia 2014) cui si ispira.

Il punto è come rispondere a questa specifica linea di attacco, sul piano della proposta e dell’azione, a partire dalle esperienze di lotta che già si sono prodotte nell’ultima fase.
Pensare che l’azione di sciopero generale dell’11 ottobre sia in sé “la risposta” sarebbe profondamente sbagliato. L’azione di sciopero del sindacalismo di classe è importante, tanto più perché finalmente unitaria. Tutte le organizzazioni del Patto d'azione sono impegnate, senza riserve, a sostenerla e promuoverla. Ma occorre capire come si prepara, con quali processi interferisce e si incrocia, quali prospettive dischiude. La stessa valenza concreta dello sciopero dipenderà in larga parte da questo

Il quadro della lotta di classe resta complessivamente negativo, ma nell’ultima fase si sono prodotti in controtendenza alcuni fatti rilevanti.

Il ciclo di lotta della logistica, a lungo isolato, ha rotto il proprio isolamento. Prima l’aggressione squadrista di Tavazzano e alla Texprint, e poi il tragico assassinio di Adil, hanno prodotto un salto di attenzione pubblica non solo sulla lotta della FedEx ma sulla condizione complessiva, lavorativa e sindacale, dell’intero settore. La dinamica di scioperi spontanei nelle fabbriche che sono seguiti all’omicidio ha coinvolto un settore dell’avanguardia larga della classe operaia, ed anche lavoratori impegnati in specifiche vertenze aziendali (Whirlpool). Nelle tre settimane che precedevano lo sblocco dei licenziamenti, il SI Cobas si è trovato al centro di una attenzione di massa, mediatica e sindacale, del tutto inedita nelle sue dimensioni, polarizzando un sentimento diffuso di solidarietà di classe che ha travalicato i confini di settore e di appartenenza sindacale.

In quel preciso contesto continuiamo a pensare che proporre pubblicamente alla CGIL di promuovere uno sciopero generale congiunto contro lo sblocco annunciato dei licenziamenti avrebbe significato mettere la burocrazia di fronte alle sue responsabilità agli occhi della parte più avanzata della sua base operaia, in particolare nell’industria. E avrebbe dunque permesso di capitalizzare in quei settori il prevedibile rifiuto e la successiva capitolazione vergognosa di Maurizio Landini. In altri termini, avrebbe rappresentato una forma di attacco efficace alla burocrazia, allargando la breccia nella sua base. Non averlo fatto ha rappresentato, a nostro avviso, un’occasione persa e un errore.

Dopo lo sblocco e la prevedibile capitolazione della CGIL, i licenziamenti annunciati in GKN, Whirlpool, Gianetti, Timken, hanno materializzato le sue conseguenze.
La lotta in GKN, a partire dall'occupazione dello stabilimento di Firenze, ha assunto in questo quadro una grande rilevanza sindacale e politica. Non è una vertenza sindacale ordinaria. L’alto tasso di sindacalizzazione FIOM, la direzione della lotta in mano a un settore classista (opposizione CGIL), la presenza nella sua direzione di compagni formati e sperimentati, conferiscono a questa vicenda un'importanza particolare che va molto al di là di una normale vertenza aziendale. Lo testimonia la vasta solidarietà incontrata sul territorio e la sua trasversalità sindacale e politica, ma anche il tentativo della burocrazia CGIL, e dello stesso Landini, di recuperare il bandolo della vicenda prima che gli esploda nelle mani.

Si tratta allora di dare una proiezione generale a queste lotte in controtendenza per mettere a frutto le loro potenzialità, superando il riflesso condizionato della routine. Da qui la responsabilità di proposta e di azione.

I compagni di GKN hanno detto “insorgiamo”, evocando la necessità di una ribellione operaia. Bene. Si tratta di dare una traduzione concreta all’appello, evitando che resti un'evocazione retorica. E questo interroga non solo i compagni di Firenze ma anche il nostro Patto d’azione anticapitalista e l’Assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori combattivi. Abbiamo insomma una seconda occasione per dare un respiro di massa al nostro intervento in direzione della classe operaia industriale, che ha obiettivamente, come i fatti dimostrano, una valenza strategica. Non sprechiamola.

In primo luogo, crediamo vada generalizzata in termini di proposta la scelta compiuta dai compagni GKN per ciò che riguarda le forme di lotta: l’occupazione delle aziende che licenziano, per impedire che i padroni si portino via i macchinari, e la costruzione di una cassa di resistenza nazionale per le lotte esistenti e per quelle che verranno.

L’occupazione dell’azienda che licenzia è stata osteggiata dalla burocrazia sindacale in tutti passaggi cruciali della lotta di classe negli ultimi decenni (Fiat 1980, Alitalia 2008, FIAT Termini Imerese 2009, Whirlpool 2019). La ragione è semplice: l’occupazione è una prima forma di esproprio della proprietà, confligge con la concertazione, pone la questione della forza come strumento di risoluzione della vertenza. Per la stessa ragione è una forma di lotta necessaria come replica proporzionale alla radicalità del padrone. Contribuisce a tenere uniti i lavoratori, a contrastare la demoralizzazione, a infondere coraggio e determinazione, a polarizzare attorno alla lotta un più vasto campo di solidarietà, come dimostra già oggi l’occupazione di GKN Firenze. Dare l’indicazione di generalizzare questa risposta di lotta in condizioni analoghe significa dire “fare come GKN”.

