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Sul TAV Il Corriere batte Il Fatto 4-0

Il M5S capitola al TAV. Segue, a ruota, la capitolazione del Fatto Quotidiano, il giornale più stellato e grillino, nel firmamento poco luccicante della “libera” stampa nazionale.

La giravolta sul TAV dei Cinque Stelle non è solo istruttiva sul piano politico, insegna anche molto su quello giornalistico. Infatti, mentre il Corriere della Sera legge in maniera impeccabile la vicenda, il FQ sprofonda in pieno analfabetismo politico. E tutto questo avviene in contemporanea, giovedì 25 luglio 2019.

Il Corriere affida l’analisi della vicenda al massimo della precisione liberale di Massimo Franco, mai così gaudente:

L’idea che la rivolta del M5S sulla TAV sia uno strappo contro di lui (Conte, nda) va ridimensionata. È, almeno in parte, una sceneggiata. Certamente esiste una componente del Movimento che non vuole staccarsi dall’estremismo dei no TAV; e che usa il «sì» di Conte per attaccare Di Maio. Ma l’esigenza del vicepremier grillino è soprattutto quella di mascherare il proprio voltafaccia; e di affidare al Parlamento la decisione finale. Non a caso, seppure ambiguamente, Beppe Grillo lo «copre» (benedicendo la democrazia borghese, che in Italia al momento è la democrazia tanto detestata di Lega-FdI-FI-PD, chiamati ora a votare pro TAV per conto del M5S, nda). (“L’isolamento del Premier dagli alleati promette di essere un passo avanti” - Corriere della Sera, pag. 6, ripreso dalla prima).

Sentite invece cosa riesce a dire il più grande sbirro travestito da giornalista sul FQ, non in prima pagina, troppo grosso lo smacco, ma nel mezzo, quasi nascosto per la vergogna, a pag. 13, in una mesta risposta a Monica Frassoni, presidente dei Verdi europei. Mentre la presidentessa mette in guardia dallo scaricare la colpa su Lega-FdI-FI-PD e su tutto l’arco parlamentare del Partito degli Affari, accollandola giustamente in toto all’ambientalismo inconcludente, posticcio e disinformato del M5S, incapace con oltre il 30% di voti di «avviare subito un dibattito sui fatti» e di «creare le condizioni per una narrativa alternativa a quella del mito della TAV», Travaglio così difende i suoi beniamini:

[...] i cinque stelle hanno molte colpe, ma sul TAV - non avendo la maggioranza assoluta né al governo né in Parlamento né tantomeno in Europa - potevano fare ben poco più di un’altra melina di qualche mese. Che mi dici invece della cosiddetta sinistra italiana, che dovrebbe essere ambientalista e invece finge di esserlo solo quando deve travestirsi da Greta? E che hanno fatto le sinistre e gli ambientalisti europei per fermare il TAV? Quando il Partito degli Affari è così potente, pervasivo e totalizzante, anche nel mondo della cosiddetta informazione, è difficile contrapporgli una “narrazione” alternativa. Si può solo predicare nel deserto, come San Giovanni il Battista, che infatti finì decollato.(“TAV, le “colpe” di chi predica nel deserto”, botta e risposta tra Frassoni e Travaglio, Il Fatto Quotidiano).

In queste quattro righe, tutto lo smarrimento e tutta la pochezza del sedicente giornalismo indipendente, autofinanziatosi per niente. Se prima, per farsi pubblicità, lo slogan adottato come simbolo di serietà era “prima i fatti, poi le opinioni”, ora al momento del dunque, la linea del FQ si capovolge nel suo opposto: prima le interpretazioni-opinioni e poi forse, blandamente, in maniera sfumata e alquanto bislacca, i fatti.

Per la stampa borghese che sa cosa vuole e ne ha pienamente coscienza, il voto in Parlamento è la sceneggiata di Di Maio per coprire la sua capitolazione al TAV; per quella piccolo-borghese che non sa ancora da che parte è girata, è la strenua difesa finale dell’ultimo avamposto dei predicatori solitari e controcorrente nel deserto. Non si capisce per quale ragione Di Maio non possa far niente, in quanto “povero”, solo e in minoranza, mentre Verdi Europei e sinistra, ancora più soli e in minoranza di lui, possano invece fare chissà quali sfracelli. Ma tant’è, quando si perde la testa non c’è limite alle fesserie che si possono concentrare in cinque righe. Sfugge sopratutto a Travaglio che, di norma, chi predica nel deserto non sta al potere, e che non si è mai visto il potere decollare chi lo sostiene, tanto più che per essere decollato ci vuole almeno una testa, e se Di Maio per caso ce l’ha, non ce l’ha certo sul collo. Decollare Di Maio sarebbe quindi fatica sprecata, visto che alle elezioni europee si è già mezzo decollato da solo. È inutile perdere tempo a decollare uno che al prossimo giro elettorale sparirà dall’orizzonte per il resto dei suoi giorni.

Di Maio, in ogni caso, non predica affatto nel deserto, tutt'al più sarà sepolto nella sabbia dai suoi sostenitori, quando il giorno delle elezioni, scornati da tutti questi tradimenti, gli daranno il ben servito togliendogli l’appoggio. Fino ad allora, che lui si immagina il più tardi possibile come tutti i condannati al patibolo, Di Maio per Travaglio sarà la reincarnazione di San Giovanni decollato, martire del TAV. Perché se il PD dice di essere ambientalista, finge sicuramente, bisogna perciò sbugiardarlo senza pietà, ma se finge il caro “Giggino”, cinto d’aureola com’è, non bisogna stare ai fatti ma credergli sulla parola.

Essendo uscito vincitore il profitto della grande borghesia, il Corriere non ha bisogno di barare attraverso la sua ideologia mistificatrice. Deve invece barare la piccola borghesia intellettuale, quella che aveva dipinto i cinque stelle come gli alternativi onesti ai profittatori più disonesti. Di qui l’insistenza, ai limiti del misticismo, sui cinque stelle lasciati soli contro i poteri forti. Serve a mascherare in qualche modo il fallimento completo della propria analisi.

