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Il capitalismo reale e i suoi scandali del tempo della pandemia

La disgustosa farsa della concordia nazionale che presenta l’Italia tutta raccolta dietro lo sventolare dei tricolori per fare fronte comune contro la pandemia non ha potuto rimuovere il dato di un sistema di ruberie e di operazioni affaristiche che, anche in questa drammatica circostanza, ha alimentato indegne speculazioni contro la salute pubblica.
Clamorosa è la vicenda delle tangenti sugli appalti delle forniture sanitarie che ha coinvolto i vertici della sanità siciliana.

In Sicilia è stato scoperto un giri di tangenti nella sanità, del valore di 600 milioni di euro. Un vero e proprio terremoto che ha coinvolto numerosi manager pubblici e imprenditori, al coordinatore della struttura regionale per l’emergenza Covid-19 Antonino Candela al direttore generale dell’ASP di Trapani Fabio Damiani, accusati di reati ben noti: corruzione, istigazione alla corruzione, appropriazione indebita, rivelazione di segreto d ufficio ecc.
Le indagini hanno permesso di portare alla luce un vero e proprio centro di potere composto da politici, imprenditori, faccendieri; insomma cose note e manifeste.

La sanità pubblica e quella privata, convenzionata da oltre un trentennio, sono il settore che non conosce crisi; immune a qualsiasi terremoto economico-finanziario.
In questi anni lo hanno capito dirigenti sanitari corrotti (da Duilio Poggiolini in poi), lo hanno capito ex ministri (dal ministro della sanità Francesco De Lorenzo), medici senza scrupoli (Michele Summa e Giuseppe Poletti), politici corrotti (Formigoni e Ottaviano Del Turco), ma l’hanno capito soprattutto le organizzazioni criminali che investono da anni in questo settore i loro soldi sporchi, per poi beneficiare attraverso loro prestanome di guadagni esponenziali e puliti.
Soprattutto la sanità privata, cui è stata demandata la funzione della nuova accumulazione capitalistica, ha trovato nella complicità politica, attraverso il sistema delle convenzioni, la sua peculiarità di scambio: accreditamento-gestione di centinaia di miliardi pubblici-tangenti-voto elettorale.
Il cerchio del malaffare è chiuso in questo paradigma ben noto e funzionale.
Ecco che il capitale, il profitto, l'aziendalizzazione della salute, i manager della razionalizzazione, gli imprenditori della peggior specie entrano dalla porta principale nell’unico settore che oggi consente di fare profitto e rendita a due cifre di percentuale.

E chi sono oggi i padroni della salute (privata) gestita con questo modello di connivenze e di malaffare, di sfruttamento di un'intera categoria di professionisti?
Sono i vecchi e nuovi capitalisti ben noti, che vanno da De Benedetti ai fratelli Rocca, Giampaolo Angelucci, Emmanuel Miraglia, Giuseppe Rotelli, la famiglia Garofalo; sono loro che si spartiscono un business che in Italia vale centinaia di miliardi di euro.
E non ultima la Chiesa, che gestisce tra fondazioni, ordini religiosi e diocesi, centinaia di strutture sanitarie accreditate al sistema sanitario nazionale che non sono tenute a rendere pubblici i propri bilanci.

Sanità, politica, soldi e criminalità organizzata: un mix diffuso e vincente.
Gli appalti nella sanità, soprattutto privata, sono pilotati a favore delle ditte dei prestanome o ditte “vicine” a camorra, mafia, 'ndrangheta, non solo nel meridione ma in tutto il paese. Gli strumenti di persuasione si sono affinati, non si usa più la violenza, la lupara. Si utilizza la corruzione, più efficace e che riscuote più successo; non più spietati killer, ma dirigenza ben istruita e capace.
Sono ben note le inadempienze contrattuali che esistono in questo settore (nel silenzio più totale delle burocrazie sindacali). Per massimizzare i profitti, da anni vi è un attacco ai diritti e garanzie dei lavoratori impiegati nella sanità privata, un attacco al costo e al valore del lavoro, con contratti mai applicati o mai rinnovati (il contratto della sanità privata è scaduto da quattordici anni, una vergogna). Sempre nella sanità privata è partito l'attacco al contratto nazionale, dove si è inaugurato il dumping contrattuale, economico e normativo (nel più assoluto silenzio di CIGL, CISL e UIL: una vergogna).

Solo una rinnovata stagione di lotta, che sappia unire e radicalizzare queste vertenze, indicando in un nuovo modello di sanità pubblico, gratuito, universale, equo, potrà riscattare i tanti, le migliaia di lavoratori e cittadini che mai come in questo periodo hanno sacrificato tutto, finanche la vita.
Li hanno chiamati eroi: solo retorica e ipocrisia, frutto di questo sistema politico economico fallimentare. Erano lavoratori e cittadini, e proprio per questo noi comunisti, partito dei lavoratori, abbiamo il dovere, la responsabilità politica e morale di riscattarli da questo sfruttamento che è il fondamento dell’arricchimento capitalistico.

Ma oltre a questo episodio si è sviluppata una catena di scandali e di latrocini inqualificabili. Irene Pivetti è stata pesantemente coinvolta in una vicenda di forniture farlocche di mascherine. Sempre sulle mascherine si è assistito alla speculazione e all’imboscamento di enormi quantità di questi fondamentali strumenti di protezione per aggirare il prezzo di produzione calmierato di 50 centesimi deciso dal commissario Arcuri, e al contemporaneo sviluppo di un mercato nero lucroso e fiorente.
Allucinante è poi lo spreco di 21 milioni di euro per la realizzazione dell’ospedale anti-Covid della fiera di Milano, in grado di assicurare solo 25 posti di ricovero. Questa operazione, che ha visto la riesumazione del dottor Bertolaso ai vertici della protezione civile in Lombardia, arricchisce lo scenario della catastrofe di una sanità in mano ai privati, una sanità che in questa regione ha sulle spalle il peso di migliaia di morti, soprattutto anziani. (In ogni caso, i dati della pandemia a livello nazionale sono sottostimati rispetto alla sua reale diffusione.)
Indegna poi è stata la vicenda dei tamponi dati ai privati, con una punta scandalosa verificatesi in Calabria, dove è stato sottoposto a tampone neanche l’1% della popolazione. Indegna perché questo gioco al ribasso è stato finalizzato a ridimensionare i dati della diffusione della pandemia per consentire una rapida e avventurosa apertura, con il conseguente rischio di una nuova catastrofe della sanità.

Tutto ciò in un paese che vive oltre che un’emergenza sanitaria uno spaventoso collasso economico, con speculatori e mafiosi che soprattutto nel Sud mettono le mani sull’Italia.

Come PCL ribadiamo la necessità di nazionalizzare senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori il settore della sanità privata, di avviare una patrimoniale progressiva sulle grandi proprietà, di colpire le banche e il loro ruolo vampiresco, di annullare il debito pubblico, di finirla con spese militari e realizzazioni di grandi opere pubbliche.
Deve finire l’ipocrisia. La sinistra di opposizione deve farsi ancor più sentire, deve cessare il clima di passività sindacale. Ai lavoratori deve essere fatto capire che solo un governo diretto da loro può impedire che la pandemia sfoci nella reazione. Il quadro offerto in questa fase dal capitalismo reale rende suicida qualsiasi altra strada.
Partito Comunista dei Lavoratori - Commissione meridionale

Immunità di capitale

L'altra faccia della pandemia

25 Maggio 2020
La crisi colpisce alcuni settori capitalistici e ne favorisce altri. Nel primo come nel secondo caso, i padroni sanno solo chiedere soldi
La grande crisi mondiale innescata dalla pandemia ha fatto la fortuna di alcuni settori capitalistici. I dati globali trimestrali sono chiarissimi. I grandi gruppi del Web hanno aumentato i propri ricavi del 17,4% e gli utili netti del 14,9%. La grande distribuzione rispettivamente del 9,1% e del 34,8%. Il settore farmaceutico del 6,1% e del 20,5%. L'elettronica del 4,5% e del 10%. L'industria alimentare del 2% (non sono riportati gli utili). Ovviamente i relativi comparti italiani hanno seguito il flusso. Miliardi a palate. Eppure sono anch'essi beneficiari del taglio di 4 miliardi dell'IRAP, sottratti alla sanità pubblica. E anch'essi ovviamente chiedono l'azzeramento totale dell'IRAP (12 miliardi) più un nuovo ribasso dell'IRES, la tassa sui profitti, già portata in tredici anni dal 34,5% al 20%. La favola del soccorso alle imprese in crisi in questo caso non regge.

