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Ucraina. Dove va la guerra

  La corsa alle armi degli imperialismi in Europa e la piega della guerra. La crisi del fronte ucraino. Il posizionamento dei marxisti rivol...

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Sul voto alle europee del 26 maggio

Le elezioni europee segnano complessivamente, al di là delle specificità nazionali, l'indebolimento dei partiti tradizionali PPE e PSE, a vantaggio o delle destre reazionarie (Gran Bretagna, Francia, Italia) o dei cosiddetti partiti verdi, che conoscono quasi ovunque una forte affermazione (a partire da Germania e Francia). Le formazioni a sinistra delle vecchie socialdemocrazie registrano ovunque una flessione o marginalizzazione. È un dato d'insieme che riflette l'arretramento dei livelli di mobilitazione e coscienza della classe lavoratrice, di cui portano primaria responsabilità i gruppi dirigenti della sinistra politica e sindacale, in ogni paese, e su scala continentale.

In Italia questo scenario europeo conosce la traduzione peggiore.
Il governo reazionario M5S-Lega stabilizza complessivamente il proprio consenso, mentre il ribaltamento dei rapporti di forza tra Lega e M5S premia la componente più reazionaria del governo stesso. Lo sfondamento della Lega di Salvini attorno alla bandiera “legge e ordine” e alla esibizione del rosario (Dio, Patria, Famiglia) ha una dimensione nazionale impressionante. Il netto rafforzamento di Fratelli d'Italia completa il quadro. A sua volta, il PD liberale di Zingaretti ha fatto leva sulla contrapposizione a Salvini per recuperare settori di elettorato di sinistra allontanati dal renzismo e rilanciare una prospettiva di ricomposizione del centrosinistra sotto la propria egemonia. La pesantissima sconfitta del M5S, con perdita elettorale in tutte le direzioni (Lega, PD, astensione in particolare al Sud) è la risultante di questa dinamica generale.
Il governo Conte è per un verso rafforzato dal voto, ma per un altro è minato dall'obiettivo restringimento dello spazio negoziale tra M5S e Lega.

A sinistra del PD, si registra la clamorosa débâcle della lista La Sinistra, che ha subìto il duplice effetto del voto utile contro Salvini andato al PD e dell'attrazione della lista Verde a livello di opinione. La rimozione del riferimento classista, le perduranti compromissioni col PD (nelle amministrazioni locali), la compromissione continentale della bandiera di Tsipras sotto il peso delle politiche di austerità, hanno indebolito la linea di demarcazione della sinistra riformista dalla borghesia liberale e dall'ambientalismo progressista. Il voto ha registrato questo fatto. Mentre il PC stalinista di Marco Rizzo ha capitalizzato abusivamente il richiamo comunista in settori di avanguardia, nel momento stesso in cui le leggi elettorali reazionarie hanno impedito la presenza del Partito Comunista dei Lavoratori.

Lo scenario italiano ripropone una volta di più due esigenze complementari.

La prima è la ricostruzione e rilancio di una opposizione di classe e di massa che possa unificare le lotte di resistenza (sociali, antirazziste, antifasciste, femministe, ambientaliste) contro la deriva reazionaria in atto e dare ad esse una rilevanza politica. Contro ogni logica di frammentazione, occorre lavorare in ogni sede per il fronte unico contro la reazione, a partire dall'ingresso sulla scena del movimento dei lavoratori, su base di massa, attorno a una propria piattaforma di lotta riconoscibile. Gli appelli congiunti di CGIL-CISL-UIL con Confindustria a favore dell'Unione Europea, la revoca confederale dello sciopero della scuola del 17 maggio, sono stati non solo un tradimento delle ragioni del lavoro ma un regalo politico al governo e a Salvini. Solo la ricostruzione di un fronte sociale di massa può alzare un argine contro le forze reazionarie. Solo l'esperienza di una lotta generale può liberare i lavoratori stessi dall'influenza delle suggestioni populiste.

La seconda esigenza è la costruzione di un partito indipendente dell'avanguardia di classe attorno a un programma anticapitalista e rivoluzionario. Un partito che sappia trarre un bilancio dell'esperienza fallimentare delle sinistre riformiste, che rompa con ogni pratica o progetto di compromissione coi partiti liberali borghesi, costruisca in ogni lotta la prospettiva della rivoluzione e del governo dei lavoratori, quale unica vera alternativa. Proprio la radicalità della deriva reazionaria richiama la necessità di una alternativa radicale al capitalismo, alla sua crisi, alla sua barbarie. I settori d'avanguardia non hanno bisogno dell'ennesima riproposizione di cartelli riformisti senza futuro, o di finzioni movimentiste, o delle cariatidi ideologiche dello stalinismo. Hanno bisogno di un partito di classe rivoluzionario. La costruzione controcorrente del PCL si muove ostinatamente in questa direzione.
Marco Ferrando

Genova: orgoglio antifascista e di classe

Cronaca di una settimana di mobilitazione generale

26 Maggio 2019
In questi giorni di maggio, a Genova, si è potuto respirare un vento di passione e ardore che ha riempito polmoni e cuori di rinnovato vigore. Dal porto ai quartieri di questa città è emersa, con forza e determinazione, la catena della lotta di classe che, unendo i suoi anelli, ha messo in mostra la volontà di opporsi e resistere agli spettri del militarismo, del razzismo, del sessismo, del fascismo, dell'oppressione borghese e dello sfruttamento capitalista.
Di fronte alla coltre di buia reazione che avanza in Europa, una serie di fiammelle di resistenza e di speranza hanno saputo accendere un fuoco, dando vita a una settimana di mobilitazione, per ricordare che anche quando l'oscurità di una società marcescente sembra impossibile da scalfire, gli sfruttati e gli oppressi possono trovare in loro risorse e strumenti per reagire, attraverso l'unità nella lotta per una società migliore.

Una mobilitazione in continuità con le battaglie recenti contro il fascismo, il razzismo e la guerra, e che continua nella prospettiva della costruzione di un 30 giugno di lotta, per attualizzare la rivolta della classe operaia cittadina e della sua popolazione contro il congresso del MSI del 1960.


20 MAGGIO: PORTI CHIUSI ALLE ARMI, PORTI APERTI ALLE PERSONE. RESPINTA LA NAVE BAHRI YANBU 

Contro ogni arroganza razzista salviniana e contro ogni ipocrisia (Partito) Democratica, questa volta non passa sotto silenzio l'ennesimo approdo di una delle navi della National Shipping Company of Saudi Arabia.
Non è una novità che Salvini, e il governo sotto il suo scacco, porti avanti la guerra ai "clandestini", ai profughi e a chiunque osi mettersi in mare per salvarli, con la solita retorica dei "porti chiusi" e dell'"aiutarli a casa loro". Con l'avvicinarsi delle elezioni europee, il Ministro dell'Interno plenipotenziario, però, ha accelerato questa campagna di morte annunciando un secondo Decreto sicurezza in cui, da una parte, predisporre multe esorbitanti per chiunque salvi in mare un naufrago se migrante e, dall'altra, aumentare le pene e la criminalizzazione delle manifestazioni, delle contestazioni di piazza e degli scioperi colpendo chiunque osi utilizzare un fumogeno, uno scudo per proteggersi dalle manganellate e così via.
Lo stesso copione del già in vigore Decreto sicurezza, che da una parte colpisce e ridimensiona il diritto di protezione internazionale, rende impossibile la regolarizzazione in Italia per gli stranieri – soprattutto per quelli socialmente ed economicamente più deboli – e rende più ricattabili clandestini e immigrati regolari per trasformarli più facilmente in schiavi di caporali e organizzazioni mafiose e, dall'altra, aumenta le pene per chi pratica un picchetto, un blocco stradale o un'occupazione (sia essa abitativa, sociale o all'interno di lotte sindacali in difesa del posto di lavoro), trasformandoli in reati equiparabili alla pedofilia e peggiori della bancarotta fraudolenta.

Proprio in quei giorni, peraltro, Salvini stava portando avanti una nuova crociata contro la Sea Watch, dopo quella contro Mediterranea e la Mare Jonio, per impedire lo sbarco di 47 persone appena salvate nel Mar Mediterraneo che, nella sua visione, dovrebbero essere lasciate annegare, distanti da occhi scomodi, o essere lasciate alle milizie di tagliagole libici – rinominate Guardia costiera libica – finanziate e armate dal PD di Minniti, Renzi e Gentiloni, per ingabbiarle in un infinito destino di schiavitù, stupri, torture, campi di concentramento e guerra.

