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Governo Gentiloni: il renzismo senza Renzi


13 Dicembre 2016

Il “nuovo” governo Gentiloni è la continuità mascherata del renzismo. Una forma di renzismo senza Renzi. Un governo-ponte che nelle intenzioni di Renzi dovrebbe dargli il tempo di preparare la sospirata rivincita elettorale. Il più presto possibile, s'intende, nella speranza di travasare sul PD il 41% del Sì alla riforma costituzionale (bocciata).

Per coltivare il sogno della rivincita, Renzi aveva tre necessità complementari. La prima: fare un (breve) passo indietro nella scena politica, per onorare le promesse pubbliche in caso di sconfitta e provare a riabilitare la propria immagine ammaccata. La seconda: disporre di un potere di controllo sul nuovo governo ed in particolare sulle scelte delicate in fatto di nomine pubbliche (che sono parte del blocco di potere del renzismo). La terza: disporre di un governo sufficientemente debole, incapace di fargli ombra, incapace di travalicare i tempi brevi che Renzi gli ha assegnato.

Il governo Gentiloni risponde a queste necessità. Matteo Renzi conserva una propria presenza diretta nell'esecutivo grazie all'inserimento di Luca Lotti e di Maria Elena Boschi, la più stretta scuderia renziana. Affida la partita decisiva della prossima legge elettorale ad Anna Finocchiaro, la cui fedeltà è stata già sperimentata nel fiancheggiamento diretto di Boschi lungo lo scontro sulla riforma istituzionale. Preserva i propri ministri economici fondamentali (Padoan e Poletti), per preservare il patto di ferro con Confindustria e con le banche. Offre rappresentanza ministeriale a tutte le correnti della maggioranza filorenziana del PD, per assicurarsi il controllo del fronte interno al partito al piede di partenza del suo congresso. Cancella la sola ministra Giannini, ormai bruciata sull'altare della Buona Scuola, e zavorra più di ogni altra per l'immagine del renzismo. Respinge infine la candidatura ministeriale di Verdini, sia per evitare nuovi appesantimenti di immagine, sia soprattutto perché un governo più ballerino sui numeri al Senato avrà maggiori difficoltà a durare, e potrà essere più facilmente sfiduciato.

Questa operazione tuttavia ha due punti di debolezza.
La prima è l'immagine pubblica obiettivamente provocatoria di un governo che schiera in prima fila tutte le figure sconfitte dal No del 4 dicembre: la garanzia di controllo renziano sul governo viene pagata al caro prezzo di una sfrontata continuità ministeriale. Il renzismo senza Renzi oltre una certa soglia di impudicizia rischia di zavorrare ulteriormente proprio l'immagine di Renzi e le sue ambizioni di rivincita.

Il secondo fattore di complicazione riguarda il rapporto con una parte non irrilevante dei poteri forti. Poteri a suo tempo tutti schierati col renzismo nel momento della sua ascesa e delle sue promesse di stabilizzazione reazionaria, ma che oggi diffidano dello spirito avventuriero di un (aspirante) Bonaparte sconfitto che rischia di anteporre la propria sete di rivincita all'interesse generale di sistema. Lo sguardo critico della grande stampa borghese verso un governo paravento delle ambizioni del renzismo è sintomatico di questa preoccupazione. La stessa Presidenza della Repubblica ne è investita.

Resta il fatto che il governo Gentiloni continuerà le pratiche correnti del renzismo e del grande capitale contro i lavoratori italiani. La continuità della gestione del Jobs Act. La continuità della detassazione dei profitti già sigillata dall'ultima Legge di stabilità, a carico di spese e protezioni sociali. La continuità del soccorso pubblico al potere bancario, con l'annunciato salvataggio del Monte dei Paschi di Siena a carico dei lavoratori contribuenti. La continuità delle politiche di segregazione e di espulsione dei migranti, in sintonia con la campagna del populismo reazionario (Salvini e Di Battista).

La costruzione di un'opposizione sociale, unitaria e di massa, contro il renzismo e la sua versione mascherata, è l'unica via per dare una prospettiva progressiva alla vittoria del No del 4 dicembre.
Partito Comunista dei Lavoratori