Sarà poi vero che col 32% in Parlamento si può fare poco o niente? Innanzitutto, se è vero, perché i cinque stelle non lo han detto subito? L’hanno scoperto adesso insieme al FQ di non avere il 51%? Inoltre, per l’abc della democrazia, anche quella borghese, il 32% rappresenta una minoranza parlamentare se si sta all’opposizione, non al governo. Se invece si sta al governo, rappresenta il favorevole rapporto di 2 a 1 rispetto al partito di coalizione con cui si sta in maggioranza. Anche così, le cifre dicono che il M5S avrebbe potuto portare a casa molto, e certamente più della Lega. È accaduto l’esatto opposto. La Lega, il partito dell’Ordine, che ha usato l’abolizione della riforma Fornero più per propaganda che per reale convinzione, ha ottenuto tutto del suo vero programma, quello del razzismo e della guerra preventiva contro i poveri e contro tutti quelli che lottano per migliori condizioni e diritti. Il M5S non ha ottenuto altro che appoggiare la Lega. Zero assoluto praticamente su tutto il resto. Come è stato possibile?

Evidentemente il problema non è essere maggioranza o minoranza, specialmente quando si vorrebbe fare la seconda tenendo i piedi ben saldi nella prima. Il peso politico di un 32% dipende soprattutto da come viene usato. Di Maio avrebbe potuto ottenere moltissimo se si fosse appoggiato al 32% degli elettori, chiamandoli in piazza e mobilitandoli per il programma del M5S. Ma per quanto ambiguo e annacquato fosse, il programma a cinque stelle non era il suo. Il programma di Di Maio era sfruttare la spinta elettorale per governare a qualunque costo per conto della borghesia. È per questo che molto prima delle elezioni, per mesi e mesi, ha fatto il giro delle sette chiese dei poteri forti per rassicurarli che non li avrebbe toccati. E di conseguenza, per il suo scranno, l’unica possibilità era toccare e abbattere il programma delle cinque stelle, cosa puntualmente avvenuta, anche se per Travaglio è avvenuta contro i poteri forti, non in loro ossequio.

Così abbiamo avuto l’ennesima conferma di quel che già sapevamo: solo due classi possono comandare, borghesia o proletariato. E il piccolo-borghese presuntuoso che si intrufola tra i due convinto di essere l’ago della bilancia andrà al governo per applicare fedelmente il programma della borghesia, la classe più forte, concedendosi al massimo, come specchietto per le allodole del Fatto Quotidiano, di votare contro il TAV di Lega-FdI-FI-PD, purché passi il TAV di Lega-FdI-FI-PD e del M5S al governo!

Dalla promessa di cambiamento siamo tornati, insomma, all’opposizione modello Turigliatto.

A corollario di questa ignobile farsa, la vicenda ci dice che la legge delle sole due classi al potere vale anche per la stampa. Non esiste una stampa piccolo-borghese indipendente dalla grande stampa filopadronale. Il FQ può autofinanziarsi finché vuole, quando i nodi verranno al pettine si accoderà mestamente al Corriere, alzando pietosamente bandiera bianca. Proletariato permettendo, TAV doveva essere e TAV sarà: per capitolazione dice il Corriere con lo scalpo di Di Maio in mano; perché in minoranza come sono i cinque stelle, non si poteva fare altro che melina inconcludente, dice il FQ con lo scalpo di Travaglio che si è scotennato da solo!

Al momento della verità, dunque, anche per quanto riguarda la stampa, a quella padronale non c’è che una sola controinformazione possibile, quella del proletariato cosciente, la stampa marxista, l’unica stampa che non si inchinerà mai di fronte al fatto compiuto, perché è indipendente anche dalle interpretazioni illusorie dei fatti piccolo-borghesi.
Lorenzo Mortara

Il TAV passa sulle rotaie a 5 stelle

25 Luglio 2019 - La svolta annunciata dal Presidente del Consiglio a favore del TAV Torino-Lione è una pietra tombale sulla pubblica credibilità del M5S. Il tentativo di Di Maio di salvare la faccia con un no di bandiera in Parlamento serve solo a coprire la scelta di restare al governo nonostante il Sì TAV. Una recita squallida e penosa che può ingannare solo gli imbecilli. 

La verità è che il M5S ha scelto di sacrificare la finzione No TAV alle proprie poltrone di governo.
Avevamo previsto da tempo che questo sarebbe stato lo sbocco del governo Salvimaio, contro tutte illusioni sparse a piene mani anche in ambienti della sinistra sul possibile ruolo progressivo del M5S. Ora parlano i fatti. E i fatti sono definitivi. Dopo il voltafaccia su TAP, il voltafaccia su TAV. Il M5S dà la propria benedizione all'opera infrastrutturale che da decenni è invocata dal padronato, dalla sua stampa, dai suoi comitati d'affari, da tutti i loro partiti (PD, Lega, FI, FdI...), e naturalmente dalla Unione Europea. Un'opera nociva dal punto di vista ambientale, socialmente inutile e costosa, utile solo per i profitti dei capitalisti.

Il recente ingresso del M5S nella nuova maggioranza di governo in Europa in cambio (pare) della propria ammissione al gruppo parlamentare liberale, ha contribuito sicuramente al voltafaccia. Ma la ragione prevalente è la salvezza ministeriale di Di Maio, pronto a tutto (ma anche al suo contrario) pur di restare al governo. Oggi in compagnia di Salvini, domani chissà. Ciò che conta è l'immancabile cravatta da ministro e le sue posture sorridenti da televendita. Il resto è dettaglio. Il TAV era da tempo un fastidioso ingombro per le sue ambizioni. Oggi l'ingombro è rimosso.

Da notare il risvolto politico della faccenda. Conte si è mosso con l'astuzia di un avvocato di provincia che gioca a fare la nuova riserva della Repubblica, tra i plausi della grande stampa, l'avallo del Quirinale, il gioco di sponda con le cancellerie europee. A tutti costoro il Presidente del Consiglio aveva promesso da tempo il bottino agognato del TAV, quale prova di affidabilità istituzionale e di un ruolo autonomo nella maggioranza. Ma per recitare la parte sino in fondo e portare a casa il risultato a Conte mancava il lasciapassare 5 Stelle. Ora il lasciapassare è arrivato, e Conte ha giocato la carta della “svolta”, guarda caso, proprio alla vigilia del dibattito parlamentare sul Russiagate e del confronto decisivo sulle autonomie. Con l'obiettivo di fornire a Salvini un argomento in più per continuare a sostenere il governo, e di aiutarlo a reggere le pressioni contrarie dei suoi governatori di Lombardia e Veneto. Il M5S ha svolto in tutto questo il ruolo dello zerbino. Ma uno zerbino consapevole, cinico, determinante.

