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Ancora una volta, se toccano uno, toccano tutti. Ancora una volta, a fianco dei lavoratori del SiCobas aggrediti, uniti per difendere le lotte!


Già lo scorso maggio, alcuni lavoratori SiCobas furono aggrediti alla SDA di Roma da una squadraccia antioperaia, durante un picchetto antisciopero, che fu giustificato se non rivendicato nelle ore successive da FIT-UILT-FILT (CISL-UIL-CGIL) di Roma, evidenziando anche una diretta partecipazione all'azione di loro iscritti.

Oggi la vicenda si ripete, seppur in un contesto diverso e con diverse modalità. Nella notte fra martedì 22 e mercoledì 23 dicembre, presso il magazzino GLS di Montale (Piacenza), quattro lavoratori del SiCobas sono stati aggrediti da altri lavoratori, con armi improprie (spranghe, sedie...): sono stati tutti ricoverati al pronto soccorso ed uno di loro risulta essere in gravi condizioni (in coma). Il SiCobas denuncia la presenza, fra gli aggressori, di iscritti alla CGIL ed ai sindacati confederali.

Siamo di nuovo in presenza di fatti di una gravità enorme. Da diversi anni il SiCobas dirige un lungo ciclo di lotte nella logistica, insieme ad altre strutture ed avanguardie politiche e sociali, in tutto il centro-nord (Roma, Bologna, Piacenza, Milano, Torino, Padova, ecc). Un ciclo di lotte in cui si è organizzato in particolare un settore di classe operaia immigrata, molto combattivo nonostante le sue difficili condizioni di vita, e che ha ottenuto diversi successi, in vertenze esemplari (ad esempio Ikea) e nei rinnovi contrattuali. Contro queste esperienze di lotte, contro questo settore di lavoratori e lavoratrici, si è ovviamente concentrata la repressione dei padroni e dello Stato: licenziamenti, denunce, cariche della polizia, fermi, fogli di via ed espulsioni. Una repressione favorita dai rapporti di forza complessivi tra le classi, indeboliti dallo sfondamento padronale del governo Renzi e dall’ambiguità e vaghezza della risposta da parte delle grandi organizzazioni sindacali, che hanno dissolto nel nulla le resistenze dello scorso autunno (mobilitazioni contro il Jobs Act) e della scorsa primavera (movimento della scuola). Una repressione favorita dal tentativo autoritario di stampo bonapartista che il governo sta conducendo (riforma del Senato, Italicum, legge sulla rappresentanza che concretizzerebbe l’accordo del 10 gennaio, normativa antisciopero).

Contro questa repressione, contro queste svolte autoritarie sul piano politico e sociale, servirebbe costruire subito un fronte unico di resistenza e di lotta, per difendere diritti e condizioni del lavoro.
La scelta della CGIL è invece opposta. Non solo rimanda e dilaziona ogni lotta e ogni sciopero (scuola, impiegati pubblici, legge di stabilità e pensioni), ma sottoscrive in diverse categorie rinnovi contrattuali in cui lascia mano libera al padronato sull’organizzazione del lavoro e si prepara a siglare un nuovo accordo quadro sulla contrattazione, in cui si trasferisce al livello aziendale la centralità della determinazione degli aumenti salariali, oltre che della definizione dei tempi e dei ritmi di lavoro (facendo evaporare progressivamente il contratto nazionale).

In questo contesto complessivo, nel settore della logistica le organizzazioni confederali di categoria hanno sempre contrastato il SiCobas ed il ciclo di lotta avviato dai lavoratori immigrati. Da molto infatti FIT, UILT e anche FILT conducono un’ambigua e gravissima linea di complicità e concertazione con l’infame mondo della cooperazione (cosiddetta sociale), come con le grandi imprese che dominano questo settore.
Ma è ancor più grave che oggi queste organizzazioni sindacali appoggino queste azioni di aperta e violenta aggressione. Come abbiamo detto lo scorso maggio, non c’è solo il problema degli iscritti che hanno partecipato, rispetto ai quali deve esser immediatamente richiesta l’espulsione. Un sindacato che si schiera dalla parte delle aggressioni a lavoratrici e lavoratori che lottano è un’organizzazione sindacale che si rende complice della svolta autoritaria del paese, che contribuisce al degrado dei diritti del lavoro, che tradisce gli interessi di classe.

