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Due operai muoiono sul lavoro a Livorno

29 Marzo 2018
Comunicato stampa
La forte esplosione dentro l’area portuale di un serbatoio di sostanze infiammabili e pericolose ha ucciso i due lavoratori mentre erano addetti alla sua manutenzione.
Avevano 25 e 52 anni, e si aggiungono ad una lunghissima lista di morti sul lavoro dall’inizio dell’anno.
Negli ultimi dieci anni, che hanno accompagnato una delle peggiori crisi del capitalismo, in Italia le morti sul lavoro hanno superato la spaventosa cifra di 13.000. Questi numeri non sono casuali, ma sono il risultato dello sfruttamento selvaggio nella sempre maggiore mancanza dei diritti, tra i quali la sicurezza e la difesa della salute sul posto di lavoro.
Solo il controllo autogestito dai lavoratori della sicurezza degli impianti e delle fasi produttive può fermare questa strage continua. La riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario può ridurre la fatica e lo stress che sono tra le principali cause di queste tragedie. Inoltre devono essere nazionalizzate le aziende pericolose e che inquinano. Il territorio non deve essere depredato in nome del profitto. La zona dell’esplosione dentro il porto di Livorno non dovrebbe sopportare questo livello di rischio per i lavoratori e i cittadini.
Il Partito Comunista dei Lavoratori è vicino alle famiglie delle vittime e si batte perché queste tragedie in nome di un profitto assassino non avvengano più.
Partito Comunista dei Lavoratori - commissione lavoro del Coordinamento della Toscana

POSTE ITALIANE: una riorganizzazione lacrime e sangue


I lavoratori e il recapito sull'altare dei dividendi

Una nuova riorganizzazione del settore del recapito arriva sulle spalle dei lavoratori e delle lavoratrici con il benestare della totalità dei sindacati. Un'operazione magistrale quella del management di PosteItaliane Spa tutta a favore degli interessi degli azionisti, alla ricerca di sempre maggiori dividendi e profitti.
E' necessario costruire un percorso che possa fondarsi sull'autorganizzazione dei lavoratori stessi, mettere in mostra la necessità di una mobilitazione generale di tutto il settore logistico per fermare le costanti aggressioni alle condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici, perchè se non si pone un argine a questi processi la prospettiva sarà la giungla della concorrenza spietata delle cooperative e dei piccoli padroncini come già è nel settore logistico e nelle aziende di recapito private
Poste Italiane: il recapito e i lavoratori sull'altare dei dividendi

Una nuova riorganizzazione del settore del recapito arriva sulle spalle dei lavoratori e delle lavoratrici con il benestare della totalità dei sindacati.
Un'operazione magistrale quella del management di PosteItaliane Spa tutta a favore degli interessi degli azionisti, alla ricerca di sempre maggiori dividendi e profitti.
Il tutto arriva pochi mesi dopo il rinnovo del CCNL con un disposto combinato da far rabbrividire sia sul versante delle condizioni di lavoro sia sul versante della qualità del servizio universale.
L'accordo a perdere sul contratto ha concesso poche briciole ai lavoratori e alle lavoratrici (80 euro in due trance di aumento salariale, 1000 euro di unatantum per il mancato adeguamento salariale degli anni precedenti) e ha promesso poche assunzioni a tempo indeterminato per i precari che stavano sviluppando una lotta contro le loro condizioni. Contemporaneamente si sono poste le basi per questa riorganizzazione: il bilancio di assunzioni e esuberi annunciava i tagli del personale - a fronte di 6000 assunzioni in 3 anni, erano già annunciati 15.000 esuberi, con un saldo negativo di 9000 posti di lavoro -; si è introdotta la formula del welfare aziendale volontario come quota di aumento salariale (chi non lo sottoscrive non viene però compensato con un corrispondente aumento salariale) e venne assunto il meraviglioso accordo sulla rappresentanza sindacale, il TURS del 10 Gennaio 2014, che ha fornito a burocrazie sindacali e management l'arma per far passare a tutta velocità l'accordo di Marzo.

Da questo piano inclinato si è discesi agli inferi di questa riorganizzazione tanto voluta dal vertice di PosteItaliane e accettata senza colpo ferire dalle burocrazie sindacali colluse.
Il nocciolo dell'operazione è uno: l'estensione del recapito a giorni alterni anche nelle zone metropolitane. Nonostante la "sperimentazione" nelle zone extra-urbane si sia dimostrata fallimentare, con un peggioramento del servizio e della sua capillarità sul versante degli utenti, l'aumento spropositato dei carichi di lavoro per i portalettere e per tutto il personale del recapito, l'aumento conseguente dello stress, dell'indice degli infortuni e anche della pressione a spingersi oltre l'orario di lavoro senza retribuzione per completare il lavoro – sostanzialmente lavoro nero nella più grande azienda italiana -, questo modello ora viene esteso anche alle più complicate e dense zone urbane.

Il progetto viene affinato e reso ancora più devastante. Il management e le direzioni sono comunque spudorate nel presentare il piano organizzativo rivendicando come sia il solo modo per garantire agli azionisti maggiori dividendi e profitti, il vero ed unico scopo di questo taglia e cuci, e richiedendo i necessari sacrifici e adeguamenti nella "grande famiglia" postale solo alla enorme base della piramide.
In uno schizofrenico mix di "servizio universale" e competizione nelle spietate "leggi oggettive del libero mercato" la macelleria è garantita solo ed esclusivamente per i lavoratori e le lavoratrici postali, con una rivoluzione delle loro vite e delle loro condizioni di lavoro che non ha pari nei passaggi riorganizzativi precedenti.

Quali sono i punti cardine della riorganizzazione?

Nei fatti esisteranno almeno 4 condizioni differenti di lavoro e di stress:
Innanzi tutto la linea "universale" di Base, cioè la meno remunerativa per l'azienda, verrà affidata a portalettere che vedranno le loro zone raddoppiate per consegnare la posta a giorni alterni, con la "garanzia" di un calmiere giornaliero di oggetti a firma. Sta di fatto che il carico di lavoro viene raddoppiato, nella migliore delle ipotesi, considerando che già le attuali zone, nella maggior parte dei casi sono difficilmente sostenibili e "azzerabili" nell'arco della giornata lavorativa.
Su questa linea la riorganizzazione prevede l'esistenza di portalettere assegnati a zone frazionabili che saranno costretti alla maggior flessibilità geografica perchè verranno applicati, in caso di assenze, su altre zone del proprio riferimento territoriale per far svolgere il cosiddetto abbinamento sulla propria zona, o addirittura spostati su almeno altre due aree territoriali per coprire le assenze e svolgere l'abbinamento. Questo significa che sarebbero potenzialmente applicabili addirittura su 20 zone differenti.
Su di un livello superiore di interesse si istituisce la cosiddetta Linea Business che si occupa solo delle raccomandate, degli oggetti a firma e dei prodotti veloci, coprendo le zone "ferme" e l'eccedenza della linea di base, dove i postini si muoveranno entro una logica di flessibilità territoriale molto ampia.
Infine la linea Mercato, con portalettere che si occupano di zone territoriali con particolare concentrazioni di grandi aziende e utenti particolarmente importanti e remunerativi – aziende, uffici pubblici e privati etc. -

Sostanzialmente si creano quattro livelli differenti con conseguenti condizioni di lavoro variegate a cui vengono associati anche orari di lavoro divesificati. Un ottimo modo per aumentare la concorrenza tra lavoratori stessi e per dividere i lavoratori e le lavoratrici sulla base di carichi di lavoro più o meno disagianti.
Oltre a tutto ciò viene aumentata a dismisura la flessibilità oraria e territoriale, viene aumentata e ulteriromente complicata la "flessibilità operativa" richiesta, ossia il lavoro straordinario entro l'orario di lavoro retribuito in termini inferiori rispetto ad una normale prestazione straordinaria, dato che il personale di scorta, che dovrebbe sostituire i lavoratori assenti, verrà applicato prioritariamente per le linee più remunerative e non per quella base. In questo modo, i lavoratori dell'articolazione di base non solo avranno zone raddopiate ma vedranno come costante la richiesta di svolgere pezzi di zona di propri colleghi assenti.

Il bilancio generale di questa riorganizzazione è semplice da fare: 

  • tagli al personale


  • aumento dei carichi di lavoro generalizzati, dei ritmi di lavoro e dello stress


  • aumento della flessibilità oraria e territoriale, aumento della richiesta di prestazioni starodinarie sottopagate che divengono sempre più ordinarie


  • mantenimento di un salario basso e mancato riconoscimento economico dello sviluppo di lavorazioni più complesse e remunerative per l'azienda e del notevole aumento di produttività


  • differenziazioni interne funzionali all'umento della competizione tra lavoratori in una logica di guerra tra poveri


  • avvicinamento delle condizioni dei lavoratori a tempo indeterminato a quelle degli attuali precari (CTD) che a loro volta vedranno un'ulteriore peggioramento delle loro condizioni e dei ricatti, più o meno espliciti, che riceveranno sul luogo di lavoro.


Sul fronte sindacale, a parte qualche eccezione, tutto tace.

Questa riorganizzazione, sebbene sia assolutamente rigettata e temuta dai lavoratori e dalle lavoratrici di Poste, è passata senza alcun colpo ferire e senza nemmeno il coinvolgimento dei lavoratori nelle decisioni organizzative che andranno a rivoluzionare le loro condizioni.
Come è stato possibile tutto questo? Grazie all'adozione del para-fascista e corporativo Testo Unico sulla Rappresentanza Sindacale. L'azienda, di comune accordo con le burocrazie dei principali sindacati (CISL prima di tutti, CGIL, UIL, UGL, FAILP e CONFSAL), ha convocato in tutta fretta un coordinamento di ben 97 RSU per esprimersi sul testo di accordo firmato dalle segreterie nazionali. Ben 97 su oltre 2000 RSU! 2000 RSU che peraltro avrebbero dovute essere rinnovate molto tempo fa.
Altro dato non meno importante, di quelle 97 RSU, meno del 20% erano donne, il tutto a indicare la rappresentatività di questo "campione" in un'azienda ad alto tasso di partecipazione femminile.
Non solo, il metodo di scelta di queste RSU è stato a totale appannaggio delle burocrazie e la convocazione rapida e frettolosa, funzionale a garantire il massimo consenso possibile, ha impedito che potesse levarsi anche solo qualche voce contraria e tentare una minima organizzazione di un'opposizione o di un dissenso all'operazione, e i lavoratori nel complesso, ovviamente, non sono nemmeno stati presi in considerazione.
Con questa meravigliosa ipoteca sulla democrazia sindacale tutto è andato per il migliore dei modi: di 97 RSU le presenti, al momento della votazione, erano 92, di cui 88 favorevoli, 3 contrari (tutte in quota CGIL e nello specifico quelle espressione dell'Opposizione CGIL e quelle espressione del Coordinamento delle RSU liguri - che ha anche convocato uno sciopero delle prestazioni aggiuntive) e 1 astenuto.

