Classe contro classe. Forza contro forza. Contro il fronte unico padronale costruiamo insieme il fronte unico dei lavoratori e delle lavoratrici
La burocrazia sindacale farà di tutto per evitare lo scontro sociale, i padroni faranno di tutto per usare la burocrazia sindacale come ammortizzatore delle lotte, il governo farà di tutto per avere l'appoggio della burocrazia sindacale. Solo una lotta dal basso, attraverso un fronte unico di massa, potrà rompere i loro piani e aprire un nuovo scenario politico
La ripresa politica in Italia è segnata da molte incognite: l'evoluzione della pandemia, la riapertura della scuola, le elezioni regionali e il referendum istituzionale del 20-21 settembre. L'incrocio di questi fattori indirizzerà lo scenario generale, a partire dalla tenuta o meno del governo.
Tra tante incognite, tuttavia, vi è una certezza: il grido di guerra di Confindustria attorno alla propria piattaforma di classe. Ulteriore abbattimento delle tasse sulle imprese, finanziato dalla cancellazione o riduzione delle protezioni sociali (la cosiddetta «pioggia di misure assistenziali»); piena libertà di licenziare, sino a cancellare un milione di posti di lavoro secondo l'esplicita stima di Bonomi (libertà peraltro già avviata col Decreto di agosto); abrogazione di ciò che resta dei contratti nazionali di lavoro, a partire dal rifiuto dello scambio («novecentesco») tra orario e salario: in parole povere, niente aumenti salariali generali e incremento del carico di lavoro azienda per azienda. Più miseria, più sfruttamento.
Questa piattaforma è talmente brutale da non richiedere alcun commento. I capitalisti vogliono scaricare sulla società i costi della crisi economica e sanitaria.
I padroni hanno già ottenuto molto dal governo PD-M5S: continuità della produzione in assenza di condizioni di sicurezza; mancata chiusura delle zone rosse nella bergamasca per garantire la continuità produttiva, con conseguente moltiplicazione di contagi e di morti; garanzie pubbliche sui crediti bancari per decine di miliardi a partire da FCA; pagamento di milioni di salari (tagliati) attraverso la cassa integrazione; ricorso alla cassa anche in assenza di crisi aziendale (un furto compiuto dal 30% delle imprese); il taglio della prima tranche dell'IRAP per 3,5 miliardi, in previsione della sua abolizione totale con la prossima legge di stabilità (13,4 miliardi); il taglio dei contributi per le imprese che operano nel Sud esteso persino ai contratti a termine...
Però ora i padroni vogliono tutto. L'emergenza è per loro la leva dello sfondamento sociale. La libertà di licenziare diventa la loro bandiera unificante.
Non è una dinamica solo italiana. I padroni francesi e spagnoli avanzano le stesse richieste ai propri governi.
Il governo “di sinistra” di Madrid ha appena siglato un nuovo patto della Moncloa con le organizzazioni padronali e le burocrazie sindacali, all'insegna del “siamo tutti sulla stessa barca”. Il vicepresidente del Consiglio Pablo Iglesias ha dato la propria benedizione.
Dal canto suo, il governo francese ha disposto dieci miliardi di tagli fiscali strutturali a vantaggio dei profitti, col plauso entusiasta della MEDEF (la Confindustria d'oltralpe) e l'invidia malcelata dei padroni italiani. Il riarmo industriale della Francia insidia la nostra seconda posizione nel panorama dell'industria europeo, sostiene allarmato Il Sole 24 Ore. È la richiesta del “fare come in Francia”. Non è un pretesto propagandistico, è la legge del mercato capitalista, anche nella fraterna UE.
CONFINDUSTRIA PERSEGUE IL FRONTE UNICO PADRONALE
Ma in Italia c'è una novità particolare: l'avvento alla testa del padronato di un nuovo stato maggiore. Uno stato maggiore che non si accontenta di ciò che ha ottenuto ma persegue una restaurazione sociale radicale, e per di più mira a ricomporre attorno a tale disegno l'intero blocco sociale dominante. Carlo Bonomi applica a modo suo la politica del fronte unico. La lettera inviata ai presidenti delle associazioni di categoria è emblematica: marciamo uniti, facciamo testuggine. Le poche aziende alimentari (Ferrero, Danone, Barilla) che hanno accordato un aumento salariale – la miseria di 119 euro – hanno sbagliato e sono richiamate all'ordine. La gestione delle relazioni industriali viene centralizzata e avocata attorno a una linea di rigore padronale intransigente.
La nuova linea di Confindustria denuda la subalternità delle burocrazie sindacali. Mai è apparso tanto ampio il divario di determinazione tra direzione padronale e direzione sindacale.
La burocrazia sindacale aveva siglato il 9 marzo 2018 il famoso “patto per la fabbrica”, che completava i vecchi accordi del 10 gennaio 2014. Il patto concedeva ai padroni l'amputazione del contratto nazionale mettendo i salari a rimorchio dell'IPCA, e allargando la partita di scambio a livello aziendale tra salario e produttività. Ora la nuova direzione confindustriale vuole andare all'incasso di quanto pattuito. “Se assumiamo a riferimento il codice IPCA, siamo noi in credito coi sindacati” dichiara Bonomi. Non solo non vi è margine per aumenti salariali generalizzati, ma semmai sono i salariati che debbono restituire qualcosa ai padroni. Tanto più a fronte della nuova grande crisi.
