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 In un vile tentativo di intimidazione, i sionisti hanno attaccato in acque tunisine una delle navi della flottiglia umanitaria. Nonostante l'esplosione causata dall'aggressione, l'equipaggio è al sicuro.


La nave su cui navigano Greta Thunberg, Thiago Saif e parte del Comitato Direttivo della Global Sumud Flotilla (GSF) è stata colpita dall'attacco di un drone in acque internazionali. Secondo il comunicato ufficiale della GSF, una delle imbarcazioni principali, la Family Boat, che naviga sotto bandiera portoghese, «ha subito danni causati dal fuoco sul ponte principale e nell'area di stoccaggio sottocoperta» dopo essere stata bombardata da un drone.

Secondo le prime informazioni, «i sei passeggeri e l'equipaggio sono al sicuro». Inoltre, il comunicato ufficiale precisa che «è in corso un'indagine e, non appena saranno disponibili ulteriori informazioni, queste saranno rese note immediatamente».

«Gli atti di aggressione volti a intimidire e far fallire la nostra missione non ci dissuaderanno. La nostra missione pacifica di rompere l'assedio di Gaza e portare solidarietà al suo popolo continua con determinazione e fermezza». Nonostante il vile attacco, la flottiglia rimane salda nella sua missione di rompere l'assedio sionista al popolo palestinese che si trova a Gaza.

Celeste Fierro, che fa parte della flottiglia ma si trova su un'altra imbarcazione (Adara), è in viaggio verso la Tunisia, dove si trova un'altra parte della flottiglia.

Il sionismo e i suoi alleati stanno cercando di sabotare questa missione umanitaria, che intende rompere l'embargo illegale e portare cibo a Gaza. Di fronte a questa minaccia, dobbiamo raddoppiare la mobilitazione e la solidarietà internazionale.

Periodismo de Izquierda - MST
https://periodismodeizquierda.com/global-sumud-flotilla-el-sionismo-ataca-con-un-dron-a-uno-de-los-barcos/

Chat Control: il Parlamento Europeo vota la sorveglianza di massa


 Il Chat Control 2.0 verrà votato il 14 ottobre. Una legge figlia di giri e intrighi del capitalismo euro-statunitense e delle forze di polizia nazionali: la sorveglianza di massa interessa alle lobby, ai funzionari europei e ai governi nazionali che si sfregano le mani

CHE COSA RENDE SICURE LE COMUNICAZIONI ONLINE?

Il 6 luglio del 2021 si istituisce il Chat Control 1.0, cioè una legge europea che permette ai fornitori di servizi di messaggistica e di e-mail di effettuare controlli volontari sugli scambi di messaggi e di e-mail dei loro utenti.
Oggi la privacy delle comunicazioni online viene garantita principalmente tramite il protocollo di crittografia end-to-end, utilizzata dalla maggior parte dei servizi. La crittografia end-to-end garantisce che un messaggio possa essere letto solo dal mittente e dal destinatario, perché solo i loro dispositivi hanno la chiave crittografica che permette di poterli decifrare e leggere. Questa chiave non è in mano all’azienda, ed è invece generata e conservata direttamente sui dispositivi dei due utenti che messaggiano. Come la chiave di un caveau, permette di accedere alla corrispondenza elettronica.

Perché questi messaggi possano essere letti dalle aziende, dalle autorità o dai governi – e comunque da un terzo soggetto tra mittente e destinatario – è necessario sviluppare algoritmi con chiavi alternative (chiavi di backup) possedute dalle autorità, o master password che permettono di accedere comunque alla conversazione.
La chiave crittografica in una conversazione end-to-end, in assenza di ciò, garantisce la riservatezza della comunicazione. Aziende come WhatsApp non possono in alcun modo decifrare le chat, e creano invece profitto vendendo i metadati, cioè i dati delle comunicazioni (come gli orari dei messaggi, le abitudini degli utenti, la loro posizione, le loro preferenze, ecc…). Alcune aziende che non usano la crittografia end-to-end.
Alcuni servizi come Telegram (eccetto se si utilizzano le chat segrete) conservano i messaggi con una crittografia client-server e server-client.

Ciò significa che l’azienda detiene la chiave e ha la possibilità di decrittograffare i messaggi. Per evitare che i governi facciano pressione affinché questa chiave gli venga fornita per scopi di sorveglianza, hanno comunque creato dei metodi superiori di sicurezza che fanno sì che la chiave sia di fatto irrintraccabile. Era il caso di Telegram, il cui CEO Pavel Durov venne arrestato a Parigi nell’agosto del 2024. Il suo rilascio è avvenuto solo sotto garanzia di offrire maggiori garanzie alle autorità rispetto all’introduzione di meccanismi di “moderazione” dei contenuti all’interno del servizio del capitalista russo.

In gergo si dice che una chiave crittografica permette di decrittografare le comunicazioni. Questa è una via attraverso cui può avvenire la sorveglianza, ma pone spesso alle autorità una serie di problemi di natura tecnica e logistica. L’alternativa è aggirare il problema della crittografia, accedendo alle comunicazioni ancora prima che vengano inviate e crittografate, cioè quando si trovano ancora nel dispositivo del mittente.

L’11 maggio 2022 la Commissaria Europea per gli affari interni Ylva Johansson presenta il Regolamento per la prevenzione e la lotta contro l’abuso sessuale su minori (CSAM), o Chat Control 2.0. Il Chat Control 2.0 è il possibile erede del blando, eppure già spaventoso, Chat Control 1.0.


CHE COS’È IL CHAT CONTROL?

La prima versione del CSAM, o Chat Control 2.0, venne dunque presentata nel 2022. Proponeva il monitoraggio e la scansione di tutte le comunicazioni tramite software di intelligenza artificiale. La novità è che al principio di volontarietà si sostituisce l’obbligo per i fornitori di servizi di messaggistica (come WhatsApp, Telegram, Instagram, Facebook, ecc…) e di servizi e-mail al controllo delle comunicazioni. Il controllo avviene, inoltre, lato client: cioè sul dispositivo del mittente, aggirando i problemi di decrittografazione del messaggio.

La proposta, dal 2022, ha subito rallentamenti e rivisitazioni. I rallentamenti sono dovuti per lo più a questioni di carattere tecnico [1] e di carattere etico [2]. Tra le varie versioni del CSAM proposte nel suo cammino lungo tre anni, ci sono state proposte più blande e meno blande. La più ‘moderata’ è stata la proposta belga che propone la scansione volontaria di foto, video e URL condivisi previo consenso dell’utente. La proposta danese è la più radicale di tutte.

Il Partito Pirata è un partito di attivisti che lottano per la libertà di circolazione della conoscenza, per la diffusione dei software liberi e open source contro i software privati, per la collettivizzazione e neutralità della rete, contro la sorveglianza di massa e contro le Big Tech. Per Patrick Breyer, esponente europeo del Partito Pirata «Questa proposta prevede la scansione di massa obbligatoria delle comunicazioni private e mira a compromettere la crittografia sicura, imponendo la scansione lato client all’interno delle app di messaggistica. È significativo che account governativi e militari saranno esentati da questa sorveglianza invadente e inaffidabile» [3].

Sarebbe come se i Carabinieri potessero accedere alla camera da letto di ognuno in ogni momento, senza sospetti né mandati d’arresto, e senza che nessuno se ne possa nemmeno accorgere.
Con questa riforma radicale dei metodi di comunicazione, sarebbe inoltre molto più facile per degli intrusi (i cosiddetti bad actors) accedere ai messaggi degli utenti, cercando falle negli algoritmi che a quel punto gli permetterebbero di accedere direttamente ai contenuti delle chat.


TU CERCA CHI NE TRAE BENEFICIO E…

A maggio 2022, poche settimane prima della proposta formale del CSAM al Parlamento Europeo, il commissario per gli affari interni dell’UE Ylva Johansson contattò l’azienda statunitense Thorn. Thorn sviluppa sistemi di intelligenza artificiale (AI) e in particolare strumenti AI capaci di individuare immagini di abusi sessuali su minori online. Chatal Delaney è un ex funzionario dell’Europol (agenzia europea per la lotta al crimine) che ha lavorato al progetto pilota per il rilevamento di abusi su minori tramite AI. Dopo la sua esperienza all’Europol, entra a far parte di Thorn e in un incontro con la stessa Europol presenta un prodotto AI della sua nuova azienda [4].

Nel registro lobbystico dell’UE per la trasparenza ci sono poche tracce di Thorn. Ha avuto un solo contributo di 219.000 euro nel 2021 da parte della WeProtect Global Alliance. WeProtect era inizialmente una alleanza co-fondata dagli USA e dalla Gran Bretagna.

Nel 2020 è stata trasformata in una fondazione che sulla carta è privata e indipendente dai governi, con sede nei Paesi Bassi. Tra i suoi membri figurano potenti agenzie di sicurezza nazionali, funzionari di numerosi governi, manager di aziende della Big Tech, ONG e Antonio Labrador Jimenez, uno dei funzionari di gabinetto di Ylva Johansson e incaricato alla lotta all’abuso sessuale sui minori, dunque al CSAM. WeProtect stessa ha dichiarato di essere guidata «da un comitato di politica globale multi-stakeholder; membri includono rappresentanti dei paesi, organizzazioni della società internazionale e civile e dell’industria tecnologica» [5].

Douglas Griffiths è un altro membro del consiglio di amministrazione di WeProtect, ed ex funzionario del Dipartimento di Stato degli USA. Attualmente è anche presidente della Oak Foundation di Ginevra, fondazione che raccoglie organizzazioni filantropiche di tutto il mondo e che ha fornito supporto per le comunicazioni a WeProtect.