In compenso, nonostante i profitti d'oro e i soldi presi dalla sanità, i capitalisti “beneficiati” approfittano spesso del paravento dell'emergenza per abbassare i “costi” del personale scaricandolo sulle casse pubbliche. È il caso di Carrefour, che sta facendo incassi alle stelle ma ha mandato 4472 dipendenti in cassa in deroga. Oppure di ArcelorMittal, che ha fatto operazione analoga con i propri lavoratori mentre si prepara ad abbandonare gli stabilimenti italiani dopo aver incassato tutto quello che c'era da incassare.
Poi troviamo anche altri casi, formalmente opposti, ma nei fatti analoghi: come quello di Jabil, che nel suo stabilimento di Marcianise rifiuta di ricorrere ad altre settimane di cassa per passare direttamente al licenziamento degli operai, nonostante il blocco dei licenziamenti formalmente in vigore. Oppure la Novolegno, che approfitta della pandemia per gettare su una strada i suoi lavoratori campani, nel mentre aumenta la produzione nel suo stabilimento friulano.

Non si tratta di casi. Si tratta di un sistema economico fondato sulla rapina. I profitti sono privati, le risorse di cui beneficiano sono pubbliche. Dunque sono pagate dagli stessi che col proprio lavoro mantengono chi li sfrutta. Ciò vale anche, come si vede, quando i profitti procedono a gonfie vele. A maggior ragione se poi subentra la crisi vera, come nel caso dell'automobile. FCA batte cassa per 6,5 miliardi, coperti da garanzie pubbliche a favore della banca che elargisce il prestito. E la stampa di sua proprietà rivendica il suo diritto a pagare le tasse a chi vuole (Olanda) e a distribuire un utile di oltre 5 miliardi agli azionisti. Un impegno “scolpito su pietra”, dichiara il giovane Agnelli. Come scolpiti su pietra sono stati gli impegni che tutti i governi hanno preso da un secolo a oggi per riempire il portafoglio della FIAT. Stessa storia per i Benetton, che controllano Atlantia, che controlla Autostrade. La quale oggi rivendica i miliardi “dovuti” del sostegno pubblico con la stessa naturalezza con cui li ha intascati per vent'anni.
Del resto, così fan tutti. La Germania versa dieci miliardi agli azionisti di Lufthansa, la Francia mette cinque miliardi nel portafoglio della Renault...

La conclusione è semplice. Altro che dimostrare scandalo per la rivendicazione comunista dell'esproprio del capitale! La nazionalizzazione delle grandi aziende sotto controllo dei lavoratori e senza indennizzo per i grandi azionisti significa semplicemente riprendersi ciò che i lavoratori hanno già pagato con decenni di regalie pubbliche e di sfruttamento. L'esproprio vero è quello che si compie ogni giorno ai loro danni da parte dei capitalisti. Solo una rivoluzione cambia le cose.
Partito Comunista dei Lavoratori

È uscito il nuovo numero di Unità di Classe

Anche questo numero di Unità di Classe esce in formato digitale (https://www.pclavoratori.it/cms_utilities/download.php?id_bin=5337)

20 Maggio 2020
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In questo numero:


Il passo di carica di Confindustria e il passo del gambero di Landini - Editoriale di Marco Ferrando

Il sindacato di base e classista alla prova del Covid-19 - Federico Bacchiocchi

8 maggio 2020: il possibile primo tassello di un percorso - Massimo Betti

MES e Recovery Fund - Marco Ferrando

Emergenza sanitaria ed emergenza ambientale - Luca Gagliano

Il diritto allo studio ai tempi del coronavirus - Alessio Ecoretti

Cina. Un sindacato in lockdown - China Labour Bulletin

"Prima gli svizzeri": quando quelli da cacciare erano gli italiani - Piero Nobili
Partito Comunista dei Lavoratori

Stabilizzare i precari della scuola: se non ora quando?

Nella giornata di oggi, alla VII Commissione del Senato si discuterà e voterà il Decreto Scuola 22/2020. Numerosissime sono state le polemiche e l'indignazione di decine di migliaia di insegnanti precari contro l'ostinazione della Ministra Azzolina e del Presidente Conte di continuare sulla strada di un concorso iniquo, parziale e divisivo.


8000 IN PIÙ NON BASTANO

Il Decreto Rilancio, che ha riservato alla scuola la misera cifra di 1,5 miliardi di euro, ha aggiunto al concorso straordinario altri 8000 posti. La matematica non è un'opinione. Pur portando il concorso a 32000 cattedre, non garantirebbe l'assunzione, tramite un umiliante concorso a crocette, nemmeno alla metà degli insegnanti che da anni coprono una cospicua parte delle migliaia di cattedre vuote. Queste ultime a settembre saranno oltre 200000. L'ostinazione dei governi che si sono sinora succeduti a non voler risolvere la problematica del precariato scolastico ci dà la conferma che questo sia tenuto in piedi ad arte per dividere i lavoratori della scuola dinnanzi ai costanti attacchi e tagli dei governi.


EMENDAMENTI O PROPAGANDA ELETTORALE?

Da parte dei più svariati partiti, di maggioranza e opposizione, sono stati presentati più di 400 emendamenti al Decreto Scuola. La finalità di propaganda di tali emendamenti, proponenti la trasformazione in un concorso per titoli e servizio (PD, LeU) o da graduatorie (Lega, PSI), è palese, ed il totale appoggio dato al concorso "ammazza precari" dai partiti di maggioranza, e la totale assenza di soluzioni fornite ai precari durante i quindici mesi di gestione leghista del MIUR deve mettere in guardia le decine di migliaia di insegnanti precari che da anni attendono la stabilizzazione.


LE NOSTRE PROPOSTE

Per risolvere il problema del precariato e contrastare l'oramai palese progetto di privatizzazione della scuola, portato avanti indistintamente dai governi di centrodestra e centrosinistra a favore di multinazionali e Chiesa (in una modalità estremamente simile a ciò che è stato fatto nel settore sanitario, con le conseguenze che l'epidemia di Covid-19 ci sta mostrando in tutta la sua drammaticità), il Partito Comunista dei Lavoratori si batte per queste rivendicazioni:

- la stabilizzazione di tutti gli insegnanti della scuola.
Siamo per un piano di assunzioni che parta dalla trasformazione dell'organico di fatto in organico di diritto, e l'ingresso di tutti gli insegnanti con tre anni di servizio in un processo di formazione e stabilizzazione che non sia diviso, a differenza di come hanno sinora fatto i governi, con il risultato che migliaia di insegnanti abilitati sono ancora senza ruolo (basti pensare ai 2000 vincitori del concorso 2016 ed ai 5000 vincitori del concorso 2018, abilitati con le SSIS ed i PAS).

- un grande piano di lavori pubblici per la scuola.
È urgente provvedere al risanamento degli oltre 2400 siti scolastici nei quali è stata accertata la presenza di amianto, e alla messa in sicurezza di tutte le scuole i cui plessi non sono a norma di criteri antisismici. Si trovano in questa condizione ben 44.486 scuole pubbliche, su un totale di 50.804 censite.

- no al blocco per i neoassunti, sia esso quinquennale che triennale.
Ogni lavoratore deve avere il diritto di poter lavorare vicino alla propria famiglia. Con ciò condanniamo fermamente il progetto avanzato dal ministro Azzolina di deportare letteralmente, in cambio del ruolo, migliaia di docenti dalle regioni meridionali costringendoli per cinque anni a vivere in altre regioni o province.

- internalizzare tutti gli educatori.
Il settore delle cooperative sociali è una vera giungla dove migliaia di educatori, soprattutto giovani e donne, sono sfruttati con salari minimi. In queste settimane moltissimi sono gli educatori che, non potendo lavorare essendo chiuse le scuole ed i centri diurni, hanno assistito ad una forte riduzione del salario. Chiediamo l'assunzione di tutti gli educatori con lo stesso profilo negli enti locali.

- no ad ogni proposta di autonomia differenziata.
L'esempio dei docenti del Trentino-Alto Adige è a portata di mano. Alle 18 ore settimanali si sono aggiunte due ore in più da prestare eventualmente per supplenze. Inoltre, tutti i docenti altoatesini devono prestare ben 220 ore annue come attività funzionali all'insegnamento, a differenza del resto del paese, in cui si svolgono 40+40 ore. In queste 220 ore ricadono consigli di classe, consigli di plesso, collegi docenti, programmazioni settimanali di dipartimento, le ore annuali dei corsi di aggiornamento obbligatorie, le udienze dei genitori. Il tutto in cambio di un aumento lordo di poche centinaia di euro.

Con queste rivendicazioni il Partito Comunista dei Lavoratori ha sostenuto lo sciopero dei lavoratori e delle lavoratrici della scuola e del 14 febbraio, e resta a fianco dei precari per bloccare ogni scellerato progetto di privatizzazione e divisione della scuola e degli insegnanti.