Il risentimento tra i lavoratori è comunque alto, nonostante la categoria non abbia mai brillato per particolare combattività e abitudine alle mobilitazioni, anche a causa di metodi di intervento sindacale molto "cislizzati" inseriti in una dinamica clientelare, di favori e favorini e di gestione dell'insofferenza attraverso la costruzione di sacche di "privilegio" per gli iscritti più addomesticati.
A questo risentimento è comunque necessario cercare di dare una prospettiva e un piano di lotta anche e soprattutto contro le burocrazie sindacali candidatesi a co-gestire questo passaggio con il management al fine di assopire e annichilire il risentimento della base.

La necessità di una mobilitazione generale

L'attacco frontale al settore del recapito risulta essere solo uno dei primi passi di un progetto più generale di affossamento di ciò che ormai viene vissuto come un peso, pur essendo le fondamenta dell'azienda, che limita la possibilità di trasformare PosteItaliane in una grande banca ed ente assicurativo.
E' necessario costruire un percorso che possa fondarsi sull'autorganizzazione dei lavoratori stessi, mettere in mostra la necessità di una mobilitazione generale di tutto il settore logistico per fermare le costanti aggressioni alle condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici, perchè se non si pone un argine a questi processi la prospettiva sarà la giungla della concorrenza spietata delle cooperative e dei piccoli padroncini come già è nel settore logistico e nelle aziende di recapito private, con la reintroduzione del lavoro a cottimo, del lavoro nero, della totale assenza di tutele e protezioni e il carico di tutti i costi e dei mezzi di lavoro direttamente sulle spalle dei dipendenti.
Per questo è necessario organizzare fin da subito uno sciopero contro questa riorganizzazione per contrapporre la forza di oltre 60.000 lavoratori del settore del recapito, dei trasporti e dei centri meccanizzati, partendo proprio dall'opposizione di chi ha avuto il coraggio di votare No, da chi ha cominciato un percorso di opposizione a questa riorganizzazione convocando lo sciopero delle prestazioni aggiuntive e degli abbinamenti in Liguria, nonostante la complicità dei vertici burocratici della CGIL, e dal risentimento dei lavoratori e delle lavoratrici che non vogliono accettare l'ennesima mannaia in silenzio. Il tutto nella prospettiva di costruire un fronte unico di classe e di massa che attivi una mobilitazione non solo dei lavoratori di PosteItaliane ma tutti i lavoratori del settore delle Telecomunicazioni e della Logistica, per colpire nell'immediato le tasche di dirigenti e padroni con scioperi prolungati, picchetti e manifestazioni, come già portato avanti da alcune avanguardie combattive organizzate dai sindacati di base e di classe (Si.Cobas, SGB, USB).

Solo così è possibile pretendere la rinazionalizzazione del settore postale e la nazionalizzazione sotto il controllo dei lavoratori del settore logistico e delle telecomunicazioni, rovesciando completamente la logica di queste ristrutturazioni rivendicando la riduzione dell'orario di lavoro con l'introduzione di un minimo salariale intercategoriale di 1500 Euro, la centralità del concetto di servizio universale tanto per la posta quanto per la logistica pacchi, contrastando le logiche predatorie e l'estremo sfruttamento imposte dal "libero" mercato. Solo in questo modo sarà possibile rimettere sul terreno della battaglia la forza dei lavoratori e delle lavoratrici e contrastare una tendenza generale di attacco e di smantellando delle poche tutele, pretendendo così l'abolizione reale di tutte le leggi precarizzanti, delle riforme pensionistiche, la reintroduzione dell'art.18 con sua estensione a tutti i lavoratori e le lavoratrici anche delle PMI.

Commissione lavoro e sindacato PCL

Monta l'ondata di protesta studentesca in Francia



Non au Plan étudiants!

#22M contro la Loi Vidal, la selezione all'entrata nell'università e la riforma dell'insegnamento superiore

Anche in Francia il governo Macron, nel procedere all'offensiva liberista in linea con il resto d'Europa (liberalizzazione del mercato del lavoro, distruzione dei servizi pubblici), si presta a sferrare l'ennesimo attacco: colpire l'università e la scuola pubblica.
Come in Italia da tempo gli studenti devono sottostare alle logiche selettive dovute al taglio di fondi e a scelte di politica economica atte a soddisfare il fabbisogno padronale, tramite l'introduzione del numero chiuso e test su scala nazionale i cui criteri non vantano certo una trasparenza perfetta, anche in Francia lo specchietto delle allodole del merito si impone prepotentemente nel sistema educativo, accentuandone la struttura già saldamente classista.
In questa fase dell'economia capitalista, non importa tanto la versatilità della forza-lavoro intellettuale e qualificata nel passare da un settore economico all'altro, quanto l'aumento della fetta di forza-lavoro precaria e marginale, da tenere sotto ricatto. L'intento del padronato nel gestire il sistema educativo non è più tanto il permettere alla classe operaia di qualificarsi in ragione dell'inserimento sul mercato di nuovi settori, quanto di escluderla in quanto l'esigenza del mercato attuale è appunto mutata.

È questo che anima anche la riforma dell'istruzione francese.
In precedenza gli studenti, una volta ottenuto il diploma di scuola superiore, dovevano passare per un programma nazionale on-line (APB, Admission post-bac Ammissione post-diploma) per fare domanda in una qualsiasi università.
A partire dal gennaio 2018 è stato presentata una proposta di legge ''per l'Orientamento e la Riuscita degli Studenti'', la Loi ORE (Loi Vidal, dal nome della Ministra del governo Macron). Per quanto riguarda i licei, il quadro per l'ammissione all'università cambia. Una nuova piattaforma on line nazionale sostituisce l'APB, ovvero il ParcourSup: infatti le facoltà finora non selettive, secondo questa legge potranno classificare i candidati in funzione dell'adeguamento tra il loro profilo e le competenze da queste fissate, alle quali gli studenti dovranno rispondere per esservi ammessi. Ovvero ciascuna università, ciascuna facoltà, fissa i prerequisiti necessari per gli studenti, già diplomati, per potersi iscrivere. Chiaramente queste ultime saranno libere di decidere a monte il numero di posti disponibili a seconda del ''tasso di riuscita e di inserimento professionale''. Di conseguenza, come in Italia la Buona Scuola ha inserito la novità del curriculum dello studente, in Francia introducono questa schedatura per metterla subito in pratica: impedire il libero accesso all'istruzione alle fasce deboli e asservire totalmente l'istruzione alle logiche del mercato.
Infatti l'esame dei dossier dei candidati servirà in primo luogo ad operare una selezione preferenziale nel caso in cui il numero delle candidature sia superiore a quello dei posti disponibili. Nella migliore delle ipotesi spostando arbitrariamente in altre università da lui non scelte il candidato, tramite metodo del sorteggio 'tirage au sort', oppure inserendo lo studente richiedente in graduatoria di attesa potenziata, ovvero inserendolo in un limbo con la promessa di essere, prima o poi, riorientato in qualche università. Fino ad ora, solo con il meccanismo del sorteggio e il reinserimento, le facoltà erano obbligate ad accogliere un numero fisso di studenti idonei e successivamente ricollocati, oltre che i neodiplomati, e già in questo modo si pone, all'inizio di ogni anno, il problema dei "sans facs", ovvero una quantità di studenti rimasti fuori dalle università, in attesa, e quindi vittime di una burocrazia ostacolante (nel luglio 2017 erano circa 90.000 senza risposta). Per questo normalmente le compagne e i compagni forniscono aiuto sindacale e organizzano vertenze per obbligare le singole università a iscrivere tutti coloro che lo richiedono.

Di conseguenza vediamo come si crea un vero e proprio mercato degli studenti che, se prima potevano scegliere con riserva, ora vedono il loro diritto di scelta cancellato dalla Loi Vidal, approvata una prima volta a febbraio 2018 e destinata ad essere finalmente varata presto dal Senato.
Un diritto di scelta cancellato sia a livello di libertà personale al momento dell'iscrizione sia successivamente, in quanto l'entrata all'università può anche essere sottoposta a specifiche correzioni e controllo del percorso di studi, come il cosiddetto ''recupero di livello'' (parcours de rémise à niveau).
Nella pratica, inoltre, tale legge sopprime una conquista importantissima per il mondo studentesco francese: il regime di assicurazione sociale studentesca (régime de sécurité sociale étudiante), un servizio gratuito fino ai 20 anni (per borsisti e non) e obbligatorio, quindi più conveniente rispetto ad un'assicurazione privata, con un costo irrisorio, comprensivo di rimborsi farmaci e prestazioni mediche di base (in caso di malattie, gravidanze etc.) e di una parte facoltativa relativa a spese ottiche, odontoiatriche, non rimborsabili. Si tratta dell'eliminazione di un servizio sociale fondamentale, strumentale rispetto alla possibilità di ciascuno di svolgere i propri studi con un peso economico in meno; accompagnata dall'inserimento di una soglia di contribuzione obbligatoria a partire da 90 euro, per gli studenti non borsisti.