Oak Foundation finanzia inoltre una serie di organizzazioni ombrello che fanno pressione a favore della legislazione CSAM. Una di queste è la European Child Sexual Abuse Legiscourse Advocacy Group (ECSALAG), che ha nel suo comitato direttivo anche Thorn, oltre a una serie di organizzazioni per i diritti dei bambini. La Oak Foundation ha donato a Thorn 5 milioni di dollari, e altre centinaia di migliaia di dollari ad altre organizzazioni nella sua orbita, per coinvolgere i responsabili politici entro una legislazione contro la crittografia end-to-end col fine dichiarato di tutelare i bambini dagli abusi online. Eppure, fornendo possibilità strutturali di aggirare la crittografia end-to-end, si rende più facile a tutti accedere ai dispositivi.

Nel 2022 la Oak Foundation finanzia ancora la WeProtect con 2,33 milioni di dollari «per riunire governi, settore privato, società civile e organizzazioni internazionali per sviluppare politiche e soluzioni che proteggano i bambini dallo sfruttamento e dagli abusi sessuali online».

Da questa ondata di beneficienza illuminata che ha creato una rete rodata di grandi capitali e di figure politiche di spicco del mondo borghese Occidentale, è stata però estromessa ‘Offlimits’, più nota come ‘Online Child Abuse Expertise Agency’, la più antica linea per la segnalazione di abusi su minori e adulti. Nonostante l’esperienza decennale in materia di raccolta delle segnalazioni e di tutela dei soggetti a rischio o abusati. Ylva Johansson non sembra aver tenuto conto delle richieste dell’ex deputato olandese Arda Gerkens di attivare dei contatti con la Offlimits, preferendo i contatti con il mondo del Big Tech statunitense.

Pressioni di gruppi capitalistici statunitensi, pressioni di governi nazionali europee (e delle relative forze di polizia) e legami profondi tra gli uni e gli altri, nascosti dietro ONG e presunti gruppi filantropici. Questi soggetti internazionali stanno spingendo, ad ora, per l’approvazione del Chat Control 2.0.


IL PARLAMENTO EUROPEO AL VOTO A OTTOBRE

Il 14 ottobre 2025 è prevista l’approvazione del Chat Control 2.0 da parte dei ministri dell’interno dell’UE. Dopodiché si svolgeranno i negoziati trilaterali tra Commissione, Parlamento e Consiglio per redigere il testo finale della legislazione Chat Control 2.0 e arrivare all’approvazione definitiva.

Al momento gli Stati europei a favore sono la maggioranza, e ben 15 su un totale di 27. Gli Stati membri contrari sono solo 6, e altrettanti sono gli Stati ‘indecisi’. Va però considerato che tra i ‘contrari’ e gli ‘indecisi’ sono tanti gli Stati che non hanno posizioni contrarie ai princìpi della legge sulla sorveglianza di massa. La loro posizione rispecchia invece delle questioni di forma della legge, o implicazioni secondarie. In ogni caso, la probabilità che la legge venga approvata è al momento molto alta.

Dopo decenni di leggi all’avanguardia mondiale in materia di tutela delle comunicazioni online, figlie della mobilitazione di attivisti di tutto il continente, l’Unione Europea capitola alle pulsioni politiche ed economiche del suo nuovo corso, stringendo la morsa attorno al collo delle libertà fondamentali. Dopo aver storto il naso davanti al securitarismo distopico della Cina e al subdolo controllo della vita sociale di marca statunitense, nonché ai rozzi metodi autoritari di censura nella Russia putiniana, anche l’UE si appresta a tutelare i propri interessi di stabilità politica e i rapporti sotterranei con le grandi aziende tech.

Non è la prima volta che i governanti utilizzano la paura per legiferare il controllo e la repressione. Lo abbiamo visto, in Italia, quando al percepito pericolo della violenza nelle città ha fatto seguito l’istituzione delle zone rosse e il DL ‘Sicurezza’.
Quest’ultimo già permette, ora, profondi abusi da parte delle forze di polizia rispetto al materiale considerato pericoloso per l’ordine e la sicurezza pubblica, anche se fosse un file PDF conservato nella memoria del proprio computer.

Mentre gli europarlamentari italiani non hanno espresso posizioni esplicite sull’argomento, sembra che il Governo Meloni guardi positivamente al Chat Control 2.0. Sarebbe un passo in avanti che ben si sposerebbe con il progetto nazionale di sorveglianza, controllo e repressione già in atto. D’altra parte anche Marianna Madia, PD, chiede di rispolverare, discutere e approvare una legge bipartisan per regolare l’accesso ai social e a internet in Italia [6].


I MEDIA PER LA COSTRUZIONE DEL CONSENSO

Sarà forse un caso, eppure curioso, che a meno di due mesi dal giorno dell’approvazione del Chat Control 2.0, i media di regime stiano offrendo ampia copertura a due scandali online che smuovono proprio i sentimenti di insicurezza rispetto al possibile abuso persino di persone vicine. È successo in pochi giorni prima con il vomitevole gruppo Facebook ‘Mia Moglie’ [7] e poi con il forum ‘Phica.eu’ [8]. Il primo gruppo fa parte di una piattaforma che giornalmente censura con molta facilità contenuti che hanno a che fare con la Palestina. Il secondo chiude invece dopo ben venti anni di attività passati impunemente, che hanno permesso all’azienda madre di fatturare oltre un 1,3 milioni di euro.

Sembra che tutto sia votato, ancora, a costruire mediaticamente un ‘casus belli’ utile a giustificare una legiferazione che più che risolvere i problemi, mira invece a dar la sensazione di risolverli per risolverne altri. Problemi più attinenti alle necessità securitarie del Governo, che alla sicurezza dei bambini e dei soggetti potenzialmente vittime di abusi.

Sembra che i media stiano tentando di svegliare pulsioni emotive che di solito ben si guardano di toccare. I media con la Rai da capofila strumentalizzano in maniera squallida, ancora una volta, le vittime di abusi.
Da una parte si risponde alle paure sociali con strumenti immediati e inadatti, dall’altra rispondendo a queste paure sociali i Governi sorridono alla possibilità di un controllo di massa senza precedenti.


COSTRUIRE UN’ALTERNATIVA OPERAIA, UN PARTITO COMUNISTA

Nonostante organizzazioni e partiti di stampo progressista come il Partito Pirata si stiano ben muovendo contro le tendenze autoritarie dell’UE, questi agiscono senza considerare la divisione in classi della società.
Purtroppo le tendenze autoritarie che combattono non sono riformabili perché l’Unione delle borghesie Europee non è riformabile. Quanto avviene per mano dei suoi funzionari, e per quanto scandaloso sia, risponde alla sua natura: consentire che gruppi di pressione dai grossi capitali possano pilotare le scelte politiche, che infine ricadono con maggior peso sulle classi oppresse e sulle loro lotte.

Le giuste resistenze di queste organizzazioni si scontreranno sempre, in fin dei conti, con la realtà dei fatti. Cioè che senza la costruzione di una piattaforma di lotta ampia, che riguardi innanzitutto l’organizzazione di un partito di massa dei lavoratori, ogni singola battaglia si risolve inevitabilmente entro il campo del sistema.

Solo un partito indipendente dagli organismi di governo delle classi borghesi, e un programma di transizione adatto, può unire le singole lotte affinché siano tutte irrimediabilmente utili a quella principale: l’abbattimento del capitalismo.

Un mondo in cui le aziende siano pubbliche e collettive, e le loro tecnologie siano sviluppate e utilizzate in maniera trasparente, per il bene comune e non per la repressione e il controllo di una manciata di uomini di potere sui lavoratori.
Un mondo in cui non possono esistere lobby di potere economico che costruiscono il proprio profitto sulla pelle degli abusati.


MOBILITIAMOCI!

Questo è l’ennesimo mattone della borghesia, che dopo il DL Sicurezza continua il suo accanimento contro le libertà sociali fondamentali a garanzia della repressione.

Perciò è necessario far convergere i percorsi già avviati e costruire in Italia e in Europa una mobilitazione contro la repressione e il controllo da una prospettiva anticapitalista e di classe.

Da qui a ottobre chiamiamo alla mobilitazione delle reti contro la repressione, già esistenti in Italia e in Europa, per costruire questo nuovo fronte di lotta sulla scia della mobilitazione contro l’infame DL Sicurezza.

Un nuovo fronte per combattere la stessa battaglia.




[1] Il servizio giuridico del Consiglio dell’UE nel 2023 bocciò la proposta per via dell’ambiguità del testo nel rapporto tra “l’abuso sessuale di minori” e la pretesa “sicurezza nazionale” del regolamento. Si veda: https://www.euractiv.com/section/tech/news/eu-councils-legal-opinion-gives-slap-to-anti-child-sex-abuse-law/

[2] Di particolare rilevanza è l’iniziativa del Partito Pirata. Per approfondire si veda la dettagliatissima pagina dell’europarlamentare Patrick Breyer: https://www.patrick-breyer.de/en/posts/chat-control/

[3] “L’UE rilancia il “Chat Control”: messaggi tutti nel mirino” di Patrizio Coccia. Si veda: https://global.techradar.com/it-it/computing/cyber-security/lue-rilancia-il-chat-control-messaggi-tutti-nel-mirino

[4] È l’inchiesta che è passata, pur sottotraccia, con il nome di ‘Chatcontrol-gate’. Si veda: https://pirati.io/2025/02/chatcontrol-il-mediatore-europeo-critica-la-porta-girevole-tra-europol-e-thorn-il-lobbista-della-sorveglianza-sui-messaggi/

[5] Il virgolettato è riportato su Balkan Insight. Si veda: https://balkaninsight.com/2023/09/25/who-benefits-inside-the-eus-fight-over-scanning-for-child-sex-content/

[6] Età minima sui social e verifica obbligatoria con SPID. La proposta bipartisan in Parlamento. Madia: “Cosa dobbiamo aspettare ancora per approvarla?” di Andrea Carlino. Si veda: https://www.orizzontescuola.it/eta-minima-sui-social-e-verifica-obbligatoria-con-spid-la-proposta-bipartisan-in-parlamento-madia-cosa-dobbiamo-aspettare-ancora-per-approvarla/

[7] Dopo migliaia di segnalazioni, Meta chiude il gruppo Facebook “Mia moglie”: 32mila iscritti si scambiavano foto di donne di F. Q. Si veda: https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/08/20/gruppo-mia-moglie-facebook-meta-chiuso-notizie/8099757/

[8] Il fatturato da oltre un milione di euro, l'amministratore italiano: chi c'è dietro "Phica.eu". Si veda: https://lespresso.it/c/attualita/2025/8/29/phica-sito-porno-chi-dietro-fatturato-amministratore-italiano/56490

Emerigo C.

