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Ancora una volta, se toccano uno, toccano tutti. Ancora una volta, a fianco dei lavoratori del SiCobas aggrediti, uniti per difendere le lotte!


Già lo scorso maggio, alcuni lavoratori SiCobas furono aggrediti alla SDA di Roma da una squadraccia antioperaia, durante un picchetto antisciopero, che fu giustificato se non rivendicato nelle ore successive da FIT-UILT-FILT (CISL-UIL-CGIL) di Roma, evidenziando anche una diretta partecipazione all'azione di loro iscritti.

Oggi la vicenda si ripete, seppur in un contesto diverso e con diverse modalità. Nella notte fra martedì 22 e mercoledì 23 dicembre, presso il magazzino GLS di Montale (Piacenza), quattro lavoratori del SiCobas sono stati aggrediti da altri lavoratori, con armi improprie (spranghe, sedie...): sono stati tutti ricoverati al pronto soccorso ed uno di loro risulta essere in gravi condizioni (in coma). Il SiCobas denuncia la presenza, fra gli aggressori, di iscritti alla CGIL ed ai sindacati confederali.

Siamo di nuovo in presenza di fatti di una gravità enorme. Da diversi anni il SiCobas dirige un lungo ciclo di lotte nella logistica, insieme ad altre strutture ed avanguardie politiche e sociali, in tutto il centro-nord (Roma, Bologna, Piacenza, Milano, Torino, Padova, ecc). Un ciclo di lotte in cui si è organizzato in particolare un settore di classe operaia immigrata, molto combattivo nonostante le sue difficili condizioni di vita, e che ha ottenuto diversi successi, in vertenze esemplari (ad esempio Ikea) e nei rinnovi contrattuali. Contro queste esperienze di lotte, contro questo settore di lavoratori e lavoratrici, si è ovviamente concentrata la repressione dei padroni e dello Stato: licenziamenti, denunce, cariche della polizia, fermi, fogli di via ed espulsioni. Una repressione favorita dai rapporti di forza complessivi tra le classi, indeboliti dallo sfondamento padronale del governo Renzi e dall’ambiguità e vaghezza della risposta da parte delle grandi organizzazioni sindacali, che hanno dissolto nel nulla le resistenze dello scorso autunno (mobilitazioni contro il Jobs Act) e della scorsa primavera (movimento della scuola). Una repressione favorita dal tentativo autoritario di stampo bonapartista che il governo sta conducendo (riforma del Senato, Italicum, legge sulla rappresentanza che concretizzerebbe l’accordo del 10 gennaio, normativa antisciopero).

Contro questa repressione, contro queste svolte autoritarie sul piano politico e sociale, servirebbe costruire subito un fronte unico di resistenza e di lotta, per difendere diritti e condizioni del lavoro.
La scelta della CGIL è invece opposta. Non solo rimanda e dilaziona ogni lotta e ogni sciopero (scuola, impiegati pubblici, legge di stabilità e pensioni), ma sottoscrive in diverse categorie rinnovi contrattuali in cui lascia mano libera al padronato sull’organizzazione del lavoro e si prepara a siglare un nuovo accordo quadro sulla contrattazione, in cui si trasferisce al livello aziendale la centralità della determinazione degli aumenti salariali, oltre che della definizione dei tempi e dei ritmi di lavoro (facendo evaporare progressivamente il contratto nazionale).

In questo contesto complessivo, nel settore della logistica le organizzazioni confederali di categoria hanno sempre contrastato il SiCobas ed il ciclo di lotta avviato dai lavoratori immigrati. Da molto infatti FIT, UILT e anche FILT conducono un’ambigua e gravissima linea di complicità e concertazione con l’infame mondo della cooperazione (cosiddetta sociale), come con le grandi imprese che dominano questo settore.
Ma è ancor più grave che oggi queste organizzazioni sindacali appoggino queste azioni di aperta e violenta aggressione. Come abbiamo detto lo scorso maggio, non c’è solo il problema degli iscritti che hanno partecipato, rispetto ai quali deve esser immediatamente richiesta l’espulsione. Un sindacato che si schiera dalla parte delle aggressioni a lavoratrici e lavoratori che lottano è un’organizzazione sindacale che si rende complice della svolta autoritaria del paese, che contribuisce al degrado dei diritti del lavoro, che tradisce gli interessi di classe.

Per questo chiediamo a tutte le organizzazioni della sinistra, agli iscritti ed ai dirigenti della CGIL, di assumersi la propria responsabilità: denunciare l’accaduto, non offrire nessun tipo di copertura politica, espellere gli eventuali iscritti coinvolti nell’azione. Come abbiamo detto a maggio, e ribadiamo oggi con maggior forza, non è una questione di solidarietà. Anche se ovviamente esprimiamo tutta la nostra vicinanza politica ed umana ai lavoratori feriti ed a quelli picchiati, alle loro lotte, al loro sindacato SiCobas. È un problema di difesa dei diritti di tutti e di tutte. È un problema di salvaguardia collettiva degli interessi di classe. A fianco delle lotte della logistica, al fianco del SiCobas, in questo gravissimo e vergognoso episodio.

SE TOCCANO UNO, TOCCANO TUTTI!

Partito Comunista dei Lavoratori


Bologna oh cara! Lettera aperta per un'opposizione di classe e rivoluzionaria

♠ in
 Proponiamo ai compagni, ai lavoratori, ai cittadini bolognesi una breve riflessione sulle prossime elezioni comunali e sulla partecipazione del nostro partito. Invitiamo tutti ad approfondire con noi questi temi mercoledì 16 dicembre, alle ore 20.30, presso la nostra sede in via Marini 1/b (traversa di viale della Repubblica).

La città di Bologna è ormai lontana da quella che fu rappresentata per decenni nell’immaginario pubblico nazionale, in particolare quello di sinistra. Si trattava spesso di un travisamento della realtà, tuttavia in passato era innegabile l'esistenza di un sistema cittadino e regionale, basato su uno sviluppato livello di servizi sociali e di forti legami politici, sindacali e coooperativi che miglioravano tendenzialmente la qualità della vita delle classi lavoratrici, anche se spesso rinunciando alla conflittualità col padronato.
Nel corso degli ultimi decenni è altrettanto innegabile un arretramento, che ne pregiudica le condizioni di vita.
Bologna è oggi la capitale di un sistema politico ed economico – a base regionale con proiezioni nazionali – assolutamente consociativo che ha fatto implicitamente dello slogan LE MANI SULLA CITTA' un modo di gestione e di governo.
Organizzazioni politiche e sociali sono complici e integrate tra loro: PD-SEL-NCD-CGIL-CISL-UIL-COOP-CDO-CL-UNINDUSTRIA-RETI ASSOCIATIVE, ECC.
Anche l'opposizione istituzionale è quasi sempre una semplice parte teatrale necessaria a mantenere il proprio ruolo nella rappresentazione generale e accedere comunque alla grande mangiatoia pubblica.

È un sistema politico che, forte anche delle numerose controriforme istituzionali ed elettorali di carattere antidemocratico, punta ad essere sempre meno dipendente dal consenso popolare, sempre più forte della sua autonomia; punta cioè a governare anche contro il consenso della popolazione, addirittura quando questo rappresenta la sua base elettorale storica, come nel caso evidente del referendum locale sui finanziamenti alle scuole private.

Le amministrazioni della città – a contare almeno dall'inizio del nuovo secolo – sono state centrate a soddisfare vari appetiti di banche e imprese attraverso megaopere inutili alla popolazione ma necessarie al sistema produttivo privato, solo per fare alcuni esempi: nuova stazione, alta velocità, Civis/Crealis, People mover, Fico, nuove zone residenziali, speculazione edilizie e cementificazione del territorio, ecc.
Tutto questo mentre il mondo del lavoro veniva sempre più massacrato sia in termini occupazionali che salariali. La stessa assistenza è stata di fatto degradata a carità istituzionale. Mentre i servizi sociali vengono costantemente tagliati e elargiti a prezzi insostenibili.

FALSI PROFETI E LOTTE DI RESISTENZA
 
La sinistra istituzionale che ha ricoperto – a volte ricopre ancora – ruoli negli esecutivi locali, come in passato anche a livello nazionale, oggi è in piena difficoltà ad esprimere una linea politica chiara e una proposta che non sia di pura immagine finalizzato solo alla sopravvivenza del proprio ceto politico (v. Sel, Prc, Altraeuropa e tsipriani vari, Verdi, comitati e circoli vari).
I nuovi “salvatori” della sinistra bolognese appaiono tali solo grazie alle tante dimenticanze: Mauro Zani è stato per decenni uno dei politici più potenti di questa città così come alcuni suoi sodali, basti pensare a Lanfranco Turci capo delle Coop, presidente della Regione e poi parlamentare, pure transitato per un periodo nel Psi. Basterebbe ricordarsi dove erano Zani e i suoi compari quando a Bologna cominciavano le privatizzazioni (do you remember farmacie comunali?) e i finanziamenti alle scuole private.
Lo stesso vale per l'ex assessore Ronchi (per oltre un decennio assessore in giunte di vario livello a guida PD), che oggi, dopo essere stato scaricato, si schiera tutto a sinistra, mentre basterebbe chiedersi quando mai negli ultimi anni ha preso le distanze dalle posizioni del sindaco, della giunta e del Pd.
Cosa pensava e cosa votava Ronchi al referendum sulle scuole private o sul contratto delle maestre/i neoassunte nelle scuole dell'infanzia comunali? Come si è schierato Ronchi sul People mover o su Fico o sulla vendita delle azioni delle partecipate? E così su tanto altro.
Si dimostra ancora una volta che i trombati e prepensionati della politica si buttano a sinistra. Il guaio è che ci siano ancora tanti che abboccano.
Gli stessi esponenti di alcuni centri sociali, che a costoro fanno proposte di alleanze, hanno nell'ultimo quindicennio sostenuto alle elezioni i candidati sindaco dei DS/PD, esprimendo addirittura propri candidati nelle liste alleate al PD, giungendo fino ad esprimere il primo assessore alla casa nella giunta Cofferati (tale Antonio Amorosi che oggi scrive su Libero).
D'altra parte non saranno certo invenzioni giornalistiche, come la Frascaroli (mai stata di sinistra), a risollevare le sorti del proletariato bolognese. E nemmeno i 5 stelle, che spesso affascinano ancora tanti compagni/e pur essendo una formazione filopadronale con un progetto reazionario: vogliamo ricordare il loro appoggio alla linea di “legalità” degli sgomberi operati negli ultimi mesi in città?
In questo contesto difficile e a tratti desolante si muovono comunque, anche a Bologna, elementi di resistenza – spesso separati e marcianti su binari paralleli – su vari livelli: lotte per la casa e il diritto all'abitare degno; movimento contro la “buona scuola” di Renzi; comitati sui trasporti, mobilità e ambiente (No Peolplemover; passante nord, ecc.). Nei luoghi di lavoro ancora resiste/esiste un sindacalismo classista basato soprattutto sui sindacati di base e a volte- sempre meno – su alcuni settori e categorie Cgil, soprattutto sull’area “il Sindacato un’altra cosa” (sinistra CGIL).