Ora il governo, compiuta la svolta, andrà giù pesante. Il Ministro degli Interni in divisa di polizia ha già annunciato che “non verranno tollerate resistenze alle decisioni democratiche della legge”. È l'annuncio del pugno di ferro in Val Susa e non solo, un pugno di ferro già praticato in questi anni da ambienti diversi della magistratura, e che ora verrà ulteriormente inasprito.

Contro il TAV, contro il governo che lo propugna, contro tutti i partiti che lo sostengono, M5S incluso, è il momento dell'opposizione e della mobilitazione.
La linea politica dello scontro è oggi ancor più chiara di ieri. Da un lato si dispiega il fronte unico dei sostenitori capitale, siano essi liberali o reazionari, che destinano altri miliardi di soldi pubblici, pagati dai lavoratori e dalle lavoratrici, alla torta di un grande affare privato. Dall'altro lato va costruito il fronte unico di tutti i suoi oppositori, a partire naturalmente dal movimento No TAV della valle, ma con l'obiettivo di allargare il campo di gioco. Un fronte chiamato ad un'opposizione determinata, tenace, di massa, capace di intrecciare le ragioni No TAV alle ragioni di milioni di salariati sul terreno della lotta di classe, e per un'alternativa di società.

Con questa posizione il PCL parteciperà alla grande manifestazione indetta dal movimento No TAV in Val di Susa sabato 27 luglio.

NO AL TAV E A TUTTI I PARTITI CHE LO SOSTENGONO O LO AVALLANO!
PER UNA ALTERNATIVA DEI LAVORATORI E DELLE LAVORATRICI!
Partito Comunista dei Lavoratori

Sciopero dei trasporti. Per una piattaforma senza ambiguità

Appoggio e vicinanza ai lavoratori portuali e marittimi

23 Luglio 2019 - Oggi, 24 luglio 2019, in occasione dello sciopero generale dei trasporti, il Partito Comunista dei Lavoratori vuole far sentire il suo appoggio e la sua vicinanza ai portuali, ai marittimi e a tutti e tutte i lavoratori e le lavoratrici dei trasporti impegnati nella lotta. La crisi sociale, lungi dall’esser finita, continua ad essere scaricata sulla classe lavoratrice mentre padroni, armatori, industriali e speculatori aumentano i loro profitti con l’appoggio, neanche troppo nascosto, dei loro lacché di governo (da quelli del centrosinistra alla Lega e M5S).
La logistica conferma il suo ruolo strategico nella creazione della ricchezza nazionale (+3%) - sia di terra che di mare - nel 2018, a confermare che il paese è un hub logistico fondamentale nel Mediterraneo (il 20% del traffico mondiale di merci). Le grandi compagnie armatoriali e le multinazionali hanno fiutato i possibili vantaggi acquisendo società logistiche terrestri e mettendo marittimi e portuali gli uni contro gli altri attraverso il meccanismo dell’autoproduzione (sfruttando i marittimi al posto dei portuali perché “costano meno”, e viceversa quando i lavori straordinari dei marittimi risultano economicamente più gravosi per il padrone).

I sindacati confederali hanno giustamente indetto uno sciopero generale sull'ampio tema dei trasporti e della logistica, ma le basi e le modalità con cui viene convocato sono inaccettabili. La piattaforma, definita dalle burocrazie senza alcun reale confronto con i/le delegati/e e senza alcun coinvolgimento dei lavoratori e delle lavoratrici, si presenta come un piano di sottomissione della classe lavoratrice agli interessi del grande capitale: difende la grandi opere della speculazione, si limita a richiedere investimenti pubblici e tagli alle tasse a sostegno dei profitti privati, si limita a chiedere più controlli pubblici su appalti, subappalti e mercato del lavoro, non risponde con la dovuta forza agli attacchi alla sicurezza sul lavoro e all'occupazione – dovuta anche alla robotizzazione dei processi di lavoro, ribadisce il tutto dentro una fraseologia padronale per “far ripartire un Paese fermo”.

Sosteniamo senza indugi la necessità di uno sciopero generale, ma la sua piattaforma deve ribadire gli interessi della classe lavoratrice, che sono e saranno confliggenti con quelli degli industriali, degli armatori e con le politiche dei loro governi.

Questa piattaforma non deve esser costruita dall’alto, dalla burocrazia sindacale, relegando i lavoratori e le lavoratrici al ruolo di semplici comparse nelle mobilitazioni: va sviluppata dal basso, con la loro partecipazione e con quella dei delegati e delle delegate, attraverso assemblee in ogni luogo di lavoro. Questa giornata di sciopero, poi, non può rimanere isolata e occasionale, o ancora peggio perdersi nel vuoto (come spesso è avvenuto negli ultimi anni): per avere un senso ed una prospettiva futura, deve svilupparsi in una vertenza generale, in grado in primo luogo di unificare le lotte di tutta la filiera dei trasporti e della logistica, di tutta quella che catena del valore, che ricomprende quindi anche i lavoratori postali e i “riders”.

Questo a maggior ragione in un contesto politico dove il maggior partito di governo di oggi, la Lega di Salvini, mette in dubbio la secolare legge del mare e preferisce speculare sulla pelle di migranti naufraghi disperati, in maniera tale da distogliere le attenzioni della popolazione proletaria dai veri problemi (il lavoro, la casa, le infrastrutture necessarie, i sevizi pubblici) che questo governo non vuole risolvere poiché non è nell’interesse dei suoi reali padroni: la piccola borghesia e la Confindustria.

Proprio per questo lo sciopero ed il conflitto dei lavoratori e delle lavoratrici dei trasporti e della logistica oggi dovrebbe avere al centro:

- Nazionalizzazione delle banchine portuali ed estromissione degli armatori dalla gestione delle lavorazioni portuali. Blocco incondizionato del fenomeno dell’autoproduzione. No alle AdSP come semplici regolatori del mercato sotto ricatto di armatori e multinazionali, ma strumenti sotto il controllo dei lavoratori per la gestione dei Porti e della logistica portuale

- Riconoscimento di una piena ed effettiva autonomia e precedenza alle Cooperative dei lavoratori del Porto nella gestione dei lavori portuali

- Nazionalizzazione sotto controllo dei lavoratori e delle lavoratrici di tutti i settori della logistica, dei trasporti, delle infrastrutture e dei porti. Contro il modello delle concessioni e dell'ulteriore spezzettamento con l'autonomia differenziata

- Riconoscimento del lavoro usurante per marittimi e portuali e controllo dei lavoratori sulle norme e sulle procedure di sicurezza

- Abrogazione dell’alternanza scuola-lavoro per le carriere iniziali della Marina mercantile. La formazione per i lavoratori sia a carico di armatori e aziende

- Blocco del sistema di appalti e subappalti in tutti i settori della logistica e trasporti, terreno di proliferazione di sfruttamento incontrollato, truffe ai lavoratori, organizzazioni mafiose e false cooperative

- Blocco delle grandi opere del profitto, incompatibili con il diritto alla mobilità, alla salute e alla salvaguardia dell'ambiente. Per opere di ammodernamento, adeguamento e sviluppo dell'intermodalità, nel rispetto dell'ambiente e della salute

- Riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, per combattere la precarietà e il taglio dei posti di lavoro – connesso a maggiori profitti per i padroni – legati all'automazione e alla robotizzazione dei porti e della logistica


Con i marittimi ed i portuali nella difesa del posto di lavoro e per l'ottenimento di migliori condizioni di vita!

Con i marittimi ed i portuali nella lotta quotidiana per chiudere i porti a sfruttatori, armi e razzisti, e aprire i porti a lavoratori e migranti!

Per un governo dei lavoratori e delle lavoratrici! Solo la rivoluzione cambia le cose!
Partito Comunista dei Lavoratori

Francia. Terminato con successo lo sciopero dei postini del 92° dipartimento

Dopo quindici mesi di sciopero permanente, la dura lotta dei postini del 92° dipartimento francese (periferia nord-ovest di Parigi, con capoluogo Nanterre) si è chiuso con successo. Il nostro sito ha riportato regolarmente le informazioni su questa battaglia di classe diretta, tramite il sindacato SUD, dai nostri compagni della tendenza Anticapitalisme et Revolution del Nuovo Partito Anticapitalista (NPA), che nei limiti delle nostre forze abbiamo sostenuto concretamente.
Riproduciamo qui di seguito il comunicato sulla conclusione della lotta emanato dal sindacato SUD-Poste del 92° dipartimento, di cui è segretario il nostro compagno Gaël Quirante.


Comunicato del 2 luglio

La firma di un protocollo di accordo segna la fine di una lotta esemplare di 15 mesi delle postali e i postali del 92° dipartimento.
Ieri, lunedì 1 luglio, dopo 463 giorni di sciopero, la direzione delle Poste e la nostra organizzazione sindacale hanno firmato un protocollo di fine conflitto. I 150 lavoratori in sciopero (20% degli effettivi delle postine e dei postini del dipartimento) ricominceranno a lavorare giovedì 4 luglio 2019.
Usciamo più forti da questo storico conflitto, nel quale non ci siamo mai arresi.

Lo sciopero svela un furto di tempo di lavoro su larga scala

La nostra mobilitazione è infatti riuscita ad evidenziare a livello nazionale la sottrazione del tempo di lavoro portata avanti dalle Poste: come è stato indicato dall’inchiesta di Libération del 25 giugno 2019, gli algoritmi utilizzati per calcolare il carico di lavoro dei 70.000 postali del paese sono completamente sfasati rispetto alla realtà dei luoghi di lavoro. Le postine e i postini francesi e i loro solidali hanno ora la possibilità di servirsi di questo come punto di appoggio per rimettere in discussione i piani di tagli di posti di lavoro, di settori e della qualità del servizio messi in atto dalle Poste. Ne discuteremo ampiamente con la nostra federazione e con tutti i collettivi militanti che hanno a cuore la difesa dei postini e del servizio pubblico.

Dei piani di soppressione di posti di lavoro respinti

I piani di soppressione di posti di lavoro previsti per gli uffici postali in sciopero sono stati rimandati fino a gennaio 2021. Così, inoltre, degli uffici come quelli di Asnières o di Levallois continueranno a non subire tagli dei turni, che non si verificano dal 2010; allo stesso modo quelli di Clichy o di Gennevilliers, che non ne hanno dal 2011... Più di dieci anni senza riorganizzazioni quando il tempo che intercorre fra due progetti di riorganizzazione altrove in Francia è di due anni.
Le Poste ammettono così che non potranno dare seguito a riorganizzazioni, come minimo, per un periodo che, in funzione degli uffici, può estendersi fino al 2021. Al termine di questo periodo, la disputa circa la fondatezza di queste ristrutturazioni aziendali resta, e per la nostra organizzazione sindacale è inconcepibile approvare questi progetti e il metodo usato per porli in essere.

Niente interruzione meridiana

Per la maggior parte degli uffici in questione, a partire da adesso abbiamo già ottenuto che l’interruzione meridiana, i turni di distribuzione ulteriori e gli altri dispositivi che implicano lo smantellamento del mestiere di postino resteranno nel dimenticatoio per anni. Il nostro movimento ha così provato che era possibile tenere testa ai maggiori datori di lavoro del paese dopo lo Stato. L’ufficio di Boulogne, la cui riorganizzazione è rinviata come minimo a maggio 2020, non sarà investito né dell’interruzione meridiana né dalla messa in atto dei turni di distribuzione ulteriori, proprio come l’ufficio di Levallois- Perret (nessuna riorganizzazione prima di marzo 2020) e di Asnières (nessuna riorganizzazione prima di gennaio 2021).

142 assunzioni a tempo interminato

A seguito dello sciopero si sono inoltre ottenuto 142 assunzioni a tempo indeterminato di lavoratori interinali, di cui 70 nel 2019: assunzioni in quantità, e una riduzione della precarietà. Si tratta di un avanzamento duplice da mettere sul conto dello sciopero. All’inizio queste risorse sono state assunte per provare a controbilanciare gli effetti dello sciopero… che però ha finito per ottenere la conservazione di questi posti di lavoro!

Una svolta in materia di diritto sindacale

Lo sciopero ha ugualmente strappato un avanzamento che costituirà un precedente giurisprudenziale in ambito di diritto sindacale: la possibilità per un rappresentante sindacale (qui il nostro segretario Gaël Quirante) di continuare ad intervenire nell’azienda dalla quale è stato licenziato evidenzia una svolta che non chiede che di essere ripresa in altri settori del mondo del lavoro. Se un esempio di tale portata si sistematizzasse, i padroni rifletterebbero due volte prima di licenziare un rappresentante sindacale.

Cassa di resistenza e sostegno esterno sono stati decisivi

I lavoratori in sciopero hanno inoltre ottenuto delle condizioni di ripresa del lavoro che garantiscono loro il versamento di una somma pari a 4000 euro netti dalla fine di luglio per quelle e quelli che hanno scioperato tutti i giorni della mobilitazione.
La cassa di resistenza delle postine e dei postini del 92° dipartimento è la più importante che sia stata mai realizzata nel paese. Ritorneremo più in dettaglio su questo, che è stato cruciale per portare avanti il braccio di ferro con la direzione del Gruppo La Poste.
Ringraziamo calorosamente l’insieme delle organizzazioni sindacali, politiche e associative che ci hanno sostenuto. Senza questo supporto, non saremmo stati in grado di resistere. In particolare il comitato di solidarietà allo sciopero ha giocato un ruolo decisivo nell’ottenimento di tutto ciò.

Di fronte allo sciopero, le Poste hanno dovuto indietreggiare

All’inizio del conflitto, l’obiettivo delle Poste era di spezzare le reni al nostro sindacato e di porre un freno alla combattività che esso incarnava a livello delle postine e dei postini del 92°. Ha subito una sconfitta: la nostra organizzazione sindacale, gli scioperanti e la strategia di raggruppamento degli uffici, dei settori e dei fronti di lotta che ha portato avanti escono da questo conflitto storico rafforzati.
Che la nostra determinazione dia forza ad altri! Perché di fronte alla barbarie di questo mondo, è ora di riunire tutte le mobilitazioni.
Che siano i nostri compagni di Geodis Genneviliers alle prese con la repressione, i medici del pronto soccorso che si battono per la salute di tutte e tutti, il personale del mondo dell’istruzione in sciopero dell’esame di Stato, i gilets gialli la cui determinazione è contagiosa, i/le militanti dei quartieri popolari che non si rassegnano di fronte alle violenze della polizia, o le capitane che hanno soccorso dei migranti rischiando la loro libertà personale: uniamo le nostre resistenze, colpiamo insieme in vista di una controffensiva globale del mondo del lavoro e dei giovani!




Articolo di Libération


Video
Partito Comunista dei Lavoratori - Commissione internazionale

ANTIFASCISTI SEMPRE, DENTRO E FUORI I POSTI DI LAVORO


Con questa parola d’ordine il prossimo 26 luglio, alle ore 10,30 saremo davanti al Comune di Casalecchio di Reno per manifestare solidarietà attiva a Giusi, convocata dal Comune di Casalecchio di Reno per un procedimento disciplinare avviato dopo la sua partecipazione alla manifestazione antifascista del 20 maggio a Bologna contro il comizio di Forza Nuova.

Il Comune di Casalecchio, tramite l’ufficio disciplinare con cui è convenzionato, ha deciso di avviare questo procedimento solo dopo che alcuni esponenti istituzionali delle formazioni di destra hanno rivelato pubblicamente l’identità e il lavoro di Giusi, chiedendo contestualmente al Comune “una condanna esemplare”

Una decisione tutta politica, per la quale utilizzano strumentalmente il decreto Severino, una norma nata per contrastare la corruzione e le clientele nella pubblica amministrazione, imputandole di “nuocere all'immagine dell’amministrazione” comunale. Un accusa tanto generica quanto discrezionale.
In questo modo attaccano la libertà di espressione anche al di fuori dell’ambito lavorativo; un attacco ai diritti fondamentali di tutti i lavoratori, una ulteriore forma di repressione che serve per colpire tutti coloro che alzano la testa o che vengono reputati scomodi dal politico o dal dirigente di turno.
Un precedente che, se confermato, aprirà la strada ad un possibile controllo oltre che di carattere sociale, alla vita privata di ogni singolo lavoratore pubblico da parte dei propri datori di lavoro.
Praticare l’antifascismo fuori e dentro i posti di lavoro non può essere considerato un “crimine” ancora di più in questa Fase storica che registra, negli ultimi anni, un’avanzata delle politiche autoritarie ed antisociali.
L’antifascismo è un valore fondante la nostra Costituzione e deve rappresentare la linea guida per ogni amministrazione pubblica oltre che per ogni cittadino.
Invitiamo tutte e tutti a solidarizzare con Giusi.


