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Le ragioni di una opposizione a sinistra

Articolo pubblicato il 27 settembre su il Manifesto - La soddisfazione per la caduta agostana di Matteo Salvini, il ministro più reazionario del dopoguerra, è comprensibile. Chiunque abbia lottato per i diritti degli sfruttati non può che condividerla. Meno comprensibile a sinistra è l'apertura di credito al nuovo governo Conte. Il PD è stato negli anni un partito contrapposto al lavoro. Il voto determinante alla Legge Fornero, che ha spianato la strada a Salvini, lo diede il PD di Bersani. Renzi ha aggiunto al carnet la distruzione dell'articolo 18, ciò che neppure Berlusconi era riuscito a fare. Peraltro proprio Renzi è stato l'attore decisivo della formazione del nuovo governo, e la formalizzazione oggi di Italia Viva ne accresce ulteriormente il peso. Ora, un governo “di svolta” che si regge su Renzi non è già in sé una contraddizione in termini?

Il punto non è la legittimità parlamentare del nuovo governo, ma la sua natura di classe. Il primo voto di fiducia al Conte due non l'ha dato il Parlamento, ma il capitale finanziario, la Borsa, il Vaticano, le cancellerie dell'Unione Europea, il Presidente più reazionario della storia americana. Significa che i poteri forti, nazionali e internazionali, si sentono rassicurati dal ritorno al governo del PD quale partito organico di sistema. Di più: sperano che il PD possa “normalizzare” definitivamente il M5S, ripulirlo delle residue scorie, assimilarlo a un polo liberale stabile. Il voto del M5S a favore di Ursula von der Leyen in sede europea è un passo in questa direzione, come lo sono i negoziati in corso tra M5S e PD nelle regioni.

Peraltro il programma del nuovo governo, al netto di ogni retorica, riflette la sua natura: riduzione del cuneo fiscale con costo zero per i padroni; infrastrutture a tutto spiano; centralità del sostegno, fiscale e finanziario, al made in Italy. Mentre resta il Jobs Act, resta la Buona Scuola, resta la legge Fornero, restano nella loro “ratio” gli stessi decreti sicurezza, già peraltro sulla scia di Minniti. Resta insomma il lavoro sporco condotto dai precedenti governi. L'austerità non è rilanciata solo perché è ereditata. Le direzioni sindacali guadagnano il tavolo di concertazione, ma le ragioni del lavoro stanno dall'altra parte della barricata.

Il sostegno da sinistra al governo Conte, oltre che socialmente immotivato, è disastroso politicamente. Lasciare a Salvini e Meloni il monopolio dell'opposizione significa concimare la loro rivincita. È già avvenuto negli anni '90 e 2000, quando governi di centrosinistra nati “contro la destra”, e sostenuti dalla sinistra “radicale” (da Bertinotti a Rizzo), spianarono la strada due volte al ritorno di Berlusconi, oltre che al suicidio di Rifondazione. Sinistra Italiana pare ripetere, in peggio, la stessa esperienza, per di più con forze assai più marginali.

Credo che l'opposizione al nuovo governo sia l'unica scelta coerente di una sinistra classista. Una opposizione senza ambiguità: non basta dire che il Conte due “non è il nostro governo”, va detto che è un governo del capitale. Su questo terreno credo necessaria la più ampia unità d'azione di tutte le sinistre di opposizione, politiche e sindacali, in funzione della ripresa delle lotte sociali. Non c'è bisogno di (legittime) manifestazioni di partito camuffate da manifestazioni unitarie. C'è bisogno di costruire un'unità d'azione vera, che nel rispetto dell'autonomia di ogni soggetto – politico, sindacale, di movimento – muova dalla chiarezza di una scelta di campo: quello del lavoro, non del capitale.

Marco Ferrando

Il Parlamento europeo anticomunista

23 Settembre 2019 - Dai loschi figuri di Fratelli d'Italia sino a Giuliano Pisapia, passando per Lega, liberali e PD. È l'arco politico dei firmatari italiani di una risoluzione anticomunista votata a larga maggioranza dal Parlamento Europeo con 535 voti a favore contrari, 66 contrari, 52 astenuti. Una risoluzione che pone sullo stesso piano «nazismo e comunismo», invita a rimuovere i «simboli comunisti», denuncia il «totalitarismo comunista». Non è una risoluzione casuale o irrilevante. Dà una sponda alle misure liberticide dichiaratamente “anticomuniste” assunte da regimi reazionari come il regime polacco e quello ungherese, che mettono di fatto fuorilegge ogni formazione che fa riferimento a simboli e idee comuniste. Celebra l'espansione della UE nell'est europeo come espansione della “frontiera della libertà” rivendicando la fedeltà alla NATO come presidio della “democrazia” e della “pace”.

La risoluzione rappresenta a tutti gli effetti un manifesto ideologico degli imperialismi europei nella fase storica delle guerre commerciali e delle nuove contraddizioni mondiali per la spartizione delle zone di influenza. È singolare. Nel momento stesso della massima contraddizione tra interessi europei e politica USA, della massima marginalizzazione del peso degli imperialismi europei nella tenaglia tra imperialismo USA e imperialismo cinese, della massima divaricazione di interessi tra gli stessi imperialismi europei all'interno della UE (tra Germania e Francia, tra Francia e Italia...), il Parlamento Europeo innalza la bandiera “anticomunista” come collante ideologico della UE. Celebra sul piano ideologico la sola unità di cui gli imperialismi sono capaci, quella contro i lavoratori salariati e i loro diritti. Un'unità che travalica non solo le frontiere ma i confini politici tra gli schieramenti all'interno di ogni paesi. Un'unità celebrata in venticinque anni di attacco congiunto contro salari, lavoro, sanità, pensioni, istruzione, al solo scopo di ingrassare i profitti e pagare il debito alle banche. Un'unità celebrata nelle misure e campagne contro i migranti che fuggono da guerre e rapine degli stessi imperialismi europei. Politiche condotte dai governi borghesi di ogni colore: di centrodestra, di sovranismo nazionalista, di centrosinistra liberalprogressista, di socialdemocrazia. Il fatto che gli stessi campioni “democratici” del PD che denunciano il reazionario Salvini firmino con la Lega e i parafascisti una comune risoluzione anticomunista non è un incidente, è la confessione pubblica della propria ipocrisia.