Per questo chiediamo a tutte le organizzazioni della sinistra, agli iscritti ed ai dirigenti della CGIL, di assumersi la propria responsabilità: denunciare l’accaduto, non offrire nessun tipo di copertura politica, espellere gli eventuali iscritti coinvolti nell’azione. Come abbiamo detto a maggio, e ribadiamo oggi con maggior forza, non è una questione di solidarietà. Anche se ovviamente esprimiamo tutta la nostra vicinanza politica ed umana ai lavoratori feriti ed a quelli picchiati, alle loro lotte, al loro sindacato SiCobas. È un problema di difesa dei diritti di tutti e di tutte. È un problema di salvaguardia collettiva degli interessi di classe. A fianco delle lotte della logistica, al fianco del SiCobas, in questo gravissimo e vergognoso episodio.

SE TOCCANO UNO, TOCCANO TUTTI!

Partito Comunista dei Lavoratori


Bologna oh cara! Lettera aperta per un'opposizione di classe e rivoluzionaria

♠ in
 Proponiamo ai compagni, ai lavoratori, ai cittadini bolognesi una breve riflessione sulle prossime elezioni comunali e sulla partecipazione del nostro partito. Invitiamo tutti ad approfondire con noi questi temi mercoledì 16 dicembre, alle ore 20.30, presso la nostra sede in via Marini 1/b (traversa di viale della Repubblica).

La città di Bologna è ormai lontana da quella che fu rappresentata per decenni nell’immaginario pubblico nazionale, in particolare quello di sinistra. Si trattava spesso di un travisamento della realtà, tuttavia in passato era innegabile l'esistenza di un sistema cittadino e regionale, basato su uno sviluppato livello di servizi sociali e di forti legami politici, sindacali e coooperativi che miglioravano tendenzialmente la qualità della vita delle classi lavoratrici, anche se spesso rinunciando alla conflittualità col padronato.
Nel corso degli ultimi decenni è altrettanto innegabile un arretramento, che ne pregiudica le condizioni di vita.
Bologna è oggi la capitale di un sistema politico ed economico – a base regionale con proiezioni nazionali – assolutamente consociativo che ha fatto implicitamente dello slogan LE MANI SULLA CITTA' un modo di gestione e di governo.
Organizzazioni politiche e sociali sono complici e integrate tra loro: PD-SEL-NCD-CGIL-CISL-UIL-COOP-CDO-CL-UNINDUSTRIA-RETI ASSOCIATIVE, ECC.
Anche l'opposizione istituzionale è quasi sempre una semplice parte teatrale necessaria a mantenere il proprio ruolo nella rappresentazione generale e accedere comunque alla grande mangiatoia pubblica.

È un sistema politico che, forte anche delle numerose controriforme istituzionali ed elettorali di carattere antidemocratico, punta ad essere sempre meno dipendente dal consenso popolare, sempre più forte della sua autonomia; punta cioè a governare anche contro il consenso della popolazione, addirittura quando questo rappresenta la sua base elettorale storica, come nel caso evidente del referendum locale sui finanziamenti alle scuole private.

Le amministrazioni della città – a contare almeno dall'inizio del nuovo secolo – sono state centrate a soddisfare vari appetiti di banche e imprese attraverso megaopere inutili alla popolazione ma necessarie al sistema produttivo privato, solo per fare alcuni esempi: nuova stazione, alta velocità, Civis/Crealis, People mover, Fico, nuove zone residenziali, speculazione edilizie e cementificazione del territorio, ecc.
Tutto questo mentre il mondo del lavoro veniva sempre più massacrato sia in termini occupazionali che salariali. La stessa assistenza è stata di fatto degradata a carità istituzionale. Mentre i servizi sociali vengono costantemente tagliati e elargiti a prezzi insostenibili.