PRIME ADESIONI

SGB Sindacato Generale di Base
CUB Confederazione Unitaria di Base
Confederazione COBAS - Bologna
RSU Fabio Perini - Casalecchio di Reno
Unione Inquilini - Bologna
Il sindacato è un’altra cosa CGIL - Bologna
USB - Bologna
RSU Cgil Euganea 6 - Padova

Associazione Bianca Guidetti Serra
Paolo Brunetti - editore

Partito della Rifondazione Comunista federazione - Bologna
Partito Comunista dei Lavoratori - Bologna
Partito Comunista Italiano - Bologna
Patria Socialista - Bologna
I/le Giovani Comunisti/e dell'Emilia-Romagna

PER ADESIONE SCRIVERE A - bologna@sindacatosgb.it


Info: Sindacato Generale di Base Bologna - Home /Facebook

https://www.sindacatosgb.it/it/appello-per-giusy

FIRMA LA PETIZIONE:
http://chng.it/W6jDL4JWsz

Di seguito l'O.d.g. approvato dal Comitato Centrale del Partito Comunista dei Lavoratori

Il Comitato Centrale del Partito Comunista dei Lavoratori esprime totale solidarietà a Giusi Russo, lavoratrice delegata RSU del Comune di Casalecchio di Reno (BO), soggetta a procedimento disciplinare da parte dell'Amministrazione pubblica comunale. Giusi Russo è "colpevole" di avere manifestato e protestato contro il comizio del fascista Roberto Fiore. Quel giorno in migliaia furono gli antifascisti (lavoratori, studenti, militanti sindacali, dell'ANPI e delle organizzazioni politiche) a manifestare a Bologna contro il comizio della teppaglia nera, oltretutto tenutosi nonostante il divieto del sindaco. Giusi viene sottoposta a procedimento disciplinare perché è stata riconosciuta nelle foto e in un filmato da consiglieri comunali di destra, e denunciata al dirigente del suo settore di lavoro per violazione del codice etico dei dipendenti pubblici, in osservanza della Legge Severino. Giusi non è stata coinvolta in alcun incidente di piazza, tanto che, fermata, non è stata neanche identificata dalla Digos. Si può dire quindi che la sua colpa è stata quella di avere manifestato contro i fascisti fuori dall'orario di lavoro. I casi di repressione contro la libertà di espressione stanno aumentando in modo preoccupante: dalla maestra di Torino, al tecnico dell'università di Torino, alla insegnante di Palermo. La criminalizzazione del dissenso nella Pubblica Amministrazione va avanti assieme alle proposte di controllo dei dipendenti attraverso le impronte digitali e la geolocalizzazione. Il PCL, nell'esprimere solidarietà a Giusi, parteciperà a tutte le iniziative che SGB, il suo sindacato di appartenenza, deciderà in sua difesa.

13-14 luglio 2019

Partito Comunista dei Lavoratori

Landini & Salvini

I burocrati sindacali fanno tappezzeria a una cerimonia della Lega - Il punto non è se Salvini invita i sindacati alla corte del ministero degli interni. Il punto è se i sindacati ci vanno. 


L'incontro di ieri non era affatto un incontro negoziale tra governo e sindacati. Era l'incontro voluto dalla Lega con sindacati e padronato, a esclusivo interesse politico della Lega (e dei padroni). Evidenti gli obiettivi: consolidare l'immagine di Salvini come Presidente del Consiglio in pectore, rafforzare la Lega nell'equilibrio negoziale con Di Maio, distrarre l'attenzione dai rubli russi, coprire con un abito “sociale” il ruolo di sceriffo reazionario, ribadire l'asse della Lega col padronato del centro-nord. In altri termini: rafforzare il peso politico e istituzionale del ministro degli interni quale baricentro dello scenario nazionale, lo stesso ministro degli Interni in divisa di polizia che vuole costruire un regime orbaniano in Italia.

Che Confindustria e associazioni padronali siano accorse all'invito di Salvini è comprensibile: hanno omaggiato il loro principale referente oggi, e il possibile capo del (proprio) governo domani, cogliendo lo spunto oltretutto per ricordare alla Lega le sue promesse. Ma che ci faceva a quel tavolo Maurizio Landini? Fare tappezzeria alla cerimonia imbandita dal ministro degli interni più reazionario dell'ultimo mezzo secolo non è stato forse un passaggio penoso?

Penoso, ma non casuale. Se i padroni vanno da Salvini, meglio seguirli per evitare malintesi. È la linea del "patto per la fabbrica", già inaugurato con l'appello congiunto tra burocrazie sindacali e Confindustria in occasione delle elezioni europee, con la celebrazione dell'accordo Ilva, con la richiesta comune di una riduzione del cuneo fiscale, a spese dell'erario e a tutela dei profitti. Confindustria usa la burocrazia sindacale per battere cassa. La burocrazia si riduce a zerbino di Confindustria. La presenza di Landini al tavolo di Salvini è il risvolto indiretto di questo patto.

È paradossale: il governo Salvini-Di Maio non vuole e non può negoziare realmente con la burocrazia sindacale, perché non può esporre a interferenze esterne il fragile equilibrio di maggioranza tra Lega e M5S. In compenso la burocrazia sindacale non solo non sviluppa una mobilitazione reale contro il governo, fosse pure sulla propria piattaforma fantasma, ma è disposta a far regali di immagine al suo ministro più reazionario pur di proteggere il proprio patto coi padroni.

Matteo Salvini si serve anche della pavidità di burocrati da tappezzeria.
Lavoratori, donne, migranti sapranno chi ringraziare.
Partito Comunista dei Lavoratori

I Benetton in Alitalia. Di Maio e i "prenditori" di un anno fa

«Basta con i prenditori! Questo governo non sarà più l'amico dei Benetton, come i governi del passato!». Così tuonava un anno fa, dopo il crimine del Ponte Morandi, il neoministro Luigi di Maio. Un anno dopo ai Benetton – tramite la controllata Atlantia – viene offerto l'ingresso in Alitalia col 35% delle quote. Un vero affare. I Benetton già controllano Aeroporti di Roma SpA, che gestisce gli scali di Fiumicino e Ciampino. Ora si assicurano una posizione di controllo della nuova Alitalia. Dunque i Benetton influiranno sulle scelte della nuova compagnia che pagherà le tariffe... ai Benetton quali controllori degli scali. Niente male per “i prenditori criminali” di un anno fa. Peraltro Il Sole 24 Ore rivela che i Benetton hanno già anticipato agli altri azionisti (Ferrovie, Delta Airline, Tesoro) che occorrerà rivedere il piano industriale di Alitalia aumentando i tagli ai posti di lavoro. Tre mesi fa Salvini e Di Maio giuravano che nessun posto di lavoro sarebbe stato toccato. Da due settimane si annunciano esuberi per 2000 unità. Ora i Benetton chiedono di estenderli ulteriormente...