Una doppia selezione, quindi, di cui la tappa successiva consiste nel diminuire o azzerare i finanziamenti alle facoltà che non presentano grandi sbocchi sul mercato attuale, ad esempio la 'Staps', ovvero la facoltà di Scienze e tecniche delle attività fisiche e sportive, notoriamente scelta da studenti provenienti dai licei delle periferie, le ZEP, già al centro di un attacco finalizzato a privarli di mezzi, economici e didattici, al fine di incentivare l'isolamento degli allievi e dei lavoratori (insegnanti e personale). Inoltre, sempre nella stessa ottica, fa parte del Plan Etudiants anche l'introduzione del numero chiuso e aumento delle tasse per quanto riguarda i master: una volta ottenuta la laurea triennale, per proseguire nella magistrale gli studenti dovranno sottoporsi a test, soddisfare altri prerequisiti al fine di entrare nella specialistica di scelta. Lo stesso meccanismo si riproduce all'uscita dalla scuola media superiore per iscriversi alla facoltà. Si istituzionalizza il mercato degli studenti (quelli privi di mezzi propri e quelli più benestanti), in balia delle scelte del padronato, attraverso l'istituzione di prerequisiti proibitivi a livello di rendimento (ribadendo la differenza tra scuola di serie A e scuole di serie B, ovvero i licei tecnici, professionali, di periferia...), oltre ad incrinare la forza dell'università pubblica come servizio pubblico essenziale, già a monte considerata diversamente rispetto al sistema delle 'écoles normales superieures' sedi di riproduzione della classe dirigente francese.


''J'AI MON BAC, JE CHOISIS MA FAC!''

''Ho il mio diploma, scelgo io la mia facoltà!'': questo è uno degli slogan al centro della mobilitazione che ha visto scendere in piazza migliaia fra studenti universitari, liceali, genitori e lavoratori della scuola, dal 1 febbraio 2018. Una grande prima giornata di lotta in tutto il paese, che è stata seguita da altre giornate di mobilitazione, il 6 febbraio e il 15 marzo, insieme ai pensionati e a settori della sanità pubblica minacciati da privatizzazioni. Si tratta di un percorso di lotta che unisce differenti settori del mondo della scuola e delle università: ricercatori, docenti a contratto, personale tecnico, insegnanti, liceali, universitari. Uniti contro il peggioramento delle condizioni di studio e lavoro.
In Francia si costruisce la mobilitazione di settore a partire da coordinamenti interfacoltà, lavoratori-studenti, universitari-liceali. A partire per esempio da una serie di azioni a livello locale: da Nantes a Rennes, Toulouse, Bordeaux, Parigi, Grenoble, Montpellier si sono viste assemblee generali, di cui alcune con la partecipazione di più di 1000 persone per volta, 2000 addirittura.
Alle assemblee seguono barricate, occupazioni delle rispettive facoltà, presìdi e blocchi dei Consigli delle Università per impedire l'elaborazione e l'approvazione dei requisiti di accesso e l'adesione al progetto di riforma del governo.
Importantissima, inoltre, la presa di posizione e l'autorganizzazione degli studenti medi, che hanno aderito alle giornate di mobilitazione lanciate, partecipando ai cortei e picchettando le rispettive scuole.

L'intento di lanciare e gestire la protesta in maniera coordinata e collettiva, nonostante il livello di complessità naturale che ciò comporta, è necessario per favorire la presa di coscienza di tutti i settori coinvolti e che più difficilmente riescono a mobilitarsi. Non a caso nel mese di febbraio la vertenza è stata appoggiata anche dai sindacati confederali dell'insegnamento.
Il coordinamento è inoltre necessario per attivare anche meccanismi di difesa collettiva contro la repressione governativa, che non ha tardato ad abbattersi sugli studenti, come si è verificato all'università di Bordeaux, dove l'occupazione temporanea degli studenti è stata sgomberata dalla polizia, e da quel momento l'entrata al campus viene effettuata previo controllo di vigilantes e polizia, con introduzione di divieti relativi ad assemblee e abbigliamento (ad esempio il divieto di indossare cuffiette).
Infatti in generale, soprattutto in occasione di riunioni dei Consigli di facoltà e di amministrazione delle università, si registra una presenza all'interno degli spazi universitari sempre più spesso della polizia, anche celere, che viene chiamata appositamente per impedire picchetti e presìdi contigui, in funzione dissuasiva e repressiva di attacco agli studenti.

Per molte ragioni questa mobilitazione studentesca in Francia è importante, prima fra tutte poiché essa è in grado di creare un contesto di presa di coscienza accelerata fra la popolazione studentesca e non solo, ovvero anche fra tutti i settori in lotta (in primis i ferrovieri sotto minaccia di privatizzazione e liberalizzazione totale della SNCF). In secondo luogo poiché la memoria del movimento contro la Loi Travail è recente, e in qualche modo la situazione attuale a livello di avanguardia di lotta e di mobilitazioni che avanzano (ad esempio con l'esperienza del Front Social) ne è in parte diretta conseguenza.
Gli studenti sono stati e possono quindi essere ancora il motore di impulso di una mobilitazione generale, di uno sciopero generale che viene reclamato e che costituisce l'obiettivo di molti militanti e lavoratori in lotta, visto l'attacco del governo Macron che coinvolge l'insieme del mondo del lavoro.
Finora sono stati gli studenti e il mondo della scuola a sollevarsi nazionalmente, e infatti le conferme di quanto appena affermato non hanno tardato ad arrivare: il 15 marzo c'è stata una mobilitazione nazionale contro l'aumento dell'età pensionistica e l'abbassamento delle pensioni, oltre che del personale delle case di riposo - che in Francia sono pubbliche, ma ora a rischio privatizzazione, contemporaneamente e insieme alla giornata di agitazione degli studenti contro la selezione.
È un segnale positivo, attraverso il quale i rivoluzionari non possono che giocare un ruolo di impulso, da coltivare con la solidarietà pratica e politica (come ad esempio rispetto alla mobilitazione contro la chiusura dello stabilimento Ford nei pressi di Bordeaux - stabilimento in cui lavora Philippe Poutou - e contro la repressione poliziesca e politica dei militanti sindacali e dei movimenti sociali...). Il lancio di una giornata di mobilitazione nazionale dei settori pubblico-privato prevista per oggi, 22 marzo 2018, è direttamente finalizzata allo sciopero generale, proprio quando in molti settori si è già votato lo sciopero ad oltranza. Tutto ciò al fianco dei ferrovieri che da mesi proclamano lo stato di agitazione contro una riforma di privatizzazione e liberalizzazione dei contratti di lavoro e contro i licenziamenti... in breve, sempre nell'ottica governativa di distruzione dei servizi pubblici.

Marta Positò

 

Non vicino al camino. Na rua com Marielle!



Marielle Franco, una vita contro

Tutti adesso si sono accorti di Marielle. Se ne sono accorti ora che è morta, crivellata da un lotto di munizioni vendute nel 2006 alla polizia di Rio de Janeiro, in un’esecuzione precisa, senza minacce precedenti. Un’esecuzione istituzionale.
Adesso è partita la santificazione postuma, da parte dei media borghesi occidentali che prima ignoravano lei, le sue lotte e il suo angolo di terra proletaria, le favelas del Maré, un agglomerato di slums in cui il presidente Temer, finita la vetrina dei mondiali, aveva destituito il governatore dando il potere alla polizia militare.
Adesso, nell’ondata di costernazione ipocrita del mondo capitalista, si evita accuratamente di dire che era nera, lesbica, madre di una figlia cresciuta da sola, che aveva una compagna, che oltre alla lotta politica anticapitalista era attiva contro le discriminazioni LGBT, che stava conducendo una battaglia per l’accesso all’aborto. Ed era anche femminista, Marielle. E militante del PSOL.
Si filtrano le caratteristiche del santino come meglio si confà alla narrazione, in modo da renderlo innocuo o più o meno digeribile al pubblico occidentale. Ancora più schifosamente si fanno illazioni. Sì, perché hanno pure provato a infangarla Marielle, dicendo che “era coinvolta con i criminali” (1).
Marielle era la voce di un risveglio, quello meticcio, femminile e proletario, che ora è evidente quanto impensierisse i padroni del disordine. Quando il potere capitalista non riesce più a contenere la propria paura del proletariato, la propria consapevolezza che solo il proletariato, le donne, i lavoratori possono spazzarlo via, quando vede la ribellione serpeggiare nei ghetti in cui rinchiude gli sfruttati, non esita ad usare anche l’assassinio alla luce del sole, senza paura e senza vergogna.

L’esecuzione di Marielle Franco avviene infatti in un clima politico, quello brasiliano, avvelenato da un’ondata di populismo razzista, che criminalizza la povertà e giustifica la violenza di stato. La destra cavalca l’emergenza droga e povertà, generando ad arte un clima di odio, tensione e paura, non tanto diverso nei metodi da quello che ha determinato l’avanzamento della destra xenofoba e razzista in Europa e in Italia. Un clima fomentato in Brasile da personaggi come Jair Bolsonaro, dato dai sondaggi al secondo posto per le elezioni presidenziali di ottobre, che ha appoggiato la dittatura militare, che si è espresso a favore della tortura e che ha liquidato una deputata dicendole che non l’avrebbe stuprata dato che non ne valeva la pena.
Quattro giorni prima di morire Marielle Franco aveva denunciato l’ennesima uccisione da parte della polizia militare; la vittima si chiamava Matheus Melo, ed era l’assistente di un parroco.

La continua ed instancabile azione di denuncia di Marielle pesava ed aveva una risonanza preoccupante, dato che era stata eletta a capo di una commissione per monitorare proprio l’attività della polizia nelle favelas di Rio. Marielle è stata uccisa per questo, per aver denunciato ciò che comportava l’intervento della polizia nelle favelas, ossia la morte della democrazia, repressione, violenza e brutalità, con una descrizione perfetta e profetica “o acirramento da violência nos corpos nossos de favelados” (l’incitamento alla violenza sui nostri corpi di abitanti delle favelas) (2).

Nelle favelas l’esercito abbatte cancelli e steccati, entra nelle case, fruga, perquisisce, intimidisce, minaccia e stupra. Ogni giorno. E uccide. Sono 1275 i casi di omicidi commessi dalla polizia tra il 2010 e il 2013 in Brasile, un paese che ha un tasso di morte violenta superiore alla Siria. Le vittime erano di colore nel 79% dei casi. E per il 99% uomini. Solo per caso e per inciso, alla fine dell’anno scorso è stato approvato un disegno di legge in base al quale gli omicidi della polizia contro i civili non sono più soggetti alla giustizia ordinaria, ma ai tribunali militari. Nessun controllo civile quindi sull’operato delle Forze Armate brasiliane, che nelle favelas rispondono direttamente a Temer.
Il proletariato delle favelas, in particolare “negro” e donna, già inginocchiato dallo sfruttamento del capitale e tiranneggiato dai narcos, ha tutto da temere e niente da guadagnare dal pugno di ferro di Temer.