UNA SINISTRA RIVOLUZIONARIA PER UN'OPPOSIZIONE DI CLASSE

Riteniamo che una sinistra che si voglia porre sul terreno dell'opposizione di classe debba pensare, a livello cittadino come più in generale, a costruire risposte quanto più possibili coordinate e organizzate unitariamente, non solo in maniera parziale ed estemporanea. In questo senso vanno rigettate tutte quelle suggestioni movimentiste, civiche, anticomuniste e antipartito che hanno abbandonato ogni riferimento alla lotta di classe e al comunismo per nascondere, nei fatti, altri partiti e organizzazioni pronte a saltare ancora una volta dall'altro lato della barricata.
Chi, come noi del PCL, voglia da un punto di vista di classe provare ad ostacolare le consorterie e i governi filopadronali, nazionali o locali che siano, non può semplicemente ignorare il momento elettorale, per il semplice fatto che non esiste alcuna distinzione fra lotte, resistenze e scontro istituzionale: gli scioperi, le lotte di piazza, le diverse forme di resistenza anche a livello istituzionale sono tutte fasi diverse e intrecciate su cui si dispiega lo scontro di classe. In questo senso non intendiamo lasciare al nemico e ai falsi “amici” anche questo campo, invece vogliamo utilizzarlo per una battaglia di classe, di propaganda e demistificazione dei vari Pd-FI-Lega-5Stelle-italosinistri e delle loro politiche antiproletarie.
Per noi si tratta di portare dentro la campagna elettorale le ragioni della lotta di classe, dell’unità dei lavoratori e dei movimenti e dunque della sinistra rivoluzionaria.
Certo il PCL è una piccola organizzazione, che però in questi anni ha maturato esperienza e ha saputo esprimere capacità di intervento politico senza mai svendere le ragioni dei lavoratori e delle classi popolari. Certo si è costretti a muoversi in una situazione complessiva di difficoltà. Certo a tanti sembra utile impegnarsi solo in “cose” che siano subito “grandi” e “credibili”, magari “capaci di incidere” e “dare risposte”, ma è provato da tante esperienze anche del recente passato che su questo terreno di facili risposte si sono costruiti i grandi insuccessi delle varie liste locali o nazionali, durate il tempo di una campagna elettorale, nate e scomparse senza lasciare nulla. Ed è forse qui proprio la differenza con chi come noi considera le elezioni uno strumento nel percorso di lotta e non il fine della propria azione politica: il PCL pur ottenendo sempre piccoli risultati nelle urne è sempre stato capace di dare continuità alla sua azione, appunto perché organizzazione non estemporanea e perché legato ad un progetto di trasformazione complessivo che non si ferma di fronte ai risultati elettorali anche negativi; così come non si adagerebbe sugli allori nel caso di un buon risultato o un'elezione. La nostra propaganda – come la nostra pratica - non può che essere incompatibile con il quadro istituzionale presente. Un esempio per tutti: dobbiamo dire la verità e chiarire a tutti che nessuna reale politica di svolta a favore del popolo lavoratore può essere fatta rispettando i patti di stabilità nazionali e locali.
Noi non intendiamo rispettare nemmeno per un momento gli attuali vincoli economici, (patti di stabilità, ecc.) perché solo cosi potremmo rimettere al centro i bisogni di lavoratori, studenti, precari, disoccupati e pensionati.

Abbiamo incontrato molti compagni e molte compagne nelle tante mobilitazioni di questi anni e questi ultimi mesi su tanti temi: dalla scuola alla casa, dalla difesa dei posti di lavoro all'attività nei sindacati cosi come nelle piazze e nelle strade, a tutti voi rivolgiamo quindi questo testo.
Il PCL, come in passato, vuole essere presente nell'arena elettorale, ma una nostra presentazione sarà tanto più utile quanto più potrà incrociarsi con le dinamiche del conflitto.
Vi invitiamo, quindi, a discutere della nostra proposta, che possa in prospettiva allargarsi, perché il campo elettorale non veda solo i soliti furbi e trasformisti a voler rappresentare la classe, per poi tradirla un'altra volta.

L'APPUNTAMENTO CHE VI PROPONIAMO PER DISCUTERE DI QUESTI TEMI È PER MERCOLEDÌ 16 DICEMBRE, ALLE ORE 20.30, PRESSO LA NOSTRA SEDE IN VIA MARINI 1/B (traversa di viale della Repubblica).

CISA: come te nessuno mai

 Proponiamo questo contributo del compagno Evangelista (PCL sezione Romagna) sulla conclusa vertenza della CISA, riguardante sostanzialmente il grande stabilimento di Faenza. L'attualità di una riflessione sulle (mancate) lotte operaie è ancora più grande oggi, a fronte della vertenza Saeco (243 licenziamenti annunciati), per evitare i vecchi errori e fermare la sconfitta e l'arretramento del movimento operaio.


Un altro duro colpo è stato assestato al mondo del lavoro produttivo romagnolo. Dal 2008 ad oggi sono stati persi 1700 posti di lavoro ed a Faenza pare oramai dimenticata l’esperienza della Omsa.
I dirigenti Cisa, azienda produttrice di serrature facente parte della multinazionale Allegion, nonostante gli utili ha deciso di continuare il profitto altrove: e’ arrivato il momento di delocalizzare.  Tale minaccia è datata Giugno 2015 e si accompagna a 238 licenziamenti a fronte degli oltre 500 lavoratori impiegati negli stabilimenti di Faenza e Monsanpolo (AP). Ma non è tutto qui: nello stesso periodo l’Allegion acquisisce per 210 milioni di euro l’azienda Simons Voss in Germania, che occupa lo stesso numero di lavoratori a rischio licenziamento nello stabilimento faentino della CISA. Tutto logico per il padrone, ma a quanto pare non è il solo ad avere le idee chiare…
La “levata di scudi” dei sindacati gialli confederali si sintetizza in una sola parola : “inaccettabile”. Tanto inaccettabile quanto la maschera indossata dai burocrati, protagonisti del medesimo spettacolo teatrale che ha del comico, per la mediocrità della pianificazione della “non lotta”, se non fosse per l’amara e scontata conclusione della vertenza. Le premesse erano tali affinchè si sospettasse la tragica fine e la svendita totale dei lavoratori.
Ma non solo : la vertenza CISA sembra essere il caso emblematico, esempio pilota di come la burocrazia sindacale CGIL (e non solo) voglia applicare i dettami della segretaria generale Camusso firmataria del testo unico della rappresentanza sindacale. Accettarlo significa non protestare, non scioperare o come recita il testo unico si impegnano a non mettere in atto “azioni a contrasto”, pena una sanzione.
Tolte anche queste elementari regole democratiche, martellati dall’azione sfiancante delle burocrazie, i lavoratori sono stati abbandonati ed hanno deciso di affidarsi completamente ai burocrati. Il sindacato non fa più sindacato ma il “centro servizi”: calcolo delle tasse ed altre prestazioni a “basso costo” , tali da giustificare il fatto che solo la CGIL conta oltre il 50% degli iscritti tra i pensionati, cioè chi le lotte non le fa più e che non ha avuto nulla da dire e fare contro la Legge Fornero.
Arriva l’accordo votato da oltre l’ 80% dei lavoratori (439 votanti- 369 sì – 51 no) : 130 dimissioni volontarie che saranno ratificate dai dirigenti aziendali, oltre ad incentivi di vario genere. Bravi ! Bene! Bis! Non sono licenziamenti! I burocrati sindacali brindano e con loro anche i padroni che plaudono all’accordo: la presidente di Allegion Moretti afferma “Considerando i tanti aspetti in gioco, il fatto di aver un accordo è molto positivo”.
In questo quadretto il non lavoro dei burocrati sindacali gialli, firmatari dell’accordo sulla vertenza CISA, ha trovato campo aperto: una manifestazione partecipata decorata dai guaiti di Landini, uno sciopericchio (chiaramente che rimanga all’interno del monte ore) ed una scampagnata al MISE di Roma. La buona volontà degli operai e delle operaie è stata completamente tradita: si aspettavano di salvare il posto di lavoro, invece 130 dovranno abbandonare l’azienda. Ma l’azienda per ora non delocalizza…
E se invece si fosse lottato? Se invece ringraziare, per le preghiere, il Vescovo di Faenza, si fosse proceduto al blocco merci di tutti gli stabilimenti? Quanti posti in più si sarebbero salvati? Se i burocrati con le braghe calate hanno accettato 130 licenziamenti (definite dal “Papi-Papignani” – Segretario Regionale FIOM- dimissioni volontarie, che poi tanto volontarie non sono), quanti operai avrebbero ancora mangiato il panettone se si fosse organizzata una piattaforma di lotta? La storia insegna che non è mai inutile.
Il PCL Romagna ha partecipato con i propri militanti alla manifestazione di luglio ed ha volantinato al di fuori dei cancelli della fabbrica, cercando di scuotere gli animi di chi non era d’accordo alla svendita dei lavoratori affrontando a muso duro i burocrati sindacali. Cercando di fare emergere quel dissenso che in prima persona abbiamo intercettato, ma che forse era troppo debole ed isolato tra gli operai. Perché la lotta di classe si fa contro i padroni, questo è certo, ma è altrettanto vero che inizia tra gli operai. Tra chi vuole lottare contro chi ragiona come il padrone; tra chi ha coscienza di classe ed il fatalista che pensa “ormai è tutto inutile”. Le lotte operaie nella logistica, in tutta Italia combattuta da una minoranza di facchini, ha vinto su più fronti. Gli operai sono coscienti del fatto che chi ha potere economico ha anche potere politico, ma non si sono accorti ancora che loro stessi hanno un potere estremamente superiore a quello dei padroni se riuscissero a battersi per un’alternativa di potere: il governo dei lavoratori. Gli operai produttivi possono bloccare l’economia di intere nazioni, ma solo se accettano di investire le proprie forze in un programma rivoluzionario che cacci via i padroni ed i loro partiti che sgomitano per governare la crisi e l’austerità.
Quando l’operaio/a arriva a ragionare come il burocrate sindacale, è parte del problema. Se i lavoratori e le lavoratrici pensano che altri debbano lottare per proprio conto, stanno sbagliando grosso. Sono in torto anche tutti quelli che immaginano che lo stato delle cose sia immutabile e che rimanga tale anche a seguito di un’ eccezionale vittoria. Ma alla vittoria può seguire una cocente sconfitta. E’ questa la rivoluzione permanente.
Chi lotta può perdere , chi non lotta ha già perso.
La Presidente festeggia:

Lettera aperta ai compagni e alle compagne di Rifondazione Comunista


Car@ compagn@,
non abbandonare la lotta anticapitalista e il comunismo.
Se vuoi contattarci puoi rispondere a questo messaggio, andare su www.facebook.com/pclbologna
o venirci a trovare ogni lundì sera dale 21,15 in via Marini 1/b (traversa di via Repubblica a Bologna)

PER MANTENERE UNO SPAZIO POLITICO CLASSISTA E ANTICAPITALISTA, PER RILANCIARE UN PROGETTO COMUNISTA E RIVOLUZIONARIO 

Cari compagni e care compagne,
il Comitato Nazionale del vostro partito (7/8 novembre 2015) ha di fatto avviato lo scioglimento del PRC nella cosiddetta costituente della “sinistra italiana” che partirà a gennaio.
Il referendum interno serve a dare convalida formale ad una scelta pubblica già compiuta e già annunciata da parte della Segreteria nazionale del PRC.
Che questa sia la scelta, quale che sia il giudizio di merito, non può essere motivo di dubbio. Il richiamo formale al PRC e al suo “rafforzamento” che la mozione della Segreteria contiene serve a indorare (e a nascondere) con parole auliche una scelta reale esattamente opposta: quella di dissolvere il vostro partito in un contenitore più ampio, diretto dai gruppi dirigenti di SEL e di ex bersaniani del PD.


IL PRC SI SCIOGLIE IN UNA GRANDE SEL (... UN PO' PIÙ “A DESTRA”) 

La vostra Segreteria afferma che il processo costituente della sinistra italiana si fonda sulla comune accettazione del “superamento del centrosinistra”. È falso. Com'è del tutto evidente, i gruppi dirigenti di SEL ed ex bersaniani muovono in una direzione dichiaratamente opposta: quella di “ricostruire il centrosinistra”, oggi precluso dal renzismo. Per questo preservano centinaia di assessori in tutta Italia nelle giunte di centrosinistra, nonostante Renzi. Se alle prossime elezioni amministrative, nella maggioranza dei casi, sceglieranno di presentarsi autonomamente e in alternativa al PD è perché il renzismo ha rotto i vecchi equilibri del “caro centrosinistra”: per ricomporre il centrosinistra occorre dunque contrapporsi a Renzi, ricostruire un proprio pacchetto di consenso, e poi ribussare alle porte del PD. Sperando che ad aprire la porta torni, prima o poi, il caro vecchio Bersani. Non solo: proprio per rafforzare nella stessa composizione del nuovo soggetto la vocazione programmatica del centrosinistra, i gruppi dirigenti di Sinistra Italiana vogliono aprirlo a settori cattolico-ulivisti del tutto estranei ad ogni tradizione politica e culturale della sinistra. Il respingimento pubblico e sdegnato dell'appellativo giornalistico di “cosa rossa” cos'è se non il riflesso di tutto questo?

L'argomento consolatorio secondo cui il “processo costituente sarà dal basso” e “conteranno le nostre idee” capovolge la realtà dei fatti. Tutto il processo è decollato dall'“alto”. Prima dall'accordo tra i gruppi dirigenti delle diverse formazioni e soggetti, inclusa la vostra Segreteria. Poi dall'iniziativa pubblica e pubblicizzata dei gruppi dirigenti e parlamentari di SEL e degli ex bersaniani, che hanno attivato la presentazione in tutta Italia del nuovo soggetto, ben prima dell'assemblea di gennaio. Gruppi dirigenti di SEL ed ex bersaniani che già godono in partenza della rendita di posizione di unica rappresentanza parlamentare della nuova formazione (assieme a Civati) da qui alle prossime elezioni politiche: con l'enorme peso condizionante che questo fatto esercita sulla costituzione materiale del nuovo soggetto, la sua presenza mediatica, la sua immagine pubblica, la selezione materiale delle sue rappresentanze sul territorio. La presenza diffusa all'atto di presentazione a Roma di Sinistra Italiana di settori di burocrazia CGIL, ARCI, vecchio associazionismo di estrazione PD, reso orfano del renzismo, prefigura gli equilibri interni reali alla nuova formazione, e la dinamica annunciata della sua evoluzione, più di mille rassicurazioni formali. La conclusione è semplice: la vostra Segreteria nazionale avvia lo scioglimento del PRC in un contenitore diretto (politicamente, culturalmente, organizzativamente) da un personale politico del tutto organico alla tradizione di governo del centrosinistra. Dunque alla gestione capitalistica della crisi. La difesa platonica e formale della “ragione comunista” da parte di Paolo Ferrero potrà forse valere sul terreno negoziale con gli altri soggetti della Costituente in ordine alla salvaguardia di singoli ruoli dirigenti. Ma nessuna riserva indiana per dirigenti nazionali del PRC potrà mascherare lo scioglimento e la liquidazione del partito entro un nuovo soggetto politico cui spetterà, non a caso, la piena sovranità delle scelte elettorali, politiche, istituzionali.


UN EPILOGO ANNUNCIATO

Non siamo meravigliati dal triste epilogo della parabola di Rifondazione. Quando rompemmo col PRC nel momento del suo ingresso nel governo Prodi, con tanto di ministri (Ferrero) e cariche istituzionali (Bertinotti), dicemmo apertamente che la compromissione di governo con la borghesia italiana, contro i lavoratori, avrebbe avviato la liquidazione del PRC. Perché ne minava alla radice le ragioni di classe, e al tempo stesso confermava nella forma più clamorosa l'assenza, nei suoi gruppi dirigenti, di ogni programma comunista.
Fummo facili profeti. Quanto è avvenuto nei dieci anni trascorsi ha confermato la previsione. Il ministro che entrò in quel governo, votando missioni di guerra, leggi di precarizzazione del lavoro, abbassamento delle tasse sui profitti (l'Ires dal 34% al 27%!), è oggi il segretario che scioglie il partito. Dopo averlo imboscato negli ultimi anni in tutte le possibili combinazioni di liste e soggetti “civici” (da Ingroia a Spinelli), privi di ogni riferimento di classe.
Negli ultimi mesi, in particolare, la linea della Segreteria del PRC sulla Grecia è stata davvero emblematica. Prima la giustificazione della capitolazione di Tsipras alla troika; poi il pubblico sostegno a Tsipras alle elezioni anticipate di settembre, quando chiedeva il mandato sul programma di austerità concordato; poi il plauso alla “vittoria” di Tsipras in compagnia delle Borse e dei governi capitalistici europei; infine la continuità dell'appoggio a Tsipras nel momento stesso in cui vara le politiche di lacrime e sangue contro i lavoratori subendo il primo sciopero generale di massa (12 novembre), hanno scandito di fatto, nel loro insieme, una confessione pubblica: il gruppo dirigente del PRC non ha altro orizzonte strategico reale che il governo “progressista” del capitalismo, in Italia e nel mondo. Per di più in un contesto storico in cui il riformismo ha esaurito il proprio spazio storico e dunque maschera la continuità delle controriforme (come proprio la Grecia insegna). Perché allora meravigliarsi dello scioglimento del partito in una costituente di sinistra dichiaratamente governista? Ogni confine reale, politico e programmatico, tra PRC e SEL si dissolve nell'adattamento comune al capitale.