Zohran Mamdani vince le primarie democratiche a New York

 


Buona notizia per l'affluenza, nessuna soluzione per la città

28 Giugno 2025

English version

Il 24 giugno il socialdemocratico Zohran Mamdani ha vinto le primarie del Partito Democratico per la carica di sindaco di New York City, anche se le vittoria è per ora ufficiosa, dato che le primarie hanno utilizzato il sistema di voto alternativo (voto a scelta classificata, ranked choice) e i risultati finali non saranno pubblicati prima del primo luglio.

Mamdani ha ottenuto il 43,5% dei voti di prima scelta; Andrew Cuomo, il suo avversario espressione dell'establishment del Partito Democratico, ha ottenuto il 36,4%; e Brad Lander ha ottenuto l'11,3% . Poiché Mamdani e Lander prima del voto si sono dichiarati sostegno reciproco, i voti di seconda scelta dati a Lander sarebbero presumibilmente andati a Mamdani, garantendogli la maggioranza. Piuttosto che prolungare l'umiliazione, Cuomo ha ammesso la sconfitta.

Mamdani ha basato la sua campagna elettorale su un programma di riforme municipali, tra cui il congelamento degli affitti per 1 milione di appartamenti a canone calmierato, l'abolizione delle tariffe sugli autobus, l'assistenza all'infanzia gratuita (o sovvenzionata), la creazione di negozi di alimentari di proprietà comunale nei cosiddetti “deserti alimentari”, e l'aumento del salario minimo nella città di New York a 30 dollari l'ora. La sua elezione ha dimostrato un ampio sostegno a tali misure.

Mamdani ha trentatré anni, è un musulmano di origini indiane e proviene da una famiglia benestante. Ha un passato di attivismo studentesco e locale, e di solidarietà con la Palestina. È membro dei Democrati Socialists of America (DSA). Nella sua campagna elettorale non ha messo in evidenza il suo attivismo e la sua appartenenza ai DSA, ma non li ha rinnegati.

La campagna di Mamdani ha fatto uso abilmente dei social media e ha coinvolto migliaia di giovani volontari. Mamdani ha ottenuto buoni risultati tra gli elettori bianchi, latini, asiatici e giovani, mentre non ha avuto lo stesso successo tra gli elettori neri, ebrei e anziani.

Mamdani ha buone possibilità di diventare sindaco di New York, a novembre, ma la sua vittoria non è certa. Il New York Times e il Washington Post sono i principali mezzi di informazione liberal (progressisti, ndt) della classe dirigente statunitense. Il Washington Post è di proprietà di Jeff Bezos, che possiede anche Amazon ed era l'uomo più ricco del mondo fino a quando Elon Musk non lo ha scalzato. Bezos potrebbe riconquistare il titolo di più ricco, dato che le buffonate politiche di Musk stanno trascinando Tesla verso il basso, e i suoi razzi Starship continuano a esplodere. Ecco il punto di vista capitalista liberal del Washington Post sulle elezioni di Mamdani, citato per esteso perché molto rivelatore:

«La vittoria di Zohran Mamdani è un male per New York e per il Partito Democratico. [titolo]

[...] Ora, un uomo che crede che il capitalismo sia un “furto” è in lizza per guidare la città più grande del Paese e la capitale finanziaria del mondo. Le sue idee principali sono “negozi di alimentari di proprietà della città”, gratuità dei trasporti pubblici, congelamento degli affitti su 1 milione di appartamenti regolamentati e aumento del salario minimo a 30 dollari. Senza dubbio queste potrebbero sembrare idee allettanti ad alcuni elettori. Ma, come per molte proposte dell'estrema sinistra americana, queste scelte danneggerebbero proprio le persone che dovrebbero aiutare.

Un salario minimo elevato avrebbe un effetto negativo sull'occupazione dei lavoratori poco qualificati. Il congelamento degli affitti ridurrebbe l'offerta di alloggi e ne diminuirebbe la qualità. Il taglio delle tariffe degli autobus creerebbe un buco nei finanziamenti dei trasporti pubblici che, se non venisse in qualche modo colmato, comprometterebbe il servizio. Nel frattempo, il settore alimentare opera con margini ridotti, e il progetto di negozi gestiti dalla città porterebbe probabilmente a una riduzione delle scelte, a un servizio scadente e a carenze di prodotti, poiché i negozi privati chiuderebbero piuttosto che cercare di competere con quelli sovvenzionati dalla città.

Mamdani in precedenza aveva chiesto di tagliare i fondi alla polizia e di smantellarla. Anche se ha moderato le sue posizioni, continua a opporsi all'assunzione di nuovi agenti.

Almeno una cosa Mamdani la ammette: il candidato vuole tasse ancora più elevate in una città dove sono già molto pesanti. Vuole un'imposta patrimoniale annuale del 2% sull'1% più ricco dei newyorkesi, e aumentare l'aliquota dell'imposta sulle aziende dallo 7,25% all'11,5%. La Grande Mela già soffre di fuga di capitali. Gli hedge fund e altri soggetti finanziari si sono trasferiti in luoghi più favorevoli alle imprese, come la Florida. I piani fiscali di Mamdani stimolerebbero un esodo delle imprese e spingerebbero più persone ricche a lasciare la città, minando la base imponibile e rendendo più difficile mantenere i servizi esistenti
».

I ricchi finanziatori e i media di establishment faranno pressione sul Partito Democratico affinché saboti la campagna di Mamdani negandogli il proprio sostegno e i propri finanziamenti. Cuomo e l'attuale sindaco democratico Eric Adams, entrambi candidati come indipendenti alle elezioni di novembre, potrebbero stringere un accordo in base al quale uno dei due si ritirerebbe a favore dell'altro.

Se Mamdani vincerà, dovrà affrontare grandi ostacoli. Egli propone di finanziare le sue riforme con una patrimoniale e un aumento delle tasse sul reddito d'impresa. Ma il sindaco non ha alcun controllo su nessuna delle due cose, e il governatore dello stato di New York Kathy Hochul ha escluso qualsiasi aumento delle tasse. Senza finanziamenti, le riforme di Mamdani sarebbero sconfitte dalle forze del mercato, e lui non durerebbe a lungo in carica.

Se la massa dei lavoratori e degli oppressi si mobilitassero, Mamdani potrebbe superare la resistenza dei capitalisti. Ma non siamo ancora in quel mondo.

In assenza di una mobilitazione di massa, Mamdani rischia piuttosto di diventare un altro Brandon Johnson, l'attuale sindaco di Chicago. Le credenziali di Johnson tra la base e gli elettori erano persino migliori di quelle di Mamdani, dato che è stato insegnante nelle scuole pubbliche di Chicago per molti anni e membro del sindacato Chicago Teachers Union (CTU). Accettando i limiti imposti dalla sua carica di sindaco, Johnson non è riuscito a portare avanti le sue riforme progressiste, ha deluso la sua base e avrà difficoltà a vincere un secondo mandato nel 2027.

La vittoria di Mamdani ha entusiasmato gli attivisti di base, che vogliono credere nella possibilità di ottenere riforme attraverso le elezioni, e rivendicano la conquista del Partito Democratico come partito del popolo. Avevano quasi rinunciato al loro impegno dopo le delusioni delle amministrazioni di Barack Obama e Joe Biden, le candidature di Hillary Clinton e Kamala Harris, il dietrofront di Bernie Sanders e l'integrazione di Alexandria Ocasio-Cortez e della Squad (gruppo di deputati e deputate vicini/e politicamente a Ocasio-Cortez, ndt) nell'ordine congressuale.

Il titolo di un articolo del 25 giugno di Liza Featherstone sul sito Jacobin coglie il cambiamento: «In un momento politico cupo, Zohran Mamdani offre speranza».

La vittoria di Mamdani conferma ciò che stiamo vedendo nelle grandi manifestazioni contro Donald Trump. Un gran numero di lavoratori e giovani vogliono opporsi e resistere. I marxisti rivoluzionari ripettano questo impulso. Allo stesso tempo, dobbiamo spiegare con pazienza che il Partito Democratico è un partito neoliberista e guerrafondaio. I loro politici sono costretti a scegliere tra acconsentire a ciò che sanno essere sbagliato o essere buttati fuori dai loro incarichi.

I marxisti rivoluzionari non dovrebbero candidarsi nel Partito Democratico né sostenere i democratici. Di conseguenza, è improbabile che i candidati che invece sosteniamo possano vincere le elezioni al di sopra del livello dei consigli comunali. Ma per noi, con l'attuale livello della lotta di classe, le elezioni servono a diffondere le nostre idee, non a conquistare cariche pubbliche.

Man mano che i lavoratori e gli oppressi si mobiliteranno, la situazione cambierà. I lavoratori in movimento chiederanno una rappresentanza politica, un partito di massa della classe lavoratrice. Le elezioni continueranno a riguardare principalmente la propaganda, ma l'elezione di lavoratori e rivoluzionari consentirà una maggiore diffusione di tale propaganda.

Le lotte decisive emergeranno dall'organizzazione sul posto di lavoro, nella comunità locali e nell'esercito, con manifestazioni, scioperi, picchetti, occupazioni e autodifesa organizzata. Per vincere, i lavoratori avranno bisogno di un partito rivoluzionario di massa, non solo di un partito che partecipa alle elezioni. Un discorso che dobbiamo iniziare.