Marielle dice: “o barulho dos tanques, de tanque blindado, o barulho do tanque ainda é muito latente que ficava na porta de um dos prédios que eu morei até pouco tempo. Esse medo, esse desespero é onde a gente chora porque corta na nossa carne” (“Il frastuono dei carri armati, dei blindati, il frastuono dei carri è ancora presente all’ingresso di uno dei palazzi in cui abitavo fino a poco tempo fa. Questa paura, questa disperazione si trova ancora nel pianto della nostra gente perché lacera la nostra stessa carne.”) (3)

Perché Marielle? Semplice. Perché donna. Perché femminista. Perché anticapitalista. Perché lesbica. Perché proletaria. Perché madre. Perché nera. Perché ascoltata.
Questo assassinio politico non è che l’ultimo atto di una guerra di genere e di classe che si compie sul corpo delle donne tutti i giorni in tutto il mondo. Una guerra condotta con ogni mezzo dalla classe dominante, maschia, bianca e ricca, sulla pelle degli sfruttati e delle sfruttate.
I poveri devono stare al proprio posto, nei ghetti delle città e delle periferie del capitale, da noi come a Rio, in Libia e in Nigeria. Così le donne, anch’esse “vicino al camino”, come si diceva negli anni Settanta.
In un paese come il Brasile in cui le donne subiscono uno stupro ogni 11 minuti e 12 donne vengono uccise ogni giorno (4), essere donna e lottare per la propria autodeterminazione e per quella della propria classe è ancora un delitto imperdonabile. In Italia i numeri sono inferiori, ma il principio è lo stesso.

La vicenda di Marielle Franco dovrebbe far aprire gli occhi a tutti coloro che pensano che il cambiamento culturale sia sufficiente, che basti migliorare un po’ l’educazione scolastica, che servano “riforme” e piccole lotte particolari su questo o quel provvedimento. Che tutto ciò che riguarda le donne non abbia nulla a che fare con il sistema economico, ma che sia una questione di mentalità, di maggiore parità. Ciò dovrebbe far riflettere anche gli impenitenti legalisti che a casa nostra davanti a ogni femminicidio sbraitano di misure repressive, ergastoli, castrazioni e ghigliottina.
Quando è la polizia a giustiziare chi chiede diritti, cosa c’è rimasto da salvare? Non deve essere palese solo per noi rivoluzionari che la democrazia borghese non esiste e non è mai esistita, che esiste solo l’oppressione degli sfruttatori sugli sfruttati. La parità di trattamento Marielle l’ha avuta. Assassinata dallo stato come un boss dei narcos. Con quattro colpi alla testa. Come un uomo. Scomodo.
Che ci uccida la polizia in un’esecuzione sommaria, o un fidanzato in preda ai “fantasmi della gelosia”, o un datore di lavoro perché non in regola con le norme di sicurezza, o che ci uccida il lento logorio di un lavoro di cura infinito, per tutti, bambini, adulti o anziani, che ci stupri un carabiniere “maschietto” o che ci uccida il taglio dello screening in un sistema sanitario ormai privatizzato, dobbiamo prendere coscienza che solo combattendo per abbattere alla radice patriarcato e capitalismo potremo disporre di quella libertà che oggi ci manca. Come donne e come sfruttate, lavoratrici, precarie, disoccupate, madri o meno, giovani o vecchie.

Migliaia di persone sono scese in piazza per esprimere la propria tristezza e rabbia per l’omicidio di Marielle. È ancora presto per dire se queste proteste prenderanno una forma più strutturata e di lungo corso.
La combattività era il suo marchio di fabbrica, e la strada politica e personale che aveva percorso lo testimoniava. Avrebbe potuto correre per le presidenziali, acquisire ancora più influenza. Andava fermata. E con lei tutti coloro che ne condividono le battaglie. Come rivoluzionari, dobbiamo fare sì che questo omicidio ottenga l’effetto opposto. E che tante voci come quella di Marielle si levino dalle periferie del capitale.
“Hoje a gente tem o temor e aí, quem aqui vigia os vigias? Quem presta contas? A gente vem para ocupar a rua, sim” (Oggi la gente ha paura e quindi, chi ci protegge dalle guardie? Chi ne risponderà? La gente scenderà a occupare le strade, sì!”) (5).




(1) https://veja.abril.com.br/brasil/desembargadora-diz-que-marielle-estava-engajada-com-bandidos/

(2) https://brasil.elpais.com/brasil/2018/03/15/politica/1521140804_564612.html

(3) https://www.youtube.com/watch?time_continue=4&v=h9oC94oOAdA

(4) https://www.newstatesman.com/world/south-america/2018/03/marielle-franco-s-death-emblem-violence-against-brazil-s-poor-and-black

(5) https://brasil.elpais.com/brasil/2018/02/16/politica/1518803598_360807.html

MG - Commissione oppressioni
PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

 

Per un'alternativa delle lavoratrici e dei lavoratori

Testo del volantino politico nazionale del Partito Comunista dei Lavoratori

NESSUNO PIANGA PER RENZI
Il 4 marzo è caduto il renzismo. Non siamo certo noi a piangere sulla caduta di chi ha cancellato l'articolo 18, ha ulteriormente precarizzato il lavoro, ha attaccato la scuola pubblica, ha regalato a industriali e banchieri una nuova pioggia di miliardi, ha imposto ulteriori tagli alla sanità. Semmai avrebbe dovuto cacciarlo a pedate, e da tempo, una mobilitazione dei lavoratori. Ma la burocrazia sindacale ha imposto la pace sociale per accordarsi col padronato. Mentre la cosiddetta “sinistra” di D'Alema e Bersani ha votato tutte le porcherie di Renzi. Il risultato è che tanti lavoratori, abbandonati e traditi, hanno finito per voltarsi altrove.

Ma attenzione. Né Salvini né Di Maio sono certo una soluzione per gli sfruttati. Al contrario.


NO AL REAZIONARIO SALVINI!

Salvini è il capo reazionario di una Lega che in oltre dieci anni di governo ha colpito i lavoratori, in compagnia di Berlusconi, distruggendo il sistema pensionistico a ripartizione (1995) e moltiplicando il lavoro usa e getta (legge Maroni, 2003). Oggi con la Flat tax vorrebbe riempire ancor più il portafoglio dei capitalisti, in un paese in cui l'80% delle tasse è sulle spalle di salariati e pensionati. Uno scandalo. Salvini vuole dirottare contro i migranti la rabbia sociale per impedire che si rivolga contro i suoi amici padroni. È il cinismo peggiore.


NESSUNA FIDUCIA A DI MAIO!

Ma neppure Di Maio è la soluzione. Certo, tanti operai l'hanno votato sperando il meglio. Ma è un'illusione, come l'esperienza dimostrerà. Come può essere amico dei lavoratori chi incassa la benedizione di Confindustria e Marchionne, dopo aver rassicurato il capitale finanziario del mondo intero? Chi offre agli industriali una riforma fiscale modello Trump, a tutto vantaggio dei ricchi? Il M5S mira in realtà a contrapporre i disoccupati ai lavoratori, usando il reddito di cittadinanza come arma di pressione e ricatto per estendere il lavoro sottopagato. “Lavorare gratis per lavorare tutti”, rivendica non a caso l'intellettuale grillino De Masi. Una manna dal cielo per i profitti.

Lavoratori, lavoratrici, aprite gli occhi. PD, Salvini, Di Maio, sono solamente strumenti diversi della classe che oggi vi sfrutta. I padroni cambiano spalla al fucile, ma non cambiano mira.

È necessario imporre con la lotta un'agenda nuova.

Cancellare il Jobs Act ed estendere l'articolo 18 a tutti i salariati.
Abolire tutte le leggi di precarietà del lavoro, contro ogni forma di prestazione servile.
Ridurre l'orario di lavoro a 32 ore settimanali a parità di paga, per ripartire il lavoro fra tutti.
Abolire la legge Fornero e ripristinare l'età pensionabile a 60 anni (o 35 anni di lavoro).
Dare un salario dignitoso ai disoccupati che cercano lavoro finanziandolo con l'abolizione dei trasferimenti pubblici alle imprese.

Sono rivendicazioni che possono unire lavoratori, precari, disoccupati in un unico fronte di lotta. Sono misure che solamente un governo dei lavoratori potrà realizzare. L'unico che possa espropriare le aziende che licenziano (Embraco), abolire il debito pubblico verso le banche e nazionalizzarle. L'unico che possa segnare una svolta.
È vero, il voto del 4 marzo non ha premiato questo programma anticapitalista. Ma questa resta l'unica alternativa vera.

Diciassette milioni di salariati hanno bisogno finalmente di un loro programma e di un loro partito.
Il Partito Comunista dei Lavoratori, l'unico che non ha mai tradito gli operai, continuerà a battersi contro corrente per questa prospettiva.

Partito Comunista dei Lavoratori

 

Francia: no al licenziamento di Gaël!


Il nostro compagno Gaël Quirante è vittima di rappresaglia. Noi stiamo con lui contro la violenza padronale!