Ma c'è un risvolto ideologico particolarmente odioso della risoluzione votata: quello che si appoggia sui crimini staliniani per denunciare il «totalitarismo comunista». Come se proprio i comunisti non fossero stati le prime vittime dello stalinismo. Come se il regime totalitario di Stalin non avesse realizzato il più grande massacro dei comunisti del Novecento. Come se gli imperialismi “democratici” non avessero applaudito a suo tempo allo sterminio staliniano dei comunisti, dalla copertura diplomatica occidentale (innanzitutto USA) dei processi di Mosca alla repressione sanguinosa della rivoluzione spagnola.

Non è un'operazione nuova. L'utilizzo scientifico dello stalinismo nel proprio interesse è una costante del capitalismo mondiale da quasi un secolo. E non è solo un'operazione ideologica. Certo l'identificazione tra comunismo e stalinismo è anche questo, un modo di compromettere l'idea stessa del comunismo come progetto di liberazione agli occhi della giovane generazione. Ma non è solo questo. L'imperialismo ha usato lo stalinismo e il suo fallimento anche per espandere il proprio dominio materiale nel mondo. Cos'è accaduto se non questo dopo il crollo del muro di Berlino e dell'URSS? I burocrati stalinisti divennero capitalisti, trasformandosi da casta parassitaria in nuova classe proprietaria nel nome del mercato. E gli imperialismi europei allargarono ad Est il confine del capitalismo, assimilando uno dopo l'altro i vecchi paesi “socialisti”. Per i lavoratori di quei paesi la distruzione dei vantaggi sociali che l'economia pianificata aveva consentito, nonostante la sua gestione burocratica. Per gli imperialismi d'Occidente e i loro profitti un nuovo gigantesco affare. Il fatto che oggi gli imperialismi europei e i loro partiti condannino a parole quello stesso stalinismo che ha finito per regalare loro prima la distruzione delle conquiste politiche della Rivoluzione d'ottobre (il potere dei soviet), poi la distruzione dell'Internazionale rivoluzionaria e del suo programma, infine la distruzione del contenuto sociale della rivoluzione (economia pianificata) appare un grottesco paradosso. Un paradosso che tuttavia dimostra i vantaggi postumi che lo stalinismo continua ad assicurare al capitale. Per questo il nostro rigetto dell'imperialismo è inseparabile dalla denuncia dello stalinismo.

L'Unione Sovietica e l'Armata rossa ebbero un ruolo determinante nella sconfitta del nazismo, al prezzo di 25 milioni di morti. Il fatto che il Parlamento europeo rimuova questa elementare verità storica è vergognoso. I marxisti rivoluzionari difesero incondizionatamente l'Unione Sovietica dall'aggressione nazista e festeggiarono la sua vittoria. Ma lo fecero per difendere le trasformazioni sociali della Rivoluzione d'ottobre su cui l'URSS continuava a basarsi, non lo fecero nel nome di Stalin e del suo regime. Un regime che, prima con la decimazione dei vertici dell'Armata rossa del 1937-'38, e poi col famigerato Patto Molotov-Ribbentrop del 1939, contribuì alla seconda guerra imperialista e all'avanzata nazista in Europa per ben due anni, finendo con l'esporre la stessa URSS alla furia hitleriana.

Nel rigettare con sdegno la risoluzione anticomunista del Parlamento Europeo non le faremo dunque il regalo più grande: quello di avallare l'identificazione tra comunismo e stalinismo che impregna da cima a fondo l'intera risoluzione.
Partito Comunista dei Lavoratori

Dite una parola su Tsipras

Ospite della Festa nazionale di Articolo Uno, Alexis Tsipras ha testualmente dichiarato:

«La verità è che tutte le forze progressiste devono capire che il grande avversario è l'estrema destra. Contro questo nemico serve un fronte europeo vastissimo che parta dalla sinistra della sinistra e arrivi sino ai confini del centro progressista». L'intervistatore Luca Telese, evidentemente sorpreso, a questo punto chiede: questo fronte deve includere anche Matteo Renzi ed Emmanuel Macron? «Deve arrivare fin dove sarà più efficace la resistenza contro l'estrema destra. Non sto parlando di un partito uniforme ma di un fronte comune per fermare l'ascesa di quelle forze politiche» risponde Tsipras.

È tutto piuttosto chiaro. L'ex premier greco apre su tutta la linea alla socialdemocrazia europea, e siccome la socialdemocrazia europea è protesa al blocco politico col centro liberale, Tsipras si intesta in prima persona anche l'apertura al centro liberale europeo, inclusi Renzi e Macron. “Non un partito omogeneo, ma un fronte comune”. Nessuna meraviglia. Il fronte comune col capitale europeo Tsipras l'ha già realizzato in Grecia applicando le ricette di austerità contro i lavoratori. Semplicemente ora dà traduzione a questa politica anche in termini di strategia continentale. Il fatto che proprio questa politica, negli anni della grande crisi, abbia spianato la strada alle destre è candidamente rimosso.

La domanda è: ma i dirigenti del PRC non hanno nulla da dire? Dopo aver appoggiato le politiche del governo greco dal 2015 al 2019, giustificando tutte le scelte di Tsipras, coprono ora col proprio silenzio l'apertura di Tsipras non solo al PSE ma ai Macron e ai Renzi? Di certo Tsipras sarebbe entusiasta del “fronte comune” in Umbria tra PRC, PD e M5S, è esattamente la linea politica che oggi rivendica. Ma quella del PRC nazionale qual è?
Partito Comunista dei Lavoratori