UN PROGETTO CLASSISTA E ANTICAPITALISTA, COMUNISTA E RIVOLUZIONARIO 

Detto questo, non consideriamo lo scioglimento del PRC un fatto “che non ci riguarda”. Non solo perché i promotori del PCL militarono in Rifondazione Comunista per quindici anni, dando battaglia coerente su un programma anticapitalista in contrasto con i suoi gruppi dirigenti maggioritari (Bertinotti, Cossutta, Diliberto, Rizzo, Ferrero, Vendola). Ma anche e soprattutto perché sappiamo che nel vostro partito, al di là dei suoi gruppi dirigenti, hanno continuato a militare tanti compagni e compagne sinceramente comunisti, che hanno cercato nel PRC uno strumento non di resa ma di lotta, non di governo ma di rivoluzione. Compagni e compagne che abbiamo trovato e troviamo in tante battaglie comuni, nel movimento operaio, nei movimenti giovanili, nelle lotte ambientaliste, sul territorio, sempre contro il comune avversario di classe. E quindi anche contro le coalizioni di centrosinistra sposate da SEL (e anche in tanti casi dal PRC) o i governi di unità nazionale in cui stava Fassina.

Perché questo sbandamento e questa ulteriore dissoluzione si inserisce in un contesto di profonda involuzione della coscienza di classe. Le sconfitte dello scorso ventennio, i processi di scomposizione e ricomposizione determinati dalla crisi e dalle ristrutturazioni in corso, la compartecipazione alle tante giunte e governi di centrosinistra da parte delle principali organizzazioni del movimento operaio, hanno logorato in larghi settori di massa la capacità di riconoscere le differenze di classe, la consapevolezza dei propri interessi, la propria identità e forza collettiva. Hanno creato confusione, consumato immaginari e scomposto relazioni sociali.
Questa scelta di sfumare il proprio colore e il proprio anticapitalismo, seppur simbolico e retorico più che reale, all’interno di un indistinta sinistra italiana, pensiamo quindi che rilanci e rinforzi questo processo generale di involuzione della coscienza di classe.

A questi compagni e a queste compagne chiediamo allora di non ripiegare le bandiere. Di non piegarsi ad una scelta di liquidazione tra le braccia di Vendola e Fassina. Ma anche di non arrendersi allo sconforto e alla tentazione di abbandono come è avvenuto per decine di migliaia di compagni e compagne in tanti anni. 

Noi non siamo più un “gruppo”, ma un piccolo partito, l'unico oggi esistente in una dimensione realmente nazionale a sinistra del PRC. Un partito impegnato nella lotta di classe e nei movimenti di massa, che lavora per la più larga unità d'azione dei lavoratori e delle loro organizzazioni, e che vuole introdurre in ogni lotta la prospettiva di un governo dei lavoratori: l'unica vera alternativa, quella rivoluzionaria.
Un partito che si presenta come tale alle elezioni, in contrapposizione ad ogni forma e logica di centrosinistra, e contro ogni camuffamento “civico”, per presentare il programma comunista alle più larghe masse, fuori da ogni logica minoritaria o rinunciataria.
Un partito schierato internazionalmente al fianco dei lavoratori, dei popoli oppressi dall'imperialismo, delle loro lotte di emancipazione e liberazione, a partire da una logica classista, estranea al campismo e allo stalinismo.
Un partito impegnato per la ricostruzione dell'Internazionale comunista e rivoluzionaria, al fianco delle nostre organizzazioni sorelle di Grecia, di Turchia, di Argentina, e di altri Stati e nazioni: per unire in ogni paese e sul piano mondiale tutti i sinceri comunisti che vogliono battersi per il potere dei lavoratori. Contro ogni illusione di “riforma sociale e democratica” dell'Unione Europea o della NATO.

Certo, la costruzione di un partito rivoluzionario è terribilmente complessa. Tanto più in un paese come il nostro segnato da un profondo arretramento del movimento operaio e della sua coscienza. È una costruzione controcorrente, in un campo di rovine prodotte da chi ha disperso grandi potenzialità e grandi occasioni. Ma rinunciare alla costruzione di questo partito, per accontentarsi della sola esperienza dei movimenti, renderebbe un pessimo servizio ai movimenti stessi, che tanto più in un quadro di frammentazione hanno bisogno di incrociare una prospettiva unificante. Come non ci si può semplicemente organizzare in una rete o un coordinamento diffuso di soggetti ed esperienze diverse, che si ritrovano su un minimo comun denominatore di resistenza o opposizione. Serve un partito. Tanto più oggi, di fronte ad una crisi profonda ed epocale del modo di produzione capitalista, che scuote il consenso e l’egemonia delle classi dominanti, che divarica condizioni sociali e disuguaglianza, che precipita le contraddizioni intercapitaliste e lo scontro di classe. Serve una direzione alternativa. Un soggetto organizzato e radicato che porti in ogni lotta il senso di un progetto generale, che sviluppi la coscienza, che contrasti la demoralizzazione o le illusioni. Per l'appunto, un vero partito comunista.

Questo è il nostro progetto ed il nostro tentativo. Vi proponiamo quindi di confrontarci con noi, sul passato e soprattutto sul presente della lotta di classe e del ruolo indispensabile del partito, per mantenere ed allargare nel nostro paese uno spazio politico classista e anticapitalista, per provare a costruire insieme il partito comunista e rivoluzionario.
Partito Comunista dei Lavoratori
Sez. di Bologna

Gli "onesti" arraffatori del M5S

Apprendiamo da un articolo di giornale che i consiglieri regionali del Movimento Cinque Stelle si trovano in questi giorni a incassare, durante varie assemblee con i loro simpatizzanti, duri attacchi contro la mancata riconsegna dello stipendio da consiglieri oltre la quota sbandierata in campagna elettorale, 2.500 euro.
Non siamo sorpresi: una volta assicurato lo scranno, i rappresentanti del M5S confermano la natura sociale del loro partito, che non manca di girare le spalle ai lavoratori e alla povera gente che li ha votati illudendosi di aver trovato finalmente l'alternativa ai partiti dominanti, servi di banchieri e industriali e marci fino al midollo. Il populismo reazionario, razzista, legalitario quando conviene di Grillo e dei suoi non è alternativo al populismo di Renzi e alle politiche del PD. Lo conferma, senza ombra di dubbio, l'amministrazione comunale grillina a Parma.
Il nostro partito ha sempre rivendicato, al contrario, uno stipendio per qualsiasi carica politica che non vada oltre il salario di un buon operaio. Sarà questo lo stipendio massimo che tratterranno i nostri compagni se eletti alle comunali di Bologna. Un livello che molti militanti del PCL, al contrario dei consiglieri grillini e del loro capo milionario, faticano a raggiungere pur lavorando tutti i giorni.
Al contrario dei parlamentari grillini, mai verseremo alcun fondo alle imprese, grandi o piccole che siano: come già facciamo oggi coi nostri scarsi mezzi, investiremo ogni fondo possibile per sostenere la lotta e l'autorganizzazione dei lavoratori, in primis nelle casse di resistenza, contro i licenziamenti e per portare avanti gli scioperi.
Come comunisti, rivendichiamo un governo a buon mercato, che non sia una mangiatoria senza fondo per corruzione, arricchimento personale e favori ai capitalisti. Ma l'unico governo a buon mercato potrà essere quello dei lavoratori, il governo della maggioranza della società, e non l'attuale dittatura “democratica” di industriali e banchieri, alla quale i grillini si piegano come tutti gli altri partiti presenti in consiglio regionale e in parlamento.


Partito Comunista dei Lavoratori - Coordinamento regionale Emilia-Romagna

La vergognosa capitolazione del Front de Gauche


Il governo dell'imperialismo francese ha non solo varato un piano di estensione dei bombardamenti in Siria e di rilancio della presenza francese in Africa. Ha anche imposto una pesante restrizione delle libertà democratiche all'interno del paese.

Tra il 19 e il 20 novembre il Parlamento francese è stato chiamato a votare un prolungamento di tre mesi dello stato di emergenza, che recupera misure reazionarie varate durante la guerra coloniale d'Algeria. Vengono proibite le manifestazioni pubbliche. Si ampliano i poteri di polizia in fatto di “domicilio coatto extragiudiziale” per tutti coloro che vengono giudicati “pericolosi” in base a “comportamento, frequentazioni, affermazioni o progetti”. Si sancisce il potere di “proibizione” di “associazioni o gruppi che incitano ad azioni di turbamento dell'ordine pubblico”.
Un piano di misure che fa leva sulla paura provocata dalla strage terrorista di Parigi per colpire le libertà e gli spazi dell'opposizione di classe e di massa, intimidire le avanguardie politiche e sociali, imporre un riflesso d'ordine più generale nella società.
Un piano di misure talmente reazionario da incassare non solo il plauso (significativo) della Confindustria francese (Medef) ma il voto di tutta la destra. Non solamente di Sarkozy e dei gollisti, ma anche di Marine Le Pen e del blocco più forcaiolo di estrazione fascista (Front National). Il quale si è limitato a rimproverare il governo per aver tardato ad attuare misure tanto importanti, rigorose e patriottiche.

Ebbene: il Front de Gauche - espressione francese della Sinistra Europea “di Tsipras” - ha votato all'unanimità il piano reazionario del governo Hollande, al fianco della destre e di Marine Le Pen. Solo tre parlamentari della sinistra interna del Partito Socialista e tre parlamentari dei Verdi hanno votato contro. I parlamentari della sinistra cosiddetta... “radicale” hanno compattamente votato a favore, in tutte le loro articolazioni interne. Così hanno fatto deputati e senatori del PCF. Così hanno fatto deputati e senatori del Parti de Gauche. Il cui segretario Mélenchon ha sentito il bisogno di accompagnare il voto con un pubblico richiamo all'“unità della Francia e dei francesi, al di sopra delle classi e delle parti politiche”.
L'“Union Sacrée” ha dunque fatto il proprio ritorno a Parigi. Gli amici francesi di Tsipras, solidali col governo greco nella sua capitolazione alla troika, hanno capitolato a loro volta al proprio imperialismo e al suo attacco a libertà e diritti. Una vergogna.