13 Marzo 2018
Uno dei dirigenti di Anticapitalisme & Révolution - corrente di sinistra dell'NPA - e membro dell’opposizione di sinistra all'interno della Quarta Internazionale (ex Segretariato Unificato) nonché attivista del Front Social, il compagno Gaël Quirante, è da anni al centro di un abuso disciplinare e penale sul posto di lavoro da parte delle Poste, a causa della sua attività sindacale combattiva come funzionario del sindacato Solidaires-SUD Poste 92.
Dal 2010 le Poste tentano di licenziarlo e, altrettante volte, tali procedure sono state giuridicamente respinte. Oggi, grazie ad un ricorso amministrativo, la procedura si riapre e l’ultima parola a breve spetterà all’attuale ministro del Lavoro del governo Macron, Muriel Penicaud.
Giuridicamente la sua situazione non lascia dubbi: Gaël non può essere licenziato. Si tratta perciò di una decisione politica.
Di conseguenza il nostro compagno continuerà ad intervenire sul luogo di lavoro forte della legittimità sindacale e della legittimità politica che lo contraddistinguono, per anni di presenza e promozione in vertenze combattive accanto ai suoi colleghi e alle sue colleghe, per il ruolo di iniziativa che lui e i compagni di Anticapitalisme & Révolution portano avanti nelle mobilitazioni che hanno attraversato il paese e che attualmente proseguono contro un governo che continua il progetto, iniziato con la Loi Travail, di offensiva e distruzione dei diritti sociali e delle conquiste della classe operaia.
Per queste ragioni, per il percorso politico che condividiamo, per la lotta che mettiamo in campo quotidianamente anche in Italia contro il clima di repressione violenta dei movimenti, del mondo del sindacalismo combattivo che non vuole piegare la testa davanti alle politiche padronali qui come in Francia e dappertutto, con forza partecipiamo alla campagna di mobilitazione e sostegno internazionale al nostro compagno Gaël.

Contro la violenza padronale verso le compagne e i compagni che lottano, per un fronte unico contro la repressione, il Partito Comunista dei Lavoratori sta con Gaël!


Invitiamo le compagne e i compagni ad attivarsi nei modi seguenti per essere partecipi della solidarietà e della mobilitazione per Gaël:
- Visitare, condividere la pagina fb per gli aggiornamenti (https://www.facebook.com/nonaulicenciementdegaelquirante/)
- Firmare e condividere la petizione (https://www.change.org/p/non-au-licenciement-de-ga%C3%ABl-regroupons-nous-contre-lanrepressiona-la-poste-et-ailleurs)
- Inviare alla pagina fb di cui sopra il massimo di foto/video, singolarmente o meglio in gruppo, con cartello "Non au licenciement de Gaël’’
- Condividere i testi della mozione di sostegno e della petizione, di seguito riportati nelle versioni in italiano



Mozione di sostegno

Gaël Quirante, segretario dipartimentale di SUD Activités Postales 92 (sindacato lavoratori postali) sta subendo un abuso disciplinare e penale totalmente ingiustificato.
Come altre/i militanti del movimento sociale, è colpito da una repressione che costituisce un attentato ai diritti democratici delle lavoratrici e dei lavoratori. 
Se rischia di essere licenziato, è in ragione della sua attività di rappresentante sindacale.
Come Partito comunista dei Lavoratori, noi chiediamo di rispettare la decisione dell’Ispettorato del Lavoro e quindi di non licenziare Gaël Quirante.


Petizione

No al licenziamento di Gaël: uniamoci contro la repressione alle Poste e altrove!
Gaël Quirante, segretario dipartimentale di SUD Activités Postales 92 (sindacato dei lavoratori delle Poste) e militante del Front social, è vittima di un'autentica vessazione disciplinare: dieci tentativi di licenziamento in quattordici anni, e una serie di sospensioni dal lavoro per un totale di quasi un anno.
Le Poste avevano infatti tentato di licenziarlo nel 2010 con l'accusa di sequestro per la partecipazione ad un'occupazione della direzione dipartimentale delle Poste: il suo licenziamento venne successivamente respinto dall'Ispettorato del Lavoro nel 2010, dal Ministero del Lavoro nel 2011, infine dal Tribunale Amministrativo nel 2014.
Ad aprile scorso la Corte d'Appello del Tribunale Amministrativo di Versailles ha annullato le tre precedenti decisioni, cosa che ha comportato la riapertura dell'intera procedura! L'Ispettorato del Lavoro ha nuovamente rigettato il suo licenziamento, ma ormai sarà la Sig.ra Penicaud, Ministro del Lavoro ed ex responsabile delle risorse umane di Danone, a decidere della vicenda di Gaël!
La nostra mobilitazione deve impedire il suo licenziamento!
Le Poste hanno deciso di colpire duramente le compagne e i compagni combattivei. Nel 2005 lo schieramento del GIPN (Gruppi di intervento della Polizia Nazionale) contro i lavoratori del centro di smistamento di Bègles-Bordeaux in sciopero ha rappresentato l'inizio di questa offensiva. In seguito, i procedimenti disciplinari e penali, i licenziamenti, le sanzioni disciplinari contro i sindacalisti e in maniera diffusa contro tutti coloro che rifiutano di abbassare la testa, si sono moltiplicati. Dal 2012 la somma delle sanzioni implicanti la sospensione dal lavoro ha raggiunto i dieci anni nei confronti dei militanti SUD e CGT (sindacati francesi) solo nell'Ile- de-France (area metropolitana di Parigi), e i quattordici anni dal 2010! Quattro militanti sindacali della regione dell'Haute-de-Seine furono messi in detenzione in pieno sciopero nel 2014. Solamente a Olivier Rosay é stata comminata la sospensione dalle funzioni per un totale di 69 mesi! Nella regione dell'Hauts-de-Seine, inoltre, il funzionario sindacale Yann Le Merrer è stato revocato, e poi messo in aspettativa dopo che il suo datore era stato obbligato a reintegrarlo.
Oggi questa logica repressiva colpisce l'insieme del mondo del lavoro: più di quattromila procedimenti disciplinari o penali intentati contro lavoratori in sciopero o manifestanti dal movimento del 2016 contro la Loi Travail.
Ma questa repressione viene combattuta, che riguardi le pene di reclusione per gli ex lavoratori Goodyear, le violenze della polizia nei quartieri popolari, gli accusati del processo del Quai de Valmy, la PSA Poissy o il caso di Loïc Canitrot della Compagnie Jolie Môme, per esempio. Se c'è un'ondata di repressione in atto, c'è anche un fronte di resistenza. Invitiamo all'unità di tutti i casi di repressione per essere in grado di mettere fine all'attuale offensiva. Se uniamo le forze, possiamo vincere!
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MIGLIAIA E MIGLIAIA IN CORTEO PER IDY DIENE E CONTRO RAZZISMO E FASCISMO


e il protagonismo dello spezzone anticapitalista dell'Ass. Mariano Ferreyra e del PCL Firenze

10 Marzo 2018
Oggi Firenze ha vissuto una giornata di riscatto. Dopo il barbaro omicidio di Idy la risposta della città si è fatta sentire.
Quasi 30.000 persone sono scese in piazza per onorare la memoria di Idy Diene ma anche per rilanciare la lotta contro razzismo e fascismo, che sono le cause della morte di Idy Diene, di Samb Modu e Diop Mor nel 2011 sempre a Firenze (uccisi dal militante di Casapound Gianluca Casseri) come dell'atto terroristico di alcuni giorni fa a Macerata, quando un militante della Lega ha sparato a sei migranti cercando la strage.
Le istituzioni cittadine come buona parte della stampa e delle tv hanno fatto di tutto, come cercarono di fare con il fascista Casseri, per far passare l'omicidio razzista di Idy come l'atto di un pazzo.
Noi oggi, insieme a migliaia di persone, siamo scesi in piazza per dire NO.

L'omicidio di Idy è un omicidio razzista, la mano che ha sparato è quella di una persona messa su dai continui sproloqui della destra fascista e razzista, a partire da Salvini (mandante morale sia dell'atto terroristico di Macerata che dell'omicidio razzista di Firenze) fino ad arrivare alla feccia nera delle organizzazioni neofasciste.

Come Associazione Mariano Ferreyra e come Partito Comunista dei Lavoratori abbiamo costruito uno spezzone con centinaia di migranti che si è caratterizzato come il più combattivo del corteo. Uno spezzone che voleva urlare, con tutta la rabbia che abbiamo dentro, come la lotta contro razzismo e fascismo sia possibile solo nell'unità tra lavoratori italiani e migranti.

Per questo non ci siamo limitati, come avrebbero voluto alcuni esponenti di "alto rango" delle comunità migranti, a scandire slogan contro il razzismo, ma abbiamo voluto individuare come il razzismo ed il fascismo non sono altro che un sottoprodotto della società capitalista, per questo abbiamo voluto scandire slogan contro i mandanti morali dell'assassinio di Idy, per questo abbiamo scandito slogan contro i fascisti e per la chiusura delle loro sedi.

CON SAMB, CON DIOP, CON IDY
UNITI VINCEREMO
ASSOCIAZIONE MARIANO FERREYRA
PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI FIRENZE

Alternanza scuola-lavoro: sfruttare uno studente, licenziare un lavoratore


Uno sguardo approfondito sull'alternanza scuola-lavoro, sul suo funzionamento e sui suoi veri obiettivi
Studente di istituto professionale indirizzo meccanico di La Spezia costretto a quaranta giorni di prognosi per frattura alla tibia dovuta ad un muletto ribaltatoglisi addosso, presso un'azienda specializzata nella revisione e riparazione di motori nautici e industriali. Quattro studentesse minorenni molestate sessualmente più volte dal tutor esterno in un centro estetico di Monza, a luglio scorso. Studenti e studentesse camerieri gratis in varie catene di fast food e non solo, a lavorare all'Ilva di Taranto, a volantinare e pulire bagni per 12 ore e senza pausa, a spillare birre... L’elenco è lungo.
Il governo Gentiloni e la ministra Fedeli riconfermano un modello che dai tempi della riforma Moratti nel 2005 passando per la Gelmini nel 2010 diventa finalmente obbligatorio grazie alla Buona scuola, legge 107/2015: non solo una scuola dell'obbligo classista ed elitista disegnata sulle esigenze del mercato, con docenti precari, tagli al budget etc., ma anche e soprattutto la legalizzazione dello sfruttamento dello studente medio direttamente sul mercato del lavoro, in linea con le premesse del Jobs Act e grazie all'ultima finanziaria.


