Pages

venerdì 31 dicembre 2021

Viva la sconfitta del pinochetista Kast. Nessuna illusione in Boric

 


Per la costruzione del partito rivoluzionario in Cile

La vedova di Pinochet ha ricevuto la definitiva sepoltura domenica 19 dicembre, quando l'onda d'urto di cinque milioni di cileni ha abbattuto José Antonio Kast, erede dichiarato del pinochetismo, col 55% dei voti.
La dinamica del voto è significativa. Kast aveva riportato la maggioranza relativa al primo turno elettorale. Appariva pertanto il grande favorito. Proprio questa vittoria è stata la leva della sua disfatta. Per sbarrare la strada a Kast sono accorsi a votare milioni di cileni che al primo turno non avevano votato, nonostante le imprese del trasporto avessero ostacolato in ogni modo l'accesso alle urne. Operai, giovani, donne, popolazione povera delle periferie e della provincia sono il volto della vittoria di Boric. È la domanda del “cambio” che già si era affacciata nelle strade e nelle piazze del Cile nei giorni della grande ribellione popolare contro Piñera dell'autunno del 2019 e che aveva segnato lo stesso voto per l'Assemblea Costituente un anno dopo, quando il 78% dei cileni chiese di abrogare la Carta Magna di Pinochet.

Ma se la sconfitta di Kast è ragione di sacrosanta soddisfazione non solo per i lavoratori e i giovani del Cile ma per le masse oppresse di tutta l'America Latina, non è e non sarà il Presidente Boric la risposta alla domanda del cambio. “Hanno vinto i comunisti, la sinistra-sinistra, la sinistra unita” si sono affrettati a dichiarare i dirigenti riformisti della sinistra cosiddetta radicale a tutte le latitudini del mondo, con l'intento di beneficiare della vittoria di Boric in casa propria riscattando le proprie magre fortune. Ma alimentano così una illusione senza futuro. Guardiamo in faccia la realtà.

La coalizione di Apruebo Dignidad rappresentata da Boric tiene insieme il Frente Amplio e il Partito Comunista del Cile (di estrazione stalinista), assieme a una costellazione di formazioni minori (Convergencia Social, Revolución Democrática, Comunes, Federación Regionalista Verde Social, Fuerza Comun, Movimiento Unir, Acción Humanista, sinistra cristiana, Izquierda Libertaria...). Una coalizione della sinistra riformista. Alle primarie di coalizione Boric aveva prevalso come candidato moderato sul candidato del PC grazie al sostegno del Frente Amplio. PC e Frente Amplio hanno partecipato alla lunga stagione di governo di centrosinistra a guida Bachelet, che col suo fallimento aveva spianato la strada nel 2018 alla vittoria reazionaria di Piñera.

Quando nel 2019 si levò la grande ascesa del movimento operaio e popolare cileno contro il governo Piñera, PC e Frente Amplio, con Boric in testa, furono determinanti nel disinnescare la mobilitazione di strada e incanalarla su binari istituzionali. L'accordo di pacificazione del novembre 2019 (“Accordo per la pace sociale e la nuova Costituzione”) salvò la pelle a Piñera e gli garantì l'impunità in cambio di un'assemblea costituente, mentre decine di migliaia di operai e giovani protagonisti della rivolta stanno ancora a marcire nelle galere del Cile, sottoposti a vessazioni e torture.

Oggi Boric è presidente, beneficiando di quella stessa spinta del cambiamento che ha lavorato a contenere. La promessa di superare il sistema previdenziale pinochetista e di investire nella sanità e nella scuola è stata la bandiera del suo successo. Ma tutta la sua campagna elettorale è stata indirizzata a garantire la borghesia cilena, gli investimenti imperialisti, la stessa destra politica, circa la propria volontà di collaborazione sociale e di unità nazionale.
Sarò il presidente di tutti, sapremo costruire ponti, il progresso richiederà ampi accordi” ha immediatamente esclamato, con un occhio alle Borse e alle ambasciate. “Avanzare richiederà ampie intese, non vogliamo fare passi falsi” ha ribadito (Corriere della Sera, 21 dicembre). È del resto sulla base di tali rassicurazioni che al ballottaggio ha ottenuto l'appoggio della Concertacion, la coalizione di centrosinistra tra Partito Socialista e Democrazia Cristiana a guida Bachelet che assieme al PC ha governato il Cile per due lunghe legislature. Ed è con la Concertation che oggi Boric sta cercando l'intesa di governo per coprirsi le spalle nel rapporto con la borghesia. Persino la destra, sconfitta nelle urne, diventa oggetto di attenzioni da parte del vincitore: “È importante che la destra conservatrice, fondamentalmente la destra economica di questo paese, comprenda che la pace sociale si costruisce attraverso la trasformazione e che deve appoggiare tale processo. Altrimenti non ci saranno vantaggi nemmeno per loro” dichiara Alejandra Sepulveda, portavoce di Boric. Madame Rios, altra esponente di primo piano dello staff, conferma: "Il dialogo col centrosinistra, ma anche con l'opposizione di destra, è necessario. Non sarà possibile avanzare nello stesso tempo su tutte le riforme” (Le Monde, 21 dicembre).