Una sola soluzione: nazionalizzare la Whirlpool, salvare il lavoro

Volantino distribuito oggi a Napoli alla manifestazione dei lavoratori Whirlpool

19 Settembre 2019
C'è una sola soluzione per salvare il lavoro degli operai Whirlpool: nazionalizzare l'azienda, senza un euro di indennizzo al padrone. Un esproprio? Sì, un esproprio. Whirlpool non sta forse espropriando gli operai del diritto al lavoro? Bene, gli operai hanno diritto ad espropriare la Whirlpool. Non c'è altra via. Ogni altra via è una truffa per gli operai.
Lo dicono i fatti. Prima ci hanno detto che la soluzione stava nel togliere alla Whirlpool i finanziamenti pubblici, poi che la soluzione stava nel dargli altri soldi; agli operai si è promesso tutto e il contrario di tutto, con tanto di sceneggiate teatrali, in particolare sotto elezioni. Risultati? Zero. Né vale continuare ad appellarsi all'accordo dell'ottobre 2018, perché quell'accordo la Whirlpool l'ha già stracciato da tempo.
A questo punto la sola soluzione passa per un'azione di forza. Il padrone vuole licenziare gli operai? Gli operai hanno diritto di rivendicare il licenziamento del padrone. La nazionalizzazione dell'azienda senza indennizzo e sotto il controllo degli operai consentirà di salvare il posto di lavoro di tutti gli operai. Se occorre, con la riduzione dell'orario a parità di paga.
Per imporre questa soluzione è necessaria un'azione di forza. La forza è l'unico linguaggio che padroni e governo sanno capire. La forza significa una mobilitazione straordinaria, estesa a tutti gli stabilimenti Whirlpool. Se toccano uno, toccano tutti. L'occupazione degli stabilimenti Whirlpool da parte dei lavoratori, con la richiesta della sua nazionalizzazione, è l'unica via concreta per provare a vincere e salvare il lavoro. Ogni altra via è la rassegnazione alla sconfitta.
La lotta dei lavoratori Whirlpool deve diventare un caso nazionale e un terreno di mobilitazione dell'intero movimento operaio italiano. Uniti si vince, divisi si perde.
Il PCL sarà con gli operai sino in fondo, senza cedimenti, come sempre.
Partito Comunista dei Lavoratori

Incontro fra Partito Comunista dei Lavoratori e Potere al Popolo

18 Settembre 2019 - Si è tenuto questa mattina a Roma un incontro tra il Partito Comunista dei Lavoratori e Potere al Popolo, con la presenza dei portavoce nazionali delle due organizzazioni, Marco Ferrando e Giorgio Cremaschi. L'incontro si colloca lungo il percorso dei contatti e/o incontri con le diverse organizzazioni destinatarie della nostra proposta di unità d'azione sul terreno dell'opposizione al governo (vedi l'appello "Per un'iniziativa unitaria di mobilitazione contro il governo Conte di tutte le sinistre di opposizione").

L'incontro è stato positivo. Entrambe le organizzazioni caratterizzano il governo Conte bis come governo del grande capitale. Entrambe giudicano negativamente il sostegno della CGIL al governo, la capitolazione al governo di Sinistra Italiana, le ambiguità irrisolte di Rifondazione Comunista verso il nuovo esecutivo (come rivela la stessa proposta di accordo con PD e M5S in Umbria). Entrambe si collocano con chiarezza all'opposizione del governo Conte e per la costruzione dell'opposizione sociale e politica ad esso.

In questo quadro si è discussa la nostra proposta di unità d'azione delle sinistre di opposizione, nella chiarezza reciproca.

PCL e PaP sono e restano soggetti distinti sul piano programmatico, dell'organizzazione, dei riferimenti internazionali, della presenza elettorale. L'unità d'azione contro il governo non implica alcuna rinuncia alla piena autonomia politica di soggetti diversi, che è anche il diritto alla critica reciproca e alla battaglia politica. Implica invece la volontà di unire le forze sul terreno della mobilitazione e della lotta, a partire da una comune scelta di campo: quella dell'opposizione al capitale e al suo governo. Un'unità d'azione tanto più importante nella situazione di ripiegamento del movimento operaio, di frammentazione dell'iniziativa di avanguardia, di dispersione delle forze.

Su questo terreno la discussione tra PCL e PaP ha fatto emergere una disponibilità comune. Si è insieme iniziato a ragionare su possibili tempi e percorsi di una iniziativa unitaria in autunno, ed oltre. Una primissima bozza di riflessione, che dovrà comunque essere approfondita nelle rispettive organizzazioni (PaP ha il 6 ottobre la propria assemblea nazionale) e soprattutto portata a confronto con tutte le altre organizzazioni interessate, in un quadro di relazioni paritarie e corrette. Nessuno si nasconde le difficoltà, comune è la volontà di affrontarle. Non era scontato, e se confermato è un fatto importante.

Il PCL tiene alla propria autonomia e al rigore della battaglia politica quanto alla propria correttezza verso le altre organizzazioni. Abbiamo la volontà di contribuire ad un'iniziativa realmente unitaria, la più ampia possibile nelle condizioni date, fuori da manovre pubblicitarie e autocentrate. Ogni iniziativa di partito e di organizzazione è legittima, ma non va spacciata per unitaria né deve essere contrapposta all'unità d'azione. Continueremo a lavorare con questo metodo leninista: partiti distinti, battaglia comune; marciare separati, colpire insieme.
Partito Comunista dei Lavoratori

Elezioni in Umbria. Rifondazione con il PD e con Di Maio

Incredibile ma vero.

«Rifondazione comunista dell'Umbria rispetto alle elezioni regionali condivide pienamente la proposta avanzata dal Movimento 5 Stelle. Abbiamo lavorato da tempo proprio nella direzione oggi individuata da Di Maio all'interno del metodo e dei contenuti de L'Altra Umbria e della coalizione civica, verde e sociale. Siamo disposti a ragionare su come costruire una nuova coalizione politica e di cittadinanza capace di essere includente, ma anche fortemente rinnovata per battere le destre e la Lega in discontinuità con il passato, centrando il programma sulla questione ambientale e sulla emergenza lavoro. Oggi si apre una prospettiva reale che sia sul piano programmatico che sul profilo politico intendiamo esplorare per la svolta necessaria che serve all'Umbria e al Paese». (Dichiarazione del segretario regionale umbro di Rifondazione Comunista, 15 settembre) (1).

IL PRC umbro entra dunque in coalizione (“civica”) con PD e M5S nel nome di Di Maio. Un'enormità impresentabile, la copertura politica del trasformismo.