L'ALTERNANZA SCUOLA- LAVORO: ENNESIMA FACCIA DELLA "UBERIZZAZIONE" DEI GIOVANI 

Accanto alla situazione disastrosa che coinvolge gli studenti universitari, fra tirocini e stage dequalificati, fra il sommerso, l'illegale, e il lavoro gratuito; accanto alla situazione dei giovani inseriti, privi di mezzi e tutele, con stipendi da fame e zero potere contrattuale (grazie ai contratti di apprendistato made in Jobs Act), lavori a chiamata, contratti a tutele crescenti, lo sfruttamento 3.0 dei riders fattorini di Deliveroo, Foodora, Just Eat e altri... quest'anno l'offensiva continua, con l'obbligo definitivo di svolgere cosiddetti percorsi di alternanza scuola-lavoro per tutte le studentesse e gli studenti del triennio delle scuole superiori italiane. Un milione e mezzo circa di giovani, soprattutto minorenni, dovranno dedicare a questa ''parte del percorso formativo'' 200 ore nei licei, e 400 ore rispettivamente negli istituti tecnici e professionali. Ma non saranno i primi. Infatti già nell’anno scolastico 2014/2015 gli studenti partecipanti erano 273.000, e il 54% delle scuole aderiva all'alternanza. Nel 2015/2016 i numeri sono aumentati a 652.641 studenti. Gli istituti rientranti nel progetto sono saliti fino al 96%. Si sono moltiplicati i casi da 11.585 a 29.437.
Rispetto solamente agli allievi dell'ultimo anno, se fra il 2014/2015 quelli in alternanza erano 89.752, quest'anno rientreranno nell'obbligo previsto dalla Buona Scuola ben 455.062 iscritti su 502.725, ovvero il 90,6 % del totale delle classi terze, per cui sono stati stanziati 100 milioni l'anno dalla legge 107/2015.

Per avere un'ulteriore idea, basti guardare i numeri per indirizzo, fra licei, istituti tecnici e istituti professionali: rispettivamente dai 12.371 del 2014/2015 ai 227.308 quest'anno, da 31.592 a 140.699 oggi, fino ai 45.789 dei professionali che attualmente sono diventati 87.055.
Come si può notare, l'incremento è significativo: dalla sua introduzione facoltativa via via allargata e divenuta obbligatoria, l'alternanza scuola lavoro indica la volontà di istituzionalizzare in maniera fortemente elusiva i diritti sociali e le tutele dei lavoratori dipendenti; in breve, qualsiasi tipo di rapporto di lavoro normato. Lo studente in alternanza realizza su carta - legalizza - lo stadio ultimo ideale del Jobs Act: zero contratto, zero tutele, zero rimborsi, zero sindacato, zero retribuzione, in balia totale delle esigenze dei padroni, a scapito dell'istruzione pubblica obbligatoria e del diritto allo studio. L'ennesima manna dal cielo del governo a favore delle imprese in corsa per il profitto.

Ma come funziona nello specifico l'alternanza scuola-lavoro?
Ebbene, si è visto che l'istituto si è modellato nel corso di qualche anno, ma la sostanza non è cambiata: si tratta di un cosiddetto progetto formativo che si distingue dallo stage e dal tirocinio, così come dall'apprendistato (che comporta infatti un contratto di lavoro); lo studente in alternanza non è mai un lavoratore, né è equiparato ad un lavoratore minore nel caso, più frequente, sia minorenne. Non essendo un rapporto di lavoro contrattualizzato, lo studente è merce di scambio fra istituzione scolastica e impresa, le quali stipulano tra loro - studente escluso - una convenzione relativa alle forme con cui questo percorso dovrà svolgersi, rendendo di fatto l'impresa non responsabile direttamente rispetto allo studente.
Tutor interno alla scuola e tutor esterno nell'ente di riferimento sono le due figure in capo alle quali si ha un ibrido poco chiaro fra potere disciplinare, di controllo e direttivo, che in realtà si configura in un asset autoritario, incontrovertibile e incontestabile, su cui lo studente ha zero potere contrattuale: si assume semplicemente che se "sgarra" è fuori, con buona pace di qualsiasi possibilità di esercitare diritti sindacali sul luogo di lavoro per contestare le sue condizioni, di qualsiasi tipo di indennità - già lavorando gratis - nonché sobbarcandosi eventuali conseguenze in termini di andamento scolastico.
Infatti lo studente, o chi per lui se minorenne, si trova a prendere atto del percorso prestabilito da altri (scuola e azienda) attraverso una semplice declaratoria di presa visione, e termina così la possibilità di scegliere per lui stesso, per il suo diritto allo studio.

Doveri di puntualità, obbedire in generale alle direttive dei responsabili di quelle che la Buona scuola definisce ''strutture ospitanti'', ma soprattutto rispettare gli obblighi in materia di fedeltà aziendale, segreti aziendali e privacy: in breve, e non è difficile capirlo, si tratta di lavoro nero, se non sfruttamento minorile per azzerare i costi dei datori di lavoro, poiché si tratterebbe a tutti gli effetti di lavoro dipendente mascherato, gratis e sotto-inquadrato.

Dal punto di vista normativo, quindi, in termini di diritto del lavoro, vi è una elusione illegale totale: paradossalmente, si dovrebbe riconoscere a tutti gli studenti, minorenni inclusi, lo status di lavoratori dipendenti, o meglio, come minimo, una paga. Il lavoro - capitalisticamente inteso - o è retribuito o non può essere.
Dal punto di vista educativo, le mansioni che si affidano arbitrariamente a questi studenti non corrispondono alle loro esigenze formative, ma ai bisogni dei padroni, sulla base di esclusive valutazioni di profitto. Non a caso, poi, l'alternanza si svolge spesso in estate (otto volte su dieci), sulla base di offerte "occasionali" di privati (81% delle esperienze) o di piccole e medie imprese interpellate direttamente dai dirigenti scolastici.


JOBS ACT E BUONA SCUOLA: L'ALTERNANZA SFRUTTAMENTO STUDENTI-LAVORATORI 

L'aumento progressivo del numero degli studenti coinvolti, e quindi l'allargamento dell'obbligo, e l'aumento dei percorsi attivati, oltre che delle strutture ricettive; in breve, la definitiva istituzionalizzazione dell'alternanza scuola-lavoro non sono casuali, né tantomeno rispondono a esigenze educative degli studenti, come il governo vuole farci credere, ma appaiono come conseguenze derivanti da specifici fattori economici, e non secondariamente di natura previdenziale.

Innanzitutto il governo Renzi, con la legge finanziaria del 2016, ha previsto a tal fine incentivi finanziari per le aziende, ciò che ha appunto comportato un incremento del +139% degli studenti partecipanti e del 41% delle aziende coinvolte, diventate 149.795. L'importo dei voucher ed annessi incentivi per le imprese vincitrici è infatti stabilito dal bando istituito presso le Camere di commercio italiane a braccetto con il MIUR, e varia in funzione dei percorsi di alternanza attivati presso l'ente stesso.
Tale politica di favore alle imprese è stata il motore che ha permesso di consolidare il legame tra il MIUR e il mercato, nonché di dare definitivamente vita all'alternanza scuola-lavoro, visto l'impegno del Ministero a partire dall'ottobre 2016, con la promozione dell'incontro ''Campioni di alternanza'', al quale hanno partecipato sedici aziende, ordini professionali, associazioni del terzo settore e PA, per un totale di tredici settori coinvolti (servizi, digitale, automotive, alimentare, ristorazione, finanziario, distribuzione, logistica, abbigliamento, arte e cultura, giuridico, manifatturiero, energia), e che ha avuto il fine di sancire una partnership con le scuole per l'attivazione di 27.000 percorsi.

Fra gli enti ''campioni di alternanza'' coinvolti nell'accordo con il MIUR figurava prima di tutti McDonald's, che ha promesso diecimila percorsi per studenti in 500 locali sul territorio. McDonald's in Italia ha circa ventimila dipendenti, sottoposti a condizioni particolarmente vessatorie, e l'ingresso di diecimila studenti a lavorare gratis di certo comporterà delle conseguenze in termini di licenziamenti e aggravamento ulteriore dello status dei suoi dipendenti.

Per definire ulteriormente la finalità di profitto a costo zero, che nulla ha a che vedere con un arricchimento formativo per uno studente, basti sapere che gli altri soggetti erogatori sono, oltre a McDonald's: Accenture, Bosch, Consiglio Nazionale Forense, COOP, Dallara, ENI, Fondo Ambiente Italiano, FCA, General Electric, HPE, IBM, Intesa Sanpaolo, Loccioni, Poste Italiane e Zara.
Non a caso tutte imprese italiane e/o multinazionali non certo famose per essere modelli lavorativi ed economici educativi verso i più basilari principi costituzionali che invocano diritti sociali e sindacali, ma che, anzi, negli ultimi anni e ancora oggi hanno visto e vedono i lavoratori (dalla logistica ai metalmeccanici passando per il pubblico impiego e i trasporti) scendere in piazza in asperrime vertenze e lotte durature contro licenziamenti, tagli al welfare aziendale nelle indennità, nei sussidi, nei fondi pensioni e assicurativi, contro la repressione sindacale e politica, contro accordi capestri... non certo ''Campioni di alternanza'', semmai ''campioni di sfruttamento''.

Ecco in realtà un'altra ragione per cui si capisce come e perché, secondo il MIUR, l'obiettivo per il secondo anno di obbligo dovrebbe appunto arrivare a 1.150.000 di studenti in alternanza (durante questo anno scolastico) e 1,5 milioni a regime: per inserire forza-lavoro già isolata e priva di mezzi di critica, grazie al modello autoritario della Buona scuola; forza-lavoro ''vergine'', a fronte di una classe lavoratrice che, nonostante i rapporti di forza globalmente sfavorevoli attualmente, dopo un congelamento della protesta contro il Jobs Act a causa della politica complice delle direzioni sindacali, dà sempre più fastidio perché, in realtà, si dimostra capace qua e là di invertire la tendenza, e attraverso la forza dell'autorganizzazione dà vita a innumerevoli mobilitazioni politiche ed economiche sparse nel paese, da ultimo all'Ilva di Genova e all'Embraco.

Ma il mondo studentesco non si è prestato a fare da complice del mercato contro i lavoratori, come dimostra la giornata di mobilitazione nazionale indetta il 13 ottobre scorso, importantissimo inizio affinché ci si doti di strumenti, teorici e pratici, per denunciare e respingere l'alternanza scuola-lavoro in quanto abuso e attacco diretto contro il diritto allo studio e ad un'istruzione libera e gratuita, accessibile a tutti.