Mandiamo a casa la ministra Azzolina, esponente di punta di un governo nemico dei lavoratori e servo di Confindustria, come i casi di Alzano Lombardo e Nembro ci hanno dimostrato, e che come PCL anche giudiziariamente abbiamo denunciato.
Solo con la lotta questo governo nemico dei lavoratori e dei precari potrà essere cacciato, contro ogni compromesso con i partiti nemici delle lavoratrici e dei lavoratori, per la sconfitta delle burocrazie sindacali complici di governo e padronato che, burocrazia CGIL e Landini in primis, hanno firmato protocolli su protocolli bloccando sul nascere le decine di scioperi che ci sono stati in queste settimane nelle fabbriche e sui luoghi di lavoro. Ma anche e soprattutto contro ogni logica corporativistica. Perché solo l'unità delle lotte può realmente portare ad un governo dei lavoratori, l'unico che possa realmente difendere gli interessi dei lavoratori e delle lavoratrici.
Partito Comunista dei Lavoratori

La Linke si offre alla SPD per governare la Germania

Il Partito della Sinistra Europea ammaliato dal governo

18 Maggio 2020
La questione del governo è superata nel confronto a sinistra? Argomento del passato? I casi di Syriza, Bloco de Esquerda, Podemos e ora anche la Linke dimostrano il contrario
La Linke tedesca, partito centrale del Partito della Sinistra Europea, si candida al governo della Germania. I due cosegretari della Linke, Katja Kipping e Bernd Riexinger, hanno ufficialmente proposto alla SPD e ai Verdi di proiettare sul piano nazionale le comuni (accidentate) esperienze di amministrazione locale di Berlino e Turingia.

«Il coronavirus ci ha posto di fronte a clamorosi sconvolgimenti economici e feroci lotte per la distribuzione delle risorse. Le richieste politiche dell’intero arco della sinistra ci impongono una presa di posizione coraggiosa e un approccio comune. [...] I governi statali in cui la sinistra è attualmente coinvolta dimostrano la sostanziale differenza sociale e democratica dei partiti progressisti quando governano insieme. Adesso è importante unire le forze e impegnarsi nel cambio di direzione.»

A dire il vero i governi statali in cui la sinistra è coinvolta mostrano l'esatto opposto. Prima il governo Prodi, poi il governo Tsipras, poi il governo portoghese di Costa, e oggi il governo Sanchez-Iglesias dimostrano il «sostanziale» fatto che il coinvolgimento della sinistra nelle responsabilità del governo del capitale, in alleanza coi partiti borghesi o con la socialdemocrazia liberale, si realizza nella continuità delle politiche capitaliste. Ed anzi ha proprio la funzione di coprire a sinistra quelle politiche. Con pessimi risultati per il movimento operaio ed effetti più o meno distruttivi per la stessa sinistra di governo. Rifondazione Comunista ne sa qualcosa. Per quale ragione dovrebbe avvenire diversamente nel cuore del capitalismo europeo, a braccetto di una socialdemocrazia tedesca oggi al governo con Angela Merkel e la CDU?

Ma tant'è. Il gruppo dirigente di Linke ha fretta di offrire a SPD la dote dell'8% che le assegnano i sondaggi. Tra un anno si vota in Germania, entrare al governo è l'occasione della vita per chi non ha altro orizzonte che amministrare la società borghese.
In realtà all'interno della Linke vi sono forti dissensi e resistenze nei confronti di questa prospettiva, ma l'appello all'unità del partito da parte dei suoi segretari serve esattamente a rimuoverle.

Dopo il Bloco e il PCP portoghesi, dopo Podemos, anche la Linke si candida ufficialmente al governo del capitalismo. In questo caso della Germania, il principale paese imperialista del vecchio continente. Un paese in cui la sinistra di governo ha prodotto nella storia immani disastri, a vantaggio delle destre peggiori, come un secolo fa. Certo, si può obiettare che una volta fu tragedia ed oggi farsa. Ma la farsa può farsi tragedia molto in fretta. Già la destra di AfD denuncia la capitolazione al sistema della Linke e i suoi appetiti ministeriali. E siamo solo all'inizio.

La salvaguardia e lo sviluppo di una opposizione di classe ai governi della borghesia, il rifiuto di una compromissione nelle politiche dominanti, non è solo una necessità elementare per la difesa dei lavoratori, ma anche uno strumento di lotta alla reazione e alla sua demagogia tra gli sfruttati.
In ogni caso, dopo la vicenda di Syriza, dopo l'approdo governativo di Podemos, dopo la candidatura di governo della Linke, nessuno potrà più dire che la questione del governo è uscita dall'agenda del confronto a sinistra. Ieri come oggi, è e resta un tema strategico che fa da spartiacque tra riformismo e marxismo rivoluzionario.
Partito Comunista dei Lavoratori


VIDEO: Il capitalismo non si può riformare: si può rovesciare!

Il capitalismo non si può riformare: si può rovesciare!
Unire nella stessa organizzazione tutti coloro che in ogni lotta quotidiana vogliono perseguire questo fine è la necessità storica del nostro tempo.
Costruiamo insieme il partito rivoluzionario, costruiamo insieme il Partito Comunista dei Lavoratori!

Video di Marco Ferrando portavoce nazionale del Partito Comunista dei Lavoratori




PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

Fiat mundi

FCA, il governo Conte, la burocrazia sindacale

L'affare è di dominio pubblico: FCA chiede la copertura pubblica di 6,5 miliardi di credito bancario. Banca Intesa si mostra disponibile alla condizione di avere le spalle coperte dallo Stato. Il governo Conte offre alla banca le garanzie pubbliche richieste. In parole povere, se la FIAT non dovesse ripagare il debito alla banca, ci penserebbe lo Stato prendendo i soldi dalla fiscalità generale, quella che si regge per l'80% sui lavoratori salariati: soldi presi dalle tasche dei lavoratori, dai servizi pubblici, dalle spese sociali. Per di più per pagare un'azienda che per la sola fusione programmata con Peugeot conta su un utile netto di oltre 5 miliardi da distribuire agli azionisti.

L'operazione è talmente spudorata che la stessa stampa borghese non sa bene come presentarla. A maggior ragione Repubblica, oggi diretta dagli Agnelli. Così qualche opinionista illustre si affanna a spiegare che si tratta solo di una copertura giuridica formale, e che lo Stato in realtà non spenderà nulla. Ah sì? Vallo a spiegare a Banca Intesa. I banchieri sanno far di conto. L'automobile era già in sovrapproduzione prima della pandemia, oggi il mercato dell'auto è crollato dell'80%, come non si ricorda a memoria d'uomo. Per questo FCA chiede il soccorso bancario. Perché sa che la ripresa produttiva potrebbe in realtà combinarsi con una precipitazione ulteriore della crisi. Bene, ci pensa lo Stato! Lo Stato garantisce FCA sulla copertura bancaria, e protegge la banca dai rischi di FCA. È lo Stato dei capitalisti, come spiegava Marx, e svolge diligentemente il proprio ruolo.

Non solo. Il Presidente del Consiglio nella conferenza stampa di ieri è incappato in una domanda tanto elementare quanto insidiosa: “Darete 6,5 miliardi a un'azienda che ha la sede fiscale in Olanda?”. Il Presidente del Consiglio ha dato il meglio di sé rispondendo così: “Nel caso di FCA stiamo parlando, al di là della capogruppo, di fabbriche italiane, che occupano moltissimi lavoratori italiani. Il problema è semmai il dumping fiscale, un problema che affronteremo per non lasciare ad altri gli attuali privilegi”. Traduzione: FCA ha la sede legale in Olanda e Gran Bretagna perché lì paga tasse più basse che in Italia. Bisognerà quindi ridurre le tasse per i capitalisti in Italia in modo che non debbano andare in Gran Bretagna e in Olanda. È la politica di concorrenza tra gli stati capitalisti nella stessa fraterna Unione Europea per contendersi gli investimenti. Chi offre di più ai capitalisti? La gara è aperta, come in qualsiasi asta pubblica. Naturalmente, meno tasse pagano i capitalisti in questa corsa al ribasso, più si tagliano i servizi sociali e più lo stato si indebita con le banche chiedendo poi ai salariati di pagare il conto. La trattativa tra governo e gruppi capitalisti va dunque al di là del prestito a FCA.

Ma il quadro non sarebbe completo se non si parlasse del sindacato. La burocrazia sindacale si spella le mani nell'applaudire i 6 miliardi a FCA. E non solo i vertici di CISL e UIL, ma anche i dirigenti della CGIL e della FIOM. “Con il prestito a FCA il governo potrà cogestire il futuro”: così il Manifesto titola un'intervista rilasciata da Michele De Palma, segretario nazionale FIOM responsabile del settore automotive. Il quale parla di un reciproco riconoscimento tra FCA e FIOM all'interno della fabbrica, all'insegna – questo è il suo auspicio – di una cogestione alla tedesca. Tradotto: la CGIL mette una buona parola presso il governo per i 6,5 miliardi a FCA, basta che FCA non scarichi la CGIL.