Il PD umbro, storico partito di potere in regione, è travolto dagli scandali su affarismo, nepotismo, corruzione. Non è in grado di presentarsi come PD, deve nascondersi dietro una lista civica. Di Maio ha lo stesso problema. Il M5S è profondamente logorato sia per l'esperienza di governo nazionale con la Lega sia per l'improvvisa svolta di governo col PD. Meglio dunque riparare in Umbria in una lista civica che lo stesso Di Maio ha proposto e concordato col PD. Una classica operazione trasformista, di segno politico nazionale, non solo locale. La lista civica umbra è infatti un esperimento pilota. È la forma attraverso cui PD e M5S, oggi alleati nel governo nazionale, provano a esportare la propria alleanza su scala locale. Oggi l'Umbria, domani l'Emilia e la Calabria. Il governo Conte bis prova così a rafforzarsi mettendo radici nei territori.

Cosa dovrebbe fare un partito di classe che si dichiara formalmente di opposizione? Denunciare l'operazione trasformista umbra, smascherare il suo vero significato nazionale, spiegare ai lavoratori e alle lavoratrici che occorre costruire un'alternativa di classe a tutto questo. Sarebbe, come si suol dire, il minimo sindacale. I dirigenti di Rifondazione fanno invece esattamente l'opposto. Pur di rientrare nel gioco politico istituzionale umbro, dopo decenni di governo a braccetto del PD regionale, sposano l'operazione di PD e M5S, cioè di Conte. E siccome si vergognano di dire che si accodano a PD e M5S come ultima ruota del carro, si presentano addirittura come battistrada («abbiamo lavorato da tempo proprio nella direzione oggi individuata da Di Maio...»). Chiedono una soluzione «includente» (che in gergo significa “non teneteci fuori, fateci salire a bordo”) ma anche «discontinuità», la stessa parola magica e falsa con cui Zingaretti ha benedetto il Conte bis. Il tutto nel nome, naturalmente, della «svolta necessaria che serve all'Umbria e al Paese».

Interessante quest'ultimo richiamo al “Paese”. Ed anche rivelatore. Se l'alleanza umbra con PD e M5S, sia pure sotto mentite spoglie (coalizione civica) è la strada della possibile “svolta necessaria”, per quale ragione non dovrebbe essere “esplorata” (usano proprio questo termine) su scala nazionale?
Ecco il punto. Qui casca l'asino, come dice un vecchio adagio. Se un partito che si dichiara di opposizione al governo nazionale si intesta un'operazione nazionale che lo rafforza, di quale opposizione stiamo parlando? Anche la logica ha i suoi diritti. E i conti tornano, tutti. Purtroppo.

Prima la rivendicazione insistita in agosto di un governo PD-M5S, poi la richiesta a questo rivolta di “una svolta necessaria”, attraverso una politica di pressione critica e non di opposizione aperta acquistano ora una nuova luce. Non si trattava di uno svarione o di un errore, né si trattava solamente della contropartita offerta in cambio di una legge elettorale proporzionale, che oltretutto PD e M5S non faranno se non con soglie di sbarramento proibitive. Si trattava anche di tenere aperto un canale di relazioni politiche per operazioni come quella umbra. Per provare a rientrare nelle giunte col PD attraverso l'intercessione di Di Maio. Per provare a rientrare a pieno titolo nel nuovo ennesimo “fronte democratico” contro la destra.

È una politica non solo priva di ogni riferimento di classe ma anche irresponsabile dal punto di vista democratico. Perché Salvini e Meloni avranno un argomento in più, e non in meno (e non solo in Umbria), per fare la loro squallida demagogia reazionaria tra i lavoratori contro “il governo dei comunisti” e le coalizioni ammucchiata. Rimuovere l'opposizione di sinistra significa ampliare lo spazio di rivincita della destra.

Ai tanti compagni e compagne di Rifondazione che in questi giorni, spesso con assoluta sincerità, hanno lamentato un presunto eccesso polemico da parte nostra verso il loro partito diciamo con altrettanta sincerità: il vostro avversario non è il PCL, ma la politica disastrosa del vostro gruppo dirigente. Disastrosa per i lavoratori e per i comunisti. E non da oggi.

Anche per questo il Partito Comunista dei Lavoratori sta lavorando alla presentazione elettorale del proprio partito in Umbria, contro mille ostacoli normativi e burocratici. L'opposizione comunista, classista, internazionalista, non può e non deve essere rimossa, né in Umbria né altrove. Tanto meno nel nome di Di Maio e del PD.




(1) Elezioni regionali, Rifondazione comunista dell'Umbria condivide la proposta del M5S
Partito Comunista dei Lavoratori

Quale futuro per decine di migliaia di precari della scuola?

LE ATTESE E GLI INIZI
Questa settimana vedrà in gran parte delle regioni italiane la ripresa dell'anno scolastico. A fianco dell'attesa dei genitori e degli studenti, c'è però anche un'altra attesa, ben più amara e angosciosa. Quella dei docenti che ancora non sono di ruolo, più comunemente definiti precari. Docenti che ogni anno costituiscono sempre più un settore consistente dell'insegnamento italiano, e grazie ai quali la stragrande maggioranza delle scuole in diverse regioni italiane, soprattutto al centro-nord, può iniziare e terminare un anno scolastico.
Finita la festa, gabbato lo santo.
Così si dice al sud. E così è anche per le migliaia di docenti che sanno dove terminano un anno scolastico ma restano nella profonda incertezza su dove ricominceranno. Spesso dovendo ricominciare puntualmente tutto da capo in termini di rapporti di lavoro, metodiche di insegnamento e rapporti con nuove platee genitoriali e studentesche.


DIVIDE ET IMPERA. LE MILLE SOTTOCATEGORIE

Dagli anni Novanta la scuola italiana ha visto un susseguirsi di riforme (Berlinguer, Gelmini, Buona scuola renziana) che hanno sempre più prodotto uno scollamento dei docenti dal resto della società italiana, penalizzando sempre più la figura del docente e dividendo la categoria in mille sottocategorie. Ultimo in tale logica appare la creazione di un Tfa (tirocinio formativo attivo) riservato ai docenti di sostegno, che a differenza dei precedenti non comporterà l'inserimento dei frequentanti nella seconda fascia delle graduatorie d'istituto, dove per legge sono presenti i docenti abilitati, ma essendo classificato come "specializzante" collocherà i docenti che hanno speso migliaia di euro ed un notevole monte ore in una zona grigia (ai primi posti delle terze fasce ma solo per ciò che concerne i posti di sostegno nelle graduatorie di istituto). Una sempre maggiore differenziazione interna alla categoria, che oltre alla confusione ha come risultato la sempre maggiore frammentazione del corpo docente. Frammentazione che negli ultimi anni, soprattutto tra i docenti precari, è aumentata considerevolmente per lo spuntare di associazioni di categoria e studi legali che propongono ricorsi per ogni tipo di problematica inerente il mondo del lavoro scolastico. Basti pensare che il solo ricorso riguardante gli insegnanti con diploma magistrale, volto a rendere quest'ultimo (se conseguito entro il 2001) abilitante in maniera definitiva, ha visto un giro di più di venti milioni di euro.