Mentre questo mortifero teatrino si consumava nelle stanze del potere, a Genova stava per attraccare la nave Bahri Yanbu, al servizio degli interessi di guerra dell'Arabia Saudita, indiscusso partner commerciale e militare di tutti i governi italiani – lo stesso paese che finanzia le milizie salafite in giro per l'Africa e il Medio Oriente, e che bombarda e costringe alla carestia l'intero popolo yemenita colpevole di non piegarsi ai propri diktat.
Quella nave era già stata respinta giorni prima dai dockers e dal movimento antimilitarista di Le Havre, che si erano opposti a caricare sulla nave cargo, già piena di armi, otto cannoni Ceasar.
La mobilitazione prende piede a Genova non appena si scopre che la città della Lanterna sarà uno degli scali della nave: a farsene carico è il combattivo Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali (CALP), che da anni denuncia i traffici della flotta Bahri.
Su questa mobilitazione, e con la convocazione di una assemblea partecipatissima alla Sala Chiamata del Porto, anche la FILT-CGIL locale e regionale prende posizione e annuncia che verrà convocato lo sciopero se si dimostrerà che deve essere caricato materiale bellico.
Solo la costante pressione del CALP, che denuncia pubblicamente il carico pronto all'imbarco – alcuni generatori Shelter della Tekna, in zona grigia perché utilizzabili sia per scopi civili che militari – e la mobilitazione che coinvolge molti antimilitaristi e pacifisti – tra cui il nostro partito e il raggruppamento di Genova Antifascista – ha spinto la FILT-CGIL a dichiarare lo sciopero della Compagnia Unica Lavoratori delle Merci Varie (CULMV) e del terminal GMT, associandosi alla convocazione del CALP di un presidio-picchetto fin dalle ore 6 del mattino del 20 di maggio.

Con quella determinazione la nave, su indicazione del governo, è stata fatta attraccare, ma dopo un'intera giornata di resistenza e trattative con la Prefettura, viene dichiarata la vittoria definitiva: la nave carica solo il materiale di approvvigionamento per l'equipaggio, i materiali militari vengono stoccati per essere portati fuori dal porto, la nave deve partire senza caricare materiale bellico. Sempre con questa determinazione e per timori che sia i cannoni Ceasar che i generatori Shelter potessero essere caricati nel porto militare di La Spezia, la FILT-CGIL Liguria dichiara lo sciopero regionale in caso di tentativo di attracco.
Alla fine la Bahri Yanbu parte, con armi e bagagli – nel vero senso della parola, ma senza le armi bloccate in Liguria – alla volta dell'Egitto, senza una parte fondamentale del suo carico di morte e devastazione, di cui i portuali genovesi e liguri non si sono voluti rendere complici.
Una grande dimostrazione di coscienza di classe e politica antimilitarista e internazionalista che, in una fase in cui la classe lavoratrice fatica a trovare le risorse, la compattezza e il coraggio per lottare anche per la difesa del proprio posto di lavoro, mostra il livello avanzato di questa avanguardia di classe genovese.
A imperitura memoria di quella giornata di lotta e di chi si è tirato indietro rimarrà, peraltro, una scritta firmata dal CALP davanti al terminal: "CISL e UIL servi della guerra".
Contemporaneamente arriva anche la notizia dello sbarco della Sea Watch 3 e dei 47 migranti salvati. "Porti chiusi alle armi! Porti aperti ai migranti!"


22 MAGGIO: MOBILITAZIONE DI SOLIDARIETÀ PER ROSA E LAVINIA 
Un passaggio doveroso va fatto anche sul presidio di solidarietà per la docente di Palermo Rosa Maria Dell'Aria, convocato da un'assemblea variegata di insegnanti, sospesa perché i suoi studenti hanno osato paragonare il fascismo e le leggi razziali al clima imposto dal governo Salvini-DiMaio e dal Decreto sicurezza in due slide; e per la docente Flavia Lavinia Cassaro, licenziata perché insultò la polizia in tenuta antisommossa schierata in difesa di un comizio di CasaPound a Torino. Un presidio che ha visto il sostegno e l'appoggio di sindacati di base come USB Scuola e SiCobas e dell'area sindacale di opposizione CGIL-RiconquistiamoTutto, con centinaia di persone in piazza a ricordare che non è accettabile il ricatto della sospensione e del controllo poliziesco e repressivo sulla scuola e sull'insegnamento.
È quindi doveroso, oggi più che mai, condannare le armi fornite dai governi precedenti, in particolare quelli del PD, attraverso la Buona scuola e la Riforma Madia, che hanno reso i docenti molto più ricattabili e in balia di dirigenti scolastici con poteri sempre più autoritari e sconnessi da strumenti di democrazia collegiale, che avevano caratterizzato la scuola italiana attraverso la partecipazione di rappresentanze di docenti e studenti alle decisioni.


23 MAGGIO: SCIOPERO DEI PORTUALI E BATTAGLIA CONTRO IL COMIZIO DI CASAPOUND 

il 23 maggio è stata la giornata campale di una città che ha messo in mostra tutto il suo orgoglio di classe e antifascista. Due lotte si sono incrociate: quella dei portuali in sciopero per 24 ore e quella contro il comizio elettorale di CasaPound in pieno centro città.
Fin dal mattino la città si è svegliata con l'imponente sciopero e la combattiva manifestazione dei portuali genovesi, che hanno portato in piazza, dopo la mobilitazione di lunedì contro la Bahri Yanbu, la centralità delle condizioni di lavoro, della sicurezza e delle retribuzioni relative alla necessità di un rinnovo contrattuale, oltre alla battaglia contro lo strumento dell'autoproduzione, con cui armatori e terminalisti tentano di far svolgere ai marittimi i lavori dei portuali risparmiando sui costi, sulla sicurezza, sulla formazione. Insomma, al solito, una battaglia necessaria del mondo del lavoro contro le pretese del padronato di aumentare i propri margini di profitto sulla pelle e sul sangue dei lavoratori e delle lavoratrici.

Questo sciopero si è connesso alla più generale mobilitazione politica, preparata in meno di tre giorni, contro l'annunciato comizio in Piazza Marsala di CasaPound e dei suoi nuovi ras locali in giacca e cravatta: Gianni Plinio e Marco Mori.
Tra tutti gli annunci spicca la provocatoria lettera di Genova Antifascista, raggruppamento di cui il PCL è parte integrante, al sindaco Marco Bucci, con cui si richiamava "il gran lavoratore" a rispettare l'ordinanza voluta dalla sua stessa giunta, con cui si sarebbe impegnato ad impedire la concessione delle piazze a chi minaccia l'ordine costituzionale.
Un'ordinanza che però è sempre rimasta lettera morta, a dimostrare che l'antifascismo o si pratica nelle mobilitazioni o rimane semplice formalità scritta sulla sabbia. A quella lettera, infatti, Bucci risponde con la stessa complice evanescenza e con lo stesso atteggiamento ponziopilatesco con cui si è sempre comportato di fronte alle aggressioni ad opera dei neofascisti e alle loro provocazioni e sfilate: «Non è affar mio, siamo in campagna elettorale, sono altri a decidere...». Ma ovviamente gli "altri" hanno già deciso: Questura, Prefettura, Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica (di cui il sindaco è parte) hanno già dato l'ok al comizio-provocazione in pieno centro città; predisponendo un dispositivo di sicurezza in pieno stile G8 del 2001, istituendo una zona rossa a difesa di CasaPound, oltre 300 agenti in antisommossa pronti a scatenarsi contro gli antifascisti e le antifasciste, decine di mezzi blindati.

Due i presidi convocati. Uno sotto la Prefettura, a distanza di sicurezza dalla piazza del comizio, convocato da burocrazie aventiniane di CGIL, ANPI, ARCI e dalla Comunità di San Benedetto. L'altro convocato dalla combattiva e coerente Genova Antifascista, in Piazza Corvetto, la piazza immediatamente antistante la zona rossa, con la determinazione di non lasciare spazio a CasaPound, di coprirne il comizio coi cori e con slogan, ad assediare la zona rossa istituita dalle direttive del ministero di Salvini a difesa di chi gli fornisce magliette, di chi gli pubblica i libri e di chi gli fa da pretoriano riottoso e squadrista.