È la conferma di una verità elementare: solo una sinistra rivoluzionaria e anticapitalista è capace di tenere la schiena dritta nella difesa di libertà e diritti. Mentre la sinistra “democratica” del capitalismo finisce col capitolare sullo stesso terreno della democrazia, inchinandosi alla bandiera del proprio imperialismo.
Partito Comunista dei Lavoratori


Contro reazionari e terroristi. Contro l'imperialismo e il fascismo islamico. Per un nuovo internazionalismo

La guerra vigliacca di questi giorni e di questi anni ha contagiato l'Europa. IS e fondamentalismo islamico sono il prodotto dei macelli dell'Occidente imperialista in Medioriente e in Africa. Gli interessi dei lavoratori non stanno da nessuna parte che non sia quella della loro unità e della loro organizzazione, oltre ogni frontiera e religione. L'unico argine contro il capitalismo e i mostri che genera.


La guerra è arrivata nelle strade, nelle piazze e nei teatri d’Europa. La guerra vigliacca di questi giorni e di questi anni. La guerra che colpisce civili e innocenti: a caso, senza fronti e senza confini. La guerra che da troppo tempo si combatte in Siria, in Iraq, in Afghanistan, in Libia ed in Egitto, in molti paesi africani ed asiatici. Una guerra che travolge città, famiglie e popolazioni.

Questa guerra l'ha iniziata l'Occidente capitalista e imperialista. IS e fondamentalismo islamico sono stati rilanciati, se non prodotti, dai ripetuti interventi militari in Medioriente: dai bombardamenti e delle missioni “di pace”. Americane. Francesi. E italiane. Interventi che negli anni hanno sostenuto dittatori e repressioni sanguinarie, hanno abbattuto resistenze popolari e forze progressiste, hanno distrutto paesi e tessuti sociali, hanno aperto la strada alla crescita dell’integralismo religioso. La competizione per la conquista dell'egemonia all'interno del campo integralista ha sospinto la corsa al rialzo verso le barbarie. Ha creato un nuovo “fascismo islamico”, un movimento reazionario armato che si è dotato di un suo progetto totalitario fondamentalista (il grande Califfato), con pratiche sanguinarie di terrore che pratica verso ogni opposizione e resistenza, interna ed esterna.

In questa guerra, le linee del fronte si frammentano e si confondono. IS e fondamentalisti sono stati supportati e protetti dalle monarchie del Golfo e servizi occidentali. Probabilmente lo sono ancora. Perché reazionari, fondamentalisti, dittatori e terroristi combattono da entrambe la parti. Al centro di questa guerra non c’è alcun principio, alcuna civiltà, alcuna religione. Ci sono solo interessi economici e politiche di potenza, che polarizzano identità ed appartenenze per utilizzarle come strumenti dei loro giochi d’interesse.

In questa guerra, invece, gli interessi e le identità della classe lavoratrice e di quelle popolari sono travolti. Da tutti. Schiacciati dalla militarizzazione, dall’imbarbarimento crescente, dalle miserie della guerra, dalla distruzione delle strutture economiche e dall’esplosione dei fanatismi identitari. Annullati anche dalla confusione dei fronti: dalla costruzione di larghe alleanze, a base etnica o religiosa o nazionale. Fronti popolari o nazionali nei quali gli interessi e le identità dei lavoratori e delle lavoratrici sono sempre retrocesse, scolorite e poi annullate. In nome di altre priorità, immaginari e progetti politici. Quelli delle proprie borghesie, dei propri apparati militari, o delle potenze imperialiste.

Per questo siamo a fianco dei morti e delle famiglie. A Parigi. Come a Beirut, a Sinjar, ad Aleppo o a Kobane. In Africa ed in Asia. Le centinaia di migliaia di morti di questa lunga guerra.
Per questo NON siamo nelle piazze di queste ore. Quelle piazze unitarie e tricolori, in solidarietà dei “fratelli francesi”. Il silenzio, la commozione e l’unità di queste ore, come quella dopo l’attentato di Charlie Ebdo, permette solo alla canea reazionaria di crescere ed imporsi anche nei nostri territori. Proponendo ancora identità e polarizzazioni, cristiane ed europee, umane o civili. Appartenenze utili solo a continuare questa guerra, a rilanciare gli interessi imperialisti di questa o quella potenza.

Per fermare la guerra, invece, dobbiamo colpirne gli interessi che la muovono. Dobbiamo opporci agli interventi imperialisti. Di pace e di guerra. Anche quelli italiani. Dobbiamo denunciare gli interessi particolari, come quello della nostra ENI che non casualmente è presente in tutti questi fronti di guerra. Dobbiamo combattere le politiche di grande e di piccola potenza, sorrette dalla competizione capitalista e dalla necessità di rafforzare i propri apparati produttivi capitalisti.

La sola risposta alle guerre e al terrorismo è l’unità dei lavoratori e dei popoli. Al di là delle rispettive origini, del colore della pelle, della religione, delle frontiere. Ritrovare i propri interessi e le proprie identità di classe, per battersi insieme contro chi li sfrutta e li sottomette. Per farla finita con questo sistema capitalista, che crea la barbarie. Per una rivoluzione socialista, che superi confini e conflitti nazionali.

Partito Comunista dei Lavoratori

Contro Buonascuola e governo Renzi: il 13 novembre in sciopero per riprendere la lotta!

A MAGGIO ABBIAMO COSTRUITO UN MOVIMENTO, spinto dal protagonismo di lavoratori e lavoratrici: volantini fai-da-te, flash-mob, grande adesione agli scioperi ed ai boicottaggi Invalsi. Un grande movimento, su obbiettivi chiari: stabilizzazione dei precari; no alla chiamata diretta; contro la valutazione. Una critica di massa all'autonomia scolastica.

MA IL DDL È STATO APPROVATO. Renzi ha vacillato, ma poi ha forzato e vinto. Anche per due nostri limiti. Siamo partiti tardi. Si è così impedito il coinvolgimento degli studenti e si è imposto una scadenza ravvicinata alla lotta (il governo ha imposto il suo testo a scuole chiuse). Ci siamo trovati isolati. Pur in presenza di tanti conflitti, è stato l'unico movimento di massa contro il governo. Renzi ha quindi potuto tenere e imporsi.

ORA BISOGNA RIPRENDERE LA LOTTA. Possiamo boicottare la legge, nelle scuole e nelle piazze. Anche il concorsone, la Moratti o il portfolio furono approvati, ma non fecero strada. Non limitiamoci a risparmiare alla scuola gli effetti più deleteri della legge 107 (come dicono CGIL CISL UIL). Non limitiamoci ad una resistenza scuola per scuola che, da sola, inevitabilmente produrrà differenze (tra istituti e tra docenti). La CGIL però non si muove! Aspetta CISL e UIL e illusori spazi di ricomposizione con il PD. Ha lasciato le scuole nella confusione e nell’ambiguità: senza indicazioni di lotta, senza prospettiva, senza proporre né un ora di sciopero, né un corteo nazionale che dia un segnale di ripresa.

13 NOVEMBRE: SCIOPERO!! Diversi sindacati di base (Cobas, Unicobas, Cub, Usi,..) hanno trovato una convergenza, anche se non tutti (USB ha mantenuto la sua iniziativa di organizzazione). È un segnale importante per riprendere la lotta, sostenuto e appoggiato da tanti soggetti del movimento della scuola (dalla LIP all’OpposizioneCGIL, passando per autoconvocati e autorganizzati). Il PCL sostiene con determinazione questa iniziativa e questa lotta, contro il governo, contro la legge 107 e contro il vergognoso immobilismo della CGIL!!!

RENZI NON COLPISCE SOLO LA SCUOLA: impone il Job Act (licenziamenti, demansionamenti e controllo); limita il diritto di sciopero; vuole disfare i contratti nazionali; taglia la sanità a tutti e le tasse ad i ricchi (TASI e IRPEG); riforma la Costituzione in senso autoritario, con una risicata maggioranza parlamentare. Come abbiamo visto nella primavera, per vincere bisogna allargare la lotta, riunire i diversi fronti di resistenza.
QUESTO GOVERNO PUÒ ESSER SCONFITTO SOLO DA UN MOVIMENTO GENERALE!!

SOSTENIAMO LO SCIOPERO DEL 13 NOVEMBRE
PER UN GRANDE MOVIMENTO GENERALE,
PER MANDARE A CASA RENZI e QUESTO GOVERNO AUTORITARIO E PADRONALE

Partito Comunista dei Lavoratori

DOMENICA 8 NOVEMBRE CONTESTIAMO SALVINI, LA LEGA E I NEOFASCISTI

PER L’UNITA’ DEI LAVORATORI, DELLE CLASSI POPOLARI, DEI MOVIMENTI CONTRO TUTTE LE DESTRE: DA RENZI A SALVINI PASSANDO PER GRILLO

Ci troviamo doverosamente nelle strade della nostra città per contestare il comizio di Salvini e la sua variegata corte razzista e neofascista.

Il successo elettorale di Salvini e della Lega è in parte dovuto al declino di Berlusconi e del PDL/Forza italia, e in parte ad un enorme investimento mediatico da parte di un sistema politico che ha assoluta necessità di un polo che rappresenti il popolo di destra e i suoi umori reazionari ai fini dell’alternanza di governo così eternamente confinata entro le compatibilità borghesi (che per inciso fa comodo anche a Renzi); in parte, ancora, alla crisi e al tradimento delle ragioni dei lavoratori e delle classi popolari da parte della sinistra politica e sindacale che lascia campo libero alle truffe comiziesche populiste dello stesso Salvini o di Grillo.