L'unità nazionale tra governo, padroni, banchieri e burocrati viene dunque celebrata nel nome della FIAT. Corriere della sera (di Banca Intesa) e Repubblica (di FCA) dispensano incenso.
Questa è la democrazia borghese: “un paradiso per i ricchi, una trappola e un inganno per gli sfruttati” (Lenin).
Partito Comunista dei Lavoratori

Podemos di governo

Pablo Iglesias sulle orme di Tsipras e Bertinotti

16 Maggio 2020
Bertinotti, Tsipras, Iglesias... tutti interpreti dello stesso spartito: prima l'opposizione in funzione del governo, poi al governo da maggiordomi dei padroni
Il governo spagnolo Sanchez-Iglesias (PSOE-Unidas Podemos) ha appena varato una politica economica fotocopia, nella sua impostazione di fondo, delle misure varate dal governo Conte. Decine di miliardi di risorse pubbliche messe a garanzia delle banche private (Banco Santander, Caixa Bank, Sabadell, Bankia, BBVA) come copertura dei crediti alle imprese. Le stesse politiche di sostegno al capitale finanziario di tutti i governi capitalisti, ad ogni latitudine del mondo, e indipendentemente dal colore politico, liberalprogressista o reazionario. Ma con alcune particolarità rilevanti.

La prima particolarità spagnola è che questa politica capitalista viene inquadrata in un grande patto di unità nazionale, sociale e politico. La Confindustria spagnola (CEOE) e la burocrazia sindacale hanno siglato in pompa magna quello che viene definito "il secondo patto della Moncloa", con riferimento al patto siglato dopo la caduta di Franco per la gestione della transizione. Un patto che sul piano politico oggi si allarga al partito di destra liberale Ciudadanos, che ha offerto in Parlamento i suoi voti. Si chiamano fuori dal patto solo il Partito Popolare di Casado, con divisioni interne, e i fascisti di Vox.

La seconda particolarità è che al governo siedono i ministri di Podemos, con ruoli rilevanti. Pablo Iglesias è il Vicepresidente del Consiglio, Yolanda Diaz è ministra del Lavoro, più i ministri di Ambiente e Turismo (Garzon). Come si vede, un coinvolgimento ben più più impegnativo di quello, disastroso, del PRC nell'ultimo governo Prodi. Una collaborazione di classe a pieni polmoni e in piena regola, con tanto di incenso istituzionale.

Tanti sono i risvolti concreti di questa compromissione. Valga per tutti la politica di espulsione dei migranti “irregolari”grazie agli accordi col governo reazionario del Marocco, o nel caso degli sbarchi alle Canarie, coi governi africani (in cambio di soldi). Oppure, tanto per stare in tema, il diritto di sfruttamento a tempo dei minori clandestini presso le imprese spagnole, senza alcuna regolarizzazione a conclusione del contratto. Oppure il mantenimento della legislazione del lavoro dei precedenti governi del PP, salvo alcuni modesti aggiustamenti.

Ma forse ciò che meglio illustra la natura del ministerialismo di Podemos è un'intervista oggi concessa a El Pais dalla ministra del lavoro Yolanda Diaz.

L'intervistatore chiede: «In un momento di tensione politica fortissima voi fate un accordo con il padronato. Come è possibile?».
«È ciò che chiede la società, e le parti sociali l'hanno capito» risponde la ministra.
«È compatibile la sua visione con quella di Nadia Calvino [ministra dell'Economia, pupillo del padronato]?» chiede il giornalista.
«In questa crisi la ortodossia economica coincide con l'impostazione del governo. Accade che Toni Roldan [vecchio portavoce economico di Ciudadanos] sia d'accordo con me. I dogmi e gli apriorismi economici sono finiti. Abbiamo punti di vista diversi ma la gravità della crisi ci ha cambiato tutti [...] Non vedo differenze tra i ventidue ministri del governo» risponde Diaz.
«Crede che si possa contare su Ciudadanos per votare il bilancio?» incalza l'intervistatore.
«Con Ciudadanos abbiamo differenze in materia di lavoro [...] Però questo governo non rinuncia a negoziare tra posizioni diverse perché ci si possa incontrare tutti» replica Diaz.
L'intervistatore, sempre più incredulo, chiede se almeno col padronato ci sono problemi: «Nell'ultimo negoziato non ha avvertito che la CEOE preferisce altri interlocutori?».
Risposta: «ho una magnifica relazione con Antonio Garamendi [il presidente di Confindustria], ciò che ho imparato in politica è che le relazioni personali sono importanti».

Infine la ministra si presenta come erede della tradizione del dialogo sociale del Partito Comunista di Spagna, da cui Diaz proviene. (Un'eredità autentica: quella del dialogo sociale con la borghesia, inaugurato coi fronti popolari di Stalin, che affossò la rivoluzione spagnola.)

Ecco, nelle pieghe di questa intervista vive tutta la cultura della compromissione governista: l'ambientamento dei parvenu presso la corte delle classi dirigenti alla ricerca della loro legittimazione.
Dalle piazze degli Indignados del 2011 alla collaborazione di governo col padronato, questa la parabola di Podemos. È l'approdo politico del riformismo. Quando l'ultimo orizzonte è la società borghese, il suo governo diventa il fine, e l'accesso al governo l'agognato paradiso. Bertinotti, Tsipras, Iglesias sono tutti interpreti dello stesso spartito: prima l'opposizione in funzione del governo, poi al governo da maggiordomi dei padroni.

Rompere con questa politica, costruire un'internazionale rivoluzionaria, è ovunque una necessità storica del movimento operaio.
Partito Comunista dei Lavoratori

Lotta di classe e pandemia di Spagnola

Nessun governo della borghesia ha l’interesse a contare i morti delle sue crisi: ogni deceduto è un'accusa al sistema irrazionale basato sul profitto. In tempi normali la salute e la sicurezza sul posto di lavoro, per i capitalisti, diventano degli orpelli fastidiosi. Ma nelle crisi reali come le pandemie o le guerre, questo diventa ancora più evidente. La conta dei morti è un fattore pericoloso che va ad incidere direttamente sui meccanismi del consenso, e li sgretola come castelli di sabbia. È stato dimostrato che durante la pandemia di Covid-19 in tutto il pianeta i decessi sono stati superiori a quelli ufficiali almeno, in media, del 50%. Nella sola provincia di Bergamo alcuni studi addirittura parlano del 460% in più rispetto alla media, a New York del 200%, a Madrid del 160%.

Tutto questo però ha un precedente storico: la pandemia di influenza "spagnola".
Tra il 1918 e il 1919 scoppia una devastante pandemia. Alcune stime parlano di 50 milioni di vittime provocate dal virus, altre di decine di milioni di morti in più, su una popolazione mondiale complessiva di due miliardi di persone. L'influenza era nata da un ceppo del virus della polmonite atipica H1N1. "Spagnola" fu la definizione coniata, per le false notizie – oggi le definiremmo fake news – sull'origine in Spagna del morbo. La posizione neutrale della Spagna durante la prima guerra mondiale lasciava più aperti i suoi canali di informazione di massa. Viceversa, i paesi coinvolti nel conflitto erano stretti nella censura di guerra. Quando la pandemia scoppiò, tra l’estate e l’autunno del 1918, le informazioni su di essa arrivavano quasi solamente dalla Spagna. La realtà fu ben diversa.
Il primo conflitto mondiale aggravò la diffusione della pandemia, la cui origine resta ancora oggi indefinita.

Anche in Italia i comportamenti di massa seguirono l’informazione di regime, che aveva tutto l’interesse a minimizzare o addirittura a nascondere la realtà. La difesa del consenso alla fine del conflitto mondiale era la priorità assoluta.
Anche la mancanza di una stima reale della situazione portò il governo della borghesia a non adottare la necessaria strategia sanitaria per contenere la pandemia, e a nascondere la gravità della situazione. L’informazione nazionale intrisa di spirito nazionalistico e patriottico, e l'azione della Chiesa cattolica, furono un valido appoggio alla mistificazione di regime. Addirittura si diffusero diverse notizie complottistiche contro la Germania, vista come responsabile dell'origine di un’arma virale creata in laboratorio. A livello popolare si innescarono voci di ogni genere contro la scienza, e la medicina in particolare. Vennero pubblicizzate anche tramite i giornali dell’epoca cure fantasiose, come il consumo smodato di tabacco o l’alcol.

Della pandemia del 1918-'19 non ci sono molti riscontri approfonditi nei libri di storia, né giorni della memoria. Ma i ricordi trasmessi, anche solo orali, tra le generazioni successive descrivono una vera catastrofe umanitaria.
Il rapporto con la morte in una popolazione già fortemente provata dalla guerra cambiò anche culturalmente i modi vivere, le usanze e i rapporti interpersonali.

I decessi erano brutali; colpivano i più giovani, che morivano per soffocamento polmonare. Molti soldati reduci dal conflitto mondiale descrivevano quello che vedevano come ben peggiore di quello che avevano provato in prima linea in guerra. I pellegrinaggi funebri verso i cimiteri vennero paragonati ai percorsi delle formiche. Il governo Orlando dovette dare una stretta all’informazione dei giornali e vietare il libero accesso ai cimiteri e i cortei funebri. I funerali furono concessi solo in forma strettamente privata e in orari particolari.

Il giornale socialista La Squilla, di Bologna, scrive nel gennaio 1919: «Censura / Morti in guerra: 462.740 / Feriti: 987.340 / Invalidi e mutilati: 500.000 / Non c’è la statistica dei morti di spagnola, perché la “maledetta” continua ad ammazzare! / Dopo il cannone, lei ci voleva! / Ma da che mondo è mondo la peste andò sempre dietro la guerra / È storia; è anche nella Bibbia!».