FALSI PROFETI E LOTTE DI RESISTENZA
 
La sinistra istituzionale che ha ricoperto – a volte ricopre ancora – ruoli negli esecutivi locali, come in passato anche a livello nazionale, oggi è in piena difficoltà ad esprimere una linea politica chiara e una proposta che non sia di pura immagine finalizzato solo alla sopravvivenza del proprio ceto politico (v. Sel, Prc, Altraeuropa e tsipriani vari, Verdi, comitati e circoli vari).
I nuovi “salvatori” della sinistra bolognese appaiono tali solo grazie alle tante dimenticanze: Mauro Zani è stato per decenni uno dei politici più potenti di questa città così come alcuni suoi sodali, basti pensare a Lanfranco Turci capo delle Coop, presidente della Regione e poi parlamentare, pure transitato per un periodo nel Psi. Basterebbe ricordarsi dove erano Zani e i suoi compari quando a Bologna cominciavano le privatizzazioni (do you remember farmacie comunali?) e i finanziamenti alle scuole private.
Lo stesso vale per l'ex assessore Ronchi (per oltre un decennio assessore in giunte di vario livello a guida PD), che oggi, dopo essere stato scaricato, si schiera tutto a sinistra, mentre basterebbe chiedersi quando mai negli ultimi anni ha preso le distanze dalle posizioni del sindaco, della giunta e del Pd.
Cosa pensava e cosa votava Ronchi al referendum sulle scuole private o sul contratto delle maestre/i neoassunte nelle scuole dell'infanzia comunali? Come si è schierato Ronchi sul People mover o su Fico o sulla vendita delle azioni delle partecipate? E così su tanto altro.
Si dimostra ancora una volta che i trombati e prepensionati della politica si buttano a sinistra. Il guaio è che ci siano ancora tanti che abboccano.
Gli stessi esponenti di alcuni centri sociali, che a costoro fanno proposte di alleanze, hanno nell'ultimo quindicennio sostenuto alle elezioni i candidati sindaco dei DS/PD, esprimendo addirittura propri candidati nelle liste alleate al PD, giungendo fino ad esprimere il primo assessore alla casa nella giunta Cofferati (tale Antonio Amorosi che oggi scrive su Libero).
D'altra parte non saranno certo invenzioni giornalistiche, come la Frascaroli (mai stata di sinistra), a risollevare le sorti del proletariato bolognese. E nemmeno i 5 stelle, che spesso affascinano ancora tanti compagni/e pur essendo una formazione filopadronale con un progetto reazionario: vogliamo ricordare il loro appoggio alla linea di “legalità” degli sgomberi operati negli ultimi mesi in città?
In questo contesto difficile e a tratti desolante si muovono comunque, anche a Bologna, elementi di resistenza – spesso separati e marcianti su binari paralleli – su vari livelli: lotte per la casa e il diritto all'abitare degno; movimento contro la “buona scuola” di Renzi; comitati sui trasporti, mobilità e ambiente (No Peolplemover; passante nord, ecc.). Nei luoghi di lavoro ancora resiste/esiste un sindacalismo classista basato soprattutto sui sindacati di base e a volte- sempre meno – su alcuni settori e categorie Cgil, soprattutto sull’area “il Sindacato un’altra cosa” (sinistra CGIL).