Peter Solenberger

Verità per Ramy, ucciso dallo stato borghese


 Lo stato ha ammazzato Raiy Elgaml e cerca di salvarsi la faccia. Lo stato ha le mani sporche del sangue dei lavoratori e dei loro figli. Così prova a raccontarci che non è stato ammazzato un ragazzo di 19 anni per la violenza e la prepotenza con cui agiscono le sue forze dell'ordine, ma che è morto un ladro e che è morto un immigrato.

Lo Stato italiano non produce altro che morte e violenza, toglie tutto alle nuove generazioni e le accusa della loro rabbia. Questa mobilitazione è il chiaro esempio che tutto ciò non può più essere la normalità, e non si può più accettare.

Il Partito Comunista dei Lavoratori si schiera dalla parte di Ramy, della sua famiglia dei suoi amici. Continuerà a lottare perché gli oppressi di tutta Italia, che subiscono la stessa violenza da parte dello stato, prendano in mano gli strumenti per costruire un mondo in cui nessun uomo possa ammazzare un altro uomo! Un mondo senza più padroni, un governo dei lavoratori.

Partito Comunista dei Lavoratori

La crisi della Quinta Repubblica

 



La lotta per un governo dei lavoratori e delle lavoratrici

10 Luglio 2024

Il voto del secondo turno delle elezioni francesi ha rappresentato una sconfitta politica del fronte arcireazionario lepenista. Un fatto importante e un sollievo. Il radicato sentimento antifascista della maggioranza della società francese ha trovato nella stessa partecipazione al voto un suo riflesso. Le manifestazioni festose del popolo della sinistra per la sconfitta di Le Pen-Bardella sono dunque più che comprensibili, e le facciamo nostre.

Al tempo stesso, il voto espresso nel ballottaggio ha risvolti problematici per i lavoratori e le lavoratrici.
In primo luogo, il polo lepenista, pur vedendosi al momento sbarrato l'accesso diretto al governo, registra con dieci milioni di voti il più grande risultato della sua storia, consolidando il proprio blocco sociale reazionario. La sua minaccia resta dunque incombente sulla prospettiva.
In secondo luogo, la desistenza del Nouveau Front Populaire (NFP) a favore di 127 candidati macroniani ha favorito la tenuta di un centro borghese antioperaio nel Parlamento francese, non autosufficiente, certo più debole che nel 2022, ma consistente. L'elezione di Élisabeth Borne, già guida di governo nell'assalto contro le pensioni, e del famigerato ministro uscente degli Interni Gérald Darmanin, promotore delle peggiori leggi contro gli immigrati e di infami misure poliziesche, sono di per sé emblematici. Macron cercherà di far leva sulla presenza di questo blocco (seppur internamente variegato) per favorire soluzioni antioperaie della crisi politica e istituzionale, in continuità con gli indirizzi e interessi del grande capitale.

Grandi manovre sono peraltro cominciate per consentire la governabilità borghese della Francia. È la ricerca affannosa di una maggioranza parlamentare che possa reggere un futuro esecutivo a fronte di quattro blocchi distinti, privo ognuno di una maggioranza assoluta di seggi (NFP 182 seggi, Ensemble 168 seggi, RN 143 seggi, i Repubblicani 45 seggi).
Una situazione inedita sotto la Quinta Repubblica. Si affaccia in questo senso una girandola virtuale di ipotesi diverse: una maggioranza del cosiddetto “fronte repubblicano” che si fondi sulla coalizione tra macroniani, l'intero NFP e la destra gollista (che però oggi registra le opposte indisponibilità di Mélenchon e di un significativo settore macroniano); una maggioranza che punti sulla figura di Glucksmann (PS) per emarginare Mélenchon e LFI e liberare un'alleanza tra macroniani, socialisti, ecologisti e PCF, con l'aggiunta di un settore gollista (che però non avrebbe la maggioranza assoluta); una soluzione di governo tecnico basato sulla raccolta di tecnocrati del grande capitale e maggioranze parlamentari variabili (che però, essendo priva di una maggioranza definita, sarebbe esposta a tutte le incognite del caso).
L'unico fatto certo è che qualsiasi ipotesi di governabilità borghese si contrappone agli interessi dei lavoratori: il suo unico fine è garantire la continuità delle politiche di tagli sociali, di spese militari, di attacco ai diritti, dentro il quadro delle compatibilità dell'imperialismo francese e dell'Unione Europea. Non a caso la preoccupazione attorno alla prossima legge di bilancio è al centro del commentario politico dei circoli dominanti del paese.

L'opposizione ad ogni soluzione di governabilità borghese è dunque il primo compito dell'avanguardia classista del movimento operaio francese. È innanzitutto il terreno della mobilitazione attorno alle rivendicazioni centrali dei movimenti di questi anni, sul terreno del più ampio fronte unico di classe e di massa. Ma è anche il terreno di lotta per una prospettiva politica alternativa alla borghesia francese e ai suoi partiti.

I partiti del Nuovo Fronte Popolare si sono assunti negli anni pesanti responsabilità. Hanno governato ciclicamente contro il lavoro. Hanno coperto la burocrazia sindacale e la sua rinuncia a uno sciopero generale. Hanno contribuito non solo alle sconfitte della propria base sociale a tutto vantaggio dei capitalisti, ma hanno perciò stesso aratro il campo dell'espansione dell'estrema destra tra i salariati e in ampi settori di popolazione povera. La costruzione di un'alternativa di direzione del movimento operaio e dei movimenti di lotta resta più che mai una necessità centrale.

Ma la costruzione di un'egemonia alternativa non può prescindere dalla relazione viva con i sentimenti e le domande delle masse che lottano e che hanno lottato. Il Nuovo Fronte Popolare è oggi di fatto il riferimento largamente maggioritario di queste masse. I nove milioni di voti raccolti il 30 giugno non sono solamente voti antifascisti. Sono anche la misura di quella domanda di cambiamento e di svolta che in questi anni si è espressa nelle mobilitazioni contro la legge lavoro, contro l'aumento dell'età pensionabile, contro le leggi razziste, contro le misure e pratiche poliziesche, contro il sostegno allo stato sionista in solidarietà con la Palestina...

Si tratta allora di chiedere pubblicamente ai partiti del Nuovo Fronte Popolare non solo il rifiuto di ogni compromissione con i macroniani e con ogni forza borghese, ma l'intrapresa di una lotta vera per l'unica alternativa politica possibile: quella di un governo dei lavoratori e delle lavoratrici, basato sulla loro forza e sulla loro organizzazione. Un governo che realizzi tutte le domande di svolta, ben oltre le rivendicazioni minime del NFP. Un governo che rompa con la borghesia francese, i suoi partiti, le sue istituzioni. Che trasferisca nelle mani dei lavoratori le redini della società. Che imponga il controllo operaio, cancelli il debito pubblico verso le banche, nazionalizzi senza indennizzo le banche e le grandi aziende, sciolga i corpi repressivi dello Stato usati contro i lavoratori, dia l'immediata indipendenza alle colonie d'Oltremare.

La crisi profonda della governabilità borghese, e della Quinta Repubblica francese, pone del resto oggettivamente l'attualità della lotta per una prospettiva politica alternativa. Una alternativa di governo che può essere imposta solo dalla forza della mobilitazione, al di là del puro ambito parlamentare e istituzionale.

Saldare l'impegno immediato di mobilitazione a questo appello di lotta per la prospettiva di un governo dei lavoratori significa mettere alla prova i partiti del NFP agli occhi della loro base di massa, ampliare l'ascolto per un programma anticapitalista, allargare l'influenza politica dell'avanguardia di classe, lavorare alla costruzione del partito rivoluzionario.
Oggi come ieri la questione decisiva.

Partito Comunista dei Lavoratori

Unire le forze contro la guerra o dividerle?

 


La mobilitazione necessaria e i veti fuori luogo

24 Ottobre 2023

La manifestazione di Ghedi contro la guerra, convocata da un arco di organizzazioni che gravitano attorno al SICobas, ha visto i promotori opporre un secco e addirittura «sconcertato» rifiuto alla partecipazione del PCL.
Abbiamo giudicaro questo rifiuto politicamente sbagliato nel merito e assurdamente settario nel metodo.

In sostanza, con questa scelta i promotori hanno ritenuto opportuno delimitare la partecipazione a questa manifestazione non sulla base di rivendicazioni e parole d'ordine unificanti «contro la guerra, l’economia di guerra, il governo Meloni, la NATO», come recita l'appello di convocazione in apertura, ma sulla base di una comune identica analisi della natura del conflitto.

Prendiamo atto di questa modalità di costruzione e di mobilitazione, che evidentemente si ritiene efficace rispetto all'obiettivo che ci si propone.
Sarebbe semplice, da parte nostra, far notare la contraddizione fra il contenuto dell'appello (a partire dal titolo: «uniamo le nostre forze», «facciamo appello a tutte le realtà attive contro la guerra», «promuoviamo il 21 ottobre una mobilitazione nazionale unitaria»...) e la pratica del veto nei nostri confronti.
Così come sarebbe scontato far notare la presenza fra gli aderenti di organizzazioni (Potere al Popolo, USB [Brescia]) che ci risulta difficile far rientrare in quell'omogeneità di analisi e di posizionamento sull'Ucraina che a quanto pare era richiesta come condizione per poter partecipare alla manifestazione.

Quello che ci interessa maggiormente – il motivo principale per cui riteniamo deleteria la decisione presa dagli organizzatori – è far notare quanto questo atteggiamento sia controproducente rispetto ai fini, sterile rispetto al confronto, inefficace rispetto alle prospettive. È solamente per questo che pensiamo utile spendere ancora qualche parola.