Non esiste una statistica ufficiale sulle morti di Spagnola in Italia. Le stime parlano di diverse centinaia di migliaia di vittime. Nelle fabbriche tutto sembra continuare come sempre, tra censura e tentativi di lasciarsi alle spalle gli orrori della guerra. Ma le testimonianze verbali corrono comunque in tutto il paese, e la pandemia si inserisce dentro la lotta di classe alla vigilia del biennio rosso, costellato di conflitti sociali e politici.

Anna Kuliscioff scrive a Filippo Turati, il 12 ottobre 1918:
«Qui l’epidemia è in aumento continuo, a Desio infierisce non meno che a Milano; basta vedere le tre colonne dei morti della gente per bene nel Corriere per persuadersi qual è la mortalità nei quartieri popolari. Non si sa più dove mettere i bambini orfani di madri ed i cui padri sono al fronte. È un problema trovare ora dei medici. Tutti sono sopraffatti dal lavoro e in fondo nessuno è curato a dovere. Forse anche la grande mortalità è dovuta alla scarsa assistenza sanitaria».

Le immagini dell’epoca riportano il diverso approccio tra la classe borghese e piccolo-borghese e quella lavoratrice: famiglie borghesi ben vestite e molto attente all’uso delle mascherine, operai in lotta nei cortei o nelle fabbriche senza alcuna protezione sanitaria.

Malgrado la feroce pandemia, la lotta di classe non si ferma.

In tutto il pianeta il dramma del primo conflitto mondiale e lo stretto rapporto umano con la morte causata dalla guerra vennero messi sullo stesso livello della malattia e delle sue conseguenze, contribuendo a sbiadirne la memoria storica ufficiale. Ma il rapporto tra le classi e il loro conflitto, la crisi del capitalismo, le fasi ricorrenti di strappi della storia hanno lasciato comunque la testimonianza indelebile che la causa di fondo della delle stragi provocate dalla pandemia e dalle guerre è unicamente da attribuire alla barbarie del capitalismo.
I rivoluzionari di un secolo fa non ebbero però alcun timore reverenziale verso la pandemia, che restò all’interno di una dimensione personale. Per loro lottare contro il capitalismo significava rovesciare tutto e cancellare gli orrori provocati dalla classe dominante. La pandemia era all’interno di questo concetto.


SE OTTO ORE VI SEMBRAN POCHE, PROVATE VOI A LAVORAR...

All’inizio del 1919 il paese si trova ad affrontare una crisi senza precedenti, provocata dalle conseguenze del conflitto mondiale in un clima di trasformazione della produzione industriale, in riconversione da economia di guerra nella ripresa del tempo di pace. Ma la spinta delle lotte operaie mette in discussione perfino l’organizzazione del lavoro, con la rivendicazione di un nuovo orario di lavoro settimanale.
L'accordo per le 48 ore viene stipulato il 20 febbraio 1919, in piena pandemia, fra la Federazione degli industriali metallurgici e la FIOM. Venne accolta la storica rivendicazione del movimento operaio della giornata lavorativa di otto ore in tre turni.
Ma le lotte, in piena esplosione di massa del contagio, non ebbero freni e sfociarono in continui scioperi generali tra le città e le campagne, per evolversi nelle occupazioni delle fabbriche nel 1920.
In tutta Europa la dinamica fu identica. Basterebbe ricordare quello che stava avvenendo in Russia e l’impegno dell’Armata rossa nel respingere i tentativi controrivoluzionari dei bianchi, nello stesso 1919, in una situazione difficile per la popolazione, colpita dalla pandemia.
Non solo. I rivoluzionari riuscirono ad organizzare quello che nel marzo del 1919 fu il primo congresso dell’Internazionale Comunista. Disgraziatamente, nello stesso mese dello stesso anno la pandemia uccise Jakov Sverdlov, uno dei massimi dirigenti del Partito Comunista bolscevico. Ma il sistema sanitario sovietico fu il primo modello al mondo di copertura sanitaria universale e gratuita.

La Germania, uscita sconfitta dalla guerra, fu colpita pesantemente dalla pandemia tra il 1918 e il 1919. Ma l'ondata rivoluzionaria non si fermò nemmeno lì. Fra il 4 ed il 6 gennaio 1919 diverse organizzazioni, tra le quali la Lega Spartaco di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, lanciarono a Berlino l’insurrezione dei consigli operai nella Ruhr e ad Essen, dove vennero deliberate le socializzazioni delle industrie carbonifere. Il tentativo venne represso duramente e terminò con l’arresto e l’uccisione di Rosa e Karl.

Non solo in Europa, ma anche dall’altra parte dell’oceano la spinta della lotta di classe non venne scalfita minimamente dalla pandemia. Negli Stati Uniti, a cavallo del 1918 e il 1919, morirono circa settecentomila persone. Ma nel 1919 scioperarono quattro milioni di operai, cioè un quinto della forza lavoro, una proporzione mai eguagliata. Perfino i cantieri navali di Seattle furono bloccati da uno sciopero generale che coinvolse tutta la città, e che durò settimane. Trecentomila lavoratori si mobilitarono nel primo sciopero nazionale dell’acciaio, fermando le più grandi aziende del paese. Scioperarono circa quattrocentomila lavoratori delle miniere di carbone, sfidando persino le disposizioni del presidente Woodrow Wilson e le ingiunzioni del tribunale federale.

La pandemia, con le sue decine di milioni di morti, colpì alla fine del conflitto gli strati più poveri della popolazione mondiale. Accentuò in modo indelebile le differenze tra le classi ma non fermò il conflitto tra di esse, anzi forse dette ancora più ossigeno al fuoco rivoluzionario e alla coscienza di classe.
La vita e la morte assumevano coscientemente un valore diverso. Un valore di classe, il motivo valido della stessa lotta di classe. Ne era ben consapevole Antonio Gramsci, che in un polemico articolo su l’Avanti contro la propaganda borghese, il 4 aprile 1919 si esprime così:
«Cosa sono i venti milioni di morti per grippe o febbre spagnola, o peste polmonare, ossia peste di guerra, determinata e propagata e coltivata dalle condizioni create e lasciate dalla guerra? Cosa sono le migliaia e migliaia di creature umane che muoiono quotidianamente di fame, di scorbuto, di assideramento in Romania, in Boemia, in Armenia, in India, per accennare solo a paesi amici dell'Intesa? Cosa sono gli ottanta miliardi di deficit del bilancio Italiano, i centoventi miliardi del bilancio francese, i duemila miliardi di danni determinati dalla guerra? Cosa sono stati i cinquecentomila russi sterminati dal governo zarista nella repressione dei Soviet del 1905? Cosa farebbero i venti milioni di russi che verrebbero sterminati se trionfasse la controrivoluzione dei generali Krasnof, Denikin e Kolciak, gli amici dell'Intesa che fanno impiccare ed esporre per tre giorni un operaio su dieci dei paesi che riescono a riconquistare, gli amici dell'Intesa che spediscono a Pietrogrado vagoni piombati di soldati soviettisti tagliati a pezzettini?».

Anche oggi, in un’altra fase storica, la pandemia di Covid-19 mostra chiaramente la differenza tra le classi e il differente valore morale attribuito alla vita e della morte. Li mostra attraverso le lotte in difesa del diritto alla salute dei lavoratori contro il profitto ad ogni costo, attraverso le lotte per l’accesso alle cure mediche per tutti come diritto inalienabile.
Solo un progetto rivoluzionario per il socialismo può dare valore alla vita contro gli orrori del capitalismo. La barbarie delle sofferenze dei più deboli e delle morti per pandemia ha come unico responsabile il capitalismo. Torneremo nelle strade, nelle fabbriche e nei quartieri a gridarlo con forza. La lotta di classe non si ferma.
Ruggero Rognoni

Il Corriere si arruola per la nuova guerra di Libia?

L'imperialismo italiano non va in quarantena

La vicenda della liberazione di Silvia Romano, per una probabile intercessione turca, ha messo in allarme il Corriere della Sera. Non c'entra nulla in questo caso la questione del riscatto pagato né tanto meno la conversione religiosa dell'interessata, che hanno suscitato tanto livore sui social. Il quotidiano di Banca Intesa si occupa di questioni ben più rilevanti. Più precisamente dell'”interesse nazionale” dell'Italia nei confronti della Turchia.
Un editoriale ispirato di Franco Venturini muove l'allarme: cosa si aspetta Erdogan dall'Italia in cambio della liberazione della prigioniera?

«La Turchia di Erdogan, anche in questo periodo di pandemia, non ha ceduto un centimetro delle sue ambizioni e talvolta della sua arroganza militare. Ankara alimenta una politica di penetrazione nei Balcani occidentali come fa la Russia, in competizione con quella della UE e della NATO, pur essendo la Turchia un socio di rilievo dell'Alleanza. Ancora più spinti e costosi sono i suoi insediamenti in Africa, dove comincia a rivaleggiare seriamente con Cina e Russia. [...] E ci sono, soprattutto, la Libia e il Mediterraneo. Le navi militari turche che allontanano dalle acque di Cipro chi ha titolo (come l'ENI) per effettuare prospezioni. Le mire non dissimulate sulle ricchezze energetiche della Tripolitania (dove gli interessi prevalenti sono di nuovo italiani) e anche delle acque contigue.»

