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Nessuno sconto a questa finanziaria di lacrime e sangue
Testo del volantino distribuito in occasione dello sciopero generale del 12 dicembre
La Finanziaria 2026 è la fotografia più chiara della direzione presa da chi governa: un Paese dove chi lavora deve pagare tutto, mentre chi comanda continua a vivere al riparo da ogni sacrificio: l’ennesimo assalto ai diritti, ai salari e alla dignità della classe lavoratrice.
Aumentano le imposte indirette, diminuiscono le detrazioni, si riduce ciò che resta in busta paga. Ancora una volta, l’inflazione la pagano gli operai, i turnisti, i precari, chi vive davvero del proprio sudore. Chi sta al governo, invece, continua a recitare la farsa dei “redditi da tutelare”, mentre svuota le tasche proprio di quelli che lavorano per tenere in piedi ospedali, scuole, fabbriche, trasporti.
Un altro colpo arriva sul fronte del welfare. Invece di rafforzare le tutele in un paese dove milioni di persone sono intrappolate nella precarietà, la manovra taglia ancora. Meno fondi per la formazione, meno risorse per chi perde il lavoro, meno strumenti per affrontare transizioni industriali sempre più brutali.
E poi c’è la questione delle pensioni. Con la Finanziaria 2026 diventa ancora più difficile andare in pensione in tempi umani. Nuovi requisiti, nuove restrizioni, nuovi ostacoli. Come se chi ha passato una vita nei reparti, nelle officine, sui turni di notte o nei lavori usuranti potesse continuare eternamente.
Il tratto più rivelatore di questa manovra, però, è la totale assenza di un piano per alzare i salari, per creare occupazione stabile, per ridurre gli orari, per investire nei settori strategici. Zero. Solo tagli a difesa di un sistema che continua a imporre sacrifici a chi lavora mentre garantisce margini e rendite a chi vive di profitti.
La Finanziaria 2026 non è un incidente né un errore tecnico: è un documento politico che racconta chiaramente da che parte sta il potere. E non è certo dalla parte dei lavoratori. È dalla parte di chi considera la forza-lavoro un costo da ridurre. Dalla parte di chi preferisce alleggerire i conti dei privilegiati anziché riconoscere il valore della fatica quotidiana di milioni di lavoratrici e lavoratori. Nel 2026, a quanto pare, chi lavora deve ancora pagare per tutti. È questa la linea: colpire chi crea la ricchezza per continuare a favorire
chi la accumula.
Nonostante le potenzialità che tutti abbiamo visto il 3-4 ottobre, la CGIL ed i sindacati di base non hanno trovato una data unitaria per dare vita ad una vertenza generale unificante in grado di contrapporsi a questa aggressione che il governo Meloni porta ai diritti della classe lavoratrice.
È ora di una piattaforma di rivendicazioni vere:
- aumenti molto più consistenti per tutti che recuperino la reale inflazione, grosso modo il doppio di
quella segnata dall’indice IPCA, quindi 400- 500 euro;
- ripristino della scala mobile e riduzione dell’orario a 30-32 ore settimanali a parità di salario;
- abolizione di tutte le leggi sul precariato dal Jobs Act fino al pacchetto Treu; abolizione della Legge Fornero e di tutti i suoi predecessori: in pensione con 35 anni di contributi, 60 di età e con minima almeno a 1500 euro, quindi abolizione di tutti i fondi pensione e salute che smantellano i diritti pubblici;
- abolizione dell’autonomia differenziata, che riduce salari e diritti, in maniera indifferenziata, dal nord al sud;
- abolizione di tutte le leggi antisciopero e del Decreto legge sicurezza che criminalizza le lotte;
- nemmeno un euro per il riarmo! In Italia si passerà da 45 miliardi nel 2025 a oltre 146 miliardi annui nel 2035 (più dell’importo della spesa per la sanità pubblica), arrivando in un decennio a circa 964 miliardi per il riarmo.
Queste rivendicazioni possono essere portate avanti da un'assemblea di delegati e delegate eletti nei luoghi di lavoro, che guidi la lotta da Stellantis alla GKN, dalla ex Ilva a tutte le altre mille vertenze sparse per il paese, e che istituisca casse di resistenza adeguate allo scopo.