Il messaggio di entrambi è chiarissimo: “cari industriali, agrari, banchieri, cileni e stranieri, noi vogliamo la pace sociale con voi. Voi lasciateci realizzare qualche misura riformatrice senza mettervi di traverso. Altrimenti la pressione sociale dei lavoratori e della popolazione povera rischia di travolgere non solo noi ma anche voi. Nel vostro stesso interesse, aiutateci”. In altre parole, lasciateci fare qualche misurata riforma per evitare il rischio di una rivoluzione, nell'interesse comune.

Non sarà semplice. Il nuovo Parlamento eletto il 21 novembre è molto frammentato, non definisce una maggioranza chiara, né Boric sembra intenzionato a forzare verso nuove elezioni per incassare una maggioranza più ampia. Ma soprattutto l'economia capitalistica cilena è in stagnazione, e non si prevede una ripresa in tempi brevi. Il debito estero con le banche e i paesi imperialisti è gigantesco, mentre la domanda di una svolta vera è incoraggiata proprio dalla sconfitta del pinochetismo.

L'esultanza popolare per la vittoria non è solo un omaggio al vincitore ma anche una ipoteca sulla vittoria. Tutte le domande della sollevazione di ottobre 2019 sono risuonate una dopo l'altra nella piazza festante: via i fondi pensione, salario minimo, istruzione pubblica e gratuita, scala mobile dei salari, privati e pubblici, indulto per tutti i prigionieri politici, diritto all'aborto libero e gratuito. Nessuna di queste rivendicazioni può essere soddisfatta senza una rottura anticapitalista, che cancelli il debito pubblico, espropri il capitale finanziario, colpisca i santuari storici della reazione cilena (le gerarchie militari, l'apparato repressivo, i privilegi clericali).
La collaborazione di classe e l'intesa politica con la destra dispongono dunque di una base materiale assai esile e instabile, esposta al rischio di nuove possibili esplosioni sociali. Di certo solo un governo dei lavoratori, basato sulla loro forza e la loro organizzazione può realizzare le misure di svolta necessarie.

La costruzione di un partito rivoluzionario della classe operaia del Cile è dunque più che mai all'ordine del giorno. Un partito irriducibile nemico della reazione pinochetista, forte ancora di un ampio consenso, e al tempo stesso un partito di opposizione classista al nuovo governo annunciato del centrosinistra cileno, che deluderà le attese popolari, come sempre è avvenuto nella storia del Cile. Con incognite serie, potenzialmente drammatiche.

Vayan a sus casas con la alegria sana de la limpia victoria alcanzada”: con queste parole Salvador Allende nel 1970 salutò la folla accorsa ad acclamare la sua vittoria elettorale. Fu l'inizio di una esperienza di governo che cercò di combinare riforme parziali e progressive con la ricerca affannosa di un accordo con la borghesia, con l'imperialismo, con la stessa casta militare. Augusto Pinochet fu ministro di Allende, prima di diventare il suo boia. Il dirigente stalinista Corvalan fu il principale ispiratore di questa politica suicida. Il prezzo lo pagò la classe operaia con un bagno di sangue e decenni di infame dittatura.

Oggi Boric ha voluto, nel giorno stesso del suo trionfo, ripetere alla folla quella frase di Allende, per rievocare il suo mito: “Tornate nelle vostre case con l'allegria sana della limpida vittoria ottenuta”. È comprensibile nella logica rassicurante della pacificazione nazionale e della smobilitazione. Ma la parola d'ordine dei marxisti rivoluzionari cileni è opposta: “Tornate nelle strade e nelle piazze del Cile, avanzate tutte le vostre rivendicazioni senza arretrare di un passo, chiedete la liberazione dei detenuti della rivolta del 2019 e la punizione dei loro aguzzini, sviluppate la vostra organizzazione indipendente nelle fabbriche, nelle scuole, nei quartieri, abbiate fiducia solamente nella vostra forza”. È la prospettiva di una rivoluzione, la sola prospettiva che può regolare i conti, fino in fondo, con la reazione pinochetista. La sola prospettiva che può liberare il Cile dalla dittatura dei capitalisti e dal saccheggio dell'imperialismo.

Nella vicina Argentina, le organizzazioni della sinistra rivoluzionaria trotskista (Frente de Izquierda) rappresentano ormai la terza forza politica del paese col 6-7% dei voti, una propria rappresentanza parlamentare di opposizione al governo di centrosinistra peronista di Fernandez, e soprattutto un vasto insediamento nella classe operaia, nelle organizzazioni sindacali, nei quartieri popolari, nelle università e nelle scuole, nel movimento delle donne. L'unificazione di queste organizzazioni in Argentina in un comune partito rivoluzionario darebbe una enorme spinta alla costruzione del partito rivoluzionario della classe operaia cilena. Di certo il Partito Comunista dei Lavoratori augura ai marxisti rivoluzionari del Cile una prospettiva di crescita, di radicamento, di organizzazione pari a quella argentina.

La sinistra di casa nostra si balocchi pure con il successo effimero di Boric come già di Fernandez, nel mentre tace scandalosamente sul trotskismo argentino. La realtà presenterà il conto alle illusioni. La vecchia talpa della rivoluzione continua, nonostante tutto, a scavare. Ha bisogno di un partito internazionale, quello che siamo impegnati a costruire, con i marxisti rivoluzionari di tutto il mondo.

Partito Comunista dei Lavoratori