Il secondo fattore, di natura previdenziale, tocca un aspetto cruciale della condizione in cui lo studente in alternanza si trova, ovvero la salute. Lo studente beneficia, secondo Convenzione e Patto Formativo, di tutele (parzialmente) e doveri (interamente), connessi al d.lgs. 81/2008 TU sulla salute e sulla sicurezza sul lavoro, in attuazione dell'art. 1 della legge 123/2007 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Questo, pur non avendo alcun rapporto di lavoro con l'impresa presso cui svolge l'alternanza.
Ciò infatti solleva diverse obiezioni, alla luce della realtà attuale delle cose.
Il MIUR fino al 2016 ha previsto l'obbligo a carico delle singole scuole di formare gli studenti prima dello svolgimento del percorso in materia di sicurezza, norme infortunistiche e privacy sui luoghi di lavoro. La formazione a questi fini, in materia di licenza e retribuzione, non è però stata contestualmente definita, rispetto ai docenti e/o al personale scolastico. Le scuole si sono naturalmente trovate spesso impreparate di fronte a tale obbligo, penalizzando i lavoratori e gli studenti: con la presenza di corsi di formazione erogati da privati e/o Camere di commercio, i cosiddetti ''Alternanza day'', a carico economicamente delle scuole e degli studenti stessi, e a discapito dell'apprendimento in classe. Come dire: lavori gratis e ti formi a pagamento.

Per non parlare del frangente assicurativo: esclusa la convenzione tra istituzione scolastica e INAIL e regime annesso relativamente alla frequentazione degli ambienti scolastici, per i primi due anni di alternanza non vi era nulla più rispetto al d.lgs. 81/2008 a tutela (formale) degli studenti. Lavori gratis, ti formi a pagamento e non hai coperture sufficienti contro gli infortuni, né conoscenze adeguate per tutelarti. [Il lavoro o è sicuro o non è.]
Un accordo di partenariato INAIL-MIUR è arrivato con la circolare 44 del 21 novembre 2016, per chiarire i criteri per la trattazione dei casi di infortunio (e connessi aspetti contributivi), dopo oltre un anno di buio, in cui le studentesse e gli studenti, oltre che i docenti, sono stati abbandonati a loro stessi, quando gli abusi e gli infortuni gravissimi - di cui le sole e uniche vittime sono stati e sono gli studenti - sono stati e sono all'ordine del giorno. [Per formarti, per lavorare non devi rischiare la pelle.]
Tuttavia, questa circolare resta lacunosa e non risolve il problema, anzi: non fornisce indicazioni sulla tutela rispetto alle parti dell'alternanza che si svolgono all'esterno della scuola e nei casi di percorsi svolti all'estero. Infatti manca una tutela degli studenti in itinere, ovvero durante gli spostamenti da casa verso il soggetto ospitante (l'azienda) e viceversa, quando si tratti di attività svolte al di fuori della scuola. Non vi è copertura assicurativa prevista in caso di infortunio, come non vi sono rimborsi previsti relativi ai costi di spostamento, dei trasporti, sempre a carico degli studenti. Da questo discende inoltre che le famiglie potrebbe attivare contenziosi contro la scuola. [Non devi pagare per lavorare, né tantomeno per lavorare gratis ed essere sottoposto ad ogni genere di rischio.]
Sulla realizzazione di corsi di formazione in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, l'accordo arriva tardi. In questo anno di applicazione della Buona scuola sono stati appunto numerosissimi i casi di corsi di formazione erogati a costi enormi da società di consulenza o singoli professionisti, di denunce di 'pacchetti formativi' effettuati ammassando più classi in solo ambiente, etc.

In sostanza, gli studenti non solo non hanno ricevuto una conoscenza essenziale, di qualità e utile, ma in più hanno dovuto sostenere costi esorbitanti, insieme alle scuole.
Resta perciò fermo il fatto che l'INAIL ha escluso un modello specifico di realizzazione di corsi riferito agli studenti in regime di alternanza scuola-lavoro.
Rispetto alla tutela antinfortunistica, in analogia con la normativa generale, questa si applica per i rischi legati ad attività svolta in ambiente di lavoro, inteso come non solamente il luogo fisico del soggetto ospitante, ma anche «un eventuale cantiere all'aperto o un luogo pubblico, purché in essi si svolga un progetto di alternanza scuola-lavoro».
Rispetto alle prestazioni che l'INAIL eroga, in caso di infortuni e/o malattie professionali, le principali sono: economiche (indennizzo del danno biologico in capitale per menomazioni di integrità psicofisica pari o superiori al 6%, rendita per menomazioni di grado superiore al 16%, assegno per l'assistenza personale continuativa, integrazione della rendita, rimborso spese per farmaci e rimborso viaggi e soggiorno per cure termali e soggiorni climatici), sanitarie (prime cure ambulatoriali, accertamenti medico-legali) e protesiche (fornitura di protesi, ortesi e ausili).
Emerge che gli studenti non hanno diritto all'indennità per inabilità temporanea assoluta.

Ma soprattutto, la responsabilità dell'azienda in caso di infortunio e malattia professionale degli allievi dove sta?
In questo caso, infatti, lo studente deve denunciare l'infortunio al dirigente scolastico o al soggetto incaricato nella convenzione tra scuola e soggetto ospitante. Se lo studente comunica l'infortunio solo all'azienda, quest'ultima deve notificarlo al dirigente scolastico. È compito suo infatti presentare denuncia all'INAIL di infortunio sul lavoro e di malattia professionale degli studenti in alternanza scuola-lavoro. Di conseguenza è l'INAIL che può agire in rivalsa sull'azienda.
Infatti, sulla carta, solo in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro lo studente in alternanza dovrebbe essere equiparato in tutto e per tutto ad un lavoratore dipendente; ma, nei fatti, abbiamo visto che non è così.
A carico dell'azienda si configura l'adempimento di almeno tre obblighi fondamentali, prima di inserire lo studente nell'organizzazione produttiva: la sorveglianza sanitaria, per verificare l'idoneità alla mansione o comunque l'idoneità a essere impiegato in un determinato contesto professionale e ambientale; la formazione relativa ai rischi generali e specifici dell'azienda; la consegna dei dispositivi di protezione individuale (Dpi) necessari e sufficienti per assicurare allo studente la possibilità di svolgere la sua esperienza in assoluta sicurezza (tipo guanti, casco, etc.)
Rispetto alla sorveglianza sanitaria, l'azienda ne è in pratica totalmente esonerata, visto che le linee guida del Ministero dell'Istruzione prevedono la stipula di accordi in merito affinché gli adempimenti del caso si considerino assolti per il datore grazie ad una semplice visita medica preventiva, da affidare al medico competente dell'istituzione scolastica, ovvero alla ASL. Rispetto alla formazione, si veda sopra. Essa viene rilasciata in maniera generica, quindi inutile a livello teorico, con costi a carico di scuole e studenti e con zero riscontri pratici. In linea con il dato nazionale, secondo cui in Italia l'investimento aziendale in termini di prevenzione è a livelli minimi se non inesistente (visti i numeri degli infortuni e delle morti sul lavoro). Non sono fatalità.

La previsione sulla sua efficacia resta quindi di dubbia portata, in quanto, come ci dimostra l'infortunio quasi mortale subito dallo studente minorenne a La Spezia, le azienda speculano in maniera folle sugli allievi in termini di rischi, appunto, assegnando mansioni assolutamente inutili dal lato formativo ed estremamente pericolose, inadatte sotto ogni punto di vista, dando ampio sfogo a profili di illegalità penale (ammesso anche solo che, per guidare un carrello elevatore, lo studente avrebbe dovuto come minimo possedere una patente apposita, che mancava, come mancavano evidentemente i Dpi e la formazione relativa all'uso del mezzo). Le stesse considerazioni possono essere svolte per ciò che riguarda il caso pugliese degli studenti mandati all'Ilva di Taranto, per non parlare dello stabilimento di Genova. Un'impresa, quella dell'Ilva, che minaccia da ultimo un minimo di 4.000 esuberi, e dove i lavoratori conducono da diversi anni lotte contro condizioni di lavoro disumane e licenziamenti.
Si ricordi ancora che, come sottolineato in precedenza, gli studenti non hanno in nessun caso diritto all'indennità per inabilità temporanea assoluta nel campo delle prestazioni erogate dall'INAIL.

Tutto ciò quando il mercato italiano vede, nel 2017, un aumento delle morti sul lavoro del 5,2%, e zero prevenzione: secondo i dati di settembre 2017, per la prima volta da 25 anni, infatti, infortuni e morti denunciati aumentano nei primi sette mesi dell'anno. 591 morti in sette mesi significa quasi tre al giorno. Di cui la gran parte (431) ha perso la vita sul posto di lavoro, gli altri 160 (in forte crescita) durante il tragitto dall'abitazione al cantiere o alla fabbrica.
Inoltre - e questo varrà chiaramente anche per gli studenti in alternanza con montante da specificarsi, dato che lavorano gratis - bisogna dire che l'indennizzo dell'INAIL (per i lavoratori in genere pari a metà della retribuzione) è legato alla dimostrazione, prova a carico del lavoratore/studente, che l'infortunio sia legato al lavoro svolto. È inoltre necessario essere iscritti all'INAIL prima di perdere la vita. Per i lavoratori viene quindi di solito riconosciuto un 65% dei casi denunciati. Secondo l'Osservatorio indipendente di Bologna che monitora gli infortuni mortali, in teoria, dei numeri del 2017 calcolati fino a settembre si ipotizza che solo 380 degli incidenti mortali saranno indennizzabili. Come dire che il 35%-40% di queste morti non esista, innanzitutto perché i lavoratori non sono iscritti all'INAIL, o sono in nero.
A fronte della realtà italiana, dove non esiste di base la sicurezza di fabbriche e cantieri, e le imprese non investono nella prevenzione tout court, il costo, in termini di salute in primis, ricade solo sullo studente, lanciato in un mercato del lavoro dominato da una logica dei profitti oggi più che mai feroce. Dove il Jobs Act che, in linea con la politica liberista del "pacchetto Treu" e delle leggi di questi ultimi venti anni, ha fornito il seguente quadro (di cui l'alternanza scuola-lavoro è solo l'ultimo tassello): precariato, zero diritti, attacco alla possibilità di scioperare, retribuzioni da fame, lavoro gratuito, dequalificazione, investimenti solamente in incentivi per le aziende in vista dell'abbassamento del costo del lavoro (ovvero degli studenti e dei lavoratori).