Partito Comunista dei Lavoratori
Metalmeccanici, un contratto da bocciare
FIM, FIOM E UILM erano partiti chiedendo 280 euro di aumento in tre anni e una riduzione d’orario a 35 ore a parità di salario; hanno firmato invece per 205 euro in quattro anni (2025-2028), allungando pure di sedici ore la flessibilità (l’orario plurisettimanale, cioè i sabati mezzo gratuiti, non pagati come straordinario, i quali passano da 80 ore a 96). Per la stragrande maggioranza dei lavoratori e delle lavoratrici l’aumento si aggira tra i 185 e i 192 euro lordi.
Un risultato disastroso che si commenta da solo, e a tutto vantaggio della controparte. Per due anni, fino al giugno del 2026, i metalmeccanici non andranno più in là dei 27 euro lordi erogati a giugno 2025 per l’ultrattività del vecchio contratto scaduto. Per recuperare il costo delle 40 ore di sciopero fatte per ottenere questa misera cifra dovranno aspettare grosso modo la prima busta paga dell’anno 2027.
I vertici sindacali sbandierano come vittoria il mantenimento della clausola di salvaguardia, cioè la salvaguardia dell’indice IPCA, un indice che è al di sotto dell’“inflazione programmata” degli anni ‘90 con cui i padroni smantellarono la scala mobile.
La partita non si giocava sulla “clausola di salvaguardia” ma sull’“assorbibilità” che nello scorso contratto in buona parte delle fabbriche si è mangiata l’aumento. E questa resta tale e quale a prima. Dal 2017, infatti, i vertici sindacali hanno accettato che i minimi aumentino solo nel caso lavoratrici e lavoratori non abbiano superminimi o altri emolumenti aggiuntivi. In quel caso sono sotto ricatto delle aziende.
Si arretra anche sui PAR, due in meno a disposizione individuale e due in più per le chiusure collettive. Il resto è poca cosa: la stabilizzazione (dal 2027) del 20% dei precari, prima di poter assumere altri precari con causali, si perde in un dedalo di precisazioni che la controparte facilmente aggirerà; lo staff leasing limitato a 48 mesi significa che dopo 48 mesi un’azienda assumerà un altro staff leasing lasciando a casa il primo.
Era ampiamente prevedibile una capitolazione del genere, a fronte di scioperi telefonati e fatti per fare il meno male possibile, dividendo territorialmente il fronte. A ciò si aggiunga che gli scioperi hanno messo in discussione solo la piattaforma di Federmeccanica, ma non l’impianto generale del contratto, incardinato su quel Patto della Fabbrica, firmato da CGIL, CISL e UIL nel 2018, che vincola al ribasso gli aumenti, sposta tutto sul welfare (50 euro in più rispetto ai 200 dello scorso contratto, e naturalmente confermati Metasalute e Fondo Cometa per la distruzione di pensioni e sanità pubbliche) ed è fatto su misura per i padroni.
Bisogna riprendere la lotta per un aumento serio e che parta subito, non tra un anno. Un aumento almeno doppio e vincolato all’unico vero indice che tenga dietro all’inflazione: la scala mobile. E per un aumento doppio ci vanno scioperi veri e prolungati, senza preavviso di un mese ma con casse di resistenza che lo supportino. Solo così si possono ottenere riduzione serie di orario e mettere fine ai contratti precari di qualunque tipo.
I metalmeccanici inoltre non devono viaggiare da soli, tanto più che il loro bastione più importante, quel che resta di FIAT-Stellantis, per la miopia dei vertici, è ormai lasciato al suo destino a combattere da solo. Invece per noi va riaccorpato al resto della truppa e unificato a tutte le altre categorie per un unico rinnovo generale che pieghi finalmente il padronato.
L’attuale lotta all’Ilva può essere il punto di partenza per portare a casa finalmente una vittoria e non rassegnarsi a questi aumenti da clochard. Nel referendum che viene, i vertici sindacali punteranno proprio su questo, sulla rassegnazione per far ingoiare ai metalmeccanici l’ennesimo rospo. Bisogna farlo ingoiare a loro. Sarà come farlo ingoiare a Federmeccanica, l’unica a far guadagni principeschi con questo contratto bidone.
Partito Comunista dei Lavoratori
La scuola tra rinnovo del CCNL e Manovra 2026. Dove andremo a finire?
Due fatti intrecciati si sono abbattuti sul settore della conoscenza nel mese di novembre 2025: la discussione sulla legge finanziaria e la firma del CCNL 2024-2026.