QUOTA CENTO E SCUOLE VUOTE

La quota di cattedre e posti di sostegno che verranno ricoperti da docenti precari vedrà quest'anno un corposo aumento, anche per le conseguenze dovute all'applicazione della “quota 100”, che ha incrementato la quantità dei pensionamenti: saranno 17.807 per effetto del provvedimento voluto dal governo precedente, a cui si sono aggiunti 15.371 pensionamenti ordinari. Un numero destinato a salire, anche perché l'età media dei docenti italiani è tra le più alte d'Europa. I posti lasciati vacanti dai pensionamenti dovuti alla "quota 100" non verranno coperti da assunzioni con personale di ruolo. Si prevedono per quest'anno scolastico ben 120.000 posti vuoti nelle scuole italiane. Una cifra da emergenza sociale, che penalizza ulteriormente un sistema scolastico che vede la figura del docente perdere sempre più dignità. Basti pensare al fatto che i salari dei docenti italiani sono tra i più bassi d'Europa.


IL "SALVARECARI" E QUELLO SCIOPERO CHE S'AVEVA DA FARE

La scorsa primavera ha visto l'accenno di un ritorno dI fiamma del protagonismo dei docenti. Questioni che minano la scuola, come appunto il precariato e l'autonomia diffusa, avevano fatto da collante per un ampio fronte che andava dai principali sindacati (CGIL, CISL, UIL, Gilda e SNALS) ai Cobas fino alle molte associazioni di insegnanti democratici, come il Manifesto dei 500. Una unità che raramente si sarebbe vista nel mondo della scuola. L'intesa sottoscritta però la sera del 23 aprile dai principali sindacati della scuola, confederali e non, ha bloccato sul nascere la ripresa di un movimento di lotta nella scuola. Unica pillola dolce è stata il varo di un accordo mirante al miglioramento della situazione dei docenti ancora non di ruolo, il "Salva precari" appunto. Decreto che, come abbiamo denunciato anche come area di opposizione all'interno della FLC-CGIL, pur apportando degli effettivi miglioramenti, non eliminerebbe alla radice il problema del precariato nella scuola italiana. Nonostante ciò, 55.000 docenti con 36 mesi di servizio avrebbero avuto la possibilità di accedere ad un percorso abilitante speciale (PAS) come nel 2013, o partecipare ad un concorso con prova scritta selettiva e prova orale non selettiva. La crisi di governo ha minato anche questa opportunità per i precari. Il neoministro Fioramonti, nonostante le belle parole verso i precari, preannuncia per il 2020 un concorso straordinario per i precari con criteri di selezione all'ingresso maggiormente rigorosi. Tale logica si pone, nei fatti, nel senso di ignorare i sacrifici e l'impegno di 60.000 docenti, che in questi anni hanno garantito il funzionamento di migliaia di scuole italiane.


IL PRECARIATO E I COMUNISTI
Per le motivazioni finora esposte, dinnanzi ad una problematica che si sta progressivamente trasformando in emergenza sociale,diventa fondamentale l'intervento delle avanguardie per stimolare una presa di coscienza nelle migliaia di lavoratori della scuola vittime di questo sistema errato di gestione. Compito dei compagni del PCL sarà, nei prossimi mesi, quello di intervenire nelle strutture sindacali dove essi sono presenti per stimolare la creazione di strutture di coordinamento e lotta dei precari della scuola, affiancando a ciò la propaganda e la denuncia di tale problematica. Consapevoli che le rivendicazioni dei lavoratori saranno accettate solo sotto la loro pressione, perché fin quando vigeranno tali rapporti di produzione i lavoratori non potranno avere governi amici.
Vincenzo Cimmino, Assemblea generale FLC-CGIL

O si sostiene il governo del capitale o si fa opposizione di classe

O di qua o di là, non si può stare in mezzo al guado

Con la nomina di viceministri e sottosegretari, il governo Conte ha completato i suoi assetti. Anche la sinistra ha definito i propri.

Sinistra Italiana ha strappato un sottosegretario. Si era presentata con il PRC alle elezioni europee nel nome della autonomia dal PD e della rottura col centrosinistra. Entra tre mesi dopo in un governo PD-M5S applaudito dalla Borsa e da Trump. Nel grande trasformismo della politica borghese anche Sinistra Italiana ha offerto il suo contributo.

Il PRC si era presentato con Sinistra Italiana alle elezioni annunciando che “questa volta si fa davvero la sinistra di alternativa”. Oggi, dopo aver rivendicato ai quattro venti un governo PD-M5S, si dissocia da SI che ci è entrata, perché il governo «non ha un programma di svolta» e bisogna «incalzarlo» affinché la svolta ci sia. Che è chiedere a un governo del capitale di fare una politica per i lavoratori. Una posizione che alimenta illusioni invece di fare chiarezza. Una posizione di pressione critica, non di opposizione aperta.

Invece proprio di opposizione c'è bisogno. Non si può stare in mezzo al guado: o si sostiene il governo del (grande) capitale o si fa opposizione di classe. O di qua o di là.
IL PCL conferma a maggior ragione la propria proposta di unità d'azione di tutte le sinistre di opposizione. Ognuna col proprio profilo, insieme nella contrapposizione al governo. È l'ora dell'unità, nella chiarezza della scelta di campo.
Partito Comunista dei Lavoratori

Il nuovo scenario politico

Risoluzione del Comitato Centrale del PCL

La caduta del governo Conte e la configurazione di un nuovo governo PD-M5S segnano un passaggio politico centrale della crisi italiana.