Controproducente rispetto ai fini. Il periodo che si apre vedrà il tema della guerra sempre più all'ordine del giorno. È possibile, ed è auspicabile, che l'aumento delle tensioni interimperialiste, così come l'escalation nei teatri di guerra attuali (a cominciare dalla Palestina) e l'esplodere di nuovi conflitti, portino a mobilitazioni di massa contro la guerra anche in Italia.
Ciò vuol dire che potrebbero esserci manifestazioni contro la guerra convocate da organizzazioni come la CGIL, ARCI, ANPI, l'amplissimo e composito mondo delle varie sigle contro la guerra e dell'associazionismo in generale, ma anche da organizzazioni come i partiti della sinistra riformista in vario grado subalterni al PD.
Manifestazioni, cioè, che potrebbero eventualmente vedere il coinvolgimento non di avanguardie politiche e sindacali, ma di molte decine, se non centinaia, di migliaia di lavoratori, giovani, singoli che decideranno (magari per la prima volta in vita loro) di scendere in piazza.

Che cosa deve fare una forza di classe e anticapitalista in questo scenario? Quale deve essere il suo atteggiamento nei confronti di questi settori, di queste organizzazioni?
Noi pensiamo che sarebbe non solo sbagliato ma politicamente criminale voltare loro le spalle, o anche solo stare ai margini.
Stare ai margini di un eventuale movimento del genere avrebbe il solo effetto di non disturbare il manovratore, cioè in questo caso di consentire che la mobilitazione avvenga sotto l'indisturbata guida del pacifismo piccolo-borghese.

Una mobilitazione contro la guerra può essere efficace, e persino vincente, se modifica i rapporti di forza, se incrina il fronte guerrafondaio, se pone un argine alla narrazione e ai misfatti delle classi dominanti. E la forza per conseguire tali obiettivi – nella pratica, non solo nella propaganda – risiede solamente nella potenza messa in campo dai grandi numeri, cioè dalle masse.
Qualsiasi considerazione, per noi, muove da questo principio.
Ma se si intende parlare alle masse, bisogna essere consapevoli che le masse, persino in una situazione più avanzata, o finanche prerivoluzionaria, non sono in partenza su posizioni di classe né antimperialiste (figuriamoci disfattiste rivoluzionarie).

Se l'atteggiamento degli organizzatori della manifestazione di Ghedi prevede il rifiuto di manifestare con chi non condivide integralmente le loro posizioni e analisi sull'Ucraina, è legittimo chiedersi: pensano essi di imporre queste loro posizioni e analisi come condizione per la partecipazione a queste eventuali manifestazioni? Pensano di intervenire solamente nei casi in cui possano confrontarsi con settori che hanno le loro stesse posizioni? O intendono, al contrario, stare alla larga da queste mobilitazioni, proprio perché dominate dal pacifismo, da posizioni confuse, dall'interclassismo?

Se si ritiene che queste siano domande retoriche bisognerebbe per lo meno indicare su quale strategia, su quali tattiche, con quali interlocutori, incardinare la propaganda e l'agitazione di classe contro la guerra. Indicare cosa fare in questi (non così futuribili, e in ogni caso auspicabili) scenari. Altrimenti sarebbe lecito pensare che esse trovino il proprio inizio e la propria fine nelle manifestazioni convocate dal SICobas, e solamente in quelle.

Questi interrogativi trovano ulteriore conferma quando, come veniamo a sapere da un resoconto dell'assemblea preparatoria, gli organizzatori della manifestazione di Ghedi hanno proposto agli organizzatori delle altre due concomitanti manifestazioni per la pace [a Pisa e in Sicilia] «di lanciare un appello unitario alla mobilitazione, ma la proposta non è stata accolta». Ma se si intende organizzare una manifestazione di soli sostenitori delle posizioni dei convocatari, come mai è stato proposto un allargamento a settori e organizzazioni che chiaramente non condividono quelle posizioni?

E ci chiediamo, ancora: quanto può essere preso sul serio dichiarare, il giorno dopo la manifestazione, che «...non siamo certo soddisfatti dalla frammentazione tematica e organizzativa della giornata del 21 ottobre»?
E che senso ha da una parte rimproverare l'«attitudine anti-unitaria» dovuta al «rifiuto di altre componenti», e dall'altra parte ribadire che comunque quell'unitarietà che a parole si va cercando è in ogni caso impossibile, perché... «nessuno può sostenere che “guerra alla guerra” sia la stessa cosa che “no all’escalation” o “fuori l’Italia dalla guerra”»?

Ma andiamo avanti. Tanto il testo dell'appello quanto il resoconto dell'assemblea riconoscono la necessità di parlare alle masse e ai milioni di lavoratori. E questo è un bene. Nella storia recente italiana, il massimo avanzamento di posizioni di classe all'interno del movimento contro la guerra si riscontrò proprio quando quel movimento ebbe caratteristiche di massa, e cioè con il ciclo di mobilitazioni contro la guerra in Kosovo fino ad arrivare al movimento contro la guerra in Iraq. Non fu un caso. E non fu solamente per una ragione quantitativa.
Vorremmo far notare, di passaggio, che uno dei momenti di maggiore visibilità nella propaganda contro il "nemico in casa propria", cioè il nostro imperialismo, fu l'azione che la nostra organizzazione condusse, nella persona di Marco Ferrando, allora candidato alle elezioni politiche, a sostegno della resistenza degli iracheni contro gli invasori italiani durante la guerra scatenata nel 2003 da USA e potenze europee contro l'Iraq. In quel momento si levò da tutto l'apparato dell'informazione borghese, in blocco, un fuoco di sbarramento senza precedenti, diretto contro quelle posizioni disfattiste e antimperialiste e contro chi in quel momento le difendeva. (Il tutto mentre il 99 percento dell'allora sinistra ed estrema sinistra spasimava per convolare a nozze con il governo Prodi alle porte, cioè con il governo dell'imperialismo italiano). Ciò per quanto riguarda la cronaca, e la storia. E per quanto riguarda le patenti di "buon antimperialismo", elargite da qualcuno con troppa leggerezza e poca memoria storica.

Abbiamo ricordato questo episodio non perché siamo affezionati alla storia del PCL (alla quale in effetti siamo affezionati) quanto per sottolineare il ruolo decisivo che ebbe, in tutta quella fase, proprio la dimensione e la presa di massa del movimento contro la guerra. Fu ciò che determinò non solo la possibilità, la visibilità e le ripercussioni di quell'azione di propaganda ma anche il consenso (seppur minimo) che quell'azione seppe attirare, il tentativo di polarizzazione all'interno del movimento, la luce che fu possibile gettare su posizioni di classe, la visibilità ma anche per certi aspetti la maturazione di un punto di vista e di una strategia alternativi a quelli pacifisti e riformisti ufficiali.

E qui veniamo alla questione del confronto. È evidente che in una logica di fronte unico – e il fronte unico è ciò cui si richiamano le stesse organizzazioni dell'appello di Ghedi, e non solo per ciò che riguarda questa manifestazione – non siano né praticabili né immaginabili veti e omogeneità. Per lo meno se si intende il fronte unico come lo intendevano Lenin e Trotsky, e non come lo intendeva Bordiga. Ognuno segua chi vuole.
E ciò per il semplice motivo che il fronte unico è di massa (oltre che di classe): un fronte unico che non sia di massa è una contraddizione in termini. Non è definibile fronte unico, è un'altra cosa.
La questione è se queste pratiche e demarcazioni possano invece trovare spazio in una logica di unità d'azione delle avanguardie (o sarebbe meglio dire delle avanguardie delle avanguardie), quale è quella che intercorre tra le nostre organizzazioni, e quale è quella che è oggettivamente espressa nella manifestazione di Ghedi, al di là delle intenzioni.
Noi pensiamo che esse non siano desiderabili neanche nel caso di unità d'azione delle avanguardie.

Non è ovviamente in discussione il diritto di ogni organizzazione di delimitare come e quanto desideri l'area delle proprie interlocuzioni o della propria attività. Il punto è un altro, e cioè come si concepisce l'interlocuzione in rapporto all'azione (altrimenti non sarebbe un'unità d'azione ma un'unità d'unificazione, unità di discussione, unità di propaganda... insomma, unità per fare altro).

La divisione della classe lavoratrice oggi si riflette, direttamente o indirettamente, nell'arretratezza della sua coscienza, nella debolezza delle sue organizzazioni, nella mancanza di un referente di massa, nella subalternità alla classe dominante e ai suoi partiti, e soprattutto nella sua incapacità d'azione unitaria.
La divisione delle avanguardie (che è un riflesso essa stessa della divisione della classe, soprattutto nel lungo periodo) aggrava questo quadro e lo modifica qualitativamente. Sul terreno dell'azione, ciò vuol dire rendere impossibile quell'impulso minimo di coordinamento fra le situazioni in lotta e fra chi quella lotta la impersona. Con, a sua volta, un effetto inevitabile sulla dimensione di massa.
Ancor peggio quando si decide (o perfino si teorizza) la separazione delle avanguardie da altre avanguardie o delle avanguardie dalla massa. E quando la si decide e la si teorizza introducendo discriminanti che, in questo caso, non hanno niente a che vedere con la comune opposizione di classe ai diversi imperialismi, compreso il proprio, e il comune quadro di riferimento di princìpi.

Vediamo ormai da molti anni qual è stato il portato di questa linea e di questa logica, non solo sul terreno politico ma anche, ancor più gravemente, sul terreno sindacale. Occorre trarne un bilancio, e non è questa la sede. Ma pensiamo che l'argomento in discussione chiami in causa proprio questo.
L'esperienza delle assemblee dei lavoratori combattivi e del Patto d'azione anticapitalista (tanto per fare un esempio, che non a caso riguarda gli stessi organizzatori della manifestazione di Ghedi) hanno avuto il loro limite principale, come fu già allora nostra opinione, esattamente nella non comprensione che l'unità d'azione, e il quadro di obiettivi comuni e condivisi, non dovesse e non potesse essere subordinata all'omogeneità delle posizioni contingenti e delle analisi (vedi divisione sulla questione del green pass). E nella non comprensione che l'allargamento del fronte (il fronte unico) prevedesse non solamente l'interlocuzione e l'azione comune con le strutture di massa in quanto tali (e non solo con la loro base), ma anche la presenza e il lavoro al loro interno da parte delle avanguardie.