Intuendo questo spazio di consenso Salvini ha completamente convertito la Lega dal federalismo al nazionalismo (non più “Roma ladrona” ma “prima gli italiani”) ha imbarcato i neofascisti di Casa Pound che all’occasione vengono bene per sortite squadristiche contro i militanti di sinistra, e ha sviluppato la più becera retorica xenofoba e razzista contro i migranti, costruendo su questo un momento importante del suo messaggio politico costellato di continue provocazioni (ad es. esempio le ruspe contro i campi rom).

Tutte le ragioni di ordine democratico, sociale, e soprattutto di classe sostengono la necessità che al leghismo/neofascismo venga sbarrata la strada. Per fare questo è assolutamente necessario coinvolgere la classe lavoratrice, gli strati popolari della cittadinanza, dagli indigeni ai migranti, i movimenti di rivendicazione di diritti civili e sociali e gli attori delle mille vertenze sparsi sul territorio.
Ossia, è necessario proporre una risposta determinata e unitaria all’avanzare del leghismo e del neofascismo, a partire dall’organizzazione di momenti unitari di lotta e contestazione, senza che ciò sia ostacolato dalle pur legittime differenze tra ideologie, progetti politici e sindacali.
Solo una risposta di questo tipo può porsi l’obbiettivo di coinvolgere larghe masse e di non rimanere confinato ai cosiddetti “addetti ai lavori”.
Purtroppo dobbiamo constatare che le cose oggi vanno diversamente.
Non condividiamo infatti l’indizione di due appuntamenti diversi, di due piazze, per contestare il comizio di Salvini.
Il rischio reale è non solo quello della divisione, ma anche quello di cadere ineluttabilmente in una logica minoritaria che non solo non danneggia Salvini e il suo progetto politico, ma addirittura gli offre un proscenio mediatico più favorevole e gli consente di presentarsi come un campione di democrazia.

Ovviamente, i compagni del PCL sono in piazza oggi per fare il loro dovere rivoluzionario contro la destra leghista e fascista, ma questo non ci esime dal criticare severamente le modalità che hanno caratterizzato l’organizzazione della giornata odierna e auspichiamo per il futuro di un necessario confronto unitario sul terreno del contrasto alla destra cosi come nel sostegno alle mille vertenze che insistono sul nostro territorio (dalla rivendicazione del diritto alla casa, alle lotte contro i licenziamenti e per un contratto migliore, alla lotta contro la ”buona scuola” e i provvedimenti governativi dai stampo apertamente reazionario e antisociale).

Vaticano S.p.A.: populismo papalino e capitalismo ecclesiastico

L'arresto dell'”economo del Papa” Vallejo Balda da parte della Gendarmeria vaticana con l'accusa di “divulgazione di notizie riservate” rivela la lotta interna ai sacri palazzi di Oltretevere. L'intero commentario della stampa borghese parla dell'eroica lotta di “Santo Padre Francesco” per “ripulire il Vaticano” e della sorda resistenza degli ambienti vaticani a questa operazione di pulizia. Ma i conti non tornano, e anche la logica ha i suoi diritti.

Balda viene arrestato, su diretto mandato del Papa, per aver reso pubbliche informazioni riservate sulle sterminate proprietà vaticane, sulla continuità dei traffici IOR, sulla amministrazione truffaldina dei fondi pubblici e degli oboli privati da parte della macchina statale pontificia. L'arresto è scattato solo dopo la notizia della uscita imminente di due libri dedicati alle rivelazioni. Domanda: perché il Vaticano pretende che le informazioni sul suo stato patrimoniale e sulla sua gestione debbano restare “riservate”? Non era stata annunciata l'operazione trasparenza? Perché si ricorre addirittura all'arresto (con la minaccia di 8 anni di carcere) del responsabile, reale o presunto, delle rivelazioni? Perché si minaccia, come già in passato, di chiedere il blocco delle pubblicazioni editoriali annunciate?

La stampa borghese tace su questi interrogativi elementari. Ha paura anche solo a formularli. Si diffonde in pagine e pagine di retroscena, più o meno scandalistici, sulla figura di Balda e della sua collaboratrice, e sulle motivazioni interessate delle rivelazioni fatte (vendetta per una nomina mancata). Ma sul contenuto delle rivelazioni, e soprattutto sulla ragione delle pretese censorie del Vaticano, nessun commento. Anzi, là dove si balbetta qualcosa, si ripete a pappagallo, per paura di sbagliare, la velina ufficiale vaticana: «Un tentativo di infangare l'azione di rinnovamento condotta da Papa», ecc ecc. Amen. Ma come? Un'azione di “pulizia” e “rinnovamento morale” non dovrebbe denunciare i mercimoni affaristici della macchina vaticana anziché arrestare chi li rivela?


UN PAPA PERONISTA A CACCIA DI CONSENSO. IL POPULISMO ECCLESIASTICO COME LEVA DI POTERE 

La verità è più semplice, in una cornice più complicata e generale.

Papa Francesco, come ogni Papa, è il monarca assoluto di uno Stato teocratico che in tutto il mondo è parte organica del capitalismo, con possedimenti finanziari e immobiliari giganteschi. Come ogni stato capitalista, ma con una presenza mondiale ineguagliabile, lo Stato Vaticano è attraversato da guerre per bande e cordate in lotta per il potere. La novità dell'attuale Papa Bergoglio - non a caso di estrazione peronista - è che egli tenta di coprire la realtà dello Stato Vaticano con la promozione di un'immagine pubblica misericordiosa, attenta alla condizione dei poveri, meno dottrinaria, più comunicativa nei confronti del senso comune popolare. Siamo in presenza di un Papa “populista”, mirato alla conquista del consenso pubblico, che fa leva sul consenso pubblico per accrescere il proprio potere assoluto nella Chiesa: modificando a proprio vantaggio i rapporti di forza con la Curia romana, con la Conferenza Episcopale, con la Segreteria di Stato vaticana, e più in generale con l'insieme delle strutture tradizionali dirette e indirette dell'istituzione ecclesiastica. Il braccio di ferro sotterraneo nel recente Sinodo è la cartina di tornasole della lotta in corso.

Un Papa dunque più “democratico”, più rispettoso della laicità dello Stato? Al contrario. Il Papa populista usa la propria ritrovata credibilità pubblica per allargare oltre misura il raggio d'intervento della propria Chiesa.
Ricerca e ottiene pubblica udienza presso le camere congiunte del Parlamento italiano, presso il Parlamento europeo, presso lo stesso Congresso americano, per avere su di sé i riflettori del mondo, carpire nuovi consensi e dunque maggiore forza politica.
Si fa diretto protagonista sulla scena internazionale intervenendo come intermediario del negoziato tra USA e Cuba per la restaurazione del capitalismo a Cuba; e persino del negoziato tra Stato colombiano e FARC per la loro integrazione nel capitalismo colombiano.
Promuove una politica di “pacificazione” ecumenica con le altre chiese e autorità religiose (ebraiche, greche ortodosse, islamiche...) per allargare la propria influenza presso le basi di massa delle altre fedi, e dunque estendere il proprio peso politico internazionale.
Infine invade Roma con un Giubileo di venti milioni annunciati di fedeli, pretendendo dallo Stato e dal Comune di Roma una rapida funzione di servizio, pagata con risorse pubbliche: anche per questo scarica il sindaco delle nozze gay, a favore di un commissario prefettizio in grado di amministrare la grande torta del nuovo business capitolino e di lustrare a dovere l'immagine pubblica del Papa nell'anno della Misericordia. Nel frattempo attiva tutti i canali di interlocuzione possibili col mondo laico, dalle telefonate con Scalfari sino all'incredibile lettera di riconoscimento... al consigliere romano Alzetta (detto Tarzan): cercando dal primo lo sdoganamento della cultura laica, e dal secondo forse un'attenzione di riguardo alle proprietà vaticane nella gestione dell'occupazione delle case a Roma.
Un Papa, dunque, “totale”, pervasivo di ogni campo a 360 gradi, proiettato quotidianamente nella sfera temporale come mai in precedenza, determinato a risollevare la forza della Chiesa ad ogni latitudine istituzionale, dopo anni di crisi e decadenza della sua pubblica credibilità (corruzione, pedofilia, crimini dello IOR...).


LA REALTÀ DEL CAPITALISMO ECCLESIASTICO CHE BERGOGLIO VORREBBE COPRIRE 

Ecco allora il perché della reazione poliziesca del Pontefice “misericordioso” alle rivelazioni di un prelato infedele. Perché proprio quelle rivelazioni mostrano lo scarto abnorme tra l'immagine pauperistica della Chiesa che il Papa populista vuole accreditare, e la intatta miseria morale della Chiesa reale, quale parte inseparabile del capitalismo italiano e mondiale. La Chiesa che detiene quasi 5 miliardi in sole proprietà immobiliari, spesso facendosele valutare “un euro” per evadere il fisco. Che fa 60 milioni ogni anno vendendo benzina, sigarette, vestiti pregiati a basso costo, attraverso 41.000 tessere a raccomandati vip e amici degli amici nella sola città di Roma. Che imbosca i 380 milioni annui dell'Obolo di San Pietro, destinandoli a ben altri usi dalla “carità evangelica”. Che truffa sull'8 per mille con la complicità dello Stato italiano, come confessa la stessa Corte dei Conti. Che, contro la sbandierata moralizzazione, continua a proteggere attraverso lo IOR i conti bancari di grandi costruttori coinvolti nella ristrutturazione a prezzi stracciati di proprietà vaticane. Per citare solamente alcune anticipazioni pubbliche delle rivelazioni annunciate.
Qualcuno si può stupire, se il populista Papa Francesco si sente minacciato dalla verità e preferisce arrestarla? Il solo aspetto comico è che gli autori dei libri incriminati invece di rivendicare le proprie rivelazioni come demistificazione del nuovo corso papalino e denunciare le minacce ricevute, si affrettano a presentare il proprio lavoro “come un aiuto fornito al Santo Padre” (Nuzzi). La potenza del nuovo Pontefice strappa reverenze insospettabili.