La caduta del governo M5S-Lega è lo sbocco di una prolungata crisi strisciante delle relazioni tra Lega e M5S, dopo il ribaltamento dei rapporti di forza sancito dalle elezioni europee. La leadership della Lega ha operato la rottura col governo nell'attesa di ottenere le elezioni anticipate, capitalizzare sul piano politico la spinta favorevole dei sondaggi, guadagnare la maggioranza assoluta del Parlamento alla testa di una coalizione di centrodestra, in direzione di un progetto reazionario bonapartista (regime Orban all'italiana).

La dinamica convulsa e grottesca della crisi politica ha segnato il fallimento dell'operazione salviniana. Determinante a tal fine il congiungersi di due fattori politici. Da un lato l'apertura imprevedibile di Matteo Renzi al M5S, dettata dalla volontà di salvaguardare i "propri" gruppi parlamentari e di guadagnare tempo prezioso per la costruzione di un proprio soggetto politico. Dall'altro l'apertura del M5S al PD, coperta dall'ingresso in scena del “garante” (Grillo) e sospinta dalla volontà di garantire la sopravvivenza politico-istituzionale del movimento.

Il nuovo governo M5S-PD configura l'alleanza tra un partito populista e un partito borghese liberale legato all'establishment nazionale ed europeo. Il vero programma costitutivo del nuovo governo è la riforma della legge elettorale in senso proporzionale e l'elezione in questo Parlamento del futuro Presidente della Repubblica, in funzione del contrasto del progetto salviniano. Il PD vede nel recupero della propria collocazione di governo – imprevisto nei tempi dati – l'occasione di rinsaldare i propri rapporti fiduciari coi poteri forti attraverso il ritorno a una “normale” governabilità di sistema sul piano nazionale ed europeo. Il suo disegno è quello di trasformare il governo col M5S nel laboratorio di un blocco politico stabile, come polo di governo europeista, alternativo alla Lega. Una sorta di rifondazione del bipolarismo su basi nuove.

Una stabilizzazione della legislatura attorno all'asse tra M5S e PD non può essere esclusa, ma è difficile. Il governo nasce attorno a una manovra trasformista di scarso richiamo. La base di consenso su cui il governo poggia è ristretta, a fronte della tenuta del blocco sociale reazionario. Il suo spazio di manovra sul terreno sociale è limitato dalle condizioni della finanza pubblica e dalla stagnazione capitalistica. Le forze politiche della maggioranza di governo sono entrambe segnate da profonde contraddizioni interne, senza che nessuna delle due sia in grado di rappresentare il perno politico della coalizione. Il ruolo del Presidente del Consiglio è rafforzato dalla debolezza dei partiti che lo sostengono, ma è anche esposto ai suoi contraccolpi. Da qui nuove possibili dinamiche di instabilità politica.

Le sinistre riformiste politiche e sindacali offrono il proprio appoggio, in forme diverse, al nuovo governo della borghesia italiana. La burocrazia sindacale della CGIL, già disponibile a concertare col governo precedente, saluta il nuovo governo come occasione di ritorno a un quadro organico di concertazione.
La rappresentanza parlamentare di Liberi e Uguali contratta il proprio ingresso al governo. Sinistra Italiana saluta il nuovo esecutivo come possibile governo di svolta alla ricerca di qualche sottosegretariato. Il PRC ha fatto campagna a favore della formazione del governo PD-M5S con premier Conte per «mettere Salvini all'opposizione», vedendo nella possibile riforma proporzionale della legge elettorale l'elemento decisivo di discontinuità e attestandosi su una linea di pressione critica sull'esecutivo. Con ciò tutta la sinistra riformista tende a rimuovere la propria collocazione di opposizione al governo, recuperando la tradizione governista di Rifondazione Comunista. Il fatto che ciò avvenga dopo gli effetti catastrofici di quella esperienza, per il movimento operaio e la sinistra stessa, dà la misura una volta di più della coazione a ripetere del riformismo.

L'argomento per cui il governo PD-M5S va rivendicato e appoggiato in quanto unica alternativa al disegno reazionario di Salvini è insostenibile e confonde i piani. In primo luogo non si tratta di discutere la legittimità del governo e della sua formazione, ma la sua natura di classe. Rivendicare e/o sostenere un governo PD-M5S al fianco dei poteri forti del paese è un'obiettiva enormità per un partito di classe. In secondo luogo un governo della borghesia liberale, nella situazione di crisi sociale, spiana spesso la strada allo sfondamento reazionario; ciò che è accaduto coi governi di centrosinistra a guida PD che sono stati un carburante dell'ascesa populista, e dello stesso Salvini. Lasciare a Salvini il monopolio dell'opposizione può dunque allargare il suo spazio di crescita e di rilancio.

Per tutte queste ragioni è necessario che il movimento operaio si collochi all'opposizione del nuovo governo, con una propria iniziativa di lotta indipendente, a partire dalle proprie ragioni di classe. È una necessità che si pone per tutti i movimenti di lotta. Ogni subordinazione dei movimenti al quadro di governo nel nome del “meno peggio” può solo preparare il peggio, come è sempre accaduto in passato. Il PCL si batterà nel movimento operaio e sindacale, e in ogni
movimento di lotta, per la piena indipendenza dal nuovo governo e per la più ampia unità d'azione sul terreno dell'opposizione di classe, a livello di massa e di avanguardia.

In questo quadro proponiamo una iniziativa unitaria nazionale di tutte le sinistre di opposizione: un'iniziativa di promozione di un'assemblea nazionale unitaria che discuta l'agenda dell'opposizione al nuovo governo.

Il Comitato Centrale dà mandato alla Segreteria del partito di attivare i contatti necessari per cercare di concretizzare la proposta nelle forme possibili, e acquisire le risposte dei soggetti interlocutori. Analoghe iniziative vanno intraprese su scala locale nei rispettivi territori di riferimento.
La Segreteria valuterà le possibili convergenze con altre eventuali iniziative unitarie promosse da altri soggetti.

In questo quadro generale il CC impegna il partito a sostenere l'iniziativa sindacale di sciopero promossa per il 25 ottobre da CUB/SGB/SICobas/USI contro governo e padronato. Ciò per il fatto che al di là dei suoi limiti questa iniziativa di sciopero è, allo stato attuale delle cose, l'unica iniziativa sindacale di opposizione al nuovo governo.
Riteniamo importante che l'insieme delle forze del sindacalismo di classe convergano nelle forme possibili su questa iniziativa di sciopero, contro ogni atteggiamento di frammentazione dell'iniziativa classista.