Il nostro partito, ovviamente, si è fin da subito, coerentemente, posto organicamente in prima linea assieme ai compagni e alle compagne di Genova Antifascista. Ed è proprio la piazza convocata da Genova Antifascista a mostrare l'orgoglio di una città intera, una piazza ampia con oltre 500 antifascisti e antifasciste che non rappresentavano solo un'avanguardia militante e attivistica, perché a difendere quella piazza e a sostenere l'assedio, anche in prima linea, ci sono donne, bambini, anziani, lavoratori, immigrati.
È fin da subito che si mostra tutta la determinazione e la rabbia di chi non può accettare un tale sfregio. Al grido di "Genova è solo antifascista" da subito la piazza si è spinta ad assediare gli alari e i blindati della polizia, che impedivano l'accesso a Piazza Marsala per difendere venti fascisti con le loro bandierine, vigliaccamente asseragliati dietro i manganelli e i blindati di Salvini, tristemente isolati e relegati in un angolino. Rendendo evidente la vergogna e la complicità di un governo che dispone a difesa di CasaPound un dispiegamento di forze e violenza pronto a scatenarsi contro l'antifascismo e l'antirazzismo.
Da qui partiranno due ore di battaglia campale, prima con tre lanci indiscriminati di lacrimogeni CS su tutta la piazza, ogni volta tentando di disperderla e spezzarla e ogni volta ottenendo sempre maggior combattività e determinazione. Ad ogni lancio di lacrimogeni che riempivano l'aria di quell'odore acre e violento, l'intera piazza ritornava ad assediare le grate, a lanciare fumogeni e bulloni contro i fascisti, a denunciare la protezione di Stato.
Quindi sarà la volta delle violentissime cariche di quattro compagnie di Polizia e Carabinieri. Mani rotte, teste fracassate, ciechi pestaggi anche a persone ormai inermi a terra, lanci di lacrimogeni ad altezza d'uomo che fratturano mani e sfondano una vetrina di un bar storico genovese.
Saranno almeno quattro le cariche ma, anche qui, ogni volta la piazza non si fa spezzare. Al grido di "Genova è solo antifascista", di "Ora e sempre Resistenza" e applaudendo chi resiste in prima fila, il terreno viene di nuovo riconquistato e il presidio, rimanendo composito come all'inizio (anzi, raccogliendo nuove adesioni e solidarietà) ogni volta si riprende l'intera Piazza Corvetto e ritorna a coprire ed assediare il ridicolo comizio di CasaPound.

Dopo che i venti fascisti verranno fatti fuggire scortati dai blindati, alcuni anche caricati su un'ambulanza della pubblica assistenza, la piazza esplode e applaude ironicamente, scandendo i suoi "vergogna", la polizia in antisommossa.
È qui che si assume la consapevolezza che nelle violente cariche due compagni – Simone e Marco – sono stati arrestati, e il presidio decide di istituire immediatamente un corteo per andare davanti alla Questura a pretenderne l'immediato rilascio. Saranno in 300 a partire.
Dopo lunghe ed estenuanti trattative, alle 23:00 i due compagni, in attesa del processo per direttissima, verranno accompagnati alle proprie case per svolgere ai domiciliari la custodia cautelare. Il giorno dopo viene convocato il presidio di solidarietà davanti al tribunale di Genova. Le accuse a carico dei due compagni è semplice resistenza, e sono così rilasciati con l'obbligo di firma fino al 19 luglio.

Determinazione, orgoglio, coraggio, unità. Nel nome della tradizione antifascista che scorre nelle vene di questa città, che parte dalla difesa dalle squadracce fasciste, supportate dal Regio esercito, delle Camere del Lavoro ad opera degli operai armati nel Biennio rosso, passando per una Resistenza operaia e studentesca che ha pagato un enorme tributo di sangue, con centinaia di lavoratori deportati nei campi di sterminio nazisti per i coraggiosi scioperi del '43 e del '44, culminando nell'insurrezione e nello sciopero del 23-24 aprile 1945 e nella resa della Wehrmacht firmata nelle mani delle truppe partigiane, unico caso in Europa.

Denunciamo il fatto che le burocrazie di ANPI e CGIL hanno vergognosamente spezzato la continuità della piazza, lasciando disporre davanti al loro presidio un cordone di polizia in antisommossa rivolto verso la piazza di Genova Antifascista (a cui molti loro iscritti e dirigenti si sono uniti coerentemente), che ha combattuto per difendere la sua posizione, e ogni volta riprendersela.
Denunciamo il fatto che nei giorni successivi i vertici dell'ANPI si sono immediatamente spesi nella doverosa e condivisa solidarietà con il giornalista di Repubblica Origone per il violentissimo pestaggio subito, dimenticandosi tuttavia della solidarietà con le centinaia di antifascisti, giovani e anziani, gasati e pestati altrettanto violentemente.
Nonostante la condanna ipocrita, "democratica" e aventiniana della battaglia e dell'assedio, etichettate come "violenza antagonista", noi rivendichiamo tutto.

In quella piazza non sono esistiti distinguo tra "buoni" e "cattivi", "antagonisti" e "pacifici". Quella piazza era un pezzo di Genova, della sua classe lavoratrice, della sua popolazione antifascista. Quella piazza esprimeva l'anima migliore della città, che non si arrende, che denuncia lo sfregio del comizio di CasaPound come la complicità di giunte e governi, attuali e passati. Una piazza che, con Genova Antifascista, lancia la prospettiva di una mobilitazione antifascista ma al tempo stesso anticapitalista, come dimostrano i lavori in preparazione del corteo di domenica 30 giugno e delle iniziative dei giorni precedenti.
Perché fascismo, razzismo, sovranismo, sessismo e discriminazioni si combattono con le mobilitazioni di classe e di massa, li si combattono scagliandosi contro lo sfruttamento e l'oppressione, e quindi contro il capitale, la borghesia grande e piccola, i suoi partiti – dal Partito Democratico al M5S – e i suoi governi, di centrosinistra, di centrodestra, tecnici o populisti.
Perché la reazione della piccola borghesia nazionalista e l'illusione della grande borghesia europeista e liberista si combattono con l'autorganizzazione e l'unità di tutta la classe proletaria, italiana e straniera, e con un fronte di massa che unifichi ogni battaglia contro ogni oppressione e discriminazione; per lavorare tutti e tutte, meno ore e a salari maggiori; per avere casa, salute, istruzione, trasporti, servizi pubblici universali, popolari; per una vera democrazia diretta fondata sulla gestione di ogni luogo di lavoro e quartiere da parte di chi vi ci lavora e ci vive.
Perché l'unica risposta alla barbarie, alla reazione e alla guerra si chiama rivoluzione sociale, si chiama comunismo!



Qui trovate gli audio dell'intervista di Radio Onda d'Urto a Cristian Briozzo (Comitato Centrale del PCL)
Cristian Briozzo

Giù le mani di Salvini dalla scuola!

Unire le lotte contro un governo reazionario

21 Maggio 2019
Testo del volantino distribuito dal PCL 
Quanto successo a Rosa Maria Dell'Aria, insegnante di italiano dell’Istituto industriale Vittorio Emanuele III di Palermo, è una vicenda gravissima. Condannata dall’Ufficio scolastico provinciale a due settimane di sospensione dal lavoro, con dimezzamento dello stipendio, perché non avrebbe «vigilato» sul lavoro di alcuni suoi studenti di 14 anni che, durante la Giornata della memoria, avevano presentato un video dove paragonavano le leggi razziali del 1938 con il “decreto sicurezza” del ministro dell’Interno Matteo Salvini. Si mette così in discussione la libertà d’insegnamento e di pensiero, soprattutto quando essa consiste nel veicolare messaggi antifascisti e antirazzisti. Non provocano invece scalpore e nessun provvedimento disciplinare i casi dei docenti Manfredo Bianchi di Carrara, nostalgico della Repubblica Sociale Italiana, e Sebastiano Sertori di Venezia, antisemita dichiarato.

Questo avviene nell’Italia del governo giallo-verde, uno dei governi più reazionari della storia della Repubblica, fautore di provvedimenti antiproletari come il “decreto sicurezza”, strumento di condanna delle lotte sociali, come quella per la casa, e dei lavoratori, con l'aggravamento dei procedimenti repressivi in caso di picchetti e blocchi stradali; mentre promuove l’autonomia differenziata, utile a dividere i lavoratori della pubblica amministrazione, della sanità e della scuola con contratti regionali, distruggendo l’istituto dei CCNL e bloccando così sul nascere ogni lotta di rilevanza nazionale.