La nuova legge di bilancio porterà ad un peggioramento progressivo nella vita dei lavoratori e delle lavoratrici. Mentre si investono miliardi nel riarmo per uscire dall’impasse della recessione, il settore pubblico, tra cui la scuola, subisce un'ulteriore batosta: non sono previsti investimenti per i rinnovi contrattuali a contrasto degli effetti inflazionistici; non è previsto un piano di assunzioni e di stabilizzazione dei docenti; il personale ATA subirà un taglio di circa 2000 posti entro il 2026-2027.
Inoltre, la trasformazione di oltre 42000 incarichi di collaboratore scolastico in incarichi di operatore scolastico andrà ulteriormente a dividere, stratificare e penalizzare la categoria.
Mentre ovviamente si continuano a stanziare finanziamenti e agevolazioni per le scuole paritarie, come il bonus di 1500 euro.
A completare l’opera saranno i futuri passi nell’ambito della riforma dei professionali e dell’esame di Stato.
IL PIANTO DEL COCCODRILLO
La levata di scudi contro il governo da parte dell’opposizione e dei sindacati concertativi è fasulla ed è una partita giocata nello scontro tra apparati ideologici nella contesa della gestione del capitale e dei suoi effetti. Anche nella scuola: Valditara sancisce come obbligatorio ciò che era già previsto dalla “Buona scuola” renziana (comma 85), cioè il fatto di utilizzare “l’organico dell’autonomia” per coprire le supplenze brevi fino a dieci giorni.
Questo risparmio sarà recuperato con il 10% dell’aumento del FMOF, calcolato sul fondo dell’anno precedente. Un cane che si morde la coda.
In tutti questi anni le supplenze brevi sono state coperte, e lo sono tutt’ora, utilizzando i docenti di potenziamento. Come se fosse una novità! In tante scuole, invece, le cattedre di potenziamento, a cui si aggiungono i soldi del FIS (Fondo dell'Istituzione Scolastica), sono spesso utilizzate per i distacchi dei membri dello staff, collaboratori fidati del Dirigente Scolastico, i quali incarnano il famoso middle management della scuola-azienda.
Dunque, in seconda istanza, si ricorre agli ITP (insegnante tecnico-pratico) e agli insegnanti di sostegno, danneggiando il loro lavoro e ancor più gli studenti, e trasformando l’emergenza una tantum in problema strutturale. Questi “tappabuchi” fanno tanto comodo anche ai presidi “di sinistra”.
Laddove i tappabuchi non sono a disposizione si passa, come terza soluzione, all’accorpamento delle classi fuori da ogni logica di sicurezza.
Questa è l’autonomia scolastica, che piace alla destra e al campo largo dell’opposizione.
Si apriranno delle contraddizioni ma non dobbiamo patteggiare né per chi vuole risparmiare sulla pelle dei lavoratori e degli studenti né per chi vuole spartirsi la torta e utilizzarla per ingrassare il proprio anello magico. Dobbiamo lottare per riaffermare la dignità dei lavoratori, fuori da logiche aziendalistiche e di stratificazione del corpo docenti.
Dobbiamo chiedere a gran voce l’abolizione dell’autonomia scolastica e di tutto ciò che ne consegue. Se tagliano più di 5000 cattedre dell’organico dell’autonomia, dobbiamo pretendere la conversione di queste cattedre in organico di diritto su posto comune e su sostegno, in maniera definitiva.
ASSUMERE E STABILIZZARE I PRECARI, ALZARE I SALARI
Le stime per coprire l’anno scolastico 2024/2025 erano di circa 250 mila insegnanti. Una cifra enorme. A questi ogni anno si aggiungono i pensionamenti: 20 mila nel 2024 e circa 28 mila nel 2025. I Percorsi del PNRR copriranno solo il 20% delle reali necessità.
Sul versante degli ATA, su un fabbisogno di circa 32 mila posti vacanti complessivi delle varie mansioni, le assunzioni coprono circa 9500 posti di lavoro. Circa il 30%. Anche qui ogni anno si aggiungono pensionamenti di circa 10mila unità.
La carenza strutturale di lavoratori fa aumentare sempre di più il precariato, a danno della continuità salariale e didattica.
Sul versante dei salari, in generale anche per i docenti stabili la situazione non è rosea. La perdita del 30% in trent’anni del potere d’acquisto non vede ripresa all’orizzonte; nemmeno per il recupero degli ultimi tre anni. La compressione salariale del settore produttivo ha quindi i suoi effetti anche sul salario indiretto. Invece di aumenti in busta paga, il governo ci rifila sgravi sul salario accessorio e riduzione dell’IRPEF per i redditi medio-alti che riguarderanno (ovviamente) Dirigenti Scolastici e DSGA. Mentre la fiscalità sarà scaricata sulle spalle della classe operaia.