Suonato l'allarme (“mamma li turchi!”), il Corriere invoca una politica estera energica a difesa dell'interesse nazionale, contro ogni possibile viltà.

«Serve una linea politico-economica e anche militare che non c'è [...] S'intende che siamo ormai abbondantemente fuori gioco nel Corno d'Africa come, colpevolmente, in molte altre contrade del Continente Nero. [...] A Tripoli in particolare, quale è la nostra linea? [...] Serraj ha trovato nella Turchia un padrino ben più convincente e prontissimo a usare la forza o a fornire armamenti moderni, noi ci siamo collocati nella terra di nessuno in posizione equidistante [...] Eppure la partita italo-turca, e la credibilità reciproca, si giocano in Libia e nel futuro delle sue ricchezze energetiche. Mentre Erdogan spara volentieri e sogna una rivincita neo-ottomana, l'Italia balbetta [...] e non ha un fronte politico interno in grado di appoggiare un uso intelligente (come in verità è stato fatto a Misurata) dello strumento militare. [...] Ora si tratta di affrontare quel che bolle in pentola.»

Ora, non abbiamo capito cosa propone esattamente il Corriere della Sera all'amata Italia. Porsi anche lei come padrino di Serraj, o puntare tutto sulla carta Haftar? Ciò che abbiamo capito è che in ogni caso occorre «usare la forza» e non balbettare, per affermare il nostro posto al sole in Tripolitania e sbarrare il passo alla Turchia. Del resto, dopo aver «colpevolmente» disertato in Corno d'Africa e nel «Continente Nero», si può forse rinunciare al controllo della Libia? Il principale quotidiano del capitalismo italiano, da sempre sensibile all'interesse di ENI, non potrebbe tollerare un affronto simile.

Che dire? L'imperialismo torna sempre sul luogo del delitto. Più di un secolo fa l'imperialismo straccione tricolore, sotto la guida del liberale Giolitti, strappò la Libia all'Impero ottomano in disfacimento, entrando così nel grande gioco coloniale. Gas asfissianti, campi di concentramento, massacri di civili per piegare la resistenza berbera furono pane quotidiano delle forze italiane di occupazione. Il fascismo riprenderà e allargherà questa macelleria. Oggi il liberale Corriere della Sera aggiorna la bandiera dell'imperialismo italiano in Africa, ripulendola dei suoi crimini, e chiedendo un rilancio. Che avvenga in piena pandemia non sorprende nessuno. Come nessuno si sorprende del grande rilancio di Fincantieri nella produzione di navi militari, col via libero unanime del Parlamento italiano. Non ospedali, ma sommergibili e fregate lanciamissili.
È la patria del Corriere, non sarà mai la nostra. Altro che sovranismo!

PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

Per un fronte unico anticapitalista! Avanti con il patto d'azione!

Sintesi dell'assemblea telematica di sabato 9 maggio



Pubblichiamo il resoconto dell'assemblea nazionale del patto d’azione promosso in primo luogo dal SI Cobas. Il PCL vi ha partecipato, condividendo la piattaforma rivendicativa e portando il proprio contributo, in una logica non di autorecinzione di questo importante spazio di avanguardia ma della massima estensione del fronte unitario d’azione, del suo profilo classista, della sua proiezione di massa. È la logica con cui interveniamo in ogni ambito dell’avanguardia, coniugando unità e radicalità di proposta in funzione di una prospettiva rivoluzionaria.



La terza assemblea telematica ha visto una forte partecipazione ed un vivo dibattito: 5 ore di assemblea, oltre 200 partecipanti, 45 interventi, numerose organizzazioni politiche e sindacali, delegati di base, singoli attivisti, reti sociali.

È stata riconfermata l'adesione alla piattaforma unitaria di rivendicazioni immediate e politiche condivisa nella scorsa assemblea, così come rinnovato l'impegno e la volontà di costruire nei fatti il patto di unità d'azione contro padronato e governo.

Le giornate di lotta, sciopero e mobilitazione del 30 aprile e 1 maggio indette dal SI Cobas e dall'ADL Cobas, la settimana di attivazione sociale indetta dalla rete di realtà cittadine "Vogliamo Tutto" iniziata il 25 aprile, l'adesione e l'attivazione di diversi organismi e compagni partecipanti al Patto d'azione sono i primi risultati concreti e tangibili di questa proposta.

La famosa fase 2 per noi è qualcosa di completamente diverso rispetto quella che sta attuando il governo su pressione di Confindustria e padroni, ovvero riaprire tutto indipendentemente dai rischi per la salute e la vita dei lavoratori al fine di assecondare come prima e più di prima la pressione e le intimidazioni dei padroni.

Per noi la fase 2 significa anzitutto prendere atto della enorme profondità di questa doppia crisi, sanitaria ed economica. Significa prendere atto che ai piani alti della politica e dell'economia si sta progettando e organizzando un pesante peggioramento, un vero e proprio salto in giù delle condizioni di vita e di lavoro di tutti i comparti della classe lavoratrice (sui luoghi di lavoro, con la crescita della disoccupazione, accollandoci un enorme aumento del debito di stato, e restringendo di molto le libertà sindacali e politiche). Basti pensare al vergognoso dibattito mediatico circa la "regolarizzazione" a tempo dei lavoratori delle campagne oppure il silenzio assordante rispetto allo sfruttamento triplo delle donne lavoratrici e disoccupate.

Abbiamo davanti a noi non la prosecuzione, leggermente aggravata, dei processi degli ultimi dieci anni, ma un'improvvisa e forte intensificazione delle contraddizioni e dei contrasti di classe. Ci aspettano mesi e anni di duri scontri di classe.

La vertenza in TNT-Fedex, che in queste settimane ha visto la mobilitazione e lo sciopero di migliaia di lavoratori in tutta la filiera e decine e decine di camionette sgomberare i presidi operai, è un segno chiaro di come i padroni (e i sindacati sempre più subordinati agli interessi del profitto e integrati allo stato) intendano affrontare questa fase 2.

Dobbiamo fare il possibile per non farci trovare impreparati, per serrare le nostre file, mettendo in primo piano ciò che ci unisce rispetto a ciò che ci divide: non un astratta “unità per l'unità”, bensì un programma di lotta unificante, composto da parole d'ordine e rivendicazioni semplici e chiare (riassumibili nella mozione finale dell'assemblea del 14 aprile) che è a disposizione di tutti coloro che ne condividono lo spirito, i contenuti e gli obbiettivi.

Nelle assemblee precedenti abbiamo tracciato una doppia linea di demarcazione: no a qualsiasi forma di “patto sociale” con la classe sfruttatrice in nome degli interessi della nazione, cioè del capitalismo nazionale, quale invece è proposto da CGIL-CISL-UIL e da tutte le forse dell'arco costituzionale; no a qualsiasi forma di “sovranismo” e di avvelenamento nazionalistico dei lavoratori, per l'affermazione di una prospettiva di unità internazionalista tra i lavoratori per fronteggiare l'internazionale del capitale.

L'assemblea ha ribadito chiaramente che oggi non dobbiamo "evocare l'unità" ma delimitare un campo che ci consenta di iniziare a costruire un'azione comune su fondamenta solide. L'assemblea ha confermato la necessità di compiere un passo in avanti:

1) Il sostegno pieno e l'impegno di tutti gli aderenti al Patto d'azione per la costruzione di un Assemblea Nazionale dei delegati e delle delegate aperto a tutti i lavoratori e le lavoratrici combattive, di tutti i settori ed indipendentemente dall'appartenenza di sigla, con l'obiettivo di affrontare e rispondere unitariamente alle necessità comuni di resistenza e di lotta che accomunano oggi i lavoratori della logistica, del settore metalmeccanico, della sanità, dell'alimentare, i proletari disoccupati, al di là di ogni particolarismo settoriale, territoriale o di categoria.

Quest'iniziativa procede in parallelo rispetto al Patto d'azione e di fronte unico anticapitalista, ma è essenziale per dare forza e significato al nostro percorso.

2) Rilanciare la mobilitazione operaia e sociale e dare vita nelle prossime settimane ad una giornata di lotta in piazza (con tutte le accortezze del caso) nella quale portare contemporaneamente nei territori, nelle città, nei paesi, nei quartieri i contenuti della nostra piattaforma, facendo il massimo sforzo per rivolgerci a quel vasto numero di lavoratori e lavoratrici, giovani precari e disoccupati, che stanno già pagando un prezzo pesantissimo per la crisi.