Per questo motivo giudichiamo la firma dell’Intesa del 24 aprile un cedimento dei sindacati confederali al governo, spezzando sul nascere un movimento tra gli insegnanti che vedeva per la prima volta uniti sindacati confederali, sindacati di base e associazioni della scuola in una lotta comune contro precariato e regionalizzazione. Giudichiamo anche la solidarietà espressa nei confronti della docente di Palermo da molti nel M5S, alleato della Lega nell’approvazione dei provvedimenti reazionari suddetti, mera propaganda elettorale in vista delle elezioni europee, chiaro tentativo dei pentastellati di recuperare il voto di settori dell’elettorato di sinistra.

Come Partito Comunista dei Lavoratori esprimiamo la nostra solidarietà incondizionata, di classe e antifascista a Rosa Maria Dell'Aria ed a Lavinia Cassaro, licenziata in maniera spettacolare perché ha osato protestare contro una brutale aggressione della polizia ad un corteo antifascista.

Solo con un’ampia mobilitazione dei lavoratori, della scuola come di tutte le categorie, si può porre un argine dal basso e di massa alla deriva reazionaria che sta investendo l’Italia, e colpisce sempre più i lavoratori. Mentre infatti provvedimenti come la Legge Fornero o l’abrogazione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori non sono stati minimamente toccati, decine di migliaia di lavoratori precari della scuola, nonostante la promessa di una loro stabilizzazione sia stata uno dei cavalli di battaglia della Lega e del M5S, non hanno visto ancora nei fatti alcun provvedimento di miglioramento della loro condizione lavorativa.

Solo costruendo una vertenza generale che unisca tutti i lavoratori si potranno difendere anche le più basilari libertà democratiche ed i fondamentali diritti, come quello al lavoro ed all’istruzione.

Giù le mani dalla scuola pubblica! Via il ministro della reazione!
No al governo Salvini-Di Maio! Via i decreti sicurezza!
Partito Comunista dei Lavoratori

17 maggio: no alla secessione dei ricchi! No alla regionalizzazione della scuola!

Scioperiamo contro le politiche antisociali del governo

16 Maggio 2019
Testo del volantino che verrà distribuito in occasione dello sciopero del 17 maggio
Quando si parla di regionalizzazione è bene avere presente che non si tratta di sola ripartizione territoriale.
I governi regionali di Lombardia e Veneto (con alla coda la giunta regionale emiliana del PD) chiedono il pieno controllo di tutto il sistema degli incentivi alle imprese, la gestione della cassa integrazione e delle cosiddette politiche attive del lavoro (reddito di cittadinanza incluso); il controllo di autostrade, ferrovie, aeroporti; la regionalizzazione dei rapporti di lavoro nella scuola, dell'alternanza scuola-lavoro, del rapporto con le scuole private; pieni poteri in fatto di sanità, inclusa la gestione dei fondi sanitari integrativi; e persino la gestione della previdenza complementare, della protezione civile, dell'ordinamento sportivo locale.
Insomma, i governi regionali si candidano ad avere mano libera su ogni terreno. La disponibilità di maggiori risorse fiscali consentirà loro di continuare a ridurre le tasse sui profitti, di allargare le regalie pubbliche alle imprese private, di liberalizzare e privatizzare ulteriormente prestazioni sociali e servizi pubblici. Più ridurranno la spesa sociale, più aumenteranno l'assistenza ai padroni. In cambio offriranno qualche piccolo privilegio corporativo ai propri “residenti”, pagato con la frantumazione contrattuale dei lavoratori, e dunque con l'attacco alla loro forza collettiva.

Dopo la riforma Gelmini, che mirava ad accentuare le differenze di classe e a creare studenti di serie A e studenti di serie B, dopo la "Buona scuola", dopo la scuola-azienda, la proposta sulla regionalizzazione dell’istruzione vuole consolidare la divisione fra scuole di serie A e scuole di serie B. Il parametro della ricchezza dei territori farebbe in modo di pagare diversamente gli insegnanti rispetto al resto del paese, come proposto in Veneto e in Lombardia, dove le regioni vogliono decidere sull’organizzazione didattica, gestire il sistema di valutazione e l’alternanza scuola lavoro, bandire concorsi regionali, potendo decidere il fabbisogno di personale docente e occuparsi direttamente delle graduatorie dei precari.

La regionalizzazione dell’istruzione, infatti, porterà 8 miliardi a Lombardia e Veneto (in spregio al già riformato Titolo V della Costituzione e dell’ articolo 117), che otterrebbero potestà legislativa in materia. Mentre in Emilia Romagna la proposta è in continuità con il percorso avviato dalla Buona scuola di Renzi, con la previsione di piani pluriennali di definizione degli organici e dell’autonomia scolastica su base regionale. Si continua quindi a differenziare gli studenti in base al tipo di scuola secondaria scelta, ad esempio.

Quanto ad oggi, già circa ventitremila docenti formati al Sud lavorano al Nord da anni, e i precari si battono fra graduatorie e ricorsi, dal taglio di cattedre con la Gelmini al cambio delle fasce riformulato dalla Buona scuola… Quando i docenti, insieme agli studenti, si trovano in edifici fatiscenti che cadono a pezzi, la cosiddetta autonomia differenziata vuole definitivamente legittimare un declassamento del sistema di istruzione nelle zone del paese che già da anni subiscono le carenze di welfare pubblico fondamentale, dalla scuola alla sanità, dovute a politiche di tagli al settore pubblico, sotto il segno dell’austerity.

Queste erano le ragioni alla base della mobilitazione che aveva portato un vasto fronte sindacale ad indire unitariamente lo sciopero per la giornata del 17 maggio.
In cambio di promesse ed impegni generici, sia per quanto riguarda gli impegni contrattuali che i progetti di autonomia differenziata, lo sciopero è stato revocato da CGIL, CISL, UIL, SNALS e GILDA.
E così al MIUR, mentre veniva siglata l'intesa con le organizzazioni sindacali dell'istruzione e ricerca, quasi in contemporanea si avviava un percorso (per decreto) per rilanciare l'autonomia rafforzata degli Atenei nel quadro di quella regionale, creando veramente una serie A d'eccellenza in grado di fare chiamate dirette e di negoziare individualmente salari e orari di lavoro con i proprio docenti.

A dimostrazione di come gli impegni previsti dall’intesa siano scritti sulla sabbia.

Il punto centrale, però, resta l’autonomia differenziata. Quelle frasi, quelle parole, quegli elementi contenuti al riguardo nell’intesa sono contenute anche, esattamente, nelle stesse intese sull’autonomia rafforzata, strette dal governo con le Regioni, pubblicate da alcuni mesi su diversi siti e diversi giornali.

Per questo il PCL sostiene la decisione importante di diversi sindacati di base, dell'opposizione interna della CGIL, di numerose associazioni di difesa della scuola pubblica, di mantenere e rilanciare lo sciopero della scuola del 17 maggio, a difesa di tutti i lavoratori e le lavoratrici della scuola, contro i progetti del governo Salvini-Di Maio.
Solo lo sviluppo di una opposizione di massa al governo delle destre, dal versante delle ragioni del lavoro, può sgombrare il campo dalle attuali tendenze reazionarie e aprire dal basso una nuova prospettiva.
È l'ora di rilanciare una opposizione sociale e di massa. È necessario costruire un percorso verso uno sciopero generale che unisca i settori colpiti da queste politiche antisociali, a partire dalle lavoratrici e lavoratori della scuola, e dagli studenti.
Partito Comunista dei Lavoratori

Contro le destre reazionarie di Lega e M5S

No al PD liberale. Vota a sinistra

16 Maggio 2019
Nessuna illusione sul riformismo. Per un'alternativa delle lavoratrici e dei lavoratori in Italia e in Europa. Unire le lotte. Costruire il partito rivoluzionario
Le elezioni europee del 26 maggio sono un passaggio importante della politica italiana.
Lega e M5S si azzuffano ogni giorno per incamerare voti, ma gestiscono da un anno una politica di elemosine sociali messe a carico dei destinatari, mentre continuano a detassare i profitti miliardari e a pagare il debito pubblico alle banche, tagliando su scuola, sanità, servizi. Il progetto di “autonomia differenziata” mira alla regionalizzazione dei rapporti di lavoro e a un ulteriore impoverimento delle regioni del Sud, a tutto vantaggio del padronato del Nord e dei suoi affari. Altro che governo del cambiamento! In più il governo cerca di dirottare la rabbia sociale contro gli immigrati, con misure forcaiole (decreto sicurezza) per impedire che si rivolga contro i capitalisti, quelli che loro proteggono, mentre rilancia la crociata contro i diritti delle donne e legittima le organizzazioni fasciste, che si avvalgono della copertura e degli ammiccamenti di Salvini per allargare e moltiplicare le proprie provocazioni e aggressioni squadriste.
Il primo dovere è opporsi a questo governo reazionario e ai suoi partiti.