Ma non è tutto. Il quotidiano di Confindustria rivela, su segnalazione di «due fonti autorevoli», che è stato aperto un tavolo con Atlantia (cioè i Benetton) presso il Ministero di Infrastrutture e trasporti (Toninelli) attorno al tema di Autostrade per l'Italia (controllata da Atlantia). «Questa indiscrezione non trova conferme ufficiali ma merita di essere riferita per l'autorevolezza delle fonti che l'hanno segnalata», recita un quotidiano in genere molto prudente. Se così è, si tratta di un fatto clamoroso, con una sola possibile interpretazione: i Benetton hanno accettato di entrare in Alitalia in cambio di un negoziato sulla concessione di Autostrade. In cambio cioè della disponibilità del governo a indietreggiare sulla revoca della concessione. Peraltro è del tutto evidente che l'ingresso dei Benetton in Alitalia li pone in una posizione negoziale molto più forte su tutta la scacchiera dei propri interessi.

Le acrobazie truffaldine dei 5 Stelle sono dunque davvero grottesche. Appena due settimane fa Luigi di Maio escludeva l'ingresso di Atlantia nel capitale Alitalia perché la revoca della concessione su Autostrade l'avrebbe trasformata in una “azienda decotta”. Ora l'azienda... decotta non solo si prende Alitalia ma negozia pure la permanenza in autostrade in cambio (pare) di una riduzione dei pedaggi.

Un anno fa dicevamo, controcorrente, che anche questo governo si sarebbe rivelato, come ogni governo, un comitato d'affari dei capitalisti. Un anno dopo tutti i conti tornano. A partire appunto da quelli... degli azionisti.
Partito Comunista dei Lavoratori

Assemblea nazionale contro l'autonomia differenziata

Intervento del PCL - Domenica 7 luglio a Roma, nell’aula magna del Liceo Tasso, si è tenuta un'assemblea nazionale contro il progetto della cosiddetta “autonomia differenziata”, promossa da alcune organizzazioni della scuola con l’adesione di diverse tendenze e organizzazioni sindacali classiste, comitati locali, partiti politici della sinistra (PRC, PCL, PCI...). L’assemblea si è svolta lungo l’intera giornata e ha visto una partecipazione di circa 200 persone, in un clima combattivo. Dall’assemblea è scaturita l’indicazione di una campagna contro il progetto del governo, con la formazione di comitati unitari di scopo, su scala nazionale e locale, e un pubblico appello ai sindacati per l'organizzazione di una grande manifestazione a Roma. L’assemblea si è riconvocata nazionalmente per il 29 settembre. 


Questo è l’intervento del compagno Marco Ferrando, in rappresentanza del Partito Comunista dei Lavoratori:

Assemblea nazionale contro l'autonomia differenziata


Il bilancio di Tsipras

In Grecia le elezioni politiche, come già le precedenti europee, confermano la legge fisica della lotta di classe. Come disse l'avvocato Agnelli: occorrono a volte governi di sinistra per fare le politiche di destra. Salvo aggiungere che per questa stessa ragione è la destra che poi ritorna in sella.

Il partito Nuova Democrazia, la tradizionale destra greca, era un partito con le ossa rotte prima dell'esperienza Tsipras, travolto assieme al PASOK dal crollo di credibilità dei vecchi partiti di governo. Il crollo dell'economia greca, il lungo calvario dei memorandum, l'esperienza della crudele austerità dettata dalla troika, avevano sospinto dopo il 2008 una potente radicalizzazione del movimento operaio e popolare nel segno del rigetto delle politiche dominanti. L'ascesa elettorale di Syriza dal 4% del 2009 al 36% del 2015 fu semplicemente la registrazione distorta di questa ribellione di massa. Il trionfo dell'oxi contro la troika, con il ripudio del suo ricatto, ne rappresentò il naturale prolungamento. Se la destra oggi è tornata al governo della Grecia è perché quella enorme domanda di svolta è stata clamorosamente tradita. Un tradimento che ha trascinato con sé il riflusso della mobilitazione e della coscienza, a tutto vantaggio della reazione.

I sostenitori italiani di Tsipras, più o meno critici, per ultimo Salvatore Prinzi (Potere al Popolo), dicono che sì, forse Tsipras “ha sbagliato”, ma dopotutto non aveva alternative. Se avesse rotto con la UE «avrebbe fatto la fine di un Allende o peggio di un Masaniello», del resto il popolo non era così radicale come sembrava, ecc. ecc. Non potendo riverire Tsipras nel momento della sua disfatta (come fecero invece nel momento della sua ascesa, seminando illusioni a piene mani), gli intellettuali riformisti assolvono retrospettivamente la sua politica come obbligata, scaricando sulle masse la responsabilità dell'accaduto. In altri termini, il popolo ha in definitiva il governo che si merita; dedichiamoci quindi al piccolo cabotaggio del mutualismo («C'è da togliere illusioni, proponendo allo stesso tempo cose concrete, fattibili»), senza troppi grilli per la testa.

La verità è ben diversa. Dopo sei anni di straordinaria mobilitazione di massa, che aveva distrutto il vecchio sistema politico greco e portato Syriza al governo, l'alternativa c'era. Ma poteva porsi solo sul terreno di una rottura anticapitalista; solo sul terreno di misure che rompessero le compatibilità di sistema (cancellazione del debito pubblico, nazionalizzazione delle banche, esproprio degli armatori); solo sul terreno della costruzione di strutture di autorganizzazione di massa che supportassero queste misure e concentrassero nelle proprie mani il potere. Le classi dominanti greche ed europee avrebbero reagito? Naturalmente. O qualcuno pensa che “il potere del popolo” possa realizzarsi senza resistenze dei capitalisti? Ma la linea di scontro sarebbe stata chiara non solo in Grecia ma su scala continentale. La rottura della Grecia col capitale finanziario che l'affamava avrebbe potuto diventare un fattore di mobilitazione internazionale del movimento operaio, di sviluppo della sua coscienza e di possibile contagio, anche a beneficio dei rapporti di forza nella Grecia stessa. Vittoria assicurata? Solo gli imbecilli possono pensarlo. Ma certo quella era l'unica via possibile per vincere.

