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Ucraina. Dove va la guerra

  La corsa alle armi degli imperialismi in Europa e la piega della guerra. La crisi del fronte ucraino. Il posizionamento dei marxisti rivol...

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No all'accordo criminale di allargamento della NATO!

 


Pochi anni fa i combattenti curdi erano esaltati in Occidente come gli eroi della guerra contro l’organizzazione terroristica islamica ISIS. Largamente armati dalla NATO e in primo luogo dall’imperialismo USA (senza che, giustamente, gli attuali pacifinti e pacitonti semiputitiani ci trovassero niente a che ridire), erano la forza di prima fila di quella guerra.

Pochi obiettarono persino alla scelta – questa secondo noi gravemente errata – del YPG/YPJ di combattere successivamente non solo con l’appoggio, ma materialmente insieme alle truppe USA.
E quando Trump, nell’ambito della sua politica di conciliazione con Putin, come ricompensa per l’appoggio avuto per la vittoria elettorale del 2016, ha ritirato le truppe americane dal Rojava, gli alti comandi militari del Pentagono hanno gridato al tradimento.

Oggi tutto questo è dimenticato in nome del confronto con l’imperialismo russo. Erdogan avrà tutte le armi che vuole, Svezia e Finlandia rinunceranno a ogni residuo di difesa dei rifugiati politici (già si stanno preparando le liste di espulsione).

La nostra condanna di questo criminale accordo non potrebbe essere più forte.
Lo sviluppo e il rafforzamento della NATO rientrano nel nuovo devastante quadro mondiale di scontro, e domani forse guerra aperta, tra le vecchie potenze imperialiste capeggiate dagli USA e il nuovo blocco imperialista Cina-Russia nato dal crollo o trasformazione capitalistica dei vecchi regimi stalinisti.

Di fronte a questa situazione, in cui lo scontro reale è quello tra le borghesie capitalistiche dei due fronti, noi, da leninisti conseguenti, ci dichiariamo per il disfattismo bilaterale e la trasformazione dello scontro imperialistico in guerra civile e rivoluzione socialista. Però, sempre da leninisti, noi sappiamo distinguere tra le potenze imperialiste e gli stati e le nazioni che non lo sono. Per questo siamo incondizionatamente dalla parte del popolo curdo contro tutti i suoi nemici, si chiamino Erdogan, Assad, al-Nusra o ISIS, e siamo perché esso si armi per la sua difesa in qualunque modo e da qualunque fonte possibile, così come continuiamo a sostenere l’Ucraina nella sua lotta per difendere l’indipendenza nazionale dal tentativo dell’oligarchia putiniana di distruggerla.
Tutto ciò senza alcun sostegno politico alle direzioni di tali stati o nazioni, e sempre nella prospettiva della rivoluzione socialista.

Naturalmente riconosciamo la differenza tra il governo borghese di Zelensky e il PKK, organizzazione nazionalista rivoluzionaria piccolo-borghese radicale, soprattutto oggi che ha abbandonato il vecchio stalinismo per aderire alle teorie libertarie confederaliste democratiche dell’americano Murray Bookchin (già quadro sindacale del partito trotskista nordamericano in gioventù). Ma ciò non toglie che la difesa di una nazione aggredita o oppressa sia un dovere in ogni caso, anche quello dell’Ucraina, come fece la Russia rivoluzionaria nel 1920 rispetto alla disastrata Turchia del borghese Kemal Ataturk contro la Grecia appoggiata dall’imperialismo inglese.


No all'accordo criminale di allargamento della NATO

No alle armi al regime reazionario di Erdogan

Giù le mani dai rifugiati curdi in Svezia e Finlandia

Terrorista non è il PKK ma la NATO e l'OCTS (alleanza militare tra Russia e paesi satelliti)

Per lo scioglimento incondizionato dei due blocchi militari

Ritiro delle truppe turche e siriane dai territori curdi

Per un Kurdistan indipendente, unito e socialista, nell'ambito di una federazione socialista del Medio Oriente

Partito Comunista dei Lavoratori - Commissione internazionale

8, 9, 10 luglio, Festa Comunista!

 


Dall'8 al 10 luglio la Festa Comunista del Partito Comunista dei Lavoratori a Valpiana (Grosseto)

Dall'8 al 10 luglio, Festa Comunista del Partito Comunista dei Lavoratori a Valpiana (Grosseto)


Venerdì 8 luglio:

Dibattito pubblico: “La guerra in Ucraina e la posizione dei marxisti rivoluzionari” - relazione di Franco Grisolia


Sabato 9 luglio:

Stonewall: la nascita della soggettività queer” - relazione di Achlys Nakta

Presentazione del nuovo libro di Marco Ferrando Stalin e il PCI. Tra mito e realtà


Domenica 10 luglio:

L’imperialismo in questa fase storica” - relazione di Federico Bacchiocchi

Socialism for future. O rivoluzione o catastrofe ambientale” - relazione di Stefano Falai


e in più...

dibattiti, formazione, ristorante popolare

musica di Elle P Esse, Sonatori della Boscaglia, Swing Project, Andrea Gozzi



Programma completo e informazioni alla pagina Facebook della festa.

Ti aspettiamo!

L'annullamento della sentenza Roe vs Wade: il volto reale della democrazia borghese

 


La Corte suprema degli Stati Uniti cancella il diritto all’aborto. Esplode la rabbia in decine di manifestazioni di protesta

Venerdì 24 giugno 2022 la Corte Suprema degli Stati Uniti d’America cancella la storica sentenza Roe vs. Wade del 1973, che garantiva alle donne il diritto federale di abortire in tutto il paese. L’iter che ha portato a questa mossa reazionaria parte dal riesame di una causa costituzionale intrapresa nel 2018 dalla Jakson Women’s Health Organization contro il parlamento del Mississippi.