Il CC impegna il partito a sostenere l'iniziativa nazionale del 29 settembre contro il progetto dell'autonomia differenziata, verificando la possibilità di costruire e/o di partecipare a comitati territoriali locali che possano contribuire con diritto di intervento all'assemblea nazionale.

Importante è la scadenza di mobilitazione nazionale del Fridays For Future del 27 settembre: il partito si impegna ad intervenirvi nelle diverse situazioni territoriali con la propria proposta antigovernativa e anticapitalista.

In ogni movimento (sindacale, antirazzista, ambientalista, femminista, studentesco, etc.) il partito di batterà per il rifiuto di ogni subordinazione al governo, a difesa dell'autonomia dei movimenti e della loro ricomposizione unitaria di lotta sul terreno dell'opposizione.

Partito Comunista dei Lavoratori

Per un'iniziativa unitaria di mobilitazione contro il governti,o Conte di tutte le sinistre di opposizione

A Potere al Popolo, Sinistra Anticapitalista, Lotta Comunista, Partito Comunista, Sinistra Classe Rivoluzione, Partito Comunista Italiano

A Il sindacato è un'altra cosa-opposizione CGIL, Confederazione Unitaria di Base, Sindacato Generale di Base, Sindacato Intercategoriale Cobas, Unione Sindacale di Base, Confederazione Cobas, Unione Sindacale Italiana



Il governo Conte bis nasce sotto il segno poteri forti, nazionali e internazionali. Un governo salutato dall'entusiasmo della Borsa e del capitale finanziario, e al tempo stesso sostenuto dai principali sindacati, dalla sinistra parlamentare (Sinistra Italiana), e in parte, seppur criticamente, dal PRC. Tutto ciò designa uno scenario politico nuovo.

Il programma reale del governo PD-M5S è il riflesso della sua natura sociale: privilegiamento degli interessi europeisti della grande impresa, concertazione con la burocrazia sindacale, consolidamento dell'asse atlantista in politica estera, sostegno attivo agli interessi specifici dell'imperialismo italiano, innanzitutto in Africa. Le stesse rivendicazioni democratiche dei movimenti di opposizione a Salvini (sociali, antirazzisti, femministi, ambientalisti) sono destinate ad essere cestinate, mentre la compromissione nel governo o attorno al governo della sinistra politica e sindacale (CGIL) lascerà a Salvini il monopolio dell'opposizione e uno spazio obiettivo di rivincita.

Il nostro partito si colloca senza riserve all'opposizione del nuovo governo. Per questo sosterremo ogni iniziativa di lotta del movimento operaio e dei movimenti sociali e democratici, a difesa della loro autonomia, contro ogni logica di subordinazione all'esecutivo. In questo quadro appoggiamo l'azione di sciopero generale promosso da CUB, SGB, SI Cobas, USI per il 25 ottobre, e riteniamo sarebbe importante la massima convergenza unitaria di tutto il sindacalismo di classe attorno a questa iniziativa, contro ogni logica di frammentazione e concorrenza tra sigle.


Più in generale consideriamo importante la più ampia unità d'azione delle sinistre di opposizione sul terreno dell'opposizione al governo. Abbiamo bisogno di costruire una vera unità d'azione dell'opposizione di classe. Per questo proponiamo, in tempi brevi, un incontro nazionale delle sinistre di opposizione che discuta e definisca l'agenda comune delle iniziative di mobilitazione e di lotta contro il governo.

Non si tratta ovviamente di risolvere divergenze di impostazione strategica che hanno una radice nella storia del movimento operaio e che si sono in questi anni consolidate, né dunque si tratta per parte nostra di perseguire aggregazioni politiche confuse basate sulla rimozione di tali divergenze. Rivendichiamo la nostra autonomia quanto rispettiamo l'autonomia altrui. Ciò che proponiamo invece è combinare la massima chiarezza del confronto con la massima unità sul piano dell'azione comune contro il governo e il padronato, facendo dell'opposizione di classe e di massa al governo il terreno centrale di unità d'azione, fuori e contro ogni logica settaria.

Pensiamo che un coordinamento nazionale unitario delle sinistre di opposizione potrebbe rappresentare un punto di riferimento comune per migliaia di militanti e attivisti di diversa collocazione, ed anche un fattore di incoraggiamento e valorizzazione delle loro disponibilità di lotta.

Su questa proposta contatteremo direttamente le vostre organizzazioni per verificare le concrete disponibilità. Per parte nostra siamo naturalmente disponibili a convergere su iniziative da altri proposte che abbiano la stessa logica e finalità unitaria.

Partito Comunista dei Lavoratori

I ministri del capitale, la necessità dell'opposizione di classe

5 Settembre 2019 - La composizione ministeriale del nuovo governo riflette la sua natura sociale. Il PD conquista tutti i principali crocevia delle relazioni col grande capitale italiano ed europeo, e con l'apparato dello Stato: i ministeri della Difesa, dell'Economia, delle Infrastrutture, dell'Agricoltura, cui si aggiunge il commissario europeo (Gentiloni). Il M5S presidia le posizioni di potere già detenute al fianco di Salvini (Lavoro, Giustizia, Ambiente) e conquista due posizioni nuove (Istruzione ed Esteri). Articolo Uno (Liberi e Uguali) ottiene il ministero della Salute.
L'equilibrio ha una sua razionalità di classe. Il partito organico di sistema (PD) controlla il cuore della politica economica e finanziaria, a garanzia del grande capitale. I suoi alleati avranno la rogna dei ministeri sociali più esposti, quelli che dovranno gestire i tagli sociali o le briciole di qualche bonus. Non c'è bisogno dunque di leggere il programma. La composizione ministeriale ne è un sunto eloquente.