UNA SINISTRA RIVOLUZIONARIA PER UN'OPPOSIZIONE DI CLASSE

Riteniamo che una sinistra che si voglia porre sul terreno dell'opposizione di classe debba pensare, a livello cittadino come più in generale, a costruire risposte quanto più possibili coordinate e organizzate unitariamente, non solo in maniera parziale ed estemporanea. In questo senso vanno rigettate tutte quelle suggestioni movimentiste, civiche, anticomuniste e antipartito che hanno abbandonato ogni riferimento alla lotta di classe e al comunismo per nascondere, nei fatti, altri partiti e organizzazioni pronte a saltare ancora una volta dall'altro lato della barricata.
Chi, come noi del PCL, voglia da un punto di vista di classe provare ad ostacolare le consorterie e i governi filopadronali, nazionali o locali che siano, non può semplicemente ignorare il momento elettorale, per il semplice fatto che non esiste alcuna distinzione fra lotte, resistenze e scontro istituzionale: gli scioperi, le lotte di piazza, le diverse forme di resistenza anche a livello istituzionale sono tutte fasi diverse e intrecciate su cui si dispiega lo scontro di classe. In questo senso non intendiamo lasciare al nemico e ai falsi “amici” anche questo campo, invece vogliamo utilizzarlo per una battaglia di classe, di propaganda e demistificazione dei vari Pd-FI-Lega-5Stelle-italosinistri e delle loro politiche antiproletarie.
Per noi si tratta di portare dentro la campagna elettorale le ragioni della lotta di classe, dell’unità dei lavoratori e dei movimenti e dunque della sinistra rivoluzionaria.
Certo il PCL è una piccola organizzazione, che però in questi anni ha maturato esperienza e ha saputo esprimere capacità di intervento politico senza mai svendere le ragioni dei lavoratori e delle classi popolari. Certo si è costretti a muoversi in una situazione complessiva di difficoltà. Certo a tanti sembra utile impegnarsi solo in “cose” che siano subito “grandi” e “credibili”, magari “capaci di incidere” e “dare risposte”, ma è provato da tante esperienze anche del recente passato che su questo terreno di facili risposte si sono costruiti i grandi insuccessi delle varie liste locali o nazionali, durate il tempo di una campagna elettorale, nate e scomparse senza lasciare nulla. Ed è forse qui proprio la differenza con chi come noi considera le elezioni uno strumento nel percorso di lotta e non il fine della propria azione politica: il PCL pur ottenendo sempre piccoli risultati nelle urne è sempre stato capace di dare continuità alla sua azione, appunto perché organizzazione non estemporanea e perché legato ad un progetto di trasformazione complessivo che non si ferma di fronte ai risultati elettorali anche negativi; così come non si adagerebbe sugli allori nel caso di un buon risultato o un'elezione. La nostra propaganda – come la nostra pratica - non può che essere incompatibile con il quadro istituzionale presente. Un esempio per tutti: dobbiamo dire la verità e chiarire a tutti che nessuna reale politica di svolta a favore del popolo lavoratore può essere fatta rispettando i patti di stabilità nazionali e locali.
Noi non intendiamo rispettare nemmeno per un momento gli attuali vincoli economici, (patti di stabilità, ecc.) perché solo cosi potremmo rimettere al centro i bisogni di lavoratori, studenti, precari, disoccupati e pensionati.

Abbiamo incontrato molti compagni e molte compagne nelle tante mobilitazioni di questi anni e questi ultimi mesi su tanti temi: dalla scuola alla casa, dalla difesa dei posti di lavoro all'attività nei sindacati cosi come nelle piazze e nelle strade, a tutti voi rivolgiamo quindi questo testo.
Il PCL, come in passato, vuole essere presente nell'arena elettorale, ma una nostra presentazione sarà tanto più utile quanto più potrà incrociarsi con le dinamiche del conflitto.
Vi invitiamo, quindi, a discutere della nostra proposta, che possa in prospettiva allargarsi, perché il campo elettorale non veda solo i soliti furbi e trasformisti a voler rappresentare la classe, per poi tradirla un'altra volta.

L'APPUNTAMENTO CHE VI PROPONIAMO PER DISCUTERE DI QUESTI TEMI È PER MERCOLEDÌ 16 DICEMBRE, ALLE ORE 20.30, PRESSO LA NOSTRA SEDE IN VIA MARINI 1/B (traversa di viale della Repubblica).

CISA: come te nessuno mai

 Proponiamo questo contributo del compagno Evangelista (PCL sezione Romagna) sulla conclusa vertenza della CISA, riguardante sostanzialmente il grande stabilimento di Faenza. L'attualità di una riflessione sulle (mancate) lotte operaie è ancora più grande oggi, a fronte della vertenza Saeco (243 licenziamenti annunciati), per evitare i vecchi errori e fermare la sconfitta e l'arretramento del movimento operaio.