Con l’abolizione di questa sentenza, in diversi stati americani, entreranno in vigore leggi sull’aborto molto restrittive, in alcuni casi addirittura proibitive, come ad esempio in Texas, in Oklahoma, il già citato Mississippi e ipoteticamente in altri undici stati; tutto questo con grande soddisfazione degli ambienti conservatori e pro life.

Le donne sono dunque espropriate dei loro corpi, del diritto fondamentale di scegliere sulla propria salute riproduttiva e sul proprio destino. Senza questa sentenza le donne* e le persone non binarie proletarie dovranno ricorrere all’aborto in maniera clandestina, rischiando la vita, investendo i loro pochi risparmi alla ricerca di una soluzione.

Le ragioni addotte e trapelate dalle parole del giudice della Corte Samuel Alito: la questione dell'aborto non è esplicitamente enumerata come un potere federale nella Costituzione “poiché all’epoca nemmeno si discuteva di aborto”, dunque rimandata al potere decisionale dei singoli stati.

Da queste parole agghiaccianti trapelano una verità di fatto: un sistema giuridico all’interno di una democrazia borghese che poggia sul modo di produzione capitalista, non può tutelare i diritti riproduttivi delle donne e la loro salute, così come non può rappresentare gli interessi de* lavorator* (delle lavoratrici e dei lavoratori.)


NESSUNA FIDUCIA IN BIDEN E NEI DEMOCRATICI

Nonostante le parole di dissenso da parte dei tre giudici liberali della corte e delle parole di Obama che parla di “attacco alla libertà”, del segretario di stato Blinken che si dice impegnato a tutelare i diritti riproduttivi delle donne (!) e lo stesso Presidente Joe Biden che commenta la decisione della corte come “un tragico errore”, è giusto ricordare che politicamente nessuno di loro ha mai intrapreso un iter legislativo atto a sancire questo diritto. C’è di più: lo stesso Biden nel 1973 affermò di non credere che "una donna avesse il diritto esclusivo di dire cosa dovrebbe accadere al suo corpo" e nel 1977 usò il suo peso politico per bloccare il finanziamento federale degli aborti, in particolare nei casi di stupro e incesto.

Dunque, il sostegno peloso da parte di questa compagine politica è servito nei momenti di campagna elettorale in funzione anti-trumpista, per illudere le donne, soprattutto le donne proletarie e afroamericane e la comunità LGBTQIA+, quindi a capitalizzare i loro voti e il loro consenso. In questa fase delicata la strumentalizzazione di questa battaglia serve in sostanza a sostenere il ruolo guerrafondaio degli USA, in varie zone del mondo e nello scenario bellico ucraino, nel quale è evidente l’ingerenza della NATO per la creazione del futuro assetto economico-mondiale. Il tutto a spese del proletariato, delle donne e delle comunità LGBTQIA+, da sempre vittime di stupro e di violenza nei contesti di guerra e non solo.

Per questo, non riteniamo utile la “tattica del fare pressione” nei confronti di uno dei partiti deputati alla gestione del capitale, il Partito Democratico, nel senso in cui si era espressa una delle più importanti voci storiche del movimento femminista afroamericano, Angela Davis; anche le richieste mosse in questi giorni dalle molte associazioni e voci di movimento si riveleranno ancora una volta perdenti e dispersive e causeranno l’ulteriore arretramento della lotta di classe in questa fase storica, se non sarà in grado di costruire un programma di rivendicazioni all’altezza dello scontro e di organizzarsi in maniera indipendente dai partiti della borghesia, Repubblicani o liberal-democratici che siano e dai loro interessi economici.


UN MOVIMENTO INTERNAZIONALISTA E CLASSISTA PER BLOCCARE L’ONDATA REAZIONARIA E PER UNA SVOLTA RIVOLUZIONARIA

L’ondata reazionaria si colloca in un contesto generalizzato di attacco al diritto riproduttivo e al grave doppio sfruttamento delle donne in molte zone del mondo. Il controllo biologico dei corpi serve ai governi per controllare la forza lavoro su richiesta del padronato: l’aumento della forza-lavoro serve a comprimere i salari, assicurare i profitti ai padroni e a rendere le proprie merci competitive sui mercati; in altri casi, come le lavoratrici dello zucchero indiane, la sterilizzazione degli organi riproduttivi viene imposta per garantire ai padroni ritmi di lavoro massacranti e maggiore estrazione di plusvalore.

Ci sono molte zone in cui l’accesso all’interruzione di gravidanza è vietato, si pensi a molti paesi dell’America latina e paesi a maggioranza musulmana, in altri è stato faticosamente conquistato dopo anni di lotte, come in Argentina con i suoi limiti riguardanti l’esercizio dell’obiezione di coscienza, per altro a noi in Italia ben noti, visti i continui attacchi alla legge 194. Le donne polacche hanno dato un grande esempio di mobilitazione ma non sono riuscite ad arrestare la follia ultraconservatrice che arriverà addirittura a schedarle. Non possiamo dare per scontato che laddove esistano questi diritti, questi possano anche essere mantenuti. Questa vicenda ce lo conferma. Tutto questo pone inoltre un problema ancora più grande: la pandemia ha evidenziato e aggravato i limiti strutturali dei sistemi sanitari, soprattutto dove la privatizzazione e i tagli alle spese sociali hanno reso la cura della propria salute un privilegio, scaricando i costi sui salari in un contesto caratterizzato dalla crescente disoccupazione e precarietà lavorativa.