I famosi “programmi ministeriali” sono per lo più esercizi retorici di buoni sentimenti. La loro funzione non è di chiarire ma di nascondere il programma vero. Il programma vero del Conte due sta innanzitutto nella preservazione del lavoro sporco dei precedenti governi. Altro che governo di svolta! Resta la soppressione dell'articolo 18, la Buona Scuola, la legge Fornero (con limatura al ribasso della parentesi di "quota 100"). Restano nella loro «ratio» (Di Maio) persino i famigerati decreti sicurezza, salvo la revisione al ribasso delle multe per le ONG e delle pene carcerarie per resistenza a pubblico ufficiale. Resta, soprattutto, l'impegno (già formalmente assunto dal precedente governo “del popolo”) di rispettare gli equilibri della finanza pubblica, ciò che significa prolungare l'austerità.

Naturalmente l'eredità del lavoro sporco su diritti e pensioni può (forse) risparmiare al governo altre misure lacrime e sangue. Mentre il possibile allentamento delle politiche di bilancio in sede europea, la continuità degli acquisti dei titoli di stato da parte della BCE, la riduzione dei tassi d'interesse, potrebbero persino consentire qualche elemosina (estensione degli 80 euro), ma il margine di manovra sarà comunque strettissimo. La stagnazione economica, le guerre commerciali, i venti recessivi in Germania – e forse in prospettiva su scala mondiale – lo ridurranno ulteriormente.

In ogni caso se elemosine vi saranno, saranno messe a carico dei beneficiari, attraverso nuovo deficit, nuovo debito (verso le banche) nuovi tagli per ripagarlo. Non a caso il nuovo ministro dell'Istruzione, non ancora insediato, dichiara che l'aumento necessario della spesa per la scuola non dovrà gravare sul bilancio pubblico, e per questo annuncia... la tassazione delle merendine. La promessa pensione di garanzia per i giovani è affidata ai fondi integrativi, e dunque a loro carico. La sanità continuerà a vivere i tagli striscianti di tutte le leggi di stabilità, nel mentre precipita la mancanza di medici e infermieri a causa (anche) dei mancati rimpiazzi dei posti mancanti per "quota 100".
In compenso il governo annuncia nuovi sgravi fiscali e nuovi incentivi per i profitti, a partire dal rilancio della misure di Renzi, Letta, Calenda a vantaggio delle grandi imprese (Industria 4.0), e dal potenziamento del sostegno alle esportazioni del made in Italy. Insomma, la difesa del profitto è l'unica costante, a spese dei lavoratori e delle lavoratrici.

La soddisfazione del capitale finanziario per il nuovo governo ha dunque una sua base materiale. Ma la soddisfazione a “sinistra”? LeU completa con un ministero il ritorno a casa PD. Sinistra Italiana annuncia il voto di fiducia alla «svolta» (!?). Rifondazione dichiara che il nuovo governo «non è il nostro governo» (e meno male) ma si rifiuta di dire che è un governo del capitale, cioè avversario, che è l'essenziale. La sinistra cosiddetta radicale consuma dunque, in forme diverse, la propria deriva, mentre la campagna della destra più reazionaria contro il “governo dei comunisti” e della “estrema sinistra”, aggiunge al tutto un elemento grottesco (e minaccioso).

Non si può e non si deve lasciare alla demagogia reazionaria il monopolio dell'opposizione, e dunque uno spazio di pericolosa rivincita. È necessario costruire un'opposizione al governo dal versante dei lavoratori e delle lavoratrici. È necessario unire l'azione di tutte le sinistre di opposizione al governo, ognuna con la propria identità e autonomia, ma insieme contro un comune avversario. Per questo il PCL proporrà a tutte le sinistre di opposizione un coordinamento nazionale unitario. Non servono le furbizie di chi convoca manifestazioni di partito spacciandole per unitarie. Serve lavorare a un'unità vera, nell'interesse comune della nostra classe di riferimento, fuori e contro ogni forma di settarismo. Questo è e sarà nelle prossime settimane l'iniziativa politica del PCL.
Partito Comunista dei Lavoratori

Il capitale finanziario vota la fiducia al governo M5S-PD

3 settembre 2019 - Non conta il voto scontato sulla piattaforma Rousseau, conta il voto decisivo della Borsa e del capitale finanziario. Raggiunto l'accordo M5S-PD, crollano i tassi di interesse sui titoli di Stato, le banche italiane ed estere acquistano festose nuovi titoli, il loro valore sale, l'interesse sul debito scende. Nulla più di questo fatto spiega la natura sociale del nuovo governo. 

Il grande capitale, finanziario e industriale, domina da sempre la società italiana, ma non sempre nelle stesse forme. Dopo il 4 marzo 2018 la crisi politica l'aveva costretto a governare attraverso partiti populisti che non gli appartengono direttamente (Lega e M5S) ma che gli portano in dote il consenso di un vasto blocco sociale, tra cui (purtroppo) la maggioranza assoluta dei salariati. Ora il ritorno al governo del PD è il ritorno della rappresentanza diretta del grande capitale ai vertici del potere esecutivo. Il PD è il partito organico di sistema, più rodato e sperimentato di ogni altro partito. Gli investitori finanziari non leggono il lungo programma di parole alate con cui Zingaretti e Di Maio celebrano il proprio matrimonio. A loro interessa il programma reale, e quello si sintetizza in due sole lettere: PD. È un partito che votano a scatola chiusa. È il partito che non credevano potesse tornare al governo così rapidamente, dopo i tracolli subiti, e che a maggior ragione risalutano con entusiasmo. Di più: è il partito cui affidano il compito di normalizzare il M5S, di ripulirlo delle scorie piccolo-borghesi e ribelliste, di assimilarlo alla gestione della normale stabilità capitalista. Mattarella, Franceschini, gli ambienti prodiani del PD fanno di questa operazione la loro nuova missione strategica. Nell'"interesse del Paese", naturalmente, cioè della Borsa. Se poi la nuova maggioranza nel 2022 eleggerà Prodi come Presidente della Repubblica, tanto meglio. Per Prodi naturalmente, ma anche per i circoli dominanti.
Reggerà il governo annunciato? Nessuno lo può prevedere, neppure la borghesia italiana. Perché davvero “del doman non c'è certezza” nel ginepraio dell'instabilità mondiale. Ma intanto il capitale afferra la nuova occasione per i propri affari, e brinda; mentre Salvini e Meloni preparano l'opposizione reazionaria al «governo delle élite». Solo un'opposizione del movimento operaio sul proprio versante di classe può spezzare questa tenaglia e aprire il varco di un'alternativa vera.
Partito Comunista dei Lavoratori