Ma l'alternativa non può essere certo il PD. Un partito liberale che ha gestito le peggiori politiche antioperaie, dalla legge Fornero all'abolizione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, e gli accordi infami con la Libia per la segregazione dei migranti, fra stupri e torture (Minniti). È un partito che con Zingaretti cerca di rifarsi il trucco, ma che conferma guarda caso tutte le politiche del passato, dal TAV alle misure antipopolari. Il PD si oppone al governo Conte non dal versante dei lavoratori ma dal versante del rigore, dei conti pubblici, di Confindustria, dell'Unione Europea dei capitalisti. Così facendo oltretutto concorre alla tenuta del governo tra i lavoratori e gli strati popolari. È il PD che ha spianato la strada alle destre, non può essere il PD l'alternativa a queste.

Contro le destre di governo, contro il PD confindustriale, diamo indicazione di voto a sinistra. Al fianco di centinaia di migliaia di lavoratori, giovani, donne che in questi mesi hanno animato le manifestazioni antirazziste, antifasciste, femministe, studentesche, e che vogliono esprimere anche attraverso il voto la propria opposizione al governo e la propria demarcazione dal PD.

Noi sappiamo che molti compagni tendono ad astenersi in queste elezioni, perché profondamente delusi dalla politica delle forze a sinistra del PD presenti.
Pur comprendendo questa posizione per la nostra netta critica della sinistra riformista di vario tipo, riteniamo però che in questa occasione sia più logico, per combattere il governo reazionario e il PD sempre liberale nonostante la segreteria Zingaretti, esprimersi con un voto per le liste a sinistra del PD.

Ma la nostra indicazione di voto è priva di ogni illusione.
La lista “la Sinistra” è composta da partiti che hanno ciclicamente sostenuto le politiche antioperaie dei governi Prodi (precarizzazione del lavoro, detassazione dei profitti, tagli sociali, campi di detenzione per gli immigrati, spese e missioni militari...). Ed ora gli stessi partiti assumono a riferimento europeo il partito Syriza, che con Tsipras ha gestito e gestisce politiche di lacrime e sangue per conto, e col plauso, del capitale finanziario.
È una sinistra subalterna all'europeismo borghese.
La lista del PC è guidata da un camaleonte (Rizzo) che non solo ha sostenuto i due governi Prodi, ma persino il governo D'Alema che bombardò la Serbia. E ora cerca di rifarsi il look “a sinistra” parlando di anticapitalismo e socialismo. Ma il “socialismo” di riferimento è il regime nordcoreano, e quindi avverso alla democrazia operaia. E la cultura staliniana non promette nulla di buono: basta vedere le ambiguità calcolate del PC sui diritti civili, sulle rivendicazioni delle donne, sulla difesa dei migranti. È una sinistra che ammicca al sovranismo nazionalista.
Nei fatti, né “la Sinistra” né il PC si battono per una alternativa dei lavoratori e degli oppressi. Né si battono – di conseguenza – per una svolta unitaria e radicale del movimento operaio sul terreno dell'unificazione delle lotte.

Proprio da qui passa invece l'unica prospettiva di alternativa vera: un'alternativa anticapitalista, su scala italiana, europea, internazionale. Un'alternativa anticapitalista che ripartisca il lavoro fra tutti attraverso la riduzione dell'orario a 32 ore a parità di paga; che sviluppi un grande piano di nuovo lavoro, a partire dalla riconversione ambientale, finanziato dalla tassazione progressiva dei grandi patrimoni, rendite, profitti; che abolisca il debito pubblico verso le banche nazionalizzandole senza alcun indennizzo per i grandi azionisti; che espropri le aziende che licenziano o che inquinano, a tutela di lavoro e salute e sotto il controllo dei lavoratori.
Solo un governo di lavoratori, lavoratrici, precari, operai, impiegati, solo un governo basato sulla loro organizzazione democratica e la loro forza può realizzare queste misure di svolta.

È la prospettiva dell'Europa socialista, degli Stati uniti socialisti d'Europa. Una prospettiva rivoluzionaria, contrapposta sia all'europeismo borghese liberale sia ai sovranismi nazionalisti. Una prospettiva che si fonda sull'unità e l'autonomia degli interessi dei lavoratori e delle lavoratrici, in ogni paese e su scala continentale, in opposizione al capitalismo e all'imperialismo, innanzitutto quello di casa nostra.

Il nostro partito non ha potuto presentare questo programma delle elezioni europee, per via di assurde barriere antidemocratiche verso i partiti che non hanno rappresentanza nel Parlamento della UE. Ma questo programma lo portiamo in ogni lotta dei lavoratori e degli oppressi.
Attorno a questo programma lavoriamo a costruire il partito rivoluzionario, un partito che lotti controcorrente per elevare la coscienza politica degli sfruttati. Perché solo una rivoluzione può cambiare le cose.
Partito Comunista dei Lavoratori

Fallita la provocazione contro il SiCobas

Aldo Milani assolto 

Due anni fa, i padroni alla ditta della logistica Alcar-Levoni di Modena, in combutta con la Questura di quella città, avevano montato una provocazione contro il dirigente nazionale del SiCobas Aldo Milani. 

Nel corso di un incontro di trattativa sindacale con lo stesso Milani, i padroni avevano consegnato una busta con del denaro ad una parte terza, riprendendo il tutto con una videocamera nascosta. Il tentativo era quello di far apparire Milani un corrotto e un estorsore.
Il tribunale del lavoro di Modena ha ora assolto il compagno Milani da ogni accusa, assolvendolo “perché il fatto non sussiste”.
La stessa magistratura borghese ha dovuto quindi riconoscere che non vi è stato alcun comportamento illegale e quindi, implicitamente, che si è trattato di una provocazione. Dunque secondo logica dovrebbero essere ora i Levoni e i loro complici ad essere inquisiti. Non sappiamo se questo avverrà mai, ma in ogni caso la macchinazione è stata smascherata.
Le ragioni de tale macchinazione sono evidenti: si è voluto colpire l’azione di un sindacato di lotta che molto ha fatto per i diritti dei lavoratori, in particolare immigrati, nel settore in espansione della logistica. Noi siamo al suo fianco e al fianco del compagno Milani contro il padronato e lo Stato borghese e le loro provocazioni. Lo siamo stati fin dal primo momento, insieme a molti altri, nella sinistra e nel sindacalismo di classe, di base o interno alla CGIL, lo siamo oggi e lo saremo quali che possano essere le critiche, anche importanti, che come partito possiamo avanzare a vari aspetti della politica sindacale del gruppo dirigente del SiCobas.
Una battaglia è vinta. La guerra di classe contro i padroni e il loro Stato continua.
Partito Comunista dei Lavoratori

17 maggio, il PCL con lo sciopero della scuola

Contro il governo delle destre nessun passo indietro!

15 maggio 2019
Il 17 maggio si terrà un'importante azione di sciopero generale nella scuola contro la politica del governo; per un contratto di svolta della categoria ma anche contro i progetti di autonomia differenziata e di regionalizzazione dei rapporti contrattuali.

Doveva essere uno sciopero unitario, già peraltro indetto unitariamente da tutte le principali organizzazioni sindacali. Ma i gruppi dirigenti di CGIL, CISL e UIL l'hanno revocato in cambio di una manciata di generiche promesse. La revoca è grave, sindacalmente e politicamente.

È grave sindacalmente, perché il governo non ha concesso nulla: gli “impegni” contrattuali sono scritti sulla sabbia, tanto più alla vigilia di una nuova legge di stabilità tutta imperniata sulla sterilizzazione delle aliquote IVA e dunque su inevitabili tagli alla spesa. Le cifre circolate sui possibili aumenti contrattuali sono non a caso del tutto irrisorie. Inoltre restano inalterati i progetti di scardinamento del contratto nazionale nel nome delle autonomie regionali: le garanzie sull'unità giuridica degli insegnanti sono solo parole, a fronte del fatto che Lombardia, Veneto, Emilia hanno concordato col governo nuovi poteri in merito a contratti regionali integrativi circa l'organizzazione e il rapporto di lavoro del personale dirigente, docente, amministrativo, tecnico, ausiliario. E proprio la Lega sta oggi rilanciando il disegno delle autonomie differenziate come terreno centrale dell'azione di governo.