La sinistra riformista italiana, anch'essa succube del nuovo Pontificato (perché succube dell'ordine capitalista) si chiude non a caso in un ermetico silenzio di fronte alle nuove rivelazioni. Vendola e Ferrero non si sono forse sperticati per due anni nel lodare Papa Francesco come campione della lotta al “liberismo” e nuova autorità morale di riferimento, coprendo su tutta la linea il nuovo corso populista del papato? La “nuova cosa rossa” in gestazione cerca la benedizione del Papa. Avallando le sue mistificazioni tra i lavoratori.

Il PCL, in quanto partito di classe e anticapitalista, rilancerà una forte campagna pubblica anticlericale ed antipapalina, in occasione del Giubileo e delle elezioni comunali a Roma. E chiama tutte le organizzazioni del movimento operaio e tutte le associazioni coerentemente laiche ad una azione comune di controinformazione e denuncia su questo terreno elementare.
Partito Comunista dei Lavoratori

I comunisti rivoluzionari e la Siria


La Siria è oggi più che mai un crocevia di fronti di guerra intrecciati e sovrapposti tra loro.
Sul versante propriamente siriano:
_La guerra di Assad e del suo regime militare e poliziesco
_La guerra barbarica del fascismo islamico dell'ISIS - inizialmente favorita da Assad in funzione controrivoluzionaria - mirata alla costruzione di un regime totalitario integralista anti sciita, e pertanto diretta, coi metodi del terrore, contro ogni forma di resistenza alla propria avanzata.
_La guerra delle altre forze fondamentaliste reazionarie ( la sezione siriana di Al Qaeda Al Nusra, e la coalizione dell'”Esercito della Sunnah””), contrapposte sia ad Assad che all'ISIS.
_La guerra delle forze popolari kurde a difesa del Rojava, contro ISIS.
_La guerra di ciò che resta dell'Esercito Libero Siriano, nato da rotture e diserzioni dall'esercito di Assad nel momento della sollevazione popolare, e poi pesantemente colpito e smembrato dalla tenaglia militare del regime e delle forze reazionarie fondamentaliste complessivamente intese.
_La guerra di resistenza di alcune strutture popolari nelle realtà urbane e di villaggio, sopravvissute ai colpi del regime e dei tagliagola reazionari, e di fatto contrapposte a entrambi.

Su questo inestricabile ginepraio si innesta a sua volta il ruolo determinante delle potenze esterne mediorientali:
L'asse sciita a sostegno militare di Assad, composto dall'Iran, dagli Hezbollah, dall'Irak, col regime iraniano che cerca di capitalizzare lo sdoganamento ottenuto dagli USA per puntare ad una propria egemonia regionale.
L'asse sunnita delle potenze del Golfo a partire dall'Arabia Saudita, strategicamente contrapposta all'Iran e dunque ad Assad: la monarchia Saud, “tradita” dagli USA per via della pacificazione con Iran, sostiene ogni possibile via e strumento per contrastare il campo sciita, incluso il sostegno determinante al fondamentalismo reazionario e un gioco di sponda col sionismo.

La Turchia di Erdogan, apertamente contrapposta all'Iran perchè interessata a promuovere un proprio disegno di potenza neo ottomano nella regione attraverso l' espansione in Siria e la guerra ai kurdi.

Infine all'intero panorama delle forze regionali si sovrappone il gioco interessato delle potenze mondiali:
La vasta coalizione imperialista a guida USA, fondata sulla Nato, ancora impossibilitata per ragioni politiche a mandare significative truppe di terra ma impegnata nella guerra dei cieli, principalmente contro ISIS.
La Russia di Putin, che entra nella impasse della politica USA con proprie forze militari per salvaguardare le proprie basi sul Mediterraneo, e dunque a sostegno di Assad e del blocco sciita. Lo Stato sionista, spiazzato dalla legittimazione dell'Iran da parte degli Usa, che cerca dietro le quinte nuove sponde internazionali in tutte le direzioni, inclusa la Russia di Putin: uno Stato sionista che aveva da tempo normalizzato le relazioni di buon vicinato col regime di Assad e che vede nel rafforzamento dell'asse sciita ( Iran ed Hezbollah) la minaccia principale ai propri interessi.

Ognuno di questi attori si muove con duttilità e spregiudicatezza al solo fine di difendere e rafforzare il proprio peso politico in funzione dei futuri nuovi equilibri del Medio Oriente. Senza che nessuno di essi disponga oggi di una forza sufficientemente egemone per imporsi sulle forze avversarie o concorrenti.


PARTIRE DAI PRINCIPI. PER UNA SOLUZIONE SOCIALISTA IN MEDIO ORIENTE.

Quale posizione assumono i comunisti rivoluzionari in una situazione così complessa e intricata?

Da comunisti partiamo, come sempre, dai principi e dal programma generale di rivoluzione, al fianco della classe lavoratrice del medio oriente e delle ragioni storiche dei popoli oppressi. Non v'è soluzione storicamente progressiva della questione palestinese fuori dalla dissoluzione rivoluzionaria dello Stato sionista, nei suoi fondamenti giuridici, confessionali, militari: condizione decisiva per l'autodeterminazione del popolo palestinese, a partire dal diritto al ritorno.

Non vi è soluzione storicamente progressiva della questione kurda fuori dalla messa in discussione degli equilibri politici e confini statali disegnati un secolo fa dalle potenze coloniali: condizione decisiva dell'unificazione kurda attorno ad un Kurdistan indipendente. Solo una soluzione socialista, capace di realizzare una federazione socialista araba e medio orientale, può consentire il compimento di questi obiettivi storici democratici. Solo la classe lavoratrice del Medio Oriente, ponendosi alla testa delle ragioni dei popoli oppressi della regione, può realizzare questa prospettiva socialista. Certo questa prospettiva è difficile e apparentemente lontana, ma è l'unica possibile su un terreno storico progressivo. In alternativa, come i fatti dimostrano, non c'è la “salvaguardia” dell'attuale medio oriente. C'è la ridefinizione della sua carta geografica per mano dell'imperialismo, dell'Isis, del sionismo, del progetto neo ottomano turco.

NESSUN ALLEATO TRA LE POTENZE IN CONFLITTO

A partire da questo programma di rivoluzione e liberazione, antimperialista e socialista, abbiamo definito la nostra posizione rispetto agli accadimenti medio orientali.

Abbiamo sostenuto le sollevazioni popolari arabe nel 2010/2011 contro regimi dispotici, controllati dall'imperialismo (Ben Alì e Mubarak), o già da tempo riallineati all'imperialismo ( Gheddafi ed Assad): a differenza delle correnti staliniste schieratesi al fianco di quei regimi nel nome di un loro inesistente “progressismo”. Al tempo stesso, abbiamo da subito contrastato e denunciato il ruolo filo imperialista delle direzioni borghesi di quelle rivoluzioni popolari, e il tragico esito controrivoluzionario inscritto nella loro parabola: a differenza di quelle correnti politiche della sinistra che, infatuate dalla suggestione rivoluzionaria, hanno finito col sottovalutare il ruolo controrivoluzionario dell'imperialismo nel segnare l'esito degli avvenimenti ( la Lit in Libia). In ogni caso, proprio per questo, ci siamo sempre opposti ad ogni intervento militare o ingerenza politica dell'imperialismo sul corso delle rivoluzioni arabe. A partire da un programma di rivoluzione permanente che proprio l'esperienza di quelle rivoluzioni conferma una volta di più nel modo più clamoroso: solo una rivoluzione socialista guidata dalla classe lavoratrice può realizzare nei paesi arretrati i compiti democratici della rivoluzione (autonomia dall'imperialismo, autodeterminazione nazionale, riforma agraria radicale..). E viceversa: ogni direzione borghese dei processi rivoluzionari finisce col tradire le stesse aspirazioni democratiche delle rivoluzioni popolari spianando la strada alla peggiore controrivoluzione. La dittatura di Al Sisi in Egitto, lo straripamento dell'Isis in Siria ed Irak, ne sono la riprova.

Con questa stessa impostazione di metodo, ci posizioniamo oggi nella intricata crisi siriana.

A differenza delle impostazioni “campiste”, non abbiamo amici e alleati in nessun blocco di potenze in conflitto, a nessun livello. Ci opponiamo all'imperialismo e al suo intervento militare, denunciando l'ipocrisia dei suoi argomenti “democratici”. L'imperialismo e le sue guerre in Medio Oriente negli ultimi 20 anni sono i principali responsabili delle indicibili sofferenze imposte ai popoli della regione, e di fatto dello stesso sviluppo dell'Isis. Oltretutto l'obiettivo dell'intervento militare a guida Usa è riconquistare un proprio controllo politico sulla regione dopo la destabilizzazione seguita alla rivoluzioni del 2010 e al loro esito, a vantaggio dei propri clienti regionali. Per questo siamo contro l'intervento imperialista e a maggior ragione contro una sua possibile escalation, perfino nel caso affrettasse la sconfitta dell'Isis: perchè ogni vittoria dell'imperialismo, in qualunque forma, preparerebbe altre mostruosità reazionarie. Da questo punto di vista denunciamo l'ennesima capitolazione all'imperialismo “democratico” da parte di correnti pacifiste della sinistra riformista, in Italia e in Europa.