Serve dunque costruire un movimento femminista e LGBTQIA+ classista, anticapitalista e rivoluzionario, per difendere la salute de* lavorator*. Le donne non sono macchine per la riproduzione sociale! A loro spetta decidere sul proprio corpo e sul proprio destino.

Esprimiamo dunque massima solidarietà ai movimenti, alle associazioni, alle organizzazioni politiche della sinistra rivoluzionaria e ai sindacati in lotta in questo momento, e ci uniamo alla loro rabbia, che in molte città degli Stati Uniti sta inondando le piazze. Uniamo le nostre rivendicazioni per l’accesso all’aborto libero, sicuro e gratuito a quelle del mondo del lavoro e a tutte le altre lotte in campo, in una prospettiva internazionale, anticapitalista e rivoluzionaria.

Giù le mani dai nostri corpi!
Sulla nostra salute decidiamo noi!

Partito Comunista dei Lavoratori – Commissione donne e altre oppressioni di genere

A Kiev i tre re magi dell'imperialismo

 


La missione congiunta Draghi-Macron-Scholz a Kiev non ha solo ragioni di facciata.


Oltre al sostegno all'Ucraina sul terreno militare, i paesi imperialisti europei devono fare la quadra anche su quello dell'economia di guerra. Qui si presenta una selva di questioni molto ampia: quella della dipendenza energetica e dei vari modelli vigenti nei diversi paesi europei legati ora al gas, ora al petrolio, ora al carbone, ora al nucleare; i problemi derivanti da una considerevole inflazione e alle risposte di tipo deflattivo (aumenti del costo del denaro) pronte già sul tavolo dei vari governi, non solo europei; lo scarso livello di coesione sul terreno delle prospettive politiche dei vari imperialismi europei e il loro peso debole di fronte agli imperialismi USA, cinese e in secondo ordine britannico.

Sullo sfondo una situazione militare complessa e rischiosa, una carestia biblica con lo strascico di emigrazione e ulteriore immiserimento delle masse popolari europee, l'intreccio con il protrarsi degli strascichi della pandemia.

Al di là dei risultati che la missione potrebbe avere (anche rispetto alla richiesta ucraina di aderire all'UE), è chiaro che essa si gioca anche sul terreno della ricomposizione degli equilibri – oggi non rassicurante – all'interno della stessa Europa imperialista.
Da queste ampie zone d'ombra, per contrasto, si evidenzia per il Partito Comunista dei Lavoratori, la debolezza attuale dell’unica prospettiva, quella rivoluzionaria e socialista, sempre più necessaria in questo micidiale caos.

P.S.

Il governo Draghi di fronte a un nuovo tornante

 


Per una mobilitazione generale contro il carovita

Il governo Draghi è di fronte a un nuovo tornante. Sul piano politico e su quello economico.

Le elezioni amministrative fotografano la precarietà del quadro politico su cui il governo si appoggia. L'onda populista che ha attraversato la prima metà della legislatura – prima nel segno del M5S poi della Lega – è rifluita, ma la ricomposizione di un quadro bipolare è lontana.
Il centrodestra conserva un blocco sociale tendenzialmente egemone, ma la sua rappresentanza politica vede un conflitto irrisolto tra Lega e Fratelli d'Italia: FdI capitalizza elettoralmente la crisi del salvinismo ma la sua leadership non è riconosciuta, ed anzi è oggetto di un'azione di contrasto senza risparmio di colpi all'interno della sua stessa coalizione.
Sull'altro versante il PD consolida la propria rendita di posizione di partito di sistema, ma il disegno del “campo largo”, caro al suo segretario, si confronta con la crisi verticale del M5S. Una crisi totale: di riconoscibilità politica, di consenso elettorale, di catena interna di comando, lungo la linea di confine di una possibile esplosione/frantumazione.

I cantieri del bipolarismo portano la scritta “lavori in corso”. Ma la scritta ha dieci anni di vita, e i lavori non prefigurano un esito. Mentre al “centro”, luogo immaginario della politologia borghese, si affollano liste e partiti personali (Renzi, Calenda), che oscillano tra ambizioni autocentrate, incursioni piratesche e pressioni negoziali sui partiti maggiori delle due coalizioni.

In questo quadro la legge elettorale vigente (cosiddetta Rosatellum) sopravvive grazie all'assenza di una maggioranza in grado di cambiarla in senso proporzionale, ma si riduce a camicia di forza di un sistema politico imploso. L'approssimarsi delle elezioni politiche, tanto più a fronte dell'avvenuta riduzione del numero dei parlamentari, agirà come ulteriore agente dissolvente su ogni lato del quadro politico.

Il paradosso è che il governo di semi-unità nazionale è esposto agli effetti della crisi di partiti chiave della sua maggioranza (Lega e M5S) e al tempo stesso si regge su questa crisi. Mentre il quadro internazionale, economico e politico, riduce verticalmente lo spazio di manovra dell'esecutivo.

