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lunedì 13 settembre 2021

Quando il proletariato chiedeva il vaccino

 


L'epidemia di colera nella Napoli del 1973

12 Settembre 2021

La spiegazione degli eventi e l’insegnamento della storia si contraddistinguono, in questo periodo pandemico, non dalla qualità delle fonti ma dalla quantità delle fonti. Siti privi di qualsiasi fondamento scientifico proliferano distorcendo le notizie e la verità sui vaccini anti-Covid. Pullulano frasi come “vengono nascosti effetti collaterali e decessi post-vaccino”, “I vaccini anti-Covid sono sperimentali”.

In Italia l’Agenzia Italiana per il farmaco (Aifa) pubblica periodicamente il resoconto con le segnalazioni di sospetti eventi avversi, e la realtà è che «i vaccini autorizzati contro il Sars-Cov hanno effettuato tutti i passaggi della sperimentazione per ricevere l’autorizzazione all’immissione in commercio», non vi è stato nessun “salto del turno”.

Il nozionismo in sostanza sta sostituendo a poco a poco lo spazio della comprensione dei grandi fenomeni storici. Anche le lotte sociali di classe vengono sostituite da paure e convinzioni medievali. Il Covid-19 non è solo una malattia fisica, ma in molti scuote e mobilita le paure più irrazionali.

Era il 1973 quando un’epidemia di colera colpì l’Italia. La propagazione del colera, rispetto alla diffusione del Covid-19, ebbe un processo geograficamente inverso. Il centro del contagio fu Napoli, una città del Sud. Tutto ebbe inizio nell’agosto del '73, per la precisazione il 24 agosto, a Torre del Greco (dove Giacomo Leopardi morì 1837 durante un’altra epidemia di Colera), ove si segnalarono alcuni casi di gastroenterite acuta.

Già il 20 agosto la ballerina inglese Linda Heyckeey morì a causa del colera. Era più di un sospetto. L’ospedale Cotugno del capoluogo campano in pochi giorni assorbì molti pazienti, tutti affetti dagli stessi sintomi: diarrea, nausea e vomito. Il colera si diffuse, il batterio killer iniziò a preoccupare. La malattia viaggiò veloce per le vie della città e con essa, alla stessa intensità, si diffusero la paura e il panico.

Napoli aveva già avuto a che fare con il colera nel 1835, nel 1849, nel 1854, nel 1865, nel 1884 e nel 1893. I decessi furono migliaia, e migliaia di vittime – circa 16000 – il Vibrio cholerae (batterio responsabile del colera) li fece nella penultima epidemia del 1884. L’incubo colera si stava riproponendo per l’ennesima volta a Napoli.

La Napoli degli anni '70 era una Napoli molto diversa da quella di oggi, non solo in senso strutturale ma anche sociale. Il tessuto sociale era strettamente più connesso alla coscienza politica. L’impatto del colera a Napoli negli anni '70, se paragonato ai numeri del Covid-19 odierni, fu sicuramente di lieve entità, le morti (secondo le stime più pessimiste) furono 24, con circa 1000 pazienti ricoverati. Altre regioni come la Puglia, la Sardegna o città come Roma, Firenze, Pescara, Bologna e Milano, contarono ammalati ma nessun aspetto drammatico per le statistiche.

La ricerca delle cause della diffusione della malattia furono, almeno nella prima fase, complesse. Inizialmente infatti si ritenne che l’epidemia fosse stata causata dal consumo di molluschi infetti dai vibrioni, in particolare cozze, che venivano ingerite anche crude. La cosa molto particolare e curiosa è che le vere responsabili della diffusione del batterio furono le cozze tunisine e non quelle nostrane, perché i frutti di mare partenopei avevano un tale concentrato di colibatteri, a causa dell'inquinamento del mare, da impedire di sopravvivere allo stesso batterio del colera [1].

Fu il primo caso d’inquinamento selettivo per il proliferare di batteri.

Le autorità, dunque, adottarono diverse misure di anticontagio: iperclorinarono le acque dell’acquedotto municipale, bloccarono la vendita dei frutti di mare e il consumo nei ristoranti e nelle trattorie, e in concomitanza attivarono una raccolta di massa straordinaria di rifiuti, sanificarono strade ed effettuarono controlli a tappeto.