Le prospettive, in conclusione. Si delinea, come abbiamo detto, un periodo di inasprimento delle contraddizioni capitaliste e imperialiste su scala mondiale, con il loro precipitato di crisi (economiche, ambientali, migratorie...) sempre crescenti e con il loro corollario di guerre. Proprio le guerre – la loro natura, configurazione, caratteristiche, rapporto con le strutture economico-sociali ecc. – saranno sempre più dipendenti dallo scenario a venire.

Entrare in un'epoca di aperti scontri antimperialisti e di guerra guerreggiata vuol dire, per noi trotskisti, non solo ribadire la nostra ferma collocazione di classe, non solo tenere alti i nostri principi, ma anche dotare la classe di una propria strategia, di una propria tattica, di un proprio ruolo per trovare la strada alla sconfitta della guerra e alla vittoria di un nuovo ordine sociale. È ciò che Trotsky stesso tentò di fare, con gran scandalo dei settari e dottrinari dell'epoca, con la cosiddetta politica militare proletaria, applicandola alla Seconda guerra mondiale e allo scontro interimperialista dell'epoca. Crediamo che questo sia valido per l'oggi e per il domani.

Ma in uno scenario di guerra interimperialista le avanguardie comuniste e internazionaliste non possono non trovarsi unite nella difesa di una prospettiva disfattista, contro i governi, gli imperialismi, le loro guerre, al di fuori di ogni campismo. Una divisione delle avanguardie, ancor più in una guerra interimperialista dispiegata e in atto, non farebbe che rendere ancora più ardua la difesa di questa prospettiva. Nel vivo dello scontro aumenterebbe ulteriormente la difficoltà della presenza nei luoghi di lavoro, dell'intervento negli eserciti di leva, dell'azione in una società militarizzata e sottoposta a censura e repressione (censura e repressione in primo luogo delle avanguardie, come sempre).

L'unità d'azione non è per noi il presupposto di un cambiamento delle condizioni soggettive del proletariato. Ma non è neanche un fattore secondario rispetto alle condizioni in cui si svolge la lotta per il rovesciamento del sistema capitalista, tanto più oggi, tanto più su un tema come la guerra.
Il PCL non ha mai confuso l'unità d'azione con la costruzione del partito, né con la costruzione di fronti e blocchi politici permanenti. Ma mettere in contrapposizione questi due compiti, o, peggio, utilizzare il perimetro del proprio blocco politico come barriera per evitare o non porsi l'esigenza dell'allargamento e dell'egemonia sull'intero movimento e sulla classe, è il peggior servizio che si possa rendere alla lotta contro la guerra. Ci auguriamo che non sarà questa la linea di marcia.

Sergio Leone

Per una immediata mobilitazione davanti alle prefetture

 


La cancellazione via sms del reddito di cittadinanza va resa ingovernabile

31 Luglio 2023

Come Apple o Amazon cancellano posti di lavoro con un sms, così il governo Meloni cancella con un sms, via INPS, il reddito di sopravvivenza di 169000 disoccupati e indigenti. Che diverranno più di 600000 a regime. Una misura tanto più odiosa e provocatoria se combinata con nuovi regali agli evasori fiscali, l'estensione della precarizzazione del lavoro, il rifiuto di ogni forma di salario minimo, e la corsa incontrollata dei prezzi alimentari.

La cosiddetta destra sociale si rivela per quello che è: una carta di ricambio delle politiche capitaliste, al servizio degli interessi d'impresa e di un incremento dei tassi di sfruttamento.
Il fatto che la cancellazione del reddito sia comunicata ad agosto non è casuale, come ha candidamente ammesso un esponente del governo (Lupi): a settembre avremmo rischiato maggiori turbolenze sociali, ha dichiarato. Come dire che un furto ad agosto si spera resti impunito.

Le opposizioni borghesi liberali gridano ora allo scandalo, come la burocrazia sindacale. Ma la cancellazione del reddito di cittadinanza è annunciata da un anno, gli sms di oggi sono solo la traduzione esecutiva della misura presa. Durante l'intero anno il governo ha potuto godere della più grande pace sociale d'Europa. PD e M5S sono unicamente occupati a sgomitare tra loro per strapparsi voti alle prossime elezioni europee. Il loro messaggio è rivolto alla borghesia: la destra rischia una bomba sociale, vi conviene cambiare cavallo. Mentre la burocrazia sindacale, Landini in primis, ha mulinato solo una valanga di chiacchiere e qualche parata simbolica d'apparato senza nessuna reale iniziativa di lotta. Se oggi Meloni può permettersi gli sms cancella-reddito è anche grazie alla latitanza dell'opposizione.

È ora di voltare pagina. Bisogna organizzare innanzitutto una risposta radicale alla cancellazione del reddito. Non domani, ma ora. Organizzare e mobilitare i soggetti colpiti è la prima necessità, con l'assedio delle prefetture di tutta Italia, a partire dal Meridione. La misura va semplicemente revocata, non rinviata, come propone il M5S. Si può imporre la revoca solo ponendo un tema di ordine pubblico, solo mostrando con la mobilitazione l'ingovernabilità della misura presa.
Tutti i sindacati di classe debbono unire la propria azione su questo terreno. La CGIL ha la responsabilità di dimostrare coi fatti la propria forza di massa per contrastare realmente il governo, che è cosa diversa dal rilasciare interviste.

Ma soprattutto va preparata una grande mobilitazione in autunno, che unisca la classe operaia, i precari, i disoccupati. Landini ha annunciato una manifestazione in ottobre e, pare, uno sciopero generale a novembre. Altri sindacati di classe, in concorrenza tra loro e con la CGIL, hanno preannunciato altre date di “propri” scioperi. Rischia di riproporsi il balletto ordinario della frammentazione delle forze, tra chi cerca di salvarsi l'anima con uno sciopero simbolico una tantum senza continuità e prospettiva (la burocrazia CGIL) e chi custodisce la propria rendita di posizione a sinistra della CGIL con qualche sciopero di calendario disertato dalla massa dei lavoratori.

Così non va. È necessario e urgente un grande fronte unico di lotta di tutte le organizzazioni del movimento operaio, grandi e piccole. È necessaria un'assemblea nazionale intercategoriale di delegati che vari una piattaforma di lotta unificante, per una grande vertenza generale contro governo e padronato. È necessaria una lotta vera, tanto radicale quanto lo sono governo e padroni. Lo sciopero generale dev'essere realmente tale, deve combinarsi con una svolta complessiva delle forme di lotta, deve darsi una continuità d'azione. Che è la condizione decisiva per strappare risultati, e ribaltare lo scenario politico.

Il Partito Comunista dei Lavoratori è impegnato in ogni sindacato di classe nell'avanzare questa proposta di svolta.

Partito Comunista dei Lavoratori

Il crollo dei consumi e la pace sociale italiana

 


L'immobilismo della burocrazia sindacale è sempre più ragione di scandalo

È ufficiale. L'ISTAT registra nell'ultimo trimestre del 2022 un calo del 3,7% del potere d'acquisto delle famiglie. Nel 2022 i prezzi sono cresciuti otto volte di più delle retribuzioni. Parallelamente i profitti delle imprese dell'eurozona, nell'ultimo trimestre 2022, hanno visto una crescita del 2%, passando dal 40% al 42%, il valore più alto dal 2007.
La vera spirale dunque non è quella tra prezzi e salari ma tra prezzi e profitti. Per fare solo un esempio: Aspi (Autostrade), che oggi aumenta i pedaggi (+2% e un altro +1,34% già annunciato per giugno) ha appena distribuito ai propri azionisti un dividendo di 924 milioni.

Tanto più in questo quadro l'immobilismo della burocrazia sindacale italiana è ragione di scandalo. Mentre nel resto d'Europa si esprime una mobilitazione sociale contro le politiche d'austerità (Francia) o per aumenti salariali (Gran Bretagna, Germania, Portogallo), in Italia regna la peggiore pace sociale, nonostante i salari italiani siano stati i più falcidiati in Europa negli ultimi trent'anni!
La “mobilitazione” annunciata di CGIL, CISL e UIL nelle prossime settimane si riduce a manifestazioni simboliche, senza una sola ora di sciopero. Il nulla. La notizia è che la CGIL rinuncia persino agli sciopericchi pro forma di altre occasioni, per allinearsi alla CISL. Il fatto che tutto ciò accada in presenza di un governo a guida postfascista rimarca ancora di più la deriva della burocrazia CGIL.

Di certo, tanto più oggi, la battaglia per una vertenza generale del mondo del lavoro attorno a una piattaforma di svolta è inseparabile dalla lotta per un'alternativa di direzione del movimento operaio.

Partito Comunista dei Lavoratori

Contro i licenziamenti, per la difesa del lavoro

 


Lo sblocco annunciato dei licenziamenti, assieme alla liberalizzazione dei subappalti, è un attacco frontale al mondo del lavoro. Alla riapertura dopo la pandemia, si annuncia la soppressione di centinaia di migliaia di posti di lavoro, a partire dalla grande industria. Lavoratori e lavoratrici che per un anno hanno retto sulle proprie spalle l’economia del paese, spesso costretti al lavoro senza adeguate protezioni, si vedranno buttati su una strada.


Secondo Bankitalia quasi 700000 salariati, secondo altre stime oltre un milione. Questo nonostante negli ultimi anni, e non soltanto nel periodo di crisi sanitaria, le imprese abbiano usufruito, in varie forme, di enormi risorse pubbliche pagate dai salariati stessi. Nel quadro della ristrutturazione macro economica pianificata dall’Unione Europea, Confindustria ottiene ora dal governo Draghi ciò che ha chiesto: la libertà di licenziare per ristrutturare le aziende e massimizzare i profitti.

