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Dal ghetto postcoloniale alla rivolta. Un'analisi di classe

 


Per una lettura della rabbia delle banlieue senza incantamenti o pregiudizi

4 Luglio 2023

«Vi libererò da questa spazzatura umana, dalla canaglia»: così dichiarò nel 2005 il presidente francese Sarkozy di fronte alla rivolta delle banlieue causata dalla morte di due giovani braccati dalla polizia. Diciotto anni dopo, l'assassinio poliziesco di un giovane arabo, Nahel, ha innescato una rivolta analoga. Con alcune differenze. L'età media della «canaglia» è di diciassette anni, la stessa età di Nahel, sensibilmente più bassa di quella di allora. L'uso dei social ha consentito una propagazione della rivolta incomparabilmente più rapida. La sua estensione geografica è più ampia.

La violenza della polizia ha agito come allora quale fattore scatenante. La polizia francese si porta dietro la lunga eredità della tradizione gollista, mano pesante e grilletto facile. In larga parte della società è radicato non a caso un robusto sentimento antipoliziesco.
Ma non è solo questione di tradizioni antiche. La polizia francese ha rafforzato in questi anni i propri poteri. Le leggi eccezionali varate a Parigi dopo gli attentati stragisti del terrorismo islamista dell'ISIS, votate purtroppo da tutte le sinistre parlamentari, hanno accresciuto nettamente le prerogative poliziesche in fatto di gestione dell'ordine pubblico. Nel 2017 sotto la presidenza di “sinistra” di Hollande è stata varata una legge che incoraggia l'uso delle armi da parte degli agenti contro veicoli in movimento “potenzialmente minacciosi”. Il risultato è che il tiro poliziesco su bersagli simili si è moltiplicato da allora per cinque, col relativo carico di sangue.
L'assassinio di Nahel è l'ultima goccia di questo stillicidio. Ma lo stillicidio non è socialmente neutro: i quartieri ghetto delle banlieue sono stati il poligono di tiro preferito.

Le banlieue francesi sono a tutti gli effetti un deposito postcoloniale. I giovani che le popolano sono figli e nipoti degli immigrati di seconda e terza generazione, giovani francesi di estrazione algerina, marocchina, tunisina, ma anche giovani di colore provenienti indirettamente da Guyana, Nuova Caledonia, Guadalupa, tuttora colonie del democratico imperialismo francese, oppure dai territori dell'area francofona dell'Africa subsahariana, quella oggi insidiata, per intenderci, dalla concorrenza dell'imperialismo russo.

Queste banlieue sono autentici ghetti. I giovani che le abitano hanno un tasso di disoccupazione doppio o triplo rispetto alla media (oltre il 40%), raramente dispongono di strutture sociali di appoggio, sono esposti spesso ai ricatti della malavita e dello spaccio, e alla nomea del quartiere in cui vivono. La banlieue diventa per loro a tutti gli effetti uno stigma sociale, un problema aggiuntivo nel trovare un lavoro o una casa, ma anche una ragione dell'assillante pressione poliziesca. Infinite perquisizioni, retate quotidiane, vessazioni umilianti senza motivo, se non appunto il ghetto di provenienza, e l'etnia araba o il colore che lo segnala. Un po' come la popolazione di colore in tante periferie metropolitane USA.

La polizia si esercita quotidianamente nel tormentare i giovani delle banlieue. E i giovani ravvivano quotidianamente il proprio odio contro la polizia. L'omicidio di Nahel ha fatto da stura a questo sentimento radicato, su entrambi i lati, al punto che mentre i giovani dei quartieri si sollevano contro la polizia, i sindacati più reazionari della polizia (Alliance) non solo difendono l'agente omicida ma si dichiarano in guerra contro la canaglia, e chiedono al governo nuovi poteri.