Siamo però ben lontani dall’indignazione dei docenti, poiché c’è sempre un modo per arrotondare il salario: le figure dei docenti tutor e orientatori, per i quali sono stati stanziati nel 2024 ben 267 milioni di euro, a cui si aggiungono ulteriori 100 milioni approvati nel febbraio 2025, spalmati su due annate (50+50). I progetti finanziati col PNRR, a cui hanno aderito migliaia di docenti, hanno svolto una funzione di “ammortizzatore sociale” divisivo e parziale. Insomma, la scuola dei progetti va a gonfie vele ed è ben remunerata, la scuola ordinaria cade a pezzi e con essa i lavoratori.
I SINDACATI AL TRAINO DEL GOVERNO
Il 5 novembre la maggior parte dei sindacati concertativi ha apposto la propria firma sul rinnovo del contratto, ad eccezione della CGIL che afferma: “Non sussistono le condizioni per la sottoscrizione” poiché “gli incrementi stipendiali previsti e per oltre il 60% già erogati in busta paga sotto forma di indennità di vacanza contrattuale coprono neanche un terzo dell’inflazione del triennio di riferimento e sanciscono la riduzione programmata dei salari del comparto”. L’aumento medio lordo previsto da questo rinnovo del CCNL sarebbe di soli 62 euro lordi! Una vera e propria miseria, ma ancor di più un’umiliazione per i docenti italiani che percepiscono i salari di categoria tra i più bassi d’Europa!
Finalmente una presa di posizione netta, alla quale in teoria avrebbe dovuto far seguito un’azione radicale cha aprisse finalmente il conflitto con il governo.
L’occasione sarebbe stata lo sciopero del 28 novembre: scendere in piazza con i sindacati di base, contro la finanziaria del riarmo e inserire in una vertenza generale la lotta dei lavoratori e delle lavoratrici della scuola.
La CGIL ha preferito scioperare in solitaria, a babbo morto, il 12 dicembre. Una scelta incomprensibile che rompe con il movimento del 3 ottobre e indebolisce i lavoratori. Indebolisce soprattutto coloro che nella breve onda di indignazione per il genocidio in Palestina di fine settembre e inizio ottobre sono stati i protagonisti: studenti in primis e insegnanti.
Attendiamo ora le consultazioni della base CGIL: rientrare con una firma tecnica o tenere duro sul contratto? Noi speriamo la seconda, ma non escludiamo la prima. Di sicuro può essere un’occasione per smascherare gli opportunisti che siedono ai tavoli delle contrattazioni d’Istituto e chiedere che nello statuto della CGIL venga sancita l’incompatibilità tra l’essere parte della RSU e coprire incarichi di staff o figure strumentali.
CAMBIARE LA ROTTA? NON BASTA! È NECESSARIO INVERTIRLA!
Non basta una virata un po’ più a sinistra per cambiare la situazione attuale. La rotta non va cambiata, va invertita.
• Abolire tutte le controriforme della scuola e la legge Bassanini che sancisce l‘autonomia scolastica e tutto ciò che ne consegue, comprese le recenti “Nuove indicazioni nazionali per il curricolo”.
• Fermare l’accorpamento degli istituti e investire nell’edilizia scolastica per la ristrutturazione e il potenziamento delle scuole esistenti.
• Per un piano di assunzione e stabilizzazione di tutti i docenti e ATA precari; per garantire il salario e la continuità didattica.
• Contro l’allungamento dell’orario cattedra: dire no ai ricatti degli uffici scolastici e rispettare i mandati dei collegi docenti. L’orario cattedra non può superare le 18 ore (se non per residui orari);
• Riduzione degli alunni per classe, basta con le classi pollaio;
• Internalizzazione degli educatori e delle educatrici;
• Aumenti salariali da CCNL di circa 400 euro netti.
• Per un patrimoniale del 10% sul 10% più ricco della popolazione per dare respiro il settore pubblico nella prospettiva di una fiscalità fortemente progressiva.
Se vogliamo risollevare la scuola pubblica è necessario scendere in piazza insieme ai lavoratori dei settori privati e insieme agli studenti.
Solo rovesciando i governi del capitale si può difendere la scuola e pensare di avere una scuola pubblica degna di questo aggettivo.
Solo un governo dei lavoratori e delle lavoratrici potrà garantire tutto questo.
Lavoratrici e lavoratori della scuola del Partito Comunista dei Lavoratori
Giù le mani da chi lotta!