Un altro duro colpo è stato assestato al mondo del lavoro produttivo romagnolo. Dal 2008 ad oggi sono stati persi 1700 posti di lavoro ed a Faenza pare oramai dimenticata l’esperienza della Omsa.
I dirigenti Cisa, azienda produttrice di serrature facente parte della multinazionale Allegion, nonostante gli utili ha deciso di continuare il profitto altrove: e’ arrivato il momento di delocalizzare.  Tale minaccia è datata Giugno 2015 e si accompagna a 238 licenziamenti a fronte degli oltre 500 lavoratori impiegati negli stabilimenti di Faenza e Monsanpolo (AP). Ma non è tutto qui: nello stesso periodo l’Allegion acquisisce per 210 milioni di euro l’azienda Simons Voss in Germania, che occupa lo stesso numero di lavoratori a rischio licenziamento nello stabilimento faentino della CISA. Tutto logico per il padrone, ma a quanto pare non è il solo ad avere le idee chiare…
La “levata di scudi” dei sindacati gialli confederali si sintetizza in una sola parola : “inaccettabile”. Tanto inaccettabile quanto la maschera indossata dai burocrati, protagonisti del medesimo spettacolo teatrale che ha del comico, per la mediocrità della pianificazione della “non lotta”, se non fosse per l’amara e scontata conclusione della vertenza. Le premesse erano tali affinchè si sospettasse la tragica fine e la svendita totale dei lavoratori.
Ma non solo : la vertenza CISA sembra essere il caso emblematico, esempio pilota di come la burocrazia sindacale CGIL (e non solo) voglia applicare i dettami della segretaria generale Camusso firmataria del testo unico della rappresentanza sindacale. Accettarlo significa non protestare, non scioperare o come recita il testo unico si impegnano a non mettere in atto “azioni a contrasto”, pena una sanzione.
Tolte anche queste elementari regole democratiche, martellati dall’azione sfiancante delle burocrazie, i lavoratori sono stati abbandonati ed hanno deciso di affidarsi completamente ai burocrati. Il sindacato non fa più sindacato ma il “centro servizi”: calcolo delle tasse ed altre prestazioni a “basso costo” , tali da giustificare il fatto che solo la CGIL conta oltre il 50% degli iscritti tra i pensionati, cioè chi le lotte non le fa più e che non ha avuto nulla da dire e fare contro la Legge Fornero.
Arriva l’accordo votato da oltre l’ 80% dei lavoratori (439 votanti- 369 sì – 51 no) : 130 dimissioni volontarie che saranno ratificate dai dirigenti aziendali, oltre ad incentivi di vario genere. Bravi ! Bene! Bis! Non sono licenziamenti! I burocrati sindacali brindano e con loro anche i padroni che plaudono all’accordo: la presidente di Allegion Moretti afferma “Considerando i tanti aspetti in gioco, il fatto di aver un accordo è molto positivo”.
In questo quadretto il non lavoro dei burocrati sindacali gialli, firmatari dell’accordo sulla vertenza CISA, ha trovato campo aperto: una manifestazione partecipata decorata dai guaiti di Landini, uno sciopericchio (chiaramente che rimanga all’interno del monte ore) ed una scampagnata al MISE di Roma. La buona volontà degli operai e delle operaie è stata completamente tradita: si aspettavano di salvare il posto di lavoro, invece 130 dovranno abbandonare l’azienda. Ma l’azienda per ora non delocalizza…
E se invece si fosse lottato? Se invece ringraziare, per le preghiere, il Vescovo di Faenza, si fosse proceduto al blocco merci di tutti gli stabilimenti? Quanti posti in più si sarebbero salvati? Se i burocrati con le braghe calate hanno accettato 130 licenziamenti (definite dal “Papi-Papignani” – Segretario Regionale FIOM- dimissioni volontarie, che poi tanto volontarie non sono), quanti operai avrebbero ancora mangiato il panettone se si fosse organizzata una piattaforma di lotta? La storia insegna che non è mai inutile.
Il PCL Romagna ha partecipato con i propri militanti alla manifestazione di luglio ed ha volantinato al di fuori dei cancelli della fabbrica, cercando di scuotere gli animi di chi non era d’accordo alla svendita dei lavoratori affrontando a muso duro i burocrati sindacali. Cercando di fare emergere quel dissenso che in prima persona abbiamo intercettato, ma che forse era troppo debole ed isolato tra gli operai. Perché la lotta di classe si fa contro i padroni, questo è certo, ma è altrettanto vero che inizia tra gli operai. Tra chi vuole lottare contro chi ragiona come il padrone; tra chi ha coscienza di classe ed il fatalista che pensa “ormai è tutto inutile”. Le lotte operaie nella logistica, in tutta Italia combattuta da una minoranza di facchini, ha vinto su più fronti. Gli operai sono coscienti del fatto che chi ha potere economico ha anche potere politico, ma non si sono accorti ancora che loro stessi hanno un potere estremamente superiore a quello dei padroni se riuscissero a battersi per un’alternativa di potere: il governo dei lavoratori. Gli operai produttivi possono bloccare l’economia di intere nazioni, ma solo se accettano di investire le proprie forze in un programma rivoluzionario che cacci via i padroni ed i loro partiti che sgomitano per governare la crisi e l’austerità.
Quando l’operaio/a arriva a ragionare come il burocrate sindacale, è parte del problema. Se i lavoratori e le lavoratrici pensano che altri debbano lottare per proprio conto, stanno sbagliando grosso. Sono in torto anche tutti quelli che immaginano che lo stato delle cose sia immutabile e che rimanga tale anche a seguito di un’ eccezionale vittoria. Ma alla vittoria può seguire una cocente sconfitta. E’ questa la rivoluzione permanente.
Chi lotta può perdere , chi non lotta ha già perso.
La Presidente festeggia:

Lettera aperta ai compagni e alle compagne di Rifondazione Comunista


Car@ compagn@,
non abbandonare la lotta anticapitalista e il comunismo.
Se vuoi contattarci puoi rispondere a questo messaggio, andare su www.facebook.com/pclbologna
o venirci a trovare ogni lundì sera dale 21,15 in via Marini 1/b (traversa di via Repubblica a Bologna)

PER MANTENERE UNO SPAZIO POLITICO CLASSISTA E ANTICAPITALISTA, PER RILANCIARE UN PROGETTO COMUNISTA E RIVOLUZIONARIO 

Cari compagni e care compagne,
il Comitato Nazionale del vostro partito (7/8 novembre 2015) ha di fatto avviato lo scioglimento del PRC nella cosiddetta costituente della “sinistra italiana” che partirà a gennaio.
Il referendum interno serve a dare convalida formale ad una scelta pubblica già compiuta e già annunciata da parte della Segreteria nazionale del PRC.
Che questa sia la scelta, quale che sia il giudizio di merito, non può essere motivo di dubbio. Il richiamo formale al PRC e al suo “rafforzamento” che la mozione della Segreteria contiene serve a indorare (e a nascondere) con parole auliche una scelta reale esattamente opposta: quella di dissolvere il vostro partito in un contenitore più ampio, diretto dai gruppi dirigenti di SEL e di ex bersaniani del PD.


IL PRC SI SCIOGLIE IN UNA GRANDE SEL (... UN PO' PIÙ “A DESTRA”) 

La vostra Segreteria afferma che il processo costituente della sinistra italiana si fonda sulla comune accettazione del “superamento del centrosinistra”. È falso. Com'è del tutto evidente, i gruppi dirigenti di SEL ed ex bersaniani muovono in una direzione dichiaratamente opposta: quella di “ricostruire il centrosinistra”, oggi precluso dal renzismo. Per questo preservano centinaia di assessori in tutta Italia nelle giunte di centrosinistra, nonostante Renzi. Se alle prossime elezioni amministrative, nella maggioranza dei casi, sceglieranno di presentarsi autonomamente e in alternativa al PD è perché il renzismo ha rotto i vecchi equilibri del “caro centrosinistra”: per ricomporre il centrosinistra occorre dunque contrapporsi a Renzi, ricostruire un proprio pacchetto di consenso, e poi ribussare alle porte del PD. Sperando che ad aprire la porta torni, prima o poi, il caro vecchio Bersani. Non solo: proprio per rafforzare nella stessa composizione del nuovo soggetto la vocazione programmatica del centrosinistra, i gruppi dirigenti di Sinistra Italiana vogliono aprirlo a settori cattolico-ulivisti del tutto estranei ad ogni tradizione politica e culturale della sinistra. Il respingimento pubblico e sdegnato dell'appellativo giornalistico di “cosa rossa” cos'è se non il riflesso di tutto questo?

L'argomento consolatorio secondo cui il “processo costituente sarà dal basso” e “conteranno le nostre idee” capovolge la realtà dei fatti. Tutto il processo è decollato dall'“alto”. Prima dall'accordo tra i gruppi dirigenti delle diverse formazioni e soggetti, inclusa la vostra Segreteria. Poi dall'iniziativa pubblica e pubblicizzata dei gruppi dirigenti e parlamentari di SEL e degli ex bersaniani, che hanno attivato la presentazione in tutta Italia del nuovo soggetto, ben prima dell'assemblea di gennaio. Gruppi dirigenti di SEL ed ex bersaniani che già godono in partenza della rendita di posizione di unica rappresentanza parlamentare della nuova formazione (assieme a Civati) da qui alle prossime elezioni politiche: con l'enorme peso condizionante che questo fatto esercita sulla costituzione materiale del nuovo soggetto, la sua presenza mediatica, la sua immagine pubblica, la selezione materiale delle sue rappresentanze sul territorio. La presenza diffusa all'atto di presentazione a Roma di Sinistra Italiana di settori di burocrazia CGIL, ARCI, vecchio associazionismo di estrazione PD, reso orfano del renzismo, prefigura gli equilibri interni reali alla nuova formazione, e la dinamica annunciata della sua evoluzione, più di mille rassicurazioni formali. La conclusione è semplice: la vostra Segreteria nazionale avvia lo scioglimento del PRC in un contenitore diretto (politicamente, culturalmente, organizzativamente) da un personale politico del tutto organico alla tradizione di governo del centrosinistra. Dunque alla gestione capitalistica della crisi. La difesa platonica e formale della “ragione comunista” da parte di Paolo Ferrero potrà forse valere sul terreno negoziale con gli altri soggetti della Costituente in ordine alla salvaguardia di singoli ruoli dirigenti. Ma nessuna riserva indiana per dirigenti nazionali del PRC potrà mascherare lo scioglimento e la liquidazione del partito entro un nuovo soggetto politico cui spetterà, non a caso, la piena sovranità delle scelte elettorali, politiche, istituzionali.