A questa offensiva governativa e padronale pensiamo sia necessario rispondere tempestivamente, con uno sciopero generale del mondo del lavoro nei giorni in cui lo sblocco diventerà operativo. Un’azione di lotta tempestiva come inizio di una battaglia prolungata, uno sciopero unitario che realizzi il fronte più ampio possibile.

Occorre far seguire alle parole i fatti, costruendo una reale mobilitazione di massa, capace di unificare l’intero fronte di lotta, superando ogni logica di autocentratura e preclusione reciproca. Lo sblocco dei licenziamenti il 30 giugno, senza reale contrasto sul piano sindacale, senza sciopero nazionale, sarebbe un fatto preoccupante, che accrescerebbe ulteriormente le dinamiche di passivizzazione e ripiegamento a vantaggio del padronato e delle forze politiche più reazionarie.

Crediamo importante che l’azione unitaria di sciopero si leghi ad una piattaforma di lotta che rivendichi la riduzione generale dell’orario di lavoro a parità di retribuzione, un sistema universale di ammortizzatori sociali capace di rispondere anche ai nuovi bisogni emersi nel mondo del lavoro, finanziato anche attraverso una patrimoniale sulle grandi ricchezze.

Una piattaforma che punti ad unire in un blocco sociale alternativo ciò che il capitalismo punta a dividere: lavoratori, precari, disoccupati.
Tuttavia il confronto e la discussione sulle parole d’ordine richiede innanzitutto un’iniziativa di mobilitazione contro lo sblocco dei licenziamenti.
Per questo, data la rilevanza non solo sindacale ma anche politica della posta in gioco, ci permettiamo di avanzare un forte appello all’unità per la promozione di uno sciopero generale contro le misure annunciate dal governo, a sostegno di una piattaforma alternativa. Non servono né dichiarazioni critiche senza azione di lotta né il rituale di scioperi di singole organizzazioni tra loro concorrenti ed in ordine sparso. Ciò che serve è un vero scatto unitario.

Se i padroni, le loro organizzazioni, i loro partiti fanno fronte comune per lo sblocco dei licenziamenti, occorre costruire un fronte comune di segno opposto. Per quanto ci riguarda ci batteremo per questo.

Coordinamento nazionale delle sinistre di opposizione (Comunisti in Movimento, Fronte Popolare, La Città Futura, Partito Comunista Italiano, Partito Comunista dei Lavoratori, Partito Marxista-Leninista Italiano)

Priorità alla scuola. Se non ora, quando?

 


Piazza del Popolo si riempie oggi a Roma per la manifestazione del movimento "Priorità alla scuola"

Nel pomeriggio si terrà a Roma, in Piazza del Popolo alle 15.00, una manifestazione del movimento "Priorità alla scuola", che in questi mesi ha raccolto la rabbia di centinaia di genitori, docenti e studenti verso la situazione nella quale versa la scuola pubblica.

Il Partito Comunista dei Lavoratori aderisce e partecipa con i suoi militanti a questo momento, auspicando che sia l'inizio di una nuova stagione di lotta nella scuola che veda in piazza e nelle scuole il protagonismo degli insegnanti e di tutti i suoi lavoratori e lavoratrici. Che parta da tutte le scuole con la creazione di comitati di lotta tramite i quali i lavoratori e le RSU facciano sentire la propria voce e attuino pressione sulle organizzazioni sindacali verso un processo di mobilitazione generale della scuola che si incontri con gli altri settori in lotta, contro governo e Confindustria, per dare una risposta di classe e rivoluzionaria alle politiche di questo ennesimo governo nemico dei lavoratori.

Per la stabilizzazione di tutti gli insegnanti e gli ATA precari, per un salario adeguato ai livelli europei, per un reale piano di messa in sicurezza di tutti gli edifici scolastici. Per dare un'adeguata risposta alla crisi e alle politiche di questo governo, come quelle di attacco alla scuola e di precarizzazione del lavoro portate avanti dalla Ministra Azzolina, il Partito Comunista dei Lavoratori sarà in piazza oggi pomeriggio.

Partito Comunista dei Lavoratori

Per una scuola sicura, insegnanti, genitori e studenti uniti nella lotta

Il PCL aderisce alla giornata di mobilitazione nazionale della scuola

24 Giugno 2020
Il PCL aderisce alla giornata di mobilitazione nazionale indetta dalla associazione Priorità scuola, e dà indicazione di unificare in un patto d'azione le forze di avanguardia. Obiettivo: unificare e mobilitare le forze sociali in campo, lavoratori studenti, su un programma di rivendicazioni finalmente liberatorio e intransigente:

- stabilizzazione subito del precariato e definizione certa di un percorso di reclutamento

- aumento immediato degli organici ATA

- internalizzazione del personale educativo

- finanziamenti all'edilizia e messa in sicurezza degli edifici scolastici

- diminuzione degli alunni per classe senza diminuzione del tempo scuola

- ritiro dei finanziamenti alla scuola privata


Il governo Conte bis procede a vele spiegate lungo la via disegnata dai suoi predecessori, di entrambi gli schieramenti istituzionali, nello smantellare e dequalificare la scuola pubblica.

Il buco di oltre 200mila insegnati della scuola primaria e secondaria previsto a settembre, combinato con la cronica mancanza di personale tecnico, amministrativo e ausiliario, con il perdurare e anzi con l'espandersi del personale educativo esternalizzato, abbasserà ulteriormente la qualità complessiva della scuola garantita dallo stato. Il tutto aggravato dalla mancanza di un piano efficace a garanzia della salute di studenti e lavoratori in previsione di una possibile recrudescenza del Covid-19.

In questo scenario si allargano gli spazi per investimenti lucrosi del capitale nella scuola privata a tutti i livelli, eguagliando la via privatistica già collaudata per lo smantellamento della sanità pubblica, in particolare in Lombardia, la regione che in assoluto è la più colpita dai contagi del coronavirus. La regione che più di ogni altra dimostra il fallimento del sistema capitalistico nel difendere gli interessi della collettività

Il silenzio assenso dei sindacati confederali, durato mesi, non ha dato alcun risultato tangibile per i lavoratori, ma è servito unicamente a imbrigliare quelle forze disponibili a lottare. Come sempre, solo i lavoratori e gli studenti con la loro mobilitazione possono cambiare la situazione.

Oggi, 25 giugno, può essere l'inizio di una mobilitazione che deve necessariamente proseguire e sfociare in una lotta senza quartiere nel prossimo autunno, seguendo la via maestra dell'organizzazione dei lavoratori in organismi di massa indipendenti e democraticamente organizzati a livello nazionale.
Partito Comunista dei Lavoratori

LE PROSSIME INIZIATIVE IN SOLIDARIETA' CON IL POPOLO CURDO

Volentieri segnaliamo:











































Il PCL sezione di Bologna parteciperà portando la propria specifica lettura e orientamento programmatico anti imperialista, descritti di seguito e nel testo del volantino che verrà distribuito:

GIÙ LE MANI DAI CURDI!
TRUMP LASCIA I CURDI IN PASTO AD ERDOGAN

Come purtroppo era prevedibile, l'imperialismo USA ha deciso di scaricare i curdi siriani, dopo averli usati come fanteriacontro l'ISIS. È il cinismo della politica imperialista.
Le milizie curde delle YPG sono state determinanti nella sconfitta politica e militare delle organizzazioni reazionarie panislamiste. A Kobane e in tante altre città del nord siriano uomini e donne curde, armi alla mano, hanno dato prova di un
eroismo autentico. Senza la loro avanzata di terra, palmo a palmo, al prezzo di enormi sofferenze e di un grande sacrificio di vite, i soli bombardamenti aerei non avrebbero potuto piegare ISIS. Anche per questo il movimento operaio
internazionale e le ragioni degli oppressi di tutto il mondo hanno un debito di riconoscenza nei confronti dei combattenti curdi.
Ora Donald Trump definisce la loro guerra “una guerra ridicola”, e li abbandona alla furia di Erdogan e dell'esercito turco.
L'accordo fra Trump ed Erdogan è un esplicito semaforo verde all'invasione turca del Nord siriano, ciò che significa di fattonon solo l'annessione di parte della Siria, a beneficio dei progetti ottomani del nuovo sultano, ma anche e in primo luogo una guerra di annientamento della resistenza curda. Un massacro annunciato.
Nel rapporto contrastato con gli USA, il governo turco ha messo sul piatto della bilancia la propria posizione strategica: quella di principale avamposto della NATO in Medio Oriente e al tempo stesso interlocutore politico e militare della Russia di Putin. L'imperialismo americano non poteva rischiare di spingere Erdogan verso Mosca, per questo gli lascia via libera nella guerra ai curdi. Una guerra di cui Erdogan ha assoluto bisogno anche per ragioni politiche interne, dopo la sconfitta elettorale di Istanbul e nel pieno della recessione economica turca. Issare la bandiera del nazionalismo turco e conquistare manu militari il nord della Siria sono ossigeno prezioso per il regime, come lo è poter respingere nei territori militarmente annessi i rifugiati di guerra siriani, già oggetto di una crescente campagna xenofoba interna.
Quanto agli imperialismi europei, Italia inclusa, l'unica loro preoccupazione per la scelta di Trump è che una nuova guerra nel Nord siriano possa sospingere ulteriori flussi di immigrati in Europa. La UE ha pagato Erdogan fior di miliardi per fargli fare il guardiano delle rotte balcaniche, per questo tace sull'attacco ai diritti democratici in Turchia e sulla natura reale
del regime che lo promuove. La macelleria annunciata contro i curdi è solo una sgradita complicazione, nulla più.
Le organizzazioni curde resisteranno con tutte le proprie forze all'invasione turca. Ma il divario di potenza è enorme. È necessaria la più vasta azione di solidarietà e di sostegno alla resistenza curda da parte del movimento operaio italiano ed europeo, delle organizzazioni sindacali, delle sinistre politiche, dei movimenti antimperialisti. “Giù le mani dai curdi” può e deve diventare da subito la parola d'ordine di una vasta mobilitazione unitaria sotto le ambasciate e i consolati turchi, e contro ogni silenzio e complicità del proprio imperialismo.
Ma gli avvenimenti del Medio Oriente ci consegnano una lezione di fondo che va al di là dell'emergenza e che interroga la prospettiva. I fatti confermano una volta di più che il popolo curdo, come il popolo palestinese, non ha alleati possibili tra le potenze imperialiste, vecchie e nuove. Nessun imperialismo metterà a rischio i propri interessi strategici per la causa nazionale di un popolo oppresso. E l'interesse strategico di tutti gli imperialismi è sostenere la Turchia e lo Stato sionista, quali migliori tutori dei propri affari in Medio Oriente. Tutte le strategie di accomodamento diplomatico con questa o quella potenza imperialista al fine di guadagnarne i favori si sono rivelate illusioni, sia in campo curdo, sia in campo palestinese.
Non hanno favorito i popoli oppressi ma solo i loro avversari. I curdi come i palestinesi possono contare solo sulla propria forza e sul sostegno dei lavoratori di tutto il mondo.
La liberazione e unificazione del Kurdistan, come la liberazione della Palestina, possono compiersi solo per via rivoluzionaria, solo attraverso la saldatura della propria causa nazionale con la prospettiva della rivoluzione socialista nella
nazione araba e in Medio Oriente. L'unica che può assicurare il pieno diritto di autodeterminazione di tutti i popoli oppressi.