Il ritorno dell'inflazione, acuito dalla guerra, cambia la rotta delle banche centrali, alza ovunque i tassi di interesse, riduce gli spazi di manovra dei bilanci pubblici. La sospensione per un altro anno del Patto di stabilità continentale offre un margine a Draghi. Ma è un margine sottile, a fronte di una BCE che oltre ad alzare i tassi, riduce l'acquisto dei titoli pubblici, con le relative ricadute sul mercato finanziario.
Ai lavoratori e alle lavoratrici, coi salari falcidiati dal carovita, il governo ha dato la miseria di 200 euro una tantum, cioè il nulla, finanziato da un prelievo irrisorio sugli extraprofitti giganteschi dei monopoli energetici, “non potendo usare la leva del bilancio” (Draghi).
Nuove difficoltà emergono nello stesso rapporto con Confindustria. Confindustria teme come la peste una rincorsa di rivendicazioni salariali, oggi emergente nella vicina Francia. Per questo chiede al governo un taglio di 16 miliardi di cuneo fiscale: un modo per mettere al riparo i profitti scaricando gli oneri sul bilancio pubblico, cioè di fatto sui lavoratori. Ma il governo nella nuova situazione non può fare scostamenti di bilancio per finanziare l'operazione, dovendo già trovare nuovi miliardi per l'industria bellica tricolore, reperire i miliardi da girare ai padroni dell'automotive coinvolti nella riconversione produttiva, sostenere i capitalisti della siderurgia colpiti dal rincaro delle materie prime, sorreggere le imprese esportatrici esposte sul mercato russo e coinvolte nelle sanzioni, regalare ai padroni edili gli effetti dorati degli incentivi fiscali ormai fuori controllo (60 miliardi)...

Di fronte alla stretta, Draghi cerca l'intesa con Macron attorno alla richiesta di un ulteriore indebitamento pubblico europeo che possa finanziare le nuove spese in energia e difesa, senza dover ricorrere al bilancio nazionale. Una nuova operazione di Recovery Fund, totalmente a debito, in cui la UE si indebita sul mercato finanziario mondiale per girare il ricavato ai capitalisti del continente e scaricare il nuovo debito sui salariati del continente. Ma la Germania non pare interessata all'operazione. Il suo bilancio nazionale le consente di investire 100 miliardi nel proprio riarmo. E la Bundesbank preme semmai per ripristinare in tempi brevi il patto europeo sulle politiche di bilancio, anzi chiede si ponga un tetto ai titoli pubblici detenibili dalle banche europee, ciò che costringerebbe i banchieri italiani a disfarsi dei titoli di Stato eccedenti, con l'effetto di un nuovo rialzo dei tassi.

La risultante di tutto questo sarà un nuovo giro di vite contro i lavoratori e le lavoratrici. Riforma penalizzante delle pensioni, nuove restrizioni sul reddito di cittadinanza, austerità di spesa su sanità, istruzione, lavoro, sono i capitoli annunciati della prossima legge di stabilità, nel nome della nuova emergenza e della guerra.

Contro l'economia di guerra e la nuova annunciata austerità è necessaria una mobilitazione generale vera del movimento operaio.
No al riarmo. Blocco delle tariffe. Controllo operaio sui prezzi. Reintroduzione della scala mobile dei salari. Requisizione integrale dei 40 miliardi di sovraprofitti dei monopoli energetici e loro nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo operaio. Una patrimoniale straordinaria del 10% sul 10% più ricco per finanziare sanità, istruzione, opere sociali di utilità pubblica, riconversione energetica e risanamento ambientale.
Sono le prime voci di una piattaforma generale di lotta che unisca milioni di salariati. Il momento è ora. La borghesia è forte solo della debolezza dell'opposizione e del servilismo delle burocrazie sindacali. Un'azione di mobilitazione vera precipiterebbe tutte le sue contraddizioni e potrebbe aprire dal basso uno scenario nuovo. L'alternativa è un nuovo piano inclinato verso il basso.

Partito Comunista dei Lavoratori

Massima solidarietà di classe agli operai ucraini

 


Un comunicato scritto dal Revolyutsionnaya Rabochaya Partiya (Partito Operaio Rivoluzionario) della Russia sulle repressioni nei confronti dei minatori di Komsomolsk

Il sindacato dei minatori di Komsomolsk (LPR – Repubblica Popolare di Lugansk) combatte attivamente da molti anni per i diritti dei lavoratori. Nel 2020 i lavoratori hanno scioperato per diversi mesi a causa del salario non pagato. 124 minatori hanno bloccato la miniera.
Quindi i proprietari hanno interrotto la fornitura di energia elettrica, hanno interrotto la ventilazione e il drenaggio e non hanno permesso che le forniture arrivassero ai minatori, dentro alla miniera.

Inoltre, l'MGB (ministero della Sicurezza dello Stato) ha rapito 21 lavoratori, uomini e donne, e li ha torturati. Molti di loro furono presto rilasciati, ma per 12 giorni Igor e Vitaly Efanov, lavoratori della miniera Komsomolskaya, Stanislav Tkachenko, un lavoratore della miniera Belorechenskaya, e altri quattro minatori sono rimasti prigionieri. Sono stati torturati con scosse elettriche e costretti a confessare tutto davanti alle telecamere.
Come se non bastasse, nello stesso stabilimento metallurgico di Alchevsk del 2020, la gruista Anzhelika Borisenko è stata rapita e torturata nonché sospesa dal lavoro accusata di violazioni della sicurezza. Inoltre, il deputato Serhiy Kuts, uno dei leader del movimento operaio nel Donbass, è stato rapito nel centro di Donetsk nel dicembre 2020 e il giorno dopo lo hanno buttato fuori dall'auto dall'altra parte della città dopo averlo brutalmente picchiato.