6 Dicembre 2025
Solidarietà all3 compagn3 condannate del Movimento di lotta - Disoccupati 7 novembre e del SICobas
Proprio alla vigilia della partenza del progetto sul lavoro-tirocinio da destinare a 1200 disoccupat3 di Napoli, si verifica un fatto grave e ignobile. Il 5 dicembre un gruppo di compagn3 ha ricevuto una condanna in primo grado di due anni e due mesi di reclusione per una iniziativa di lotta risalente al 2019. Un'iniziativa che ha contribuito a porre l'attenzione sul problema della disoccupazione nella città di Napoli. Un problema che oggi riguarda il 6% della popolazione in Italia e che offre al padronato un grande bacino di forza lavoro sfruttabile e altamente ricattabile.
Grazie a quest3 compagn3, al loro coraggio e ad una corretta direzione è stato possibile ridare lavoro, salario e dignità a chi vuole contribuire alla società, non chiede un'elemosina sociale e respinge il ricatto della precarietà.
Il movimento dei disoccupati di Napoli offre un esempio a tutt3 di come sia importante collegare le lotta d3 disoccupat3 a quella d3 lavorator3, e di come sia possibile ottenere delle vittorie grazie alla tenacia e alla lotta.
La repressione non fermerà questo movimento e nemmeno l3 compagn3, ne siamo certi.
La lotta non si processa e non si arresta!
Partito Comunista dei Lavoratori
Genova. Avanza la combattività operaia
5 Dicembre 2025
La giornata di ieri resterà per sempre nella memoria del movimento operaio. Migliaia di operai sono scesi in piazza per le strade di Genova e hanno forzato i blocchi davanti alla Prefettura messi dalle forze dell’ordine. È la dimostrazione di come il “toccano uno, toccano tutti” sia stato fatto proprio come consegna dalla classe operaia genovese e dagli operai dell'ex Ilva, che ieri erano al quarto giorno di sciopero.
Non a caso con loro erano in piazza e in sciopero anche gli operai Ansaldo Energia, Piaggio Aerospace e Fincantieri, le principali fabbriche metalmeccaniche del capoluogo ligure.
Nella giornata di oggi pare sia stato trovato un accordo a Roma nel tavolo istituzionale approntato per la questione degli operai ex Ilva, consistente nell’arrivo di 24 mila tonnellate di acciaio da lavorare, 585 persone a lavorare, 280 in cassa integrazione e 70 in formazione, ma con la zincatura in funzione.
È necessario tenere alta la guardia, perché oltre alle centinaia di lavoratori in cassa integrazione ci sarà un rallentamento sulla lavorazione del cromato. Sullo zincato, invece, si arriverà a febbraio con tre settimane di fermata per manutenzione.
Dinnanzi a questo accordo e alle sue palesi fragilità, soprattutto il fatto che non è stato affatto ritirato il piano corto che sta portando alla chiusura di fabbriche dell’indotto come la Semat Sud a Taranto, ed anche il fatto che per ogni sito produttivo il governo abbia aperto un tavolo separato, come Partito Comunista dei Lavoratori porteremo tra le lavoratrici e i lavoratori, dell’ex Ilva e non solo, le seguenti rivendicazioni:
- costituzione di consigli di fabbrica che consentano ai lavoratori di organizzarsi per intervenire nelle lotte in corso.
- convergenza di lavoratori e studenti nella lotta contro la barbarie imperialista e la repressione del governo fascista.
- costruzione di un fronte unico di classe contro ogni politica di riarmo nazionale che sottragga risorse allo stato sociale.
- sciopero generale e unificato a oltranza, come strumento di lotta a un tempo contro il genocidio palestinese e contro chi fa profitti sulla pelle dei lavoratori.
- cassa di resistenza nazionale che consenta uno sciopero di massa.
- cancellazione di tutte le leggi di precarizzazione del lavoro.
- blocco dei licenziamenti e nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo operaio delle aziende che licenziano o delocalizzano.
La giornata di ieri ci insegna che la classe operaia è più che mai forte, viva e combattiva. Lottiamo al suo fianco per un rovesciamento dei rapporti di forza e un governo delle lavoratrici e dei lavoratori, l’unico che possa realmente difendere ogni singolo posto di lavoro.
Partito Comunista dei Lavoratori
Il 6° incontro della Rete Sindacale Internazionale di Solidarietà e Lotta
Dal 13 al 16 novembre scorsi si è svolto a Chianciano Terme il sesto incontro della Rete Sindacale Internazionale di Solidarietà e Lotta, nata nel 2013 con l’intento di costruire un fronte di lotta su scala globale.