La burocrazia non sa come uscire dal vicolo cieco in cui si è cacciata. Alcune piattaforme contrattuali di categoria, nelle rivendicazioni salariali, scavallano l'IPCA. È il caso della piattaforma dei metalmeccanici, che chiede l'aumento dell'8% sui minimi tabellari. I padroni fanno muro sulla richiesta. Cosa vuol fare a questo punto la burocrazia FIOM e CGIL? Per ora, di fatto, scena muta. Nessuna iniziativa di lotta, nessuna mobilitazione reale, al di là delle chiacchiere. La sola soluzione che forse intravede è quella di ottenere dal governo una defiscalizzazione degli aumenti contrattuali, che è come mettere sul conto della generalità dei salariati i pochi spiccioli degli eventuali aumenti per sgravare i profitti, e al tempo stesso provare a dire agli operai che si è vinto. Non si può escludere che i padroni concedano alla burocrazia qualche foglia di fico firmando contratti pro forma. Ma innanzitutto l'operazione richiede il coinvolgimento dell'esecutivo, e il quadro politico incerto non dà garanzie. E in ogni caso il padronato non si accontenterebbe di questa soluzione, perché vuole affermare la propria piattaforma complessiva: ottenere mano libera nella gestione di orari e salari in fabbrica, innanzitutto la libertà di licenziare.
Il cerino resta dunque nella mano della burocrazia.
Maurizio Landini consuma la crisi della propria linea. Tutta la sua politica nell'ultimo anno ha mirato alla concertazione col governo, di cui la CGIL è oggi il principale sostegno. Gli accordi stipulati con il padronato sulla sicurezza per bloccare gli scioperi di marzo videro il governo come garante per volontà della CGIL. Confindustria ne fu la beneficiaria, più che il diretto soggetto negoziale. E del resto la trattativa tra imprese e prefetture, che l'accordo stesso prevedeva, lasciava ai padroni mano libera, con tutto ciò che questo ha comportato. Ma ora Confindustria non vuole più stare nel ruolo di terzo incomodo, perché punta al tavolo di comando di ogni negoziato; chiede soprattutto che il negoziato avvenga attorno alla propria piattaforma generale. Confindustria vorrebbe a questo fine la sponda forte di un governo Draghi al posto del claudicante governo Conte. Ma la presenza di un governo fragile non solo non spinge i padroni a indietreggiare, ma li motiva una volta di più a fare di testa propria.
Ciò non significa che il padronato persegua una linea di scontro con la burocrazia. Il timore di una rivolta sociale continua a tormentare i padroni. Le direzioni sindacali possono essere decisive per disinnescarla. Da qui la proposta loro rivolta di una riedizione aggiornata del patto per la fabbrica che coinvolga i sindacati nell'offensiva antioperaia. L'unico dato certo è la volontà dei padroni di vincere.
CLASSE CONTRO CLASSE
Su questo terreno generale si pone oggi l'esigenza del fronte unico di classe. Se il padronato stringe le file attorno alla propria piattaforma, la classe operaia deve rispondere con una politica uguale e contraria. La parola d'ordine imposta dallo scenario politico è quella della più ampia unità d'azione di tutte le organizzazioni di classe, sindacali e politiche, attorno ad una piattaforma di lotta indipendente dei lavoratori, che punti a ricomporre attorno a sé un blocco sociale alternativo.
Tredici milioni di lavoratori e lavoratrici, su diciassette milioni di salariati, sono in attesa di contratto: dieci milioni nel privato, tre milioni nel pubblico, complessivamente una forza enorme. Questa forza va usata. Per usarla è necessario unirla attorno a rivendicazioni comuni che travalicano i confini di categoria e rispondono a un interesse generale.
Blocco dei licenziamenti. Nazionalizzazione delle aziende che licenziano senza indennizzo per i grandi azionisti e sotto controllo operaio. Ripartizione generale del lavoro che c'è attraverso una drastica riduzione dell'orario a parità di paga (30 ore pagate 40). Un grande piano di nuovo lavoro in opere sociali di pubblica utilità a partire dalla sanità, dalla scuola, dall'ambiente. Tassazione progressiva delle grandi ricchezze finanziarie e immobiliari.
Un programma troppo radicale? Non è meno radicale del programma di Bonomi e dei padroni. Semplicemente, è di segno opposto. Classe contro classe, forza contro forza. La burocrazia sindacale farà di tutto per evitare uno scontro sociale pur di sostenere un governo borghese traballante e recuperare le buone relazioni coi padroni. I padroni faranno di tutto per usare la burocrazia sindacale come ammortizzatore delle lotte, come già nella scorsa primavera. Il governo farà di tutto per custodire l'appoggio politico della burocrazia sindacale. Ogni attore svolgerà il proprio ruolo nella partita che si apre. Ma non tutto può essere sempre deciso nelle alte sfere. A volte è l'irruzione di una lotta dal basso che può rompere i piani e squadernare il gioco. Di certo solo per questa via si può aprire il varco per un nuovo scenario politico.
Come Partito Comunista dei Lavoratori ci impegneremo in ogni lotta e in ogni fronte unitario di avanguardia per sostenere la proposta del fronte unico di classe e di massa nella prospettiva di una alternativa anticapitalista. L'unica alternativa vera.