La rivolta della banlieue assume per lo più forme primitive e indifferenziate. Si indirizza non solo contro le caserme e le camionette della polizia, ma anche contro negozi, vetture private, e persino biblioteche e scuole. Obiettivi sbagliati.
Non apparteniamo a quella cultura che subisce il fascino estetico della violenza indifferenziata, tipica di alcune tradizioni anarchiche o autonome. Così come certo non apparteniamo, all'opposto, a quella cultura riformista che col ditino alzato pretende dagli oppressi buone maniere nel rispetto delle istituzioni (come nel caso dei dirigenti del Partito Comunista Francese, che prima votano le leggi di polizia e poi si associano agli appelli alla calma e alla “responsabilità repubblicana”). Qui non si tratta di giudicare un fenomeno sociale, ma di comprenderlo, e soprattutto di rapportarvisi da un punto di vista di classe e rivoluzionario. Una rivolta contro l'oppressione dello Stato borghese contiene sempre, in ultima analisi, un potenziale positivo. Ma non sempre quel potenziale trova un punto di riferimento e una traduzione progressiva. Non sempre segna l'ascesa della marea di massa. Molto dipende dalla dinamica della lotta di classe che le fa da sfondo, e dalla presenza o meno di una direzione politica che intervenga sulla sua coscienza.

L'attuale rivolta delle banlieue francesi non descrive una nuova ascesa della lotta di classe in Francia. Piuttosto riflette il combinarsi oggettivo di due elementi contraddittori: la ritirata del movimento di massa contro la riforma pensionistica, per responsabilità delle burocrazie sindacali e delle sinistre riformiste subalterne a queste, e al tempo stesso l'incancrenirsi della frattura profonda nella società francese.
L'ultimo decennio di vita politica francese è stato solcato da ripetute dinamiche di opposizione di massa al governo. È stato così nel 2017 con la grande mobilitazione di classe contro la legge Khomri, il Jobs act francese. Poi col movimento spurio e contraddittorio dei gilet gialli nel 2019. Poi ancora nel 2023 con la ripresa del forte movimento di massa contro Macron e la sua riforma delle pensioni. Il lascito di queste dinamiche, diverse tra loro, è stato l'odio crescente contro il governo dei ricchi. Macron è stato ed è il manifesto in persona del governo dei ricchi nella percezione di una larga massa popolare. Il suo ripetuto ricorso alla polizia nel contrasto del conflitto sociale ha rafforzato il sentimento antigovernativo e antipoliziesco in ampi settori popolari. La rivolta delle banlieue pesca anche indirettamente in questo retroterra, seppur in forma confusa e contraddittoria.

Ma la vergognosa ritirata delle burocrazie sindacali dallo scontro con Macron sulle pensioni, e l'arretramento che ne è seguito, ha impedito al movimento operaio di dare alla rivolta delle banlieue un riferimento di classe e un indirizzo, di dirottare sul terreno di classe la pulsione ribellistica che in essa si esprime.
Tutto questo non è senza conseguenze politiche. Macron ha ripreso ossigeno e spazio di manovra. Le Pen esce dalla sua marginalità e cerca oggi un rilancio nella invocazione dell'ordine pubblico (nel mentre promette parallelamente la cancellazione dell'odiata riforma pensionistica di Macron, una volta eletta presidente della Francia). Oltre una certa soglia, una domanda d'ordine si affaccia nelle stesse periferie presso importanti settori di piccola borghesia e di popolazione povera, colpiti o danneggiati dagli effetti della rivolta (macchine e servizi distrutti) e al tempo stesso privi di una prospettiva ed impauriti. La raccolta di fondi attivata da gruppi di estrema destra a favore del poliziotto omicida supera di gran lunga quella promossa a sostegno della famiglia di Nahel. Sono sintomi indicativi. Quando una lunga stagione di mobilitazioni di massa rifluisce senza apparenti risultati per responsabilità preminente degli apparati burocratici si può produrre nel sentimento pubblico un effetto di rimbalzo di segno opposto. Le Pen si candida a capitalizzare sul terreno reazionario l'ostilità a Macron e il fallimento della sinistra.

Il tema del rilancio dell'azione di classe e di massa del movimento operaio francese si unisce allora più che mai alla necessità di un cambio nella sua direzione sindacale e politica. Solo una direzione anticapitalista può mettere il proletariato francese nelle condizioni di egemonizzare i confusi sentimenti di rivolta di ampi settori giovanili. In sua assenza, tutto rischia di rotolare a destra tra le braccia del partito dell'ordine.

Partito Comunista dei Lavoratori