Il 6 marzo 2022 un attivista operaio, comunista e membro del Partito Rivoluzionario dei Lavoratori Artyom Borodin è stato rapito, e tuttora non sappiamo con certezza cosa gli sia successo.

Ieri il sindacato ha riferito che la moglie di un lavoratore che si è opposto all'esercito è stata rapita dal ministero della Sicurezza dello Stato. Ciò è accaduto dopo che le mogli degli scioperanti sono andate dal capo della LPR, Pasechnik, a lamentarsi della difficile situazione dei loro mariti. Una delle ragazze è stata arrestata e costretta a confessare di essere un agente della SBU (Servizi Segreti ucraini); ora rischia 20 anni di carcere.
Il sindacato non ha dubbi sul fatto che la ragazza sia stata torturata nello stesso modo in cui sono stati torturati altri sindacalisti negli ultimi otto anni.

Il Partito Operaio Rivoluzionario condanna le repressioni della dirigenza borghese della LDNR (Repubblica popolare di Donetsk e Lugansk) ed esprime anche la sua solidarietà ai lavoratori nella loro lotta per i loro diritti!

27 maggio 2022

Revolyutsionnaya Rabochaya Partiya
(tradotto dal Partito Comunista dei Lavoratori)

Nuovo libro. 'Stalin e il PCI. Tra mito e realtà'

 


È uscito un nuovo libro di Marco Ferrando dal titolo Stalin e il PCI. Tra mito e realtà, Red Star Press editore. Il testo precedente dell'autore (Cento anni. Storia e attualità della rivoluzione comunista), anch'esso edito da Red Star Press, si soffermava principalmente sull'attualità del marxismo rivoluzionario e del suo programma fondamentale in rapporto alla crisi del capitalismo. Il nuovo libro affronta il tema da un'angolazione diversa: la storia del movimento operaio e comunista in Italia, nella sua connessione con lo stalinismo.


Lo stalinismo non è riducibile alla figura di Stalin, e neppure alla sola storia dell'URSS. Esso non solo ha dominato – lungo l'arco di mezzo secolo – un ampio settore del movimento operaio mondiale, e i movimenti di liberazione nazionale contro l'imperialismo in Asia e in Africa, ma ha anche determinato, per i suoi effetti diretti e indiretti, larga parte della storia successiva al proprio crollo. La caduta del Muro di Berlino, la restaurazione capitalistica in Russia e in Cina per mano delle loro burocrazie dirigenti, la nascita per questa via di nuove potenze imperialiste con i loro enormi riflessi su scala internazionale, sono inseparabili in ultima analisi dalla parabola storica del fenomeno staliniano. Non riguardano solo il passato ma il presente, inclusi i nuovi venti di guerra.

Così è stato per il movimento operaio. Le sedimentazioni dello stalinismo permangono non solo nelle organizzazioni e nei partiti che si rifanno apertamente al suo mito, ma anche nell'immaginario di settori dell'avanguardia di classe, politica e sindacale. Nel loro linguaggio, nella loro lettura del mondo (basta pensare al campismo), nella loro impostazione politica e strategica. Ciò è particolarmente evidente in Italia, dove ha operato per sessant'anni il partito staliniano con la maggiore influenza di massa dell'intero Occidente capitalistico, il Partito Comunista Italiano.

La cultura del PCI, nei suoi diversi frammenti, è infatti sopravvissuta al partito. Ha smarrito la propria organicità ma non il proprio vocabolario. La “Costituzione nata dalla Resistenza” (invece che dal suo tradimento), la “sovranità nazionale dell'Italia” (cioè dell'imperialismo di casa nostra), i blocchi “progressisti” e di governo con la borghesia liberale, il feticcio della democrazia borghese e dello Stato, le illusioni sull'ONU e la diplomazia mondiale, lo stesso minimalismo rivendicativo sul piano politico e sindacale (inclusa l'estraneità alla tradizione più radicale della lotta di classe sul terreno dell'azione e dell'autorganizzazione di massa) sono tutti ingredienti della tradizione del PCI e della lunga egemonia che questa ha esercitato a sinistra, persino a sinistra del PCI. Non è un caso se tali posture, ben oltre il PCI, hanno dominato in varie forme negli ultimi trent'anni la politica e il pensiero delle sinistre cosiddette radicali. Anche di quelle che dovevano “rifondare”.

Questa cultura riformista non germinò spontaneamente, o per fattori casuali. Si affermò in un drammatico scontro politico con la cultura precedente del movimento operaio italiano, quella del PCd'I delle origini, e di parte dello stesso Partito Socialista Italiano dei primi anni '20. Una cultura classista, internazionalista e rivoluzionaria, che aveva segnato ampi settori di massa del proletariato del primo '900 e che aveva trovato il proprio sbocco più conseguente nella fondazione del PCd'I a Livorno, quale sezione dell'Internazionale Comunista. Non senza incrostazioni iniziali di estremismo, come nella impostazione bordighiana, ma su una base coerentemente rivoluzionaria. Una base programmatica e di principio su cui si innestò la riflessione ed elaborazione di Antonio Gramsci, nel segno di un'adesione compiuta al bolscevismo. Le Tesi di Lione del terzo congresso del PCd'I (1926) sancirono tale patrimonio, quello che il togliattismo pochi anni dopo avrebbe liquidato.

Certo, il PCI nacque dal PCd'I, ma come sua negazione. Nacque cioè dalla distruzione del PCd'I delle origini – prima di Bordiga e poi di Gramsci – attraverso la sua assimilazione allo stalinismo. L'espulsione “per trotskismo” nel 1930 di metà del suo Ufficio Politico (Tresso, Leonetti, Ravazzoli) per volontà di Togliatti, con l'appoggio determinante di Longo e di Secchia, fu il passaggio decisivo di tale svolta. Riflesso in Italia della deriva del Comintern.