In queste settimane la crisi capitalistica, esplosa con la pandemia ma le cui radici sono ben più profonde e antecedenti al CoViD-19, si sta già manifestando in maniera drammatica: il ritardo nell'erogazione degli ammortizzatori sociali, le avvisaglie di ristrutturazioni e licenziamenti su larga scala, l'insufficienza e la parzialità delle misure a sostegno di disoccupati e dei precari rappresentano dei chiari segnali di una possibile ed imminente precipitazione delle tensioni sociali, di fronte alle quali si pone l'urgenza di una risposta decisa e immediata da parte del movimento di classe in risposta ai tentativi della destre sovraniste di cavalcare la crisi in chiave reazionaria e xenofoba.

3) Coordinarsi a livello nazionale per rispondere unitariamente a tutte le multe, denunce e forme di repressione che si stanno scagliando contro le reti sociali, i disoccupati e i lavoratori che hanno deciso di essere responsabili verso la propria salute ma non obbedienti verso l'utilizzo politico e repressivo dello stato di emergenza, riappropriandosi dell'agibilità sindacale, sociale e politica nelle piazze.

4) Sostenere un processo di convergenza e salto di qualità delle esperienze di mutualismo e solidarietà proletaria che si sono sviluppate su tutti i territori, città, quartieri e luoghi di lavoro.

Infine l'assemblea ha chiarito che bisogna allargare il più possibile il nostro raggio di azione, aspirare ad una dimensione di massa.

Per tale motivo verranno individuate forme organizzative e strumenti di comunicazione finalizzati a questo obiettivo politico.

La convergenza verso un patto d'azione ed un programma comune è un esigenza storica.

Rendiamola un orizzonte possibile!

Pioggia di miliardi per i capitalisti, elemosine per i lavoratori

Con il decreto rilancio Confindustria va di nuovo all'incasso

«Con il Presidente di Confindustria Carlo Bonomi ci siamo confrontati spesso». Le parole del ministro Patuanelli danno la chiave di lettura del "decreto rilancio", un decreto scritto in larga misura da Confindustria. Per le imprese una pioggia di miliardi, per il resto spiccioli e avanzi.


CONFINDUSTRIA VA ALL'INCASSO

Gli industriali ottengono di tutto e a mani basse. Innanzitutto viene soppressa l'IRAP per la tranche di giugno. Quattro miliardi regalati a tutte le imprese che stanno dentro un fatturato di 250 milioni. In piena emergenza sanitaria si amputa la principale base fiscale d'appoggio della sanità pubblica. Uno scandalo. Aggravato dal fatto che la regalia riguarda indistintamente tutte le imprese, anche quelle – non poche – che si sono arricchite in questi mesi di crisi (farmaceutico, digitale, parte dell'alimentare...). Confindustria ha ottenuto un acconto (il 40% del gettito IRAP), ora chiede che la prossima Legge di stabilità cancelli integralmente la tassa.

A questo si aggiungono il credito d'imposta del 60% per le imprese sotto i 5 milioni, contributi a fondo perduto in base al volume del fatturato, una detrazione del 30% per gli aumenti di capitale dai 5 ai 50 milioni, altri 6 miliardi di risorse pubbliche per le PMI sotto i 250 dipendenti attraverso il fondo pubblico Invitalia, chiamato a comprare i titoli di debito delle aziende in questione, da ripagare in sei anni.
Attenzione: “Se le aziende manterranno i livelli occupazionali il rimborso del debito avverrà senza interessi”. Dunque il decreto già annuncia di fatto la prossima fine del blocco dei licenziamenti. Se licenziare o meno lo deciderà il padrone in base alle proprie convenienze. E non c'è l'articolo 18 a fare barriera.

Il governo non dimentica certo le grandi imprese, sopra la soglia dei 250 milioni di fatturato. Qui opera la Cassa Depositi e Prestiti, opportunamente rimpinguata con un volume patrimoniale a regime di 50 miliardi. La Cassa provvede alla ricapitalizzazione delle grandi aziende in difficoltà attraverso l'acquisto diretto di pacchetti azionari, ma restando al di fuori del consiglio di amministrazione aziendale per non violare il recinto della proprietà. Insomma, un puro soccorso assistenziale ai capitalisti coi soldi di tutti, cioè dei lavoratori.

«Per le imprese intanto ci sono oltre 20 miliardi in questo decreto. La cosa più importante ora è agire sulla fiducia: lo Stato deve lasciare libere le imprese», dichiara orgoglioso il ministro Patuanelli (La Repubblica, 14 maggio). Non sappiamo se i capitalisti ricambino la fiducia. Ma certo la fiducia del governo verso i capitalisti non poteva essere più incondizionata di così. Una pioggia di miliardi a tutti.
“Dobbiamo salvare le imprese” recita il credo generale. Ma se per salvare i capitalisti sono necessarie, ancora una volta, immense risorse pubbliche, perché non nazionalizzare le aziende e porle sotto controllo operaio? Sarebbe ad un tempo una misura di risparmio e di razionalità sociale. La vera lotta agli sprechi che piace tanto a Confindustria avrebbe finalmente una traduzione vera.


GLI AVANZI PER I LAVORATORI E LE LAVORATRICI

La verità è che fuori da questa soluzione anticapitalista e rivoluzionaria c'è posto solo per le elemosine, come mostra bene il resto del decreto. Avanzi, scarti, frattaglie, tra mille paletti e restrizioni. Le briciole che cadono dal tavolo dei padroni.

Una cassa integrazione centellinata per non sforare i limiti di spesa. Nessuna soluzione per i moltissimi cassaintegrati in deroga che non hanno visto ancora un centesimo e che non sanno come campare. L'anticipo del 40% della cassa da parte dell'INPS per le domande prossime, il resto “attendere”.
Quanto al reddito di emergenza di ultima istanza rimane una miseria di 400 euro, un obolo penoso di carità, meno di un miliardo di euro.
Infine la regolarizzazione sbandierata dei lavoratori irregolari taglia fuori l'edilizia e la logistica, centinaia di migliaia di sfruttati, i due terzi della platea potenziale, mentre il terzo beneficiato (braccianti, colf, pescatori) ottiene una precaria regolarizzazione a tempo, alla quale per di più può accedere solo chi sopravvive al setaccio di mille condizioni. Un decreto fatto non per i lavoratori e i loro diritti, ma per Coldiretti e Confagricoltura, che cercano braccia, non persone.

Le burocrazie sindacali sembra non abbiano nulla da dire, anche se non hanno toccato palla. Si accontentano di fare da tappeto per gli incontri fra Bonomi e governo.

Costruire una iniziativa indipendente di classe e di massa attorno ad una piattaforma indipendente è più che mai una esigenza centrale e prioritaria.
Partito Comunista dei Lavoratori

Il mondo capovolto del capitalismo

Precipita l'economia, volano i bond aziendali americani

L'economia americana precipita dentro la recessione mondiale e il calo annunciato del commercio internazionale, una recessione ben più profonda di quella “storica” del 2008/2009, sia negli USA che nel mondo.
Privi persino (dello straccio) delle protezioni sociali e sanitarie europee, gli Stati Uniti sono esposti all'onda d'urto della crisi più di ogni altro paese imperialista. La china della recessione è stata tanto più ripida perché preceduta dalla più lunga stagione positiva nella storia economica USA (2010-2020). Venti milioni di nuovi disoccupati nel solo arco di poche settimane misurano la tragedia sociale che la crisi trascina con sé. Ed è solo l'inizio.

In un quadro tanto drammatico ci si attenderebbe una caduta generale di tutti i valori economici. Così non è. I bond aziendali americani stanno conoscendo proprio oggi un autentico boom, attraendo investimenti finanziari da tutto il mondo, banche italiane incluse. A cosa si deve tanto successo? Alle politiche finanziarie della Federal Reserve, quella che europeisti borghesi e sovranisti di casa nostra additano ad esempio virtuoso in contrapposizione alla BCE.
Dopo aver acquistato in soli due mesi 1500 miliardi di titoli di stato USA ed altri 600 miliardi di bond legati ai mutui, la Fed ha iniziato ad acquistare a mani basse i bond emessi dalle aziende USA: cioè i titoli finanziari che i capitalisti americani mettono sul mercato per rifarsi del calo dei profitti prodotto dalla crisi. Se la Fed dirotta una pioggia di miliardi verso i bond aziendali, i bond vedono salire il proprio valore alle stelle, e dunque attraggono come una calamita speculatori e affaristi di tutto il mondo. Il grande flusso degli acquirenti esteri moltiplica a sua volta il valore dei bond, con comprensibile soddisfazione dei grandi azionisti che li emettono, i quali investono il ricavato nell'acquisto delle proprie azioni (buy-back) per sostenere il loro valore di Borsa a Wall Street.

Nulla potrebbe spiegare meglio la follia del capitalismo quanto il divario tra produzione e finanza. Da un lato sovrapproduzione di merci, chiusure di aziende, licenziamento di milioni di lavoratori e lavoratrici. Dall'altro il casinò del mercato finanziario nel quale gli stessi capitalisti che distruggono il lavoro reale arricchiscono le proprie fortune. È una divaricazione che può innescare alla lunga nuovi crolli, premessa di possibili riprese. Ciò che in ogni caso misura è il parassitismo delle classi dominanti. Non solo quello dei capitalisti americani, ma dei capitalisti del mondo intero.