UN EPILOGO ANNUNCIATO

Non siamo meravigliati dal triste epilogo della parabola di Rifondazione. Quando rompemmo col PRC nel momento del suo ingresso nel governo Prodi, con tanto di ministri (Ferrero) e cariche istituzionali (Bertinotti), dicemmo apertamente che la compromissione di governo con la borghesia italiana, contro i lavoratori, avrebbe avviato la liquidazione del PRC. Perché ne minava alla radice le ragioni di classe, e al tempo stesso confermava nella forma più clamorosa l'assenza, nei suoi gruppi dirigenti, di ogni programma comunista.
Fummo facili profeti. Quanto è avvenuto nei dieci anni trascorsi ha confermato la previsione. Il ministro che entrò in quel governo, votando missioni di guerra, leggi di precarizzazione del lavoro, abbassamento delle tasse sui profitti (l'Ires dal 34% al 27%!), è oggi il segretario che scioglie il partito. Dopo averlo imboscato negli ultimi anni in tutte le possibili combinazioni di liste e soggetti “civici” (da Ingroia a Spinelli), privi di ogni riferimento di classe.
Negli ultimi mesi, in particolare, la linea della Segreteria del PRC sulla Grecia è stata davvero emblematica. Prima la giustificazione della capitolazione di Tsipras alla troika; poi il pubblico sostegno a Tsipras alle elezioni anticipate di settembre, quando chiedeva il mandato sul programma di austerità concordato; poi il plauso alla “vittoria” di Tsipras in compagnia delle Borse e dei governi capitalistici europei; infine la continuità dell'appoggio a Tsipras nel momento stesso in cui vara le politiche di lacrime e sangue contro i lavoratori subendo il primo sciopero generale di massa (12 novembre), hanno scandito di fatto, nel loro insieme, una confessione pubblica: il gruppo dirigente del PRC non ha altro orizzonte strategico reale che il governo “progressista” del capitalismo, in Italia e nel mondo. Per di più in un contesto storico in cui il riformismo ha esaurito il proprio spazio storico e dunque maschera la continuità delle controriforme (come proprio la Grecia insegna). Perché allora meravigliarsi dello scioglimento del partito in una costituente di sinistra dichiaratamente governista? Ogni confine reale, politico e programmatico, tra PRC e SEL si dissolve nell'adattamento comune al capitale.


UN PROGETTO CLASSISTA E ANTICAPITALISTA, COMUNISTA E RIVOLUZIONARIO 

Detto questo, non consideriamo lo scioglimento del PRC un fatto “che non ci riguarda”. Non solo perché i promotori del PCL militarono in Rifondazione Comunista per quindici anni, dando battaglia coerente su un programma anticapitalista in contrasto con i suoi gruppi dirigenti maggioritari (Bertinotti, Cossutta, Diliberto, Rizzo, Ferrero, Vendola). Ma anche e soprattutto perché sappiamo che nel vostro partito, al di là dei suoi gruppi dirigenti, hanno continuato a militare tanti compagni e compagne sinceramente comunisti, che hanno cercato nel PRC uno strumento non di resa ma di lotta, non di governo ma di rivoluzione. Compagni e compagne che abbiamo trovato e troviamo in tante battaglie comuni, nel movimento operaio, nei movimenti giovanili, nelle lotte ambientaliste, sul territorio, sempre contro il comune avversario di classe. E quindi anche contro le coalizioni di centrosinistra sposate da SEL (e anche in tanti casi dal PRC) o i governi di unità nazionale in cui stava Fassina.