La revoca dello sciopero è grave politicamente. Significherebbe regalare a un governo reazionario la pace sociale, rimuovere l'ingombro di un'opposizione di massa alla vigilia delle elezioni europee. Non a caso la Lega di Salvini e il suo ministro della Pubblica Istruzione hanno festeggiato la ritirata della CGIL con un sorriso a trentadue denti, mentre decine di migliaia di lavoratori della scuola, già in via di mobilitazione, l'hanno respinta e contestata.

Per questo il PCL sostiene la decisione importante di diversi sindacati di base, dell'opposizione interna della CGIL, di numerose associazioni di difesa della scuola pubblica, di mantenere e rilanciare lo sciopero della scuola del 17 maggio, a difesa di tutti i lavoratori e le lavoratrici della scuola, contro i progetti del governo Salvini-Di Maio.
Solo lo sviluppo di un'opposizione di massa al governo delle destre, dal versante delle ragioni del lavoro, può sgombrare il campo dalle attuali tendenze reazionarie e aprire dal basso una nuova prospettiva. Per questo il PCL impegna i propri militanti e iscritti a partecipare e sostenere, in tutte le forme possibili, le iniziative di lotta del 17 maggio.
Partito Comunista dei Lavoratori

«Ti stupro!» – Il fascismo e la sua politica di annichilimento delle donne

Di recente, a Casal Bruciato, i fascisti di CasaPound hanno assediato una famiglia di etnia rom a cui era stata assegnata una casa popolare, urlando “troia”, “ti stupro” a una terrorizzata madre che teneva in braccio una ancor più terrorizzata bambina.

Questa minaccia, lo stupro, è invece stata messa concretamente in pratica da parte di due camerati di CasaPound di Viterbo, che hanno brutalizzato una donna resa incapace di difendersi all'interno della sede del partito.

Lo stupro come arma di guerra politica e sociale è una costante dell'azione politica dei fascisti, vecchi e nuovi. Non rappresenta una casualità criminale, ma una conseguenza diretta di una cultura della sottomissione e dell'oggettivizzazione femminile e di annichilimento dell'avversario politico.

Fu un atto politico lo stupro di Franca Rame, finalizzato a zittire la voce di una donna, ma prima di tutto di una comunista.
Lo stesso carattere punitivo, di genere e di classe, ebbe lo stupro nel 1975 di Rosaria Lopez e di Donatella Colasanti da parte di quattro fascisti pariolini, la prima torturata e barbaramente uccisa, la seconda sfuggita dal destino della compagna fingendosi morta.
Le due erano ragazze di borgata, appartenenti a un genere, quello femminile, e a una classe, quella proletaria, che i neofascisti ritenevano e ritengono inferiore, e che era (ed è) ammissibile annichilire, brutalizzare, sfruttare, persino uccidere.

I vigliacchi atti fascisti nei confronti delle donne che i camerati compiono oggi sono figli degli stessi atti che compivano i loro nonni del Ventennio. Sono profondamente radicati nella stessa ideologia misogina, bigotta e sessuofobica.
Durante il fascismo la donna veniva considerata solo ed esclusivamente nella misura in cui svolgeva una funzione utile all'uomo e al regime. Era innanzitutto una fattrice, un'incubatrice di giovani virgulti italici. Ieri Mussolini premiava le donne che partorivano molti figli per la patria, e oggi i neofascisti di Forza Nuova propongono il reddito per le madri.

In questa filosofia di sfruttamento individuale e statale del corpo femminile, gioca(va) un ruolo fondamentale anche la chiesa cattolica, che da sempre e con ampia documentazione teologica afferma che la donna è un essere inferiore, non finito, un uomo malriuscito (San Tommaso, San Paolo).

Va da sé che, non potendo aggirare il dato biologico che sono le donne a fare figli, tale capacità riproduttiva vada strettamente normata, togliendo alle donne qualsiasi controllo sul proprio corpo, che è corpo di servizio al regime. Nessuna contraccezione, nessun accesso all’aborto, nessuna possibilità di autodeterminazione di sorta.
La donna fascista è prima di tutto madre. Chi devia da questo ruolo – per scelta o per impossibilità – o chi si ribella, è spesso marginalizzata, quando non addirittura internata in manicomio o resa inoffensiva (come avvenne a Ida Dalser, che ebbe il figlio illegittimo del Duce, Benito Albino, entrambi internati e morti in manicomio).

L'Opera Nazionale Maternità e Infanzia, istituita nel 1925, rese subito evidente che quest'organo non tutelava la donna in quanto tale, ma tutelava la sua funzione riproduttiva. Infatti nel testo viene definita “madre”, non donna. Al di fuori della donna-mater, la donna serviva a poco nel fascismo.
Anzi. Un altro utilizzo che il camerata poteva fare del corpo della donna era quello ricreativo, a cui aveva sempre e comunque diritto. Le case chiuse del periodo mussoliniano, di cui oggi non a caso la destra invoca la riapertura, costituiscono un esempio lampante: la prostituta è il necessario contraltare alla moglie per il camerata. Nessuna delle due è un individuo riconosciuto ed entrambe hanno funzioni diverse e complementari per il pater familias. Un concetto ribadito persino dall’attuale ministro dell’Interno.

Il lavoro è un altro punto dolente per i vecchi e nuovi fascisti. Essendo il lavoro, e quindi l'autonomia economica, la strada principale e privilegiata per l’autodeterminazione della donna, i fascisti vecchi e nuovi lo avversano e fanno di tutto per renderlo inaccessibile. La difesa della famiglia tanto sbandierata dai neofascisti è subordinata a una condizione ferrea: che la donna non lavori.
La mancanza di indipendenza economica è la ragione strutturale per cui tante donne ancora oggi rimangono in contesti famigliari violenti, spesso fino a perdere la vita.
La prima mossa del vecchio fascismo in questo senso fu precludere alle donne l'istruzione, sia come docenti sia come studentesse. Nel 1926 alle donne venne attivamente impedito di insegnare materie scientifiche negli istituti superiori. Rimasero solo a fare le maestrine dal braccio alzato.
Nel 1938 il fascismo emanò una legge per limitare la percentuale massima di donne impiegate negli uffici pubblici e nelle ditte private a un massimo del 10% della forza lavoro.

Il capitalismo, di cui il fascismo è espressione più platealmente violenta, sta perseguendo lo stesso obiettivo oggi come allora: con precarietà, flessibilità e attacchi ai diritti dei lavoratori e lavoratrici e alla maternità, si stanno spingendo le donne sempre di più dentro casa. Nel meridione due donne su tre non lavorano. I tassi di abbandono del lavoro in seguito alla maternità sono inquietanti. L’attacco ai servizi e al welfare dei governi di ogni colore persegue lo stesso obiettivo: costringere le donne a scegliere la famiglia, ricacciandole nella passività e controllandone la vita riproduttiva.

Ma torniamo ai nostri camerati odierni, che promettono lo stupro e lo mantengono. Non possiamo stupirci. A legalizzare lo stupro fu proprio il Duce, con il nuovo Codice penale del 1930, che sanciva il matrimonio riparatore. Donne, maggiorenni e minorenni, potevano essere tranquillamente stuprate; si risolveva tutto sposandole. Il fascismo condannava quindi le donne non solo a subire violenza, ma a convivere con il proprio stupratore per tutta la vita. Persino l'incesto venne considerato un delitto contro la morale, e non contro la persona.
Il Codice penale del 1930 regalava agli uomini altri ameni diritti, come il delitto d'onore, per cui in uno stato d'ira era giustificabile uccidere una donna che avesse disonorato un uomo con la sua condotta, fosse egli padre, marito o fratello. Chiaramente a sessi inversi tutto questo non funzionava. La legge parlava chiaro. Altrettanto chiaramente il giudizio sull’eventuale “disonore” spettava a una giuria di uomini.
L'impunità che di fatto si garantiva a chi uccideva una donna era un'arma di oppressione straordinaria, un ricatto costante: qualsiasi donna che non avesse rispettato la volontà dell'uomo che la comandava rischiava ogni giorno la vita, e il suo assassino aveva l'impunità garantita. Una vita di sopraffazione giornaliera. Il delitto d'onore sanciva l'inferiorità della donna anche per la giurisprudenza.

