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CISA: come te nessuno mai

 Proponiamo questo contributo del compagno Evangelista (PCL sezione Romagna) sulla conclusa vertenza della CISA, riguardante sostanzialmente il grande stabilimento di Faenza. L'attualità di una riflessione sulle (mancate) lotte operaie è ancora più grande oggi, a fronte della vertenza Saeco (243 licenziamenti annunciati), per evitare i vecchi errori e fermare la sconfitta e l'arretramento del movimento operaio.


Un altro duro colpo è stato assestato al mondo del lavoro produttivo romagnolo. Dal 2008 ad oggi sono stati persi 1700 posti di lavoro ed a Faenza pare oramai dimenticata l’esperienza della Omsa.
I dirigenti Cisa, azienda produttrice di serrature facente parte della multinazionale Allegion, nonostante gli utili ha deciso di continuare il profitto altrove: e’ arrivato il momento di delocalizzare.  Tale minaccia è datata Giugno 2015 e si accompagna a 238 licenziamenti a fronte degli oltre 500 lavoratori impiegati negli stabilimenti di Faenza e Monsanpolo (AP). Ma non è tutto qui: nello stesso periodo l’Allegion acquisisce per 210 milioni di euro l’azienda Simons Voss in Germania, che occupa lo stesso numero di lavoratori a rischio licenziamento nello stabilimento faentino della CISA. Tutto logico per il padrone, ma a quanto pare non è il solo ad avere le idee chiare…
La “levata di scudi” dei sindacati gialli confederali si sintetizza in una sola parola : “inaccettabile”. Tanto inaccettabile quanto la maschera indossata dai burocrati, protagonisti del medesimo spettacolo teatrale che ha del comico, per la mediocrità della pianificazione della “non lotta”, se non fosse per l’amara e scontata conclusione della vertenza. Le premesse erano tali affinchè si sospettasse la tragica fine e la svendita totale dei lavoratori.
Ma non solo : la vertenza CISA sembra essere il caso emblematico, esempio pilota di come la burocrazia sindacale CGIL (e non solo) voglia applicare i dettami della segretaria generale Camusso firmataria del testo unico della rappresentanza sindacale. Accettarlo significa non protestare, non scioperare o come recita il testo unico si impegnano a non mettere in atto “azioni a contrasto”, pena una sanzione.
Tolte anche queste elementari regole democratiche, martellati dall’azione sfiancante delle burocrazie, i lavoratori sono stati abbandonati ed hanno deciso di affidarsi completamente ai burocrati. Il sindacato non fa più sindacato ma il “centro servizi”: calcolo delle tasse ed altre prestazioni a “basso costo” , tali da giustificare il fatto che solo la CGIL conta oltre il 50% degli iscritti tra i pensionati, cioè chi le lotte non le fa più e che non ha avuto nulla da dire e fare contro la Legge Fornero.
Arriva l’accordo votato da oltre l’ 80% dei lavoratori (439 votanti- 369 sì – 51 no) : 130 dimissioni volontarie che saranno ratificate dai dirigenti aziendali, oltre ad incentivi di vario genere. Bravi ! Bene! Bis! Non sono licenziamenti! I burocrati sindacali brindano e con loro anche i padroni che plaudono all’accordo: la presidente di Allegion Moretti afferma “Considerando i tanti aspetti in gioco, il fatto di aver un accordo è molto positivo”.
In questo quadretto il non lavoro dei burocrati sindacali gialli, firmatari dell’accordo sulla vertenza CISA, ha trovato campo aperto: una manifestazione partecipata decorata dai guaiti di Landini, uno sciopericchio (chiaramente che rimanga all’interno del monte ore) ed una scampagnata al MISE di Roma. La buona volontà degli operai e delle operaie è stata completamente tradita: si aspettavano di salvare il posto di lavoro, invece 130 dovranno abbandonare l’azienda. Ma l’azienda per ora non delocalizza…
E se invece si fosse lottato? Se invece ringraziare, per le preghiere, il Vescovo di Faenza, si fosse proceduto al blocco merci di tutti gli stabilimenti? Quanti posti in più si sarebbero salvati? Se i burocrati con le braghe calate hanno accettato 130 licenziamenti (definite dal “Papi-Papignani” – Segretario Regionale FIOM- dimissioni volontarie, che poi tanto volontarie non sono), quanti operai avrebbero ancora mangiato il panettone se si fosse organizzata una piattaforma di lotta? La storia insegna che non è mai inutile.
Il PCL Romagna ha partecipato con i propri militanti alla manifestazione di luglio ed ha volantinato al di fuori dei cancelli della fabbrica, cercando di scuotere gli animi di chi non era d’accordo alla svendita dei lavoratori affrontando a muso duro i burocrati sindacali. Cercando di fare emergere quel dissenso che in prima persona abbiamo intercettato, ma che forse era troppo debole ed isolato tra gli operai. Perché la lotta di classe si fa contro i padroni, questo è certo, ma è altrettanto vero che inizia tra gli operai. Tra chi vuole lottare contro chi ragiona come il padrone; tra chi ha coscienza di classe ed il fatalista che pensa “ormai è tutto inutile”. Le lotte operaie nella logistica, in tutta Italia combattuta da una minoranza di facchini, ha vinto su più fronti. Gli operai sono coscienti del fatto che chi ha potere economico ha anche potere politico, ma non si sono accorti ancora che loro stessi hanno un potere estremamente superiore a quello dei padroni se riuscissero a battersi per un’alternativa di potere: il governo dei lavoratori. Gli operai produttivi possono bloccare l’economia di intere nazioni, ma solo se accettano di investire le proprie forze in un programma rivoluzionario che cacci via i padroni ed i loro partiti che sgomitano per governare la crisi e l’austerità.
Quando l’operaio/a arriva a ragionare come il burocrate sindacale, è parte del problema. Se i lavoratori e le lavoratrici pensano che altri debbano lottare per proprio conto, stanno sbagliando grosso. Sono in torto anche tutti quelli che immaginano che lo stato delle cose sia immutabile e che rimanga tale anche a seguito di un’ eccezionale vittoria. Ma alla vittoria può seguire una cocente sconfitta. E’ questa la rivoluzione permanente.
Chi lotta può perdere , chi non lotta ha già perso.
La Presidente festeggia: