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La fine di Rizzo tra le braccia di Alemanno

 


Dallo stalinismo al rossobrunismo. Le basi culturali di una deriva

Il pubblico abbraccio con Gianni Alemanno e il suo "Forum per l'Indipendenza Italiana” ha completato la parabola politica di Marco Rizzo. Per parte nostra nessuna sorpresa. Avevamo denunciato da tempi non sospetti, spesso soli, la valenza politica reazionaria delle posizioni da questi assunte: difesa della sovranità nazionale dell'imperialismo italiano, rivendicazione dei valori tradizionali della famiglia, contrapposizione agli immigrati e ai loro diritti, opposizione ai vaccini... Un impasto indigeribile che già delineava l'approdo rossobruno. Il blocco di Rizzo con variopinte destre sovraniste (Ancora Italia, Riconquistiamo Italia, Italia Unita...) in occasione delle ultime elezioni politiche lo ha esplicitato. L'incontro ultimo con Alemanno, erede ortodosso della tradizione missina neofascista, lo ha infine celebrato nella forma più clamorosa.


Potremmo limitarci a guardare la vicenda da un'angolazione, per così dire, antropologica, in riferimento alle caratteristiche della persona. Trasformismo spregiudicato, ambizioni istituzionali debordanti, estrema spregiudicatezza manovriera, assenza teorizzata di principi, posture misogine evidenti... Sono tutti ingredienti di un sottotraccia “culturale” che ha sorretto l'incessante peregrinazione di Marco Rizzo nell'arco di trent'anni: prima da dirigente di Rifondazione Comunista il sostegno al governo Prodi e alle sue peggiori misure antioperaie (lavoro interinale, record di privatizzazioni, campi di detenzione per i migranti...) al fianco di Bertinotti, Cossutta, Ferrero; poi la scissione a destra di Rifondazione a fianco di Cossutta e Diliberto con la fondazione del Partito dei Comunisti Italiani, per sostenere i governi D'Alema e Amato (inclusi i bombardamenti NATO su Belgrado); poi il pubblico e ostentato sostegno a Romano Prodi quale presidente della Commissione Europea nelle vesti di capogruppo del PdCI ,a Strasburgo; poi la rottura col PdCI di Diliberto in reazione alla propria marginalizzazione di ruolo e la nascita di Comunisti-Sinistra Popolare (poi Partito Comunista); poi la riverniciatura a sinistra del proprio profilo pubblico con l'improvvisa conversione a un apparente ultrasinistrismo (“sinistra e destra pari sono”, rifiuto di ogni unità d'azione a sinistra); infine la deriva rossobruna con la rottura di ogni (formale) riferimento di classe, nel nome del “popolo” e dell'interesse nazionale. Ognuna di queste stagioni ha pescato nella vocazione avventuriera del soggetto. Uno, nessuno, centomila, così è se vi pare. A caccia di una telecamera o di un taccuino purchessia.

Eppure una lettura esclusivamente antropologica risulterebbe riduttiva. Il fenomeno rossobruno va al di là di Marco Rizzo e dei confini nazionali. Lo testimonia la recente scissione a destra di Die Linke in Germania da parte di Sara Wagenknecht. nel nome del respingimento dei migranti e di un'apertura all'estrema destra di AfD. Lo rivela più in generale lo slittamento campista a sostegno dell'imperialismo russo e cinese di settori significativi dell'ambiente stalinista internazionale in diversi paesi e continenti. Ovviamente non tutta l'area campista approda nel rossobrunismo. Ma certo quest'ultimo attecchisce per lo più proprio all'interno dell'area campista, dentro una cultura che rimuove ogni argine classista nel nome del primato della geopolitica. Ne è un esempio la cosiddetta Piattaforma mondiale antimperialista, un'area internazionale di matrice stalinista che aggrega diversi soggetti rossobruni, da Vanguardia Espanola (che rivendica la colonizzazione spagnola dell'America) al Partito Nazional-Bolscevico di Russia (che esalta lo sciovinismo grande-russo, e naturalmente l'invasione dell'Ucraina).

Non è un caso se è proprio l'ambiente politico culturale di estrazione staliniana a essere maggiormente esposto al fenomeno. Sia perché la traiettoria storica dello stalinismo, nella sua dinamica di svolte e contro svolte, ha più volte incrociato stagioni rossobrune: come in occasione del patto sciagurato fra Hitler e Stalin del 1939-1941, quando l'intero movimento comunista internazionale fu costretto a celebrare la Germania nazista nel nome di comuni valori popolar-nazionali e della comune avversione alle vecchie democrazie plutocratiche. Sia perché da un punto di vista più generale la rottura staliniana con l'internazionalismo proletario nel nome delle “vie nazionali” e delle tradizioni nazionali ha fornito un retroterra culturale, seppur indiretto, alle conversioni più spregiudicate: nel Partito Comunista Francese degli anni '30 il passaggio dallo stalinismo al fascismo di Jacques Doriot nel nome della nazione francese fu paradigmatica. Quando si rompe l'ancoraggio internazionalista ogni deriva diventa possibile.

Potremmo dire che la biografia di Marco Rizzo ha in fondo ricalcato in sedicesimo quella di un Jacques Doriot: dal governismo borghese del fronte popolare all'approdo estremo del rossobrunismo. Evidentemente la mala pianta dello stalinismo non ha cessato di generare figli postumi. La differenza è che un tempo fu tragedia, oggi semplicemente una farsa.

Partito Comunista dei Lavoratori