Tsipras ha perseguito la via esattamente opposta: la via sicura per condannare alla sconfitta la domanda di svolta che aveva raccolto. La leggenda per cui Tsipras avrebbe voluto il cambiamento ma i rapporti di forza l'hanno impedito è una falsificazione dei fatti. Syriza rappresentava nella sua nascita ed evoluzione un classico soggetto riformista. Ben prima del 2015 Tsipras s'era attivato su scala internazionale alla ricerca di una legittimazione presso gli ambienti dominanti, negli USA e in Europa. Il governo di Syriza con ANEL (un partito reazionario di destra) fu sin dall'inizio, nella sua stessa composizione, un segnale di collaborazione con gli imperialismi europei e con le classi dominanti greche, a partire dagli armatori. Da subito Tsipras ha accettato il piano inclinato del negoziato coi creditori della troika, gli affamatori dei lavoratori greci cui questi si erano ribellati. La capitolazione clamorosa del luglio 2015 fu dunque il destino annunciato di una intera politica. I quattro anni successivi hanno solamente misurato l'enormità del suo prezzo, in termini economici e politici.

Per quattro anni il governo Tsipras ha pagato le cambiali al capitale finanziario mettendole sul conto della popolazione povera di Grecia, proprio come i governi precedenti. “Abbiamo restituito una Grecia coi conti in ordine”, “abbiamo riportato la Grecia in Borsa”, dichiara oggi Tsipras in occasione del passaggio di consegne. Ha ragione. Pensioni tagliate, salari falcidiati, aumento delle imposte indirette, privatizzazioni su larga scala (porti, areoporti, servizi idrici inclusi): i conti sono stati risanati nell'unico modo che il capitalismo conosce. I titoli pubblici greci sono tornati appetibili per i creditori grazie all'umiliazione del debitore. Insomma, un vero banchetto per i capitalisti a spese dei lavoratori e dei disoccupati. E non si tratta di misure una tantum. Tsipras ha assicurato al capitale finanziario la continuità di avanzi primari del 3,5% per gli anni a venire come pegno della propria credibilità, ciò che significa la continuità strutturale dei tagli alla spesa sociale per rassicurare le banche. Del resto le pubbliche lodi dei governi europei al ritrovato “realismo” di Tsipras si sono sprecati in questi anni. E non solo per ragioni economiche. Il governo Tsipras è stato per molti aspetti la soluzione politica migliore per gli imperialismi dell'Unione Europea. Infatti solo un governo come quello di Syriza poteva imporre alla classe lavoratrice la continuità dei memorandum in modo relativamente pacifico, contenendo e disperdendo le resistenze sociali. Laddove aveva fallito la vecchia socialdemocrazia del PASOK è invece riuscita la nuova socialdemocrazia di Syriza. Questo è il vero e unico successo di Tsipras.

Torneremo sulla vicenda greca per approfondirla. Ma certo l'esperienza del governo Tsipras è la documentazione viva del fallimento del riformismo come strumento di emancipazione, sullo sfondo della grande crisi del capitalismo. Razionalizzare questo fallimento è la prima necessaria condizione per costruire una prospettiva alternativa: classista, anticapitalista, rivoluzionaria.
Partito Comunista dei Lavoratori

Jabil di Marcianise (Caserta), ennesima multinazionale che licenzia

Piena solidarietà alle lavoratorici e ai lavoratori della Jabil Circuit Italia dello stabilimento di Marcianise
La lotta di tutti i lavoratori dello stabilimento di Marcianise della Jabil ha la piena solidarietà del PCL.
Non siamo in presenza di un caso isolato. In tutta Italia, nel settore privato come nel settore pubblico stanno dilagando licenziamenti, delocalizzazioni, cessioni di ramo d’azienda, chiusure indiscriminate: i casi Whirlpool, Mercatone Uno, Ilva, Almaviva, Knorr… solo per citare i più recenti.
I padroni fanno ciò che vogliono e il governo regala loro un altro taglio alle tasse nei profitti e regala centinaia di milioni di euro di risorse pubbliche (pagate dai lavoratori) per poi lasciare delocalizzare e licenziare centinaia di lavoratori.
Governi di ogni colore hanno offerto legislazioni favorevoli ai padroni, aventi come unico obiettivo l’attacco al costo e al valore del lavoro: Pacchetto Treu del 1997; Decreto Sacconi 368/2001; legge Biagi 30/2003; riforma Fornero 92/2012; decreto Poletti 78/2014; Jobs Act 81/2015.
Dicevano: meno diritti, più crescita. Abbiamo solo meno diritti, più povertà, più disuguaglianze.
La chiamano pace sociale. È solo la loro pace che consente di continuare a fare profitto sulle spalle dei lavoratori.
È arrivata l’ora di fare pulizia: il lavoro è la questione fondamentale del nostro tempo. Ma se questa offensiva dilaga è perché le tante lotte di resistenza, come quella della Jabil, sono state abbandonate, soprattutto da chi doveva guidare, organizzare ed attuare queste lotte.
Riapriamo una nuova radicale stagione di lotta, unitaria, di tutte le categorie, con la speranza che questa presa di coscienza collettiva possa diffondersi e raggiungere i tanti, i molti che hanno diritto ad un riscatto. Altrimenti non sarà lavoro, ma solo sfruttamento.
Ecco perché rivendichiamo la proclamazione di uno sciopero generale ad oltranza, sostenuto da questo programma:

– Nazionalizzazione senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori di tutte le aziende che delocalizzano, licenziano e che violano i diritti dei lavoratori
– Cancellazione del Jobs act e di tutte le leggi di precarizzazione, ritorno dell’art. 18 e sua estensione a tutti i lavoratori
– Redistribuzione generale dell’orario di lavoro a 32 ore per tutti, pagate 40, con l’introduzione di un salario minimo intercategoriale di € 1,500
– Parità di diritto tra lavoratori italiani e lavoratori immigrati

È pertanto necessario battersi per la prospettiva di un altro modello di società, basato sulla forza dei lavoratori e che risponda alle esigenze ed ai bisogni delle classi lavoratrici, ossia dell’immensa maggioranza della popolazione.
Altrimenti non sarà lavoro, ma solo sfruttamento.
Giovanni Ferraro