Al tempo stesso non parteggiamo per Assad, la Russia di Putin, il regime iraniano. Sono forze oppressive della classe operaia, della popolazione povera, e dei loro diritti democratici e sindacali più elementari entro i propri confini. E sono interessate unicamente a negoziare con gli imperialismi occidentali e con la Turchia la nuova spartizione del Medio Oriente. I mercanteggiamenti del regime di Putin col sionismo (interessato a sostenere Assad contro Iran ed Hezbollah) sono un pessimo avviso per il popolo palestinese. Così come, parallelamente, i mercanteggiamenti dell'imperialismo Usa col regime di Erdogan, in funzione di bilanciamento dell'intervento russo, sono un attacco al popolo kurdo e alla sua lotta. Putin vuole negoziare con Obama una soluzione politica in Siria che preservi i propri interessi geostrategici. Gli Usa sono oggi costretti dalle proprie difficoltà a negoziare con Putin: con l'obiettivo se possibile di spodestare Assad, ma anche di conservare la continuità di potere della sua struttura militare( per non ripetere l'errore fatale commesso in Irak con lo scioglimento dell 'esercito di Saddam). Assad e il suo bunker militar poliziesco sperano di ricavare dal possibile negoziato o il proprio salvataggio diretto o una “transizione” che garantisca in ogni caso immunità personali e leve di potere. I popoli oppressi della nazione araba e del Medio Oriente non hanno nulla da guadagnare da questo negoziato condotto sulla loro pelle. Non hanno amici tra i regimi attuali e le potenze esterne che li sostengono o li contrastano. Per questo denunciamo il ruolo subalterno del campismo, in ogni sua forma e variante.

Contrastiamo l'Isis, il suo progetto totalitario fondamentalista di grande Califfato, le pratiche sanguinarie di terrore che esso pratica verso ogni opposizione e resistenza. La sconfitta dell'Isis, e di tutte le forze fondamentaliste e reazionarie, è oggi un obiettivo centrale dei popoli oppressi della regione e del movimento operaio internazionale. Per questo denunciamo ogni posizione, oggi fortunatamente marginale, di abbellimento o sottovalutazione del fenomeno Isis nel nome della contrapposizione all'imperialismo. Al tempo stesso la sconfitta dell'Isis va perseguita dal versante dei popoli oppressi e non dal versante dell'imperialismo. Tanto più in un contesto in cui i fatti dimostrano il fallimento dell'imperialismo nel contrasto dell'Isis, sia in Irak che in Siria.


DALLA PARTE DEI POPOLI OPPRESSI, PER UN'ALTERNATIVA DI DIREZIONE.

Stiamo dalla parte di tutte le forze e i soggetti che nella regione e in Siria, sui più diversi fronti, esprimono ragioni storiche progressive.
Stiamo dalla parte del popolo palestinese, a partire dai palestinesi di Yarmuk, che resistono alla tenaglia terribile tra regime, Al Qaeda ed Isis, a difesa innanzitutto della propria vita.

Stiamo dalla parte dei kurdi e della loro lotta eroica, armi alla mano, contro le forze dell'Isis e le aggressioni di Erdogan: l'unica forza che non a caso ha saputo sconfiggere i taglia gola in campo aperto sul fronte militare (Kobane).
Siamo dalla parte di quelle forze della resistenza siriana (comitati popolari, brigate locali..), oggi molto limitate ma reali, che ancora si battono in diverse città e villaggi per gli obiettivi democratici originari della rivoluzione popolare.
Al tempo stesso siamo su questi fronti con un programma marxista di rivoluzione, senza nessun adattamento alle loro leadership attuali .
Stiamo dalla parte dei palestinesi per una loro Terza Intifada: contro le leadership di Abu Mazen, asservita al sionismo, e contro Hamas e il suo regime oppressivo a Gaza, per una direzione alternativa del movimento di liberazione della Palestina.
Siamo incondizionatamente dalla parte dei kurdi e della loro lotta: ma contro i progetti di pacificazione con Erdogan ancora coltivati da una parte del PKK (Ocalan) e significativamente contrastati dall'ala giovanile di quel partito. Per una direzione alternativa del movimento di liberazione kurdo attorno ad un progetto di Kurdistan unito e indipendente.
Siamo dalla parte delle forze residue della rivoluzione siriana, ma contro le aperture all'imperialismo e la politica di collaborazione con l'imperialismo della cosiddetta “Coalizione nazionale siriana”.
Siamo su ogni versante per lo sviluppo di un punto di vista classista indipendente in Medio Oriente, in funzione della prospettiva socialista. E dunque per la costruzione di partiti marxisti rivoluzionari basati su questo programma. È la lotta che il Partito Operaio rivoluzionario di Turchia ( Dip) oggi conduce nel proprio paese, e che ha tutto il nostro sostegno.
Partito Comunista dei Lavoratori

IL PCL ADERISCE ALLA MANIFESTAZIONE PER IL DIRITTO ALLA CASA E CONTRO LO SGOMBERO EX TELECOM

I militanti del Partito Comunista dei Lavoratori parteciperanno alla manifestazione indetta per protestare contro lo sgombero violento dello stabile Ex-Telecom di via Fioravanti e per il diritto alla casa.
Di seguito il testo del volantino che verrà distribuito:

DIRITTO ALLA CASA:
VINCERE CON LA LOTTA!
La barbarie dello sgombero di via Fioravanti parla da sé: comune di Bologna, questura e governo nazionale sono di fatto uniti contro chi lotta per avere un tetto sopra la testa. Una questione che le classi dominanti non hanno interesse a risolvere. Moltissimi lavoratori, italiani e immigrati, non hanno un tetto sicuro sotto la testa e sono costretti a pagare affitti e bollette che non si possono permettere, mentre pochi gruppi immobiliari (per prima la chiesa cattolica, che possiede gran parte degli immobili in Italia e non paga l’IMU come tutti gli altri) possiedono gran parte degli edifici di Bologna e ne tengono molti vuoti per non far abbassare i loro prezzi. Anche l'ACER, l'azienda statale per la casa, non agisce a favore, ma contro chi perde il lavoro o non ha un reddito sufficiente per pagare gli aumenti delle bollette,
I grandi proprietari di case, privati o statali, non vogliono offrire soluzioni reali per i lavoratori e le loro famiglie, ma al contrario vogliono continuare a sfruttarli selvaggiamente.
Solo la lotta ai padroni e ai loro servi al governo paga!
Nessuna illusione di riforme di uno Stato che è capace solo di tagli per la “austerità” e di precarizzare sempre di più le condizioni dei lavoratori attraverso sfratti e licenziamenti!
Ai lavoratori servono misure che lo Stato degli industriali e dei banchieri non può adottare!
 ESPROPRIARE GLI APPARTAMENTI SFITTI di proprietà dei gruppi immobiliari, banche, assicurazione e chiesa, sotto il controllo dei lavoratori e dei comitati degli inquilini!
STOP AGLI SFRATTI E A NUOVE COSTRUZIONI E SPECULAZIONI, BASTA CASE VUOTE!
BASTA CONTRATTI PROVVISORI! AFFITTO E BOLLETTE A PREZZI PROLETARI!
 I nostri bisogni, la lotta contro un’esistenza precaria, non possono essere soddisfatti da questo sistema capitalista! L’unica soluzione può arrivare solo da una ROTTURA RIVOLUZIONARIA, solo dall’organizzazione politica degli sfruttati contro i padroni e contro il loro governo Renzi.

ORGANIZZARE E COORDINARE COMITATI DI LOTTA DEGLI INQUILINI!
LOTTARE INSIEME: STUDENTI, OPERAI, DISOCCUPATI!
PER UN UNICO MOVIMENTO DI LOTTA CONTRO I PADRONI E CONTRO IL GOVERNO!
PER UN GOVERNO DEI LAVORATORI! 

Il Partito Comunista dei Lavoratori (PCL) continuerà a stare al fianco dei lavoratori e degli oppressi per la costruzione di un movimento di massa della lotta di classe e per un partito rivoluzionario dei lavoratori!

SGOMBERO EX TELECOM: IL PCL ESPRIME PIENA SOLIDARIETA’ AGLI OCCUPANTI CHE RESISTONO

I compagni del PCL, attivi da mesi nella partecipazione a picchetti antisfratto in vari punti della città esprimono tutta la propria solidarietà agli occupanti dello stabile ex Telecom che stanno resistendo allo sgombero.
Capita di vedere nell'anno 2° del regime renziano che da una parte si detassino le abitazioni di lusso possedute a migliaia da speculatori immobiliari dall’altra si sfrattino le famiglie proletarie e si caccino per la strada chi con un occupazione, abusiva solo per le leggi borghesi dello Stato, cerca di riaffermare il diritto umano alla casa.
È quello a cui stiamo assistendo in queste ore in via Fioravanti presso lo stabile ex Telecom occupato da mesi da centinaia di famiglie indigenti con i loro bambini.
La giunta bolognese non rappresenta altro che l’articolazione locale del forsennato attacco ai diritti della classe lavoratrice e alle condizioni di vita della masse popolari portato avanti dal governo Renzi che come un novello bonaparte cerca di restringere gli spazi di democrazia a tutto vantaggio della dittatura di imprese, padronato, banchieri, proprietari immobiliari, evasori fiscali, insomma della classe dominante.
Si dimostra ancora una volta che chi si allea al PD renziano, come SEL, è destinato ad essere subalterno alle sue politiche di attacco sociale e a subire una emorragia di amministratori, eletti nelle proprie file, attirati dalle generose sponde del partito di governo.
Torna in mente un vecchio slogan sempre attuale: a chi chiede diritti si risponde con decine di camionette della polizia.
È necessario reagire e dire basta!
È necessario e urgente il più vasto fronte di classe e di massa, contrapposto al fronte comune tra padroni e governo. È necessario e urgente opporre alla radicalità straordinaria di padroni e governo una radicalità straordinaria, uguale e contraria, dei lavoratori e delle lavoratrici e delle classi popolari loro naturali alleate.