La situazione era seria, era necessario reagire, tanto più che, come tutte le questioni sociali, restavano sacche di convinzioni medioevali, populiste e parafasciste che facevano resistenza. Ieri come oggi avevamo la destra retrograda (i no vax odierni) in prima linea, i soliti sprezzanti del pericolo (negazionisti dell’epidemia) che pensarono bene di farsi riprendere mentre ingurgitavano cozze crude. Oppure si doveva fare i conti con l’incoscienza nazionalpopolare dei giovani, come quella degli "scugnizzi" che dopo essersi vaccinati si gettavano nelle inquinate acque di Via Caracciolo [2].

La presenza del Colera a Napoli, in pochi giorni, divenne un fatto ufficiale. I media sottolineavano il dato. Il Mattino il 28 agosto ufficializzava la presenza dell’epidemia. Gli anziani del posto avevano ancora vivo il ricordo di cosa aveva fatto il colera nel 1910, pochi decenni prima (111 decessi). Il 29 agosto, il Corriere titolava: «Paura del colera». Il giorno dopo: «Contagiati anche i bimbi».

Era necessario reagire, ma mancavano le dosi. In città, il siero anticolerico contava poco più di 17000 dosi [3]; la popolazione iniziava ad accusare il colpo e la non chiarezza sull’origine della diffusione del batterio metteva Napoli in ginocchio. I napoletani, oltre a subire la malattia, per la paura si trovano sigillati in casa senza poter consumare nulla, dal pesce all’acqua alla frutta. Il disagio cresceva, e aumentava anche il livello di coscienza di classe. Il popolo scese in piazza al grido di “vogliamo il vaccino!”. Napoli reclamò il vaccino. Era la classe operaia, la povera gente dalla grande Napoli che stava reagendo.

Nelle foto in bianco e nero di allora ci sono uomini, donne e bambini che protestano perché vogliono difendersi da quel nemico che evoca terrore e lutti. Proprio come dovrebbe essere oggi per il Covid-19, la gente di Napoli ancor meno di cinquant’anni fa lottava per aver un vaccino, per poter essere libera, per poter mandare i figli a scuola, per uscire e tornare alla normalità.

Ai giorni nostri, con un nemico molto più letale e cattivo, le cronache e le immagini in bianco e nero di quella estate napoletana del 1973 ci consegnano una grande esperienza positiva, l’esempio di come il popolo debba rispondere.

Si creano dunque a Napoli i primi centri vaccinali, uno dei primissimi fu alla Casa del popolo di Ponticelli (un’iniziativa promossa da alcuni militanti del PCI), e in poco tempo la vaccinazione cambia passo. Il 3 settembre il Corriere d’Informazione parla di circa 800000 napoletani vaccinati, e l’obiettivo del milione sembra vicinissimo; “prima di sera”, aggiunge, “potrebbero arrivare a sfiorare il milione”, ma lo cosa che più colpisce è, come afferma il Corriere: «in città si nota un clima molto più sereno».

Per rendere possibile la campagna di immunizzazione, in città erano stati allestiti decine di centri dove il vaccino poteva essere somministrato. Al 3 di settembre ne risultavano attivi «44 nella sola Napoli». Un aiuto importante, per dovere di cronaca, fu dato dalle truppe NATO presenti in Campania, dotate di "siringhe a pistola" capaci di somministrare le dosi in tempi molto rapidi. Questi strumenti erano quelli che utilizzavano per le loro truppe in Vietnam.

Quello che dobbiamo valutare con molta attenzione oggi è quello che ci ha insegnato questa vicenda. A Napoli ci fu una grande partecipazione della popolazione alle proteste per ottenere il vaccino. Con grande tenacia e pazienza, i partenopei ottennero il vaccino, mostrando piena fiducia nella scienza, nell’immunizzazione e nei vaccini.

La storia, come spesso accade, non solo tende a ripetersi, ma purtroppo, come diceva un grande, insegna ma non ha allievi. Nel caso del Covid, purtroppo, ha subito un ulteriore affronto ed è stata ribaltata.





NOTE



1) approfondimenti a questo link.



2Corriere del mezzogiorno



3) Corriere della Sera






ALTRE FONTI



L’epidemia di colera a Napoli



La lezione dell’epidemia del colera



Eugenio Gemmo