Abbiamo dovuto attendere il 1981 per abrogare queste leggi vergogna. Perché anche alla neonata Repubblica borghese facevano comodo.

Quello fascista era un vero e proprio sistema oppressivo, violento e assassino, che si concretizzava in tutti gli aspetti della vita femminile. In questo contesto si inserisce lo stupro come arma di guerra utilizzato nelle colonie, con l'istituzione del madamato, dello stupro sistematico delle partigiane e delle donne combattenti.
Ancora negli anni Settanta, incalzato da Elvira Banotti, un esterrefatto Montanelli difendeva l’abuso verso il suo «animalino docile», ossia la bambina di dodici anni comprata e violentata quando era militare in Abissinia.
Nella campagna di Libia, a donne incinte venne squartato il ventre e i feti infilzati. Giovani indigene furono violentate e sodomizzate (ad alcune infisse candele nella vagina e nel retto). Una tattica di guerra che i fascisti vecchi e nuovi applicano agli oppositori politici, alle minoranze, ai bersagli del loro odio.

La barbarie dei fascisti, di ieri di oggi, si radica nella vigliaccheria che questi dimostrano verso chi ritengono inferiori. Le donne hanno l'aggravante, agli occhi dei fascisti, di detenere il potere della maternità, un aspetto che è assolutamente necessario controllare per chi non riesce a rapportarsi da pari con gli altri. L’oppressione di genere si arricchisce di un aspetto aggiuntivo rispetto all’oppressione razzista, coloniale e politica: quello sessuale.

La sostituzione etnica di cui vaneggiano i fascisti, e le conseguenti iniziative per il sostegno alla maternità (ovviamente italica), è appunto il terrore della contaminazione, il razzismo che incontra il sessismo.
Si tratta di un’espressione terribile del proprio senso di inferiorità biologica, psicologica e sociale. Lo stupro, anche quando è privo di connotati politici (se mai lo fosse) è sempre una questione di potere, la pulsione sessuale dello stupratore non c’entra nulla.
Lo stupro, nel caso dei fascisti, è assunto a programma politico, a strumento di controllo, a prassi militante.
Se il fascismo si è fregiato dell’ambizione di costruire un uomo “nuovo”, un superuomo nietzschiano animato da un’inarrestabile volontà di potenza, la donna “nuova” costruita e immaginata dal fascismo è terribilmente vecchia, non moderna, medioevale.
Tale concezione della donna, sostanzialmente sovrapponibile a quella fondamentalista cattolica, non è altro che uno specchio che rovescia e rivela che, in realtà, questa virile volontà di potenza, concretizzata nella violenza sessuale e nella prevaricazione di classe, non è altro che la più plateale dimostrazione di impotenza.

Wilhelm Reich ha giustamente colto tutto il potenziale della repressione sessuale come strumento di controllo sociale in Psicologia di massa del fascismo:

«Se esaminiamo la storia della repressione sessuale e l'origine della rimozione sessuale constatiamo che essa non ha inizio all'origine dello sviluppo culturale, e che quindi non è la premessa per lo sviluppo culturale, ma cominciò a formarsi solo relativamente tardi insieme al patriarcato autoritario e all'inizio della divisione in classi della società. Gli interessi sessuali di tutti cominciano ad entrare al servizio degli interessi di profitto economico di una minoranza; sotto la forma del matrimonio e della famiglia patriarcali questo dato di fatto ha assunto una precisa forma organizzativa. Con la limitazione e la repressione della sessualità i sentimenti umani subiscono una trasformazione, nasce una religione sessuo-negativa e gradualmente costruisce una propria organizzazione sessuo-politica, la chiesa con tutti i suoi precursori, il cui obiettivo è soltanto quello di annientare il piacere sessuale degli uomini e quindi anche quel briciolo di felicità su questa terra. Tutto questo ha un preciso significato sociologico in rapporto con l'ormai fiorente sfruttamento della forza lavorativa umana. […] L'uomo educato e formato autoritariamente non conosce le leggi naturali della autoregolazione, non ha alcuna fiducia in se stesso; ha paura della propria sessualità perché non ha mai imparato a viverla naturalmente. Egli declina quindi ogni responsabilità per le proprie azioni e le proprie decisioni e chiede di essere diretto e guidato […] Il fascismo ideologicamente è la ribellione di una società malata mortalmente sia sul piano sessuale che economico contro le dolorose ma decise tendenze del pensiero rivoluzionario verso la libertà sessuale ed economica, una libertà al solo pensiero della quale l'uomo reazionario viene assalito da una paura mortale.»

Come combattere quindi un esercito di brutali scimmie represse, incapaci di vedere la propria disumanizzazione, impotenti e balbettanti, sempre alla ricerca freudiana di un padre a cui dimostrare la propria virilità? (Non a caso uno degli stupratori di Viterbo inviò proprio al padre il video dello stupro, dimostrazione all’autorità superiore delle sue prodezze fasciste).

Non è possibile una rieducazione. Non è sufficiente una battaglia culturale. Le radici di comportamenti apparentemente sporadici affondano in un sistema sociale completamente marcio, che va abbattuto, cancellato e ricostruito.
Lo stupro è espressione di potere di un genere sull’altro, di una classe sull’altra, dello sfruttatore sullo sfruttato.
Non è pensabile tagliare qualche ramo del sistema capitalistico e aspettarsi che smetta di produrre questi frutti maleodoranti.
Capitalismo, sfruttamento e fascismo vanno sradicati con la rivoluzione socialista. Altra strada non esiste.





* Gustavo Ottolenghi, Gli Italiani e il colonialismo. I campi di detenzione italiani in Africa, Milano, SugarCo, 1997, pp. 60 in poi.
MG

L'assemblea nazionale organizzativa di SGB

Un primo importante passo nella giusta direzione

Il 13 e 14 aprile si è svolta l'Assemblea nazionale organizzativa di SGB, con due compiti fondamentali e tra loro intrecciati quale scopo dei suoi lavori: lo sviluppo organizzativo di SGB e la definizione del processo che condurrà all'unione con la CUB.

La discussione delle assemblee territoriali fino all'assise nazionale è stata istruita da un documento che si è dapprima soffermato sull'analisi della crisi economica mondiale e sul cambiamento del ruolo del sindacato.
Per quanto riguarda la prima, è condivisibile l'accento posto sullo scontro interimperialista, il ruolo del governo americano, la costruzione dell'Unione Europea come blocco imperialista, e la necessita della rivendicazione dell'uscita dalla NATO. Anche l'abbozzo di analisi riguardo la politica del governo giallo-verde a tutela degli interessi delle piccole e medie imprese svantaggiate dai processi di globalizzazione economica, e che oggi si basa su un blocco sociale costituito principalmente della piccola-media borghesia esportatrice del nord d'Italia, un blocco sociale fondamentalmente reazionario, appare centrato, anche se bisognoso di approfondimenti e maggiori specificazioni come, ad esempio il ruolo del Movimento 5 Stelle.

Il governo giallo-verde viene chiamato in causa anche per la sua azione volta a cambiare il ruolo del sindacato, che supera la concertazione, la cogestione e la complicità per tentare piuttosto la via della disintermediazione.
La disintermediazione significa nei fatti l'annullamento - almeno tendenziale - del ruolo del sindacato, in ossequio all'idea interclassista del M5S e ad un progetto autoritario e neocorporativo proprio della Lega, di cui il decreto sicurezza rappresenta una esempio di traduzione giuridico-formale.

La proposta strategica si oppone a questa deriva e al progetto che la sottende.
Per questo viene ribadita la necessità del sindacato di classe laddove, anche se con un breve passaggio, si afferma che il sindacalismo di base non può più esser considerato un soggetto unico, essendo attraversato dalla contraddizione tra chi ha cercato di continuare a praticare la lotta sindacale pur tra errori e inadeguatezze, e chi ha ceduto alla complicità (accordo 10 gennaio 2014) o ha imboccato scorciatoie partitiche.
Il processo di unificazione con la CUB è funzionale a questo progetto, ma questo processo non è automatico, va ripreso ed elaborato con un confronto intorno all'idea di sindacato da costruire, un sindacato definito come democratico, conflittuale e indipendente.