Perché questo sbandamento e questa ulteriore dissoluzione si inserisce in un contesto di profonda involuzione della coscienza di classe. Le sconfitte dello scorso ventennio, i processi di scomposizione e ricomposizione determinati dalla crisi e dalle ristrutturazioni in corso, la compartecipazione alle tante giunte e governi di centrosinistra da parte delle principali organizzazioni del movimento operaio, hanno logorato in larghi settori di massa la capacità di riconoscere le differenze di classe, la consapevolezza dei propri interessi, la propria identità e forza collettiva. Hanno creato confusione, consumato immaginari e scomposto relazioni sociali.
Questa scelta di sfumare il proprio colore e il proprio anticapitalismo, seppur simbolico e retorico più che reale, all’interno di un indistinta sinistra italiana, pensiamo quindi che rilanci e rinforzi questo processo generale di involuzione della coscienza di classe.

A questi compagni e a queste compagne chiediamo allora di non ripiegare le bandiere. Di non piegarsi ad una scelta di liquidazione tra le braccia di Vendola e Fassina. Ma anche di non arrendersi allo sconforto e alla tentazione di abbandono come è avvenuto per decine di migliaia di compagni e compagne in tanti anni. 

Noi non siamo più un “gruppo”, ma un piccolo partito, l'unico oggi esistente in una dimensione realmente nazionale a sinistra del PRC. Un partito impegnato nella lotta di classe e nei movimenti di massa, che lavora per la più larga unità d'azione dei lavoratori e delle loro organizzazioni, e che vuole introdurre in ogni lotta la prospettiva di un governo dei lavoratori: l'unica vera alternativa, quella rivoluzionaria.
Un partito che si presenta come tale alle elezioni, in contrapposizione ad ogni forma e logica di centrosinistra, e contro ogni camuffamento “civico”, per presentare il programma comunista alle più larghe masse, fuori da ogni logica minoritaria o rinunciataria.
Un partito schierato internazionalmente al fianco dei lavoratori, dei popoli oppressi dall'imperialismo, delle loro lotte di emancipazione e liberazione, a partire da una logica classista, estranea al campismo e allo stalinismo.
Un partito impegnato per la ricostruzione dell'Internazionale comunista e rivoluzionaria, al fianco delle nostre organizzazioni sorelle di Grecia, di Turchia, di Argentina, e di altri Stati e nazioni: per unire in ogni paese e sul piano mondiale tutti i sinceri comunisti che vogliono battersi per il potere dei lavoratori. Contro ogni illusione di “riforma sociale e democratica” dell'Unione Europea o della NATO.

Certo, la costruzione di un partito rivoluzionario è terribilmente complessa. Tanto più in un paese come il nostro segnato da un profondo arretramento del movimento operaio e della sua coscienza. È una costruzione controcorrente, in un campo di rovine prodotte da chi ha disperso grandi potenzialità e grandi occasioni. Ma rinunciare alla costruzione di questo partito, per accontentarsi della sola esperienza dei movimenti, renderebbe un pessimo servizio ai movimenti stessi, che tanto più in un quadro di frammentazione hanno bisogno di incrociare una prospettiva unificante. Come non ci si può semplicemente organizzare in una rete o un coordinamento diffuso di soggetti ed esperienze diverse, che si ritrovano su un minimo comun denominatore di resistenza o opposizione. Serve un partito. Tanto più oggi, di fronte ad una crisi profonda ed epocale del modo di produzione capitalista, che scuote il consenso e l’egemonia delle classi dominanti, che divarica condizioni sociali e disuguaglianza, che precipita le contraddizioni intercapitaliste e lo scontro di classe. Serve una direzione alternativa. Un soggetto organizzato e radicato che porti in ogni lotta il senso di un progetto generale, che sviluppi la coscienza, che contrasti la demoralizzazione o le illusioni. Per l'appunto, un vero partito comunista.

Questo è il nostro progetto ed il nostro tentativo. Vi proponiamo quindi di confrontarci con noi, sul passato e soprattutto sul presente della lotta di classe e del ruolo indispensabile del partito, per mantenere ed allargare nel nostro paese uno spazio politico classista e anticapitalista, per provare a costruire insieme il partito comunista e rivoluzionario.
Partito Comunista dei Lavoratori
Sez. di Bologna