Stalin e il PCI. Tra mito e realtà ricostruisce la genesi e l'evoluzione dello stalinismo italiano lungo l'intera parabola del PCI, sino alle soglie della sua dissoluzione dopo il crollo del Muro di Berlino. Distingue la passione delle generazioni operaie che vi militarono dalla politica controrivoluzionaria della sua burocrazia dirigente. Rivela in particolare il vero ruolo del cosiddetto stalinismo di sinistra (Pietro Secchia) nella copertura determinante della politica di Togliatti in tutti i suoi passaggi determinanti: dall'appello ai “fratelli in camicia nera” del 1936 ai governi di unità nazionale con Badoglio, Bonomi, De Gasperi; dal disarmo partigiano alla ricostruzione capitalistica; dal voto decisivo all'articolo 7 in Costituzione all'amnistia per gli aguzzini fascisti, sino alla svendita del grande sciopero generale del 14-16 luglio 1948. Una politica che spianò la strada alla disfatta degli anni '50, alla lunga stagione della vendetta padronale e della reazione anticomunista, sino alla ripresa del movimento operaio degli anni '60 e alla sua nuova subordinazione alla borghesia col compromesso storico berlingueriano del successivo decennio, quello che segnò l'inizio della fine del PCI, assieme al lungo riflusso del movimento operaio. Prima il craxismo, poi la seconda Repubblica, saranno la sua risultante.

Nel ricostruire passo dopo passo la parabola storica del PCI, il libro chiarisce la sua connessione con la degenerazione staliniana dell'intero movimento comunista internazionale. Contro ogni teoria immaginifica della cosiddetta “autonomia” del PCI, teorizzata sia dagli apologeti del togliattismo sia, per ragioni opposte, dagli eredi di Secchia. Gli uni per nobilitare il riformismo nazionale del PCI quale partito di governo e costituzionale, gli altri per rivendicare un presunto ruolo rivoluzionario di Stalin che il XX congresso del PCUS avrebbe colpevolmente rinnegato. In realtà tutte le scelte di fondo del PCI dagli anni ''30 agli anni '60 furono in stretta connessione con gli indirizzi controrivoluzionari della burocrazia sovietica, a partire dalla svolta di Salerno.

Al tempo stesso, fu proprio l'integrazione profonda nello Stato borghese che quel corso politico avviò nel dopoguerra a gettare le basi della lunga socialdemocratizzazione del PCI, del partito delle cooperative, degli assessori, delle aziende pubbliche, dominato sempre più dal proprio appetito di governo del capitalismo italiano piuttosto che dalla propria subordinazione a Mosca. Lungo un processo incompiuto che solo il crollo dell'URSS riuscirà a liberare, sino allo scioglimento del PCI. Uno scioglimento che rappresentò la confessione postuma del partito, più che il suo tradimento.

Ricostruire questo tragitto storico con ampia e argomentata documentazione, come fa il libro, non è un esercizio storiografico, ma una necessità politica per chi voglia rilanciare oggi un progetto marxista rivoluzionario, in Italia e su scala internazionale. La storia degli ultimi trent'anni ha dimostrato che senza fare i conti con la tragedia politica staliniana non si può costruire una storia nuova dei comunisti. Perché ci si imbatte a ogni passo nel suo lascito. Il governismo che ha ucciso Rifondazione Comunista trascinandola nel voto alle missioni militari, alla precarizzazione del lavoro, alla detassazione dei profitti, non è uno spiacevole incidente ma l'eredità di una storia. Peraltro già l'esperienza degli anni '40, come quella degli anni '70, aveva dimostrato che senza un bilancio dello stalinismo (inclusa la sua variante maoista) non era possibile costruire a sinistra del PCI una direzione alternativa del movimento operaio. A maggior ragione non sarebbe possibile oggi in condizioni assai più difficili, dopo un'enorme dispersione di forze e una sconfitta profonda.

Più in generale, i nuovi tempi di ferro e di fuoco che investono il mondo non possono essere affrontati col retaggio della vecchia cultura riformista, col peso ingombrante della sua zavorra. Richiedono il recupero della tradizione rivoluzionaria, che è condizione necessaria del suo stesso aggiornamento e sviluppo. La tradizione di Lenin e di Trotsky, di Antonio Gramsci e di Pietro Tresso, quella che oggi vede nel successo del trotskismo in Argentina presso importanti settori di classe e di massa la misura di un nuovo spazio di rilancio del marxismo rivoluzionario.

Vi sono anche in Italia alcune migliaia di giovani che cercano in qualche modo, seppur in forme diverse, il filo rosso del leninismo. Che sentono l'esigenza di non limitarsi alla routine dell'antagonismo, di riconoscersi in un progetto complessivo, di ritrovare le radici di tale progetto nella grande storia del movimento operaio, di formarsi come quadri leninisti nello studio serio di questa storia. Studio che è incompatibile coi falsi miti e con la retorica della menzogna, con la rimozione della memoria storica e della sua verità. La costruzione di un partito rivoluzionario non può fare a meno di questa risorsa preziosa. 
È a questi giovani, innanzitutto, che il libro intende rivolgersi.

Due sì ai referendum

 


Il 12 giugno, assieme alle elezioni amministrative di numerosi comuni, vanno al voto cinque referendum in materia di giustizia, promossi dal Partito Radicale e sostenuti dalla Lega. Non entriamo nel merito della scelta della Lega, che cerca un proprio spazio d'immagine e un regolamento di conti con la magistratura. Sono le guerre per bande tipiche della democrazia borghese. Né trattiamo in questa sede la nostra proposta programmatica generale in fatto di giustizia, che in ogni caso contesta alla radice l'ordine giudiziario come casta separata, in quanto rivendica l'eleggibilità e revocabilità di tutti i funzionari dello Stato. Ci limitiamo ad un pronunciamento di merito sui quesiti referendari posti. Tre di essi (legge Severino, elezione del CSM, composizione dei collegi giudiziari) ci paiono di valenza minore, molto tecnica, e di profilo contraddittorio. Non diamo indicazione di voto al riguardo. Due di essi (separazione delle carriere e limitazione della carcerazione preventiva) assumono invece una valenza maggiore da un punto di vista democratico, e hanno il nostro sostegno.


Diamo indicazione di voto per il sì sulla separazione delle carriere e sulla limitazione della carcerazione preventiva.

L'assenza di barriere tra magistratura inquirente e magistratura giudicante ha allargato di fatto il potere reale dei Pubblici Ministeri, consentendo il passaggio da PM a giudice talvolta nel corso dello stesso processo. La cosiddetta terzietà del giudice ne risulta particolarmente manomessa. Ciò va a scapito in particolare non degli imputati eccellenti, ma dei cosiddetti imputati minori, assai più numerosi, provenienti dalle classi popolari. La separazione delle carriere tutela maggiormente le loro ragioni difensive.

La carcerazione preventiva ha assunto in Italia proporzioni abnormi sia per i tempi di durata che soprattutto per il numero detenuti coinvolti: il 31% della popolazione carceraria è in attesa di giudizio, Molti, a bilancio, senza aver commesso alcun reato. Il referendum, pur preservando la carcerazione preventiva nel caso di “rischio di reiterazione dei reati più gravi”, chiede la cancellazione della formula generica di “reiterazione del reato” come ragione della custodia cautelare. Anche in questo caso la limitazione dei poteri di carcerazione preventiva va a beneficio dei detenuti meno abbienti, che sono la parte preponderante della popolazione carceraria, e può interessare i militanti classisti colpiti per reati di lotta.

Va da sé che nel quadro della democrazia borghese ogni misura democratica è necessariamente monca e parziale. Solo un governo dei lavoratori e delle lavoratrici potrà realmente fare giustizia.

Partito Comunista dei Lavoratori

CHE COS'E' IL NSBM E COME COMBATTERLO


Riprendiamo e volentieri pubblichiamo

 Un mio contributo sul nazismo nella scena del metal estremo


Il NSBM (acronimo che sta per National Socialist Black Metal) è una branca del metal estremo improntata ad ideologie nazional-socialiste, che non si caratterizza per una particolare influenza stilistica, per quanto improntato su marcate influenze derivanti dal RAC, quanto per una comunanza di ideali derivanti dal retaggio della destra più estrema, quali razzismo, sessismo, misoginia, abilismo, anti-comunismo, ecc.

Il problema del nazismo nel black metal si pose già dalla cosiddetta "seconda ondata" (successiva ad una prima che ne tratteggiò i canoni stilistici principali, seppur ancora piuttosto vaghi, e formata da band quali primi Bathory, Celtic Frost, Venom), con uno dei suoi principali esponenti, Varg Vikernes in arte "Burzum", che non ha mai nascosto le sue simpatie per il regime hitleriano e che, durante la sua permanenza in carcere successiva all'omicidio di un altro esponente della scena black metal, Øystein Aarseth in arte "Euronymous", arrivò a scrivere un delirante manifesto dal titolo di "Vargsmål" improntato su ideali razzisti e suprematisti.

Inoltre la seminale band Darkthrone, dopo un esordio più improntato sul death metal ed una successiva virata sul black coi dischi successivi, nel suo disco del 1994 "Transilvanian Hunger" stampò sul retro del disco la scritta "Norsk Arisk Black Metal" ("Black Metal Norvegese Ariano") e dichiarò che "Transilvanian Hunger è oltre ogni critica. Se qualcuno dovesse provare a criticare questo LP dovrà essere trattato con sufficienza per il suo comportamento palesemente ebreo." (1)
La pezza che il gruppo cercò di metterci, dato il clamore suscitato, fu peggiore del buco: si giustificarono dicendo che in Norvegia la parola "ebreo" si usa per definire qualcuno particolarmente stupido (sic!).

Con gli anni, e visto il brodo di coltura regnante in tale campo, le ideologie legate alla destra più estrema ebbero modo di proliferare indisturbate e crescere esponenzialmente, passando da stupide boutade ad una vera e propria militanza politica: in Grecia il gruppo dei Der Sturmer (il cui nome rimanda al famoso giornale di propaganda antisemita della Germania nazista, edito tra il 1923 e il 1945) è formato da militanti della famosa formazione neonazista Alba Dorata, ed il gruppo dei Naer Mataron è arrivato anche ad eleggere un deputato, il loro bassista Kaiadas, con tale formazione politica.