Il documento quindi si conclude con le indicazioni operative assegnate all'Assemblea nazionale organizzativa.
Tra i punti operativi compare l'intento di una eventuale affiliazione al WTFU (Federazione Sindacale Mondiale).
Proprio su questo proposito, che non appare giustificato nell'economia del ragionamento svolto nel documento, si sono appuntate le nostre critiche e la proposta di un emendamento sostanzialmente cassatorio.
Il WTFU associa sindacati di regime come quello nord-coreano e quello siriano, che partecipano dell'oppressione dei lavoratori di quei paesi e della negazione dei loro più elementari diritti sindacali, e che pertanto sono in diretta contraddizione con il proposito di costruire un sindacato di democratico, di classe e indipendente.
Questo documento non è stato sottoposto al voto dell'assemblea, segnando una pratica che abbiamo criticato perché in contraddizione con i propositi di costruzione di un'organizzazione rispettosa di tutte le regole sostanziali e formali di democrazia interna.
Ciò, peraltro, ci ha impedito di sottoporre al voto il nostro emendamento.

Nelle giornate del 13 e 14 aprile, alla presenza di circa 100 delegati, si è svolta l'Assemblea nazionale organizzativa.
Alla riunione sono intervenuti anche numerosi compagni dirigenti a vario livello della CUB, con eguali diritti e tempi di intervento.
La riunione è stata introdotta dalla relazione (1) che riprende e rafforza i contenuti del documento preparatorio sottolineando la contrarietà (nel caso della flat tax e dell’autonomia regionale di Lombardia, Veneto ed Emilia) e le critiche ai provvedimenti del governo, anche quelli a cui la propaganda assegna un maggiore rilievo sociale, come il decreto dignità, che non abolisce il precariato; la "quota 100", che non abolisce la legge Fornero; e il reddito di cittadinanza, che non costituisce la fine della povertà.
Senza aderire in nessun modo all’opposizione di stampo liberale e filopadronale al governo, che va da CGIL-CISL-UIL a Confindustria, si ribadisce invece il contrasto alle grandi opere inutili, a cominciare dal TAV, e l’appoggio al movimento ambientalista anche sul terreno esemplare della battaglia sull’Ilva di Taranto. Viene positivamente ribadita l’importanza e il significato dello sciopero generale, che va costruito con una campagna di massa e non svalutato a fini di autorappresentanza. Si individua la necessità di costruire campagne vertenziali che parlino alla maggioranza dei lavoratori, come, con tutta evidenza, la rivendicazione della riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario. In generale, alla base della politica sindacale va posta la rivendicazione del movimento operaio di decidere cosa, quanto e come si produce. Per conseguire questo obbiettivo è necessario costruire il sindacato di classe, confederale, di massa, e che in conseguenza degli scopi di lotta della classe lavoratrice non può essere che anticapitalista.
Infine, dopo aver sottolineato il carattere necessariamente confederale del sindacato a salvaguardia dell’unità della classe lavoratrice e del rifiuto dell’autoreferenzialità, che con una certa approssimazione possiamo tradurre dal punto di vista marxista rivoluzionario in un rifiuto del settarismo, viene ribadita l’intento di confluire nella CUB con il congresso nazionale del gennaio 2020.
Tale percorso dovrà riuscire, attraverso un confronto leale e trasparente, nella non facile conformazione organizzativa tra due sindacati che al momento hanno un’architettura interna diversa.
È significativo, dal nostro punto di vista, la scomparsa dell’accenno alla eventuale confluenza nel WTFU, dovuta soprattutto al tradizionale orientamento contrario della CUB, legata piuttosto al coordinamento dei sindacati di base europei, lontani dall’impostazione stalinista che connota molte delle organizzazioni aderenti al WTFU.

Il dibattito ha visto numerosi interventi i quali, in maggioranza, sono stati sostanzialmente d’accordo con la relazione introduttiva incentratasi soprattutto su alcuni aspetti del rilancio organizzativo di SGB (commissioni di settore, comunicazione, sito web e altro). Gli unici interventi critici sono stati quelli di alcuni compagni di SGB Lazio che hanno lamentato soprattutto la precipitosità del percorso di confluenza, e l’impreparazione di SGB a questo passo.
Dopo le riunioni delle commissioni di settore del pomeriggio del 13 aprile, la riunione si è conclusa la mattina del 14 con la votazione della mozione conclusiva (2).
La mozione finale ha avuto il consenso di quasi l’unanimità dei delegati, con un solo voto contrario.
In conclusione, l’assemblea nazionale organizzativa di SGB ha segnato un modesto ma importante passaggio nella direzione giusta, in controtendenza con i processi di scissione e disgregazione che hanno segnato la vita dei sindacati di base negli ultimi decenni, determinandone un’involuzione settaria ed incapace di parlare alla massa della classe lavoratrice.
Come marxisti rivoluzionari non possiamo che accogliere positivamente il processo avviato da SGB e CUB, pur con tutte le difficoltà che si dipaneranno da qui al gennaio 2020. Dovremo dunque intervenire a sostegno di questo processo sia dal versante di SGB che quello della CUB, vigilando e magari approfondendo il carattere democratico della loro fusione e contrastando ogni deriva settaria a danno dell’unità classe lavoratrice e della possibilità della costituzione di un fronte unico di lotta contro le politiche governative e i progetti padronali.


Qui e qui gli interventi dei compagni/e del PCL all'Assemblea.



Note:

(1) Potete leggerla alla pagina: https://www.sindacatosgb.it/it/85-nazionale/928-assemblea-nazionale-organizzativa-relazione-introduttiva

(2) Potete leggerla alla pagina: https://www.sindacatosgb.it/it/85-nazionale/929-mozione-finale-assemblea-organizzativa-nazionale
Federico Bacchiocchi

Verso la guerra civile in Venezuela?

Né con la destra reazionaria proimperialista, né con il regime bonapartista della boliborghesia!
Armare i lavoratori, il potere ai consigli operai e popolari!

Il Venezuela sta andando probabilmente verso la guerra civile. La spaccatura dell'esercito, dopo quella della popolazione civile, spinge rapidamente verso di essa. La destra reazionaria proimperialista ha ritenuto, a torto o a ragione, di poter tentare di impadronirsi del potere. Ovviamente i rivoluzionari non si schierano con queste forze. Ma non possono nemmeno schierarsi a difesa dell’attuale regime bonapartista che ha portato al disastro l’economia e difende sostanzialmente gli interessi di quella che si definisce boliborghesia, in cui sono compresi funzionari dell’esercito e dello Stato che si sono arricchiti col regime. Nonostante il carattere bonapartista e solo falsamente socialista del chavismo, i rivoluzionari si erano sempre schierati in passato contro le forze reazionarie proimperialiste. Lo faranno certamente difendendo il Venezuela in caso di intervento diretto delle forze imperialiste.

Oggi, però, la situazione è diversa. Con le elezioni bidone della cosiddetta Assemblea costituente bolivariana (in cui, non a caso, il 100% dei deputati sono maduristi), il regime si è consolidato in senso antidemocratico. Nel contempo, si è rafforzata l’azione repressiva contro le forze sindacali classiste e il blocco del rinnovo delle cariche sindacali per difendere i burocrati agenti del madurismo.
La politica oscillante del regime, che continua a pagare il debito estero in una situazione catastrofica, ha aggravato (insieme alle manovre dell’imperialismo) il collasso economico del paese. Solo la cessazione del pagamento del debito, l’istituzione del controllo dei lavoratori sulle aziende sia private che statali, il controllo della produzione agricola, del commercio e dei prezzi da parte di comitati popolari formati da operai, impiegati, braccianti e contadini poveri può modificare il quadro attuale.

Tutto ciò, e l’uscita del Venezuela dalla sua tremenda crisi, sarà possibile solo se il proletariato saprà porsi come forza alternativa ai due contendenti borghesi in scontro, costruire la sua propria autorganizzazione in consigli, comitati, milizie, e imporre un suo potere. Naturalmente la costruzione di un vero partito della rivoluzione socialista che sappia guidare questo processo ne è la condizione necessaria.

Il progetto della rivoluzione socialista è ambizioso e difficile. Ma senza di esso il futuro del paese è il caos, il sangue e la miseria. I proletari venezuelani non devono combattere e morire né per i borghesi proimperialisti né per la boliborghesia, ma solo per il futuro loro e dei loro figli.

Per un governo delle lavoratrici e dei lavoratori, basato sulla loro forza e organizzazione!
Per un Venezuela veramente socialista!
Per gli Stati uniti socialisti dell'America centro-meridionale!
Partito Comunista dei Lavoratori