La costruzione dell'Internazionale rivoluzionaria è condizione decisiva per sviluppare questa prospettiva.

PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

Giù le mani dai curdi!

Trump lascia i curdi in pasto ad Erdogan

7 Ottobre 2019
English translation below
Come purtroppo era prevedibile, l'imperialismo USA ha deciso di scaricare i curdi siriani, dopo averli usati come fanteria contro l'ISIS. È il cinismo della politica imperialista.

Le milizie curde delle YPG sono state determinanti nella sconfitta politica e militare delle organizzazioni reazionarie panislamiste. A Kobane e in tante altre città del nord siriano uomini e donne curde, armi alla mano, hanno dato prova di un eroismo autentico. Senza la loro avanzata di terra, palmo a palmo, al prezzo di enormi sofferenze e di un grande sacrificio di vite, i soli bombardamenti aerei non avrebbero potuto piegare ISIS. Anche per questo il movimento operaio internazionale e le ragioni degli oppressi di tutto il mondo hanno un debito di riconoscenza nei confronti dei combattenti curdi.

Ora Donald Trump definisce la loro guerra “una guerra ridicola”, e li abbandona alla furia di Erdogan e dell'esercito turco. L'accordo fra Trump ed Erdogan è un esplicito semaforo verde all'invasione turca del Nord siriano, ciò che significa di fatto non solo l'annessione di parte della Siria, a beneficio dei progetti ottomani del nuovo sultano, ma anche e in primo luogo una guerra di annientamento della resistenza curda. Un massacro annunciato.

Nel rapporto contrastato con gli USA, il governo turco ha messo sul piatto della bilancia la propria posizione strategica: quella di principale avamposto della NATO in Medio Oriente e al tempo stesso interlocutore politico e militare della Russia di Putin. L'imperialismo americano non poteva rischiare di spingere Erdogan verso Mosca, per questo gli lascia via libera nella guerra ai curdi. Una guerra di cui Erdogan ha assoluto bisogno anche per ragioni politiche interne, dopo la sconfitta elettorale di Istanbul e nel pieno della recessione economica turca. Issare la bandiera del nazionalismo turco e conquistare manu militari il nord della Siria sono ossigeno prezioso per il regime, come lo è poter respingere nei territori militarmente annessi i rifugiati di guerra siriani, già oggetto di una crescente campagna xenofoba interna.

Quanto agli imperialismi europei, Italia inclusa, l'unica loro preoccupazione per la scelta di Trump è che una nuova guerra nel Nord siriano possa sospingere ulteriori flussi di immigrati in Europa. La UE ha pagato Erdogan fior di miliardi per fargli fare il guardiano delle rotte balcaniche, per questo tace sull'attacco ai diritti democratici in Turchia e sulla natura reale del regime che lo promuove. La macelleria annunciata contro i curdi è solo una sgradita complicazione, nulla più.

Le organizzazioni curde resisteranno con tutte le proprie forze all'annunciata invasione turca. Ma il divario di potenza è enorme. È necessaria la più vasta azione di solidarietà e di sostegno alla resistenza curda da parte del movimento operaio italiano ed europeo, delle organizzazioni sindacali, delle sinistre politiche, dei movimenti antimperialisti. “Giù le mani dai curdi” può e deve diventare da subito la parola d'ordine di una vasta mobilitazione unitaria sotto le ambasciate e i consolati turchi, e contro ogni silenzio e complicità del proprio imperialismo.

Ma gli avvenimenti del Medio Oriente ci consegnano una lezione di fondo che va al di là dell'emergenza e che interroga la prospettiva. I fatti confermano una volta di più che il popolo curdo, come il popolo palestinese, non ha alleati possibili tra le potenze imperialiste, vecchie e nuove. Nessun imperialismo metterà a rischio i propri interessi strategici per la causa nazionale di un popolo oppresso. E l'interesse strategico di tutti gli imperialismi è sostenere la Turchia e lo Stato sionista, quali migliori tutori dei propri affari in Medio Oriente. Tutte le strategie di accomodamento diplomatico con questa o quella potenza imperialista al fine di guadagnarne i favori si sono rivelate illusioni, sia in campo curdo, sia in campo palestinese. Non hanno favorito i popoli oppressi ma solo i loro avversari. I curdi come i palestinesi possono contare solo sulla propria forza e sul sostegno dei lavoratori di tutto il mondo.

La liberazione e unificazione del Kurdistan, come la liberazione della Palestina, possono compiersi solo per via rivoluzionaria, solo attraverso la saldatura della propria causa nazionale con la prospettiva della rivoluzione socialista nella nazione araba e in Medio Oriente. L'unica che può assicurare il pieno diritto di autodeterminazione di tutti i popoli oppressi.
La costruzione dell'Internazionale rivoluzionaria è condizione decisiva per sviluppare questa prospettiva.



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Hands off the Kurds!


As was, unfortunately, to be unexpected, US imperialism decided to dump Syrian Kurds, after using them as ground troops against IS. This is the cynicism of imperialist policy.

YPG Kurdish militias were a determining factor of the reactionary Islamic forces' political and military defeat. In Kobanî and in many other Northern Syria cities, Kurdish women and men, arms in hand, have proved true heroism. Without their advance on the ground, inch by inch, at the price of enormous pain and sacrifice of lives, aerial bombing alone could not have defeat IS. It is also for this reason that international working class movement and the oppressed worldwide owe a debt of gratitude to the Kurdish fighters.

Now Donald Trump defines their war "ridiculous war", and abandons them to the fury of Erdogan and Turkish army. The deal between Trump and Erdogan is an outspoken green light for the Turkish invasion of Northern Syria, that means, in effect, not merely the annexation of part of Syria, for the benefit of new sultan's Ottoman projects, but also and above all a war of annihilation of Kurdish resistance. A foretold massacre.

In the contrasted relationship with USA, Turkish government throws his strategic position into the scales: the position of the main NATO outpost in the Middle East, and at the same time a political and military interlocutor of Putin's Russia. US imperialism couldn't risk pushing Erdogan toward Moscow: that's the reason of the go-ahead for the war on Kurds. A war that Erdogan definitely needs also for reasons of domestic politics, after the electoral defeat in Istanbul and in the midst of the Turkish economic recession. Raise the flag of Turkish nationalism and take Northern Syria manu militari is precious oxygen for Erdogan's regime, as it is sending Syrian refugees back to annexed territories – refugees object of an escalated internal xenophobic campaign.

As for European imperialist countries, including Italy, their only concern about Trump's decision is that a new war in Northern Syria can push forward further migration flows in Europe. EU paid Erdogan top dollar to do Balkan routes' guardian, that's why it's silent on the attacks on democratic rights in Turkey, and on the real nature of Erdogan's regime. For EU imperislists the foretold slaughterhouse against Kurds is nothing more than an unpleasant burden.

Kurdish forces will resist with all their strength to the proclaimed Turkish invasion. But there is a huge gap of power. The broader solidarity and support action for the Kurdish resistance by the Italian and European working class movement, unions, left-wing and anti-imperialist forces is needed. "Hands off the Kurds!" can and must become immediatly the slogan of a large, united mass mobilization at the embassies and consulates of Turkey, and against every silence and complicity of our own imperialism.

But in the events of Middle East there's a lesson to be learned, which goes beyond the immediate emergency, and which questions the perspective. The facts once again confirm that the Kurdish people, as the Palestinian people, has no friends between imperialist powers, new and old. No imperialist country will put its own interests at risk for the national cause of an oppressed people. And the strategic interest of all imperialist is to support Turkey and the Zionist State, as the best guardian for their business in the Middle East. All the diplomatic appeasement approaches with one or another imperialist power to gain favor with them have proved to be illusions, both for Kurds and for Palestinians. These approaches were helpful not for the oppressed people, but for their enemies. Kurish people, as Palestinian people, can rely only on their own strength and on the support of the world's working class.

Liberation and unification of Kurdistan, as well as liberation of Palestine, can only be achieved by way of revolution. It can only be achieved through the joining of their national cause with the perspective of the socialist revolution in the Arab nation and in the Middle East: the only perspective that can assure the full right to self-determination for all oppressed people.
The construction of the revolutionary International is a decisive condition to foster this future.
Partito Comunista dei Lavoratori