Sei mesi fa il Perù celebrò giustamente la clamorosa sconfitta elettorale della dinastia reazionaria e corrotta dei Fujimori. Fu il portato di una importante mobilitazione popolare democratica e di una domanda di svolta sociale. A beneficiarne fu Pedro Castillo, ex dirigente sindacale degli insegnanti e delle loro proteste, eletto a sorpresa Presidente del Perù, contro le previsioni dell'establishment.
Ci permettemmo di osservare l'evidenza: se la sconfitta di Fujimori era estremamente positiva e andava salutata come una vittoria, non per questo andava beatificato Pedro Castillo. Figura eclettica, proveniente dall'ambiente maoista di Perù Libre, segnato da un coacervo di posizioni contraddittorie, in parte socialmente progressive, in parte ideologicamente reazionarie, soprattutto in fatto di diritti civili, in particolare delle donne. Un esponente originale del populismo latinoamericano, che ha costruito la propria riconoscibilità pubblica nella lotta contro i Fujimori e la corruzione dilagante, ma in alcun modo intenzionato a rompere con l'imperialismo e le classi dominanti peruviane. E neppure con le gerarchie della Chiesa.
Per questa facile previsione il PCL ha subito gli attacchi di tutta la sinistra “radicale” benpensante, che al solito ci ha accusato di pregiudizio ideologico, di categorie analitiche superate, di incapacità a comprendere la realtà, ecc. ecc. Ma proprio la realtà si è vendicata delle fiabe.
In sei mesi Pedro Castillo ha spostato progressivamente a destra la propria politica. Ha cambiato ben quattro premier, uno più a destra dell'altro. nel tentativo – vano – di trovare un accordo con la maggioranza reazionaria del Congresso, il parlamento peruviano. Negli ultimi giorni questa corsa a destra ha assunto aspetti grotteschi. Martedì 1 febbraio Castillo ha nominato a capo del governo Hector Valer, membro dell'Opus Dei, entrato in parlamento con un partito semifascista e poi passato sul carro di Castillo. Il mandato che Castillo ha dato a Valer è quello di costituire un governo di unità nazionale con tutti i partiti, inclusi quelli più apertamente reazionari. Un fatto traumatico per chi aveva votato Castillo nel nome della svolta a sinistra. Ma non è finita. Passati tre giorni, il nuovo presidente Valer è stato costretto a dimettersi perché accusato di violenze contro la moglie (deceduta) e contro la figlia. A imporre le sue dimissioni sono stati i suoi stessi ministri. Nel frattempo Castillo veniva fotografato in compagnia di Bolsonaro in atteggiamento complice e connivente, suscitando uno scandalo politico, mentre i sondaggi danno la destra peruviana in forte ascesa, oltre il 65% dei consensi. Assecondare la reazione significa, come sempre, spianarle la strada.
Non sappiamo quali saranno ora i commenti della sinistra “radicale”, estasiata sei mesi fa da Castillo. Per quanto ci riguarda, troviamo nei fatti peruviani una conferma del marxismo. In America Latina, come i tutti i paesi dipendenti, le domande di vera svolta, anche solo democratica, non saranno soddisfatte da caudillos populisti e trasformisti, più o meno improvvisati. Possono essere soddisfatte solo dalla classe lavoratrice, alla testa delle masse oppresse e sfruttate. Posso essere soddisfatte solo da un movimento di classe e di massa che si ponga su un terreno di rivoluzione. In Perù come ovunque, la costruzione del partito rivoluzionario resta più che mai una necessità inderogabile. In alternativa solo film già visti, troppe volte, con finali pessimi.