La scena NSBM (presente anche in Italia con band quali Kaiserreich, Via Dolorosa, Frangar, i disciolti Waffen SS...) è particolarmente florida nei paesi della ex "cortina di ferro": Polonia (col famigerato Temple Of Fullmoon e band quali Graveland, Veles, Dark Fury), Ucraina (Nokturnal Mortum, Kroda, Drudkh), Bulgaria (88, Gaskammer, Paganblut) e via dicendo.
Questo è sicuramente un lascito dello stalinismo e della sua controrivoluzione che, a causa delle carestie e della povertà provocata dalla sua burocrazia e dalla successiva restaurazione capitalistica dopo il crollo dell'URSS, ha provocato nel proletariato di tali nazioni un sentimento di odio verso quello che loro identificano come "comunismo" ed ha portato così una parte di esso ad abbracciare idee reazionarie e controrivoluzionarie.

Due casi particolari sono rappresentati dai due grandi blocchi che si sono scontrati nel corso della seconda guerra mondiale: Germania e Russia.

Nel caso tedesco, culla dell'ideologia che ha dato vita al nazional-socialismo, pur con diverse band che compongono il sottobosco neonazista, il nome da ricordare è uno ed uno soltanto: Absurd.
Gli Absurd sono stati infatti una delle prime band della scena NSBM, attivi fin dagli anni '90 e da subito votati ad ideologie di estrema destra.
Con il succitato Burzum condividono inoltre anche un fatto di sangue: il loro leader Henrik Mobus si macchiò infatti dell'omicidio di Sandro Beyer, un loro compagno di scuola.
Molto clamore suscitò nel 2012 la calata italiana del combo teutonico, boicottata da Indymedia e dalla rete antifascista nostrana (2) che costrinse allo spostamento di ben 3 location per la sede del concerto, il quale alla fine si tenne al Theatre di Rozzano.

La scena russa è invece molto fiorente: sono tante le band che si richiamano al neonazismo in quella terra (alla faccia di Putin che vuole denazificare l'Ucraina...ma forse dovrebbe pensare prima alla sua nazione!) tanto da dar vita, come in Polonia il Temple of Fullmoon, ad una associazione che riunisce tali band, la Blazebirth Hall.
Alcuni nomi sono M8l8th, Branikald, Forest, Velimor, Temnozor... e via dicendo.
Gruppi accomunati da sonorità tra le più variegate ma riuniti all'ombra della svastica.

Va detto, ad onor di cronaca, che ci sono band che hanno giocato molto sull'ambiguità e sul mostrare vaghe simpatie naziste (Nargaroth, Moonblood, Taake...) per "scandalizzare" e vendere più dischi in un ambiente in cui si gioca a chi è più cattivo e fa la cosa più oltraggiosa.
Per dirla con le parole di Hendrik Mobus degli Absurd, "puoi insultare Gesù Cristo e onorare Satana, e a nessuno gliene fregherà un cazzo. Puoi parlare di qualsivoglia depravazione sessuale, e ti chiederanno di continuare. Oggi come oggi è solo con il nazionalsocialismo che trovi tutte le porte sbarrate e la gente che ti volta le spalle". (3)
Hoest, leader e mastermind dei norvegesi Taake, nel 2007 ad Essen si presentò sul palco con una svastica incisa sul petto e venne (giustamente) cacciato a bottigliate.
Lo stesso Hoest nel tempo ha mostrato atteggiamenti islamofobi e misogini, tanto che ci furono forti polemiche per la calata bolognese della sua band nel 2018 (4) e negli Stati Uniti ed in Oceania ebbero problemi e dovettero cancellare delle date.

Questi miserabili ignoranti mostrano svastiche e croci celtiche convinti così di scandalizzare o addirittura di essere "rivoluzionari", ma non si rendono conto che in questo comportamento non c'è nulla di ribelle nè tanto meno di rivoluzionario: fascismo e nazismo sono sempre stati strumento della grande borghesia contro il proletariato. Basti pensare al biennio rosso italiano quando le squadracce fasciste venivano mandate dai padroni a scardinare i picchetti operai.
Destano inoltre particolare motivo di derisione i gruppi neofascisti che si rifanno al paganesimo, quando il fascismo è sempre stata un'ideologia fortemente legata alla religione cristiana.

Dai primi anni 2000 ha preso però forma un nuovo sottogenere del black metal, con lo scopo di combattere l'avanzata reazionaria e sempre più incontrollata di queste ideologia all'interno della scena: sto parlando del RABM (acronimo che sta per "Red & Anarchist Black Metal", ovvero il black metal di natura comunista, anarchica e antifascista).
Da una prima sparuta manciata di band (Iskra, Profecium, SorgSvart), la scena si è sempre più consolidata fino a giungere negli ultimi anni a creare un vero e proprio network internazionale (5) creato con lo scopo di non lasciare il metal estremo in mano a fascisti e nazisti e di creare spazi sicuri per chiunque non appartenga al classico "stereotipo" del maschio bianco etero cis e voglia assistere ad eventi e ascoltare musica senza sorbirsi retorica imbecille e reazionaria.

A Bologna e in alcune regioni italiane sono in particolare attivi i compagni e le compagne di Semirutarum Urbium Cadavera (6) con banchetti, organizzazione di eventi e sostegno alla scena metal locale antifascista.

Tirando le somme, il metal estremo in generale e il black metal in particolare ha al suo interno un cancro molto radicato ma non impossibile da estirpare.
Con l'impegno dei compagni e delle compagne che non vogliono lascare la musica estrema in mano a tali schifosi soggetti, possiamo fare molto per vincere questa piaga che affligge tale scena.

Alla lotta!

(Luca Dalle Donne)

(1)  (da un comunicato stampa della Peaceville, etichetta della band al tempo)
(3) (intervista tratta da "Come lupi tra le pecore", di Maspero e Ribaric)