Lo stesso vale per ciò che riguarda la cassa di resistenza. Si tratta di una forma di organizzazione della lotta che si è affacciata nella logistica, in Whirlpool, e ora in GKN. Risponde all’esigenza elementare di sostenere economicamente una lotta prolungata senza dover dipendere dal quadro precario e a termine degli ammortizzatori esistenti. È uno strumento di forza. Se si generalizza l’indicazione di occupare le aziende che licenziano, occorre proporre una cassa di resistenza nazionale unitaria, da porre sotto controllo collettivo, che possa sostenere materialmente quella scelta di lotta. Non si può “insorgere” senza un'autorganizzazione economica della lotta. Ciò che vale in GKN vale ovunque.

Infine, non è possibile dare una indicazione generale sulle forme di lotta e di organizzazione della stessa senza porsi la questione dell’obiettivo cui finalizzare la lotta. Dire “il ritiro dei licenziamenti” è necessario, ma non sufficiente. Rischia di ridursi a una pressione illusoria sulla proprietà che ha già deciso altrimenti, e da tempo, portando i lavoratori in un vicolo cieco (Whirlpool) e preparando il terreno per soluzioni a perdere (la ricerca dell’ennesimo compratore privato che o non esiste o pone come condizione d’acquisto il taglio degli organici e la cancellazione di diritti).

Occorre legare la parola d’ordine del blocco generale dei licenziamenti alla rivendicazione della nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo operaio delle aziende che licenziano. Abbiamo posto da tempo questa rivendicazione alla riflessione del Patto d'azione, avendo da tempo previsto lo sblocco dei licenziamenti come passaggio centrale dello scontro di classe. Ne è seguita una discussione che ha visto partecipi la larga maggioranza delle soggettività politiche e sindacali del Patto. Abbiamo risposto puntualmente a tutte le obiezioni, perplessità, fraintendimenti (“non esistono i rapporti di forza”, “non è realizzabile”, “i lavoratori non ci seguirebbero”, “meglio rivendicare il salario ai disoccupati”, etc.).

Ora la discussione va conclusa con una decisione, quale che sia, che naturalmente ci auguriamo positiva. Perché i tempi stringono e siamo in obiettivo ritardo.

Ci limitiamo ad osservare che la rivendicazione della nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo operaio delle aziende che licenziano è l’unica rivendicazione che può unire le vertenze a difesa del lavoro contrapponendosi alla loro frammentazione: opponendosi al governo confindustriale e alle sue leggi truffa; dando proiezione alla occupazione delle aziende; ponendo il tema della proprietà quando la proprietà è inconciliabile col lavoro. La sua funzione è rispondere alla radicalità dei padroni con una radicalità uguale e contraria. E di legare la difesa del posto di lavoro alla prospettiva di un’alternativa anticapitalista, cioè di un governo dei lavoratori e delle lavoratrici.

Peraltro, tutte le esperienze sul campo di presentazione di questa proposta nelle assemblee dei lavoratori in lotta hanno permesso di verificare l’ampio consenso di cui è capace. Proponiamo al Patto d'azione e all’Assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori combattivi di assumerla, e di farne oggetto di una vera e propria campagna unificante, proponendola a sua volta ai lavoratori e alle lavoratrici delle aziende in lotta. Non si può “insorgere” nel rispetto del diritto di proprietà.

A partire dall’insieme di questa proposta (occupazione delle aziende che licenziano, cassa nazionale di resistenza, nazionalizzazione delle aziende che licenziano senza indennizzo e sotto controllo operaio) crediamo sarebbe importante promuovere un'assemblea nazionale delle vertenze in lotta a difesa del lavoro, che decida democraticamente sulla piattaforma rivendicativa e di azione, e dia vita a un coordinamento nazionale stabile. Va da sé che se fosse il collettivo di fabbrica GKN a lanciare la proposta e promuovere l’iniziativa, questa potrebbe avere una risonanza e capacità di attrazione assai più elevata.

Infine, pensiamo centrale il raccordo col movimento di lotta dei proletari di altri paesi. Il collegamento stabilito dai lavoratori GKN di Firenze con gli operai GKN di Birmingham, anch’essi colpiti dai licenziamenti, è di estrema importanza. Così è importante guardare allo sviluppo della lotta contro i licenziamenti in Francia. Il Front Social, che raccoglie diversi settori dell’avanguardia di classe di diversa collocazione sindacale (CGT e SUD), come l’Assemblea dei combattivi in Italia, sta preparando una grande manifestazione nazionale a Parigi contro i licenziamenti, attorno a parole d’ordine simili a quelle che abbiamo proposto. Pensiamo sia necessario coinvolgere questo settore classista nel sostegno all’azione di sciopero generale previsto per l’11 ottobre e nelle assemblee preparatorie dello stesso, e assicurare per parte nostra un pieno coinvolgimento nella manifestazione in preparazione in Francia.

Partito Comunista dei Lavoratori