La Rete raccoglie un gran numero di sindacati conflittuali di tutto il mondo, uniti da una piattaforma rivendicativa che va dalle rivendicazioni salariali e di miglioramento delle condizioni dei lavoratori e degli immigrati al contrasto della militarizzazione, dalla difesa dell’ambiente ai diritti delle donne e delle persone LGBTQI+.
In un’ottica di unione delle lotte, la Rete è aperta all’intesa con realtà che hanno gli stessi interessi del mondo del lavoro, come disoccupati, pensionati, studenti, attivisti per i diritti civili.
Per quattro giorni, più di 150 delegati provenienti da più di 30 organizzazioni hanno discusso appassionatamente per giungere ad una proposta organica di alternativa al capitalismo, un sistema decadente che, per sua natura, non può che basarsi sullo sfruttamento e sulla guerra.
Di fronte ad un capitalismo sempre più globalizzato, l’esigenza della costituzione di una Rete di questo tipo si palesa in tutta la sua evidenza, così come la necessità di elaborare nel dettaglio le rivendicazioni da contrapporre alla classe dominante e ai suoi governi.
In tal senso, non sono mancati i contributi da delegati provenienti da paesi che oggi sono il punto di precipitazione della crisi capitalistica: la Palestina, con il sindacato dei lavoratori dei servizi postali; il Venezuela, che è un nuovo terreno di scontro fra i diversi imperialismi e dove il governo Maduro non può essere considerato amico né tanto meno espressione del proletariato; l’Ucraina, con Yuri Samoilov, del sindacato dei minatori, che annovera fra i suoi iscritti molti reclutati dall’esercito per combattere i russi al fronte.
Yuri merita per noi un plauso per aver citato Trotsky in uno splendido intervento in cui ha magistralmente espresso la propria contrarietà alla guerra fra capitalisti (che mettono i popoli gli uni contro gli altri mandando a morire i lavoratori) spiegando come l’unica guerra che può avere senso sia quella del proletariato unito contro i capitalisti.
Contemporaneamente si svolgeva a Belem (Brasile) la COP30, la Conferenza mondiale sul clima. L'assemblea, su impulso della numerosa delegazione brasiliana, non ha mancato di evidenziare come essa, lungi dal perseguire soluzioni concrete, non sia altro che una vetrina propagandistica – ospitata da un paese governato dal riformista Lula – di cui si avvale la borghesia mondiale per legittimare la propria azione di devastazione ambientale in nome del proprio unico vero scopo: il profitto.
Il tema dell’inadeguatezza dei governi riformisti e della loro sostanziale contrapposizione agli interessi di classe è stato anche ripreso in una specifica sessione dedicata al contrasto all’avanzata delle destre nel mondo, analizzandone le cause e i possibili strumenti di contrapposizione.
I delegati hanno poi avuto un utile momento di confronto nelle riunioni raggruppate per settori professionali: logistica, scuola, sanità, trasporti, industria, commercio, call center, pensionati. Un’impostazione, tuttavia, che auspichiamo non sia controproducente dal punto di vista del consolidamento di una vertenza in ogni caso generale e di una piattaforma unificante e intercategoriale.
Un passaggio del documento finale è quello che secondo noi meglio esprime lo spirito che ha pervaso l’intera assemblea: «Il sindacalismo che rivendichiamo non può sostenere patti con i poteri di fatto per convalidare misure antisociali. Il sindacalismo ha la responsabilità di organizzare la resistenza su scala internazionale, per costruire attraverso le lotte la necessaria trasformazione sociale anticapitalista. Vogliamo costruire un sistema in cui sia vietato lo sfruttamento, basato sui beni comuni, su una redistribuzione equa della ricchezza tra tutti coloro che la producono (cioè le lavoratrici e i lavoratori), sui diritti di questi ultimi e su uno sviluppo ecologicamente sostenibile».
Il Partito Comunista dei Lavoratori, con le sue militanti e i suoi militanti, auspica che questa Rete possa conoscere un ancora maggiore sviluppo e visibilità, con l’ingresso in essa di altre realtà del sindacalismo conflittuale e, in Italia, dell’opposizione CGIL, per rafforzare i concetti di unità dei lavoratori e di internazionalismo in questo momento storico, nel quale logiche burocratiche e di autocentratura sembrano a volte prendere il sopravvento sia nel sindacalismo di base che nella CGIL.