Molti economisti borghesi cosiddetti progressisti parlano di economia reale e della finanza come di due mondi separati; il primo virtuoso, il secondo patologico. Nella sostanza si tratterebbe di proteggere l'economia capitalista dalle esagerazioni e turbolenze del mercato finanziario. La stessa lettura della crisi del 2008 è stata piegata a questa rappresentazione di comodo. Ma le cose stanno altrimenti. L'enorme espansione del parassitismo finanziario è alimentata dalla crisi dell'economia reale, dalla sovrapproduzione di merci e capitali. È la caduta del saggio di profitto nell'economia reale a spingere i capitali in eccesso in direzione della speculazione finanziaria. Lenin inquadrava questo aspetto nella natura stessa dell'imperialismo moderno. Un secolo dopo, il raggio di espansione del parassitismo capitalista ha conosciuto un ampliamento enorme, come in nessuna altra epoca precedente.

È un indice di maturità della rivoluzione socialista quale unica soluzione della crisi dell'umanità.
Costruire la coscienza di questa verità nelle lotte di classe di ogni giorno è il compito internazionale dei comunisti.
Partito Comunista dei Lavoratori

LA CRISI COLPISCE DURAMENTE: COSTRUIAMO IL PIÙ AMPIO FRONTE UNITARIO PERCHÉ NON LA PAGHI LA CLASSE LAVORATRICE

Il PCL sostiene le manifestazioni dell'15 maggio davanti alle sedi INPS indette unitariamente da SI.COBAS, SGB, ADLCobas e Reddito di quarantena, per la difesa dei salari, il sostegno al reddito di lavoratrici e lavoratori che hanno perso il lavoro o lo stanno perdendo e il rilancio dello stato sociale.



Se ci deve essere una “ripresa” non deve essere quella di profitti, ma quella delle lotte e dei diritti.

Le foto della manifestazione davanti alla sede dell'INPS di Bologna del 15 maggio 2020:




















Partito Comunista dei Lavoratori – Sezione di Bologna

HANNO SPENTO L’AGORA'


Citare George Orwell può apparire la ricerca, dura e senza sconti, di appigli in terre lontane e miscredenti verso la celebrazione della democrazia, o soltanto una minchiata da intellettuali. Lo scrittore ci ha però insegnato, tra puntiglio e sadismo, che riscrivere il passato, e reprimere il libero fluire della memoria, sono i presupposti opportunisti e virali all’avvitarsi nel solido del potere totalitario. Ancor oggi le manipolazioni di bugia e rilettura nei contenuti dell’informazione, agiscono autorevoli per la costruzione della realtà, che diventa tale anche se priva di sostanza intrinseca.
Per mettere a tacere, e depistare, non sono più necessarie metodologie ferali, quelle sì, riservate ai dissidenti di rango anche nei regimi democratici, ma i sistemi adottati risultano efficaci, perché coinvolgono le masse, con il fine di ricondurle a una condizione di lumpenproletariat, senza una identità da spendere e opporre.

Entriamo nel merito, ai tempi del coronavirus. Straordinario passe-partout per una ulteriore avanzata verso l’atomizzazione della società, e la disgregazione della solidarietà tra individui e di quella residua pietas, in grado di diventare forma di supporto al singolo e di resistenza al sistema. 

Triturata l’identità di appartenenza a una classe sociale (condizione che presuppone lo sviluppo di un conflitto e l’identificazione del fronte avverso) resta l’uomo nudo. Schiacciato in termini economici. Frustrato dalla politica, in quanto consapevole di non poter esercitare alcuna forma di reale influenza. Pure assediato da una scarsa libertà di genere. Questa è la quotidianità della estraniazione e dell’impotenza.

Ora in un quadro dove l’espropriazione dei diritti procede spedita, vengono a iscriversi nuovi strumenti: l’isolamento e il distanziamento sociale. Prima domanda: imposti dal virus? Oppure obbligati, in pessima sostanza, da venti anni di tagli alla sanità pubblica?  Ecco presentarsi una impellente necessità di riscrivere il passato. Entra in gioco la retorica, che usa il carburante estremamente inquinante, dell’eroismo e dell’appartenenza. Scivolano via le notizie, lontane meno di un mese, quando si è dovuto decidere chi lasciar morire e a chi rendere speranza.
Un mondo di eroi che salva le sorti di una battaglia immane. Peccato che tale sia stata, immane per l’appunto, perché l’idea di una sanità pubblica non andava proprio giù a nessuno, riformisti e camerati, indifferenti a quali vestiti indossassero. Non piaceva a destra e a sinistra la sanità di stato. Tranne che per quelle azioni mediche che non potevano rendere plusvalore al capitale. E così, per una iperbole purtroppo concreta, capitava spesso di passare una giornata di attesa al Pronto Soccorso.
Ma come è stato possibile un avanzamento, in maniera tanto efficace, di quella che a tutti gli effetti risulta essere una necrosi della memoria?
Perché, mai come in questi due ultimi mesi, abbiamo sperimentato con tanta forza, e per la prima volta in Italia dopo la parentesi fascista, l’intrusione di altro virus, altrettanto pernicioso, quello del pensiero unico.
L’offensiva del pensiero unico, vivissimo senza particolari dissidenze, è stata facilitata e per certi versi indotta dall'adozione di misure quali il distanziamento sociale e l’isolamento. Abbiamo già detto del dilagare della retorica dell’eroismo e dell’appartenenza. Ed è altrettanto corretto osservare oggi, l’espressione opposta di quello stesso pensiero unico: la carica massiccia di paggi e vassalli della politica verso la riapertura di ogni distretto economico del paese. Ritenuta a furor di popolo immediatamente necessaria, da effettuarsi in maniera totale e assoluta. Istantanea se possibile.
Si è giocato con la diffusione di una vecchia pratica, quella della persuasione di massa, che ha avuto dalla sua parte alleati forti: la paura della morte, la negazione del futuro, il peccato originale. E badate bene non c’è stato bisogno di manovre occulte. Tutto è stato agito in chiaro. E oggi il meccanismo medesimo si trasforma in impazienza, nella negazione di ciò che è stato, e ancora può accadere. Un altro copione, che nega il precedente.
L’incapacità di adottare posizioni intermedie, o se preferite alternative ha toccato la maggior parte di noi. Rare le dissidenze, ma sempre trascinate dalla corrente dello stesso fiume. Non è il momento della polemica, ricorderete questa parola d’ordine. Forse.
Tutto questo è accaduto, anche, perché siamo stati costretti ad abbeverarci alla fonte unica dell’informazione: l’establishment. Quella fonte possiamo chiamarla in alternativa governo, o capitale, o sistema. E come ancora si preferisce, e certo non mancano altri termini. Soprattutto nel primo periodo di lock down è stato impossibile qualsiasi processo di controinformazione e di analisi indipendente.
L’isolamento ci ha privato del confronto sociale, e della fisicità del trovarsi faccia a faccia. In assemblea, in sezione, in fabbrica. In Parlamento, o in un Consiglio comunale. Più semplicemente al bar. E ha costretto i media, a subire e dover utilizzare quasi esclusivamente fonti ufficiali, interessate appunto a riscrivere una realtà addomesticata.
Provate a guardare lo stesso programma televisivo, restando in casa e a commentarlo al telefono. Se il giudizio non coinciderà, in ogni caso la discussione verrà portata avanti con gli argomenti contenuti in quel format e appena stampati nella vostra memoria. È molto probabile che si resti chiusi in una gabbia mentale, che non ci farà guardare altrove. Ripetendo il meccanismo perverso del Truman Show, dove si comandano vite apparentemente libere.
Nell’agorà si forma l’opinione della polis. Nella piazza vive (almeno così dovrebbe essere), il confronto tra i cittadini che comanda alla politica l’indirizzo non derogabile. L’agorà in questo momento ci è stata tolta. È stata spenta. Se verranno ripristinati pienamente i nostri diritti, questo avverrà il 31 luglio. Ma è giusto interrogarci sul dopo. Abbiamo parlato non erroneamente di peccato originale. Ogni reclusione porta con sé senso di colpa e frustrazione. Poi, nella reclusione si può trovare rassicurazione. Uno stato d’animo dove delegare la gestione dei propri diritti diventa una opzione possibile e semplificatrice. Assolutoria come una penitenza dopo la confessione. Leggi: la ricerca dell’uomo forte; la scelta dell’autoreclusione del libero pensiero.
Se ci pensate bene, siamo di fronte all’invenzione di un dio profano, anzi a dire meglio al riconoscimento unilaterale dell’esistenza di una entità, che per noi decide senza troppe chiacchiere e garanzie. Volete chiamarla destino? Così sia. Ma a dio e al destino come si fa opposizione?
Per tornare con i piedi per terra, da oggi 11 maggio, il Transatlantico parlamentare è stato chiuso ai cronisti accreditati. Non accadeva dal 1946. Che si tratti di una interdizione temporanea, o diventerà costume e imposizione permanente? Non è dato saperlo.

Mario De Pasquale