STUDENTI CHE LAVORANO GRATIS E LAVORATORI LICENZIATI: ZERO TUTELE E MASSIMO DEI PROFITTI 

L'alternanza scuola-lavoro, la Buona scuola, è quindi l'ennesimo regalo al padronato italiano, dopo il Jobs Act. Il costo per gli studenti e per i lavoratori è altissimo in termini di salute, di formazione, istruzione, di diritti sociali e sindacali. La posta in gioco è troppo alta per restare a guardare l'offensiva padronale che colpisce tutti e tutte, e per questo la risposta deve essere unitaria.
Il padronato italiano, sgravato da costi e responsabilità, sfrutta tutta la forza-lavoro disponibile per vessarla e mantenerla in condizione di ricatto: la prese in carico di studenti a lavorare gratis, a fronte di licenziamenti di personale, comunque precario ma ritenuto troppo costoso. Abbattere i costi, aumentare i profitti e, per farlo, abbattere i diritti, ridurre la formazione, per avere forza-lavoro disorganizzata, divisa e non istruita.

Dal lato degli studenti, nel quadro dell'alternanza-scuola lavoro il padronato sfrutta la filastrocca dell'uberizzazione: l'autorealizzazione, la cosiddetta acquisizione di competenze e strategie produttive per accrescere la propria formazione, volta ad incentivare una filosofia individualista, che con la pretesa generazionale divide. Una filastrocca secondo cui l'obiettivo dello studente, asservito in realtà al mercato il cui interesse è massimizzare il valore del prodotto, non di chi lo produce, è la schermata dell' autoimprenditorialità. L'autoimprenditorialità come obiettivo spacciato dall'economia liberista, alla quale l'istruzione pubblica si piega, nasconde invece la realtà di estremo sfruttamento e precarizzazione, come appunto nel caso dei riders di Foodora, spesso universitari, comunque quasi tutti giovani, la cui consegna in Italia è pagata 3,60 euro netti, con spese di manutenzione della bici e le divise a carico loro, senza premi, malattie, indennizzi e coperture sanitarie/assicurative: sono infatti autoimprenditori.

Per cui la realtà della gig economy attuale cosa dimostra veramente? Che il sogno dell'uberizzazione, dell'autoimprenditorialità, di cui l'alternanza scuola- lavoro viene impregnata, significa isolamento dei lavoratori, impossibilità di esercitare diritti sindacali, di fare sciopero (non essendo formalmente dipendenti a contratto) e rischi altissimi a livello di sicurezza e salute. Il tutto nella totale esenzione, irresponsabilità della azienda, contro cui legalmente per esempio non è possibile impugnare un licenziamento, non essendoci da contratto un rapporto di lavoro subordinato. Non a caso, emerge che l'unico contenzioso di lavoro verificatosi contro Foodora, in Italia, a Torino, sia quello per riconoscere che ricorrono tutti i presupposti perché il rapporto di lavoro venga riconosciuto come subordinato.
Tutto ciò riesce a dare ancora un altro esempio pratico della portata base che assume l'alternanza scuola-lavoro, ma con contorni, nello specifico, aggravati: non vi è retribuzione nemmeno a cottimo, è prestazione gratuita e non è considerata in alcun modo rapporto di lavoro che sia dipendente o autonomo o finto autonomo. E questo non è una ''esperienza'' che lo studente deve fare.


FUORI IL JOBS ACT DALLE SCUOLE E DAI POSTI DI LAVORO! 
Contrastare tutto questo significa opporsi alla divisione fra gli studenti, alla divisione fra studenti e lavoratori che i padroni vogliono imporci, quando invece tutti subiamo lo stesso attacco, che si concretizza in un presente di precarietà assoluta e disoccupazione, che supera in peggio e in termini quantitativi - perché tocca tutta la classe - la condizione della cosiddetta generazione no future.
Questo significa solamente una cosa: è necessario unirsi, attraverso assemblee generali, comitati di mobilitazione, in manifestazioni per rigettare Jobs Act, Buona scuola e i loro effetti che in soli due anni si sono rivelati devastanti; vedendoli come faccia di un'unica medaglia, per rilanciare un movimento contro l'offensiva padronale. Tutto ciò è possibile, come è stato dimostrato nel maggio 2015, quando il movimento degli insegnanti e degli studenti si è mobilitato contro la Buona scuola, mettendo in atto uno dei momenti di lotta più grandi contro il governo Renzi, e uno dei più importanti da decenni.

A questo serve lo strumento dello sciopero generale, e la giornata del 13 ottobre scorso (come le successive date in novembre) contro l'alternanza scuola-lavoro, il lavoro gratuito, per un'istruzione garantita a tutti e tutte, è stata l'occasione per intraprendere questa strada, continuata il 27 ottobre.

Rifiutiamo l'alternanza scuola-lavoro tutti insieme! Per l'autorganizzazione degli studenti e dei lavoratori della scuola, dei lavoratori e degli studenti nei luoghi di lavoro, per la libertà di scegliere e di decidere sulla nostre condizioni di studio, vita e lavoro secondo i nostri bisogni e necessità, non secondo il mercato!
Fuori il Jobs Act dalle scuole e dai posti di lavoro!
Marta Positò

Lavorare meno, lavorare tutte!

 Per un 8 marzo anticapitalista

Si è appena conclusa una terribile campagna elettorale, segnata anche da un'avanzata dei fascismi, dove le ragioni delle lavoratrici e dei lavoratori sono state rimosse dal dibattito pubblico per essere sostituite da una vergognosa vulgata xenofoba. Nel ciarpame del dibattito politico le donne sono state chiamate in causa in modo totalmente strumentale, non come soggetti reali ma come oggetti passivi da investire in questa campagna di odio contro gli immigrati. Dunque le ragioni delle donne, del loro diritto all'autodeterminazione economica e sociale, sono cadute nel vuoto. In questo dibattito pubblico mentre le forze politiche reazionarie si concentravano a inventarsi un soggetto immigrato violento e parassita, le donne immigrate sono state rimosse dal discorso politico. Ultime fra le ultime.
È un mondo sempre più a misura di uomo e a misura di padrone quello in cui ci troviamo a vivere, dove i rapporti di forza fra le classi sociali si ripercuotono in tutti gli ambiti della vita delle donne: perdita di diritti, molestie sessuali nei luoghi di lavoro così come fra le mura domestiche, espulsione dal mondo del lavoro e aumento del carico del lavoro di cura ed infine la spirale senza fine della violenza femminicida. Anche gli stessi spazi di autonomia e autodeterminazione delle donne come i centri antiviolenza o le case delle donne stanno venendo delegittimati e attaccati progressivamente, e nella logica di questa politica non potrebbe essere diversamente perché sono tipi di contesti avulsi dalle logiche di mercato e del profitto, così come non c'è interesse ad eliminare le ragioni di divisione della gerarchia sessuale.

Questo sistema economico e sociale dunque si sente in diritto di mettere in discussione tutto ciò che riguarda le donne: dal loro diritto all'autonomia economica alla loro salute sessuale, fino alla loro vita.

Per questo sosteniamo convintamente la scelta di alcune realtà di fabbrica e di alcune aziende di scioperare questo 8 marzo, poiché colpire gli interessi materiali di chi detiene il governo reale di questa società potrebbe diventare volano anche per tutte quelle donne che non hanno modo di scioperare veramente, o perché strette in rapporti di lavoro che le assoggetta a una repressione facile, o perché senza lavoro salariato. Allo stesso modo ci schieriamo al fianco della mobilitazione internazionale delle donne che in oltre 70 paesi scenderanno in piazza per difendere i propri diritti. Un mondo senza oppressioni si può cominciare a costruire solo dall'eliminazione di tutte le forme di sfruttamento e senza il controllo della società non potremo avanzare nel cambiamento delle condizioni di vita delle donne.

Lottare contro la violenza sulle donne significa rivendicare:

- L’annullamento delle leggi di precarizzazione del lavoro, a cominciare dal Jobs Act, che ci espongono ai ricatti sociali e sessuali, dalla perdita del lavoro per la maternità, alle molestie sessuali: vogliamo il ripristino totale dell’art. 18 e la sua estensione a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori, la ripartizione del lavoro esistente fra tutti e tutte con la riduzione dell’orario di lavoro a parità di paga.

- Un salario garantito a chi è in cerca di occupazione, contro ogni forma di reddito di autodeterminazione o di cittadinanza, che slegato dalla condizione lavorativa non garantisce autonomia, ma al contrario prospetta maggiori probabilità di rinchiudere le donne nell’ambiente domestico.

- La cancellazione delle controriforme sulle pensioni, che erodono i nostri tempi di vita, e il ritorno al sistema pensionistico retributivo.

- L’eliminazione dei tagli ai servizi sociali legati alla cura e della pratica della sussidiarietà privata, che aggravano sulle spalle delle donne i carichi del lavoro di cura. La prospettiva deve essere quella della socializzazione del lavoro di cura.

- L’eliminazione di tutte le leggi securitarie che legittimano la violazione dei diritti delle donne migranti e di fatto le pratiche di violenza diffusa nei loro confronti.

- La ricostituzione dei consultori pubblici per le donne, gestiti dalle utenti e dalle tecniche, per un controllo delle decisioni sul nostro corpo nelle nostre mani: vogliamo l’abolizione dell’obiezione di coscienza e il libero e gratuito accesso all’interruzione di gravidanza e alla contraccezione.

- Vivere libere dall’oscurantismo religioso, liberate cioè dai privilegi e dal potere reazionario della Chiesa cattolica e della CEI: aboliamo il Concordato! Basta 8x1000! Basta insegnamento religioso nella scuola pubblica!

Antipatriarcali! Anticlericali! Anticapitaliste!

Partito Comunista dei Lavoratori - Commissione contro le oppressioni di genere