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Primi elementi di analisi del voto per le europee in Europa e in Italia

 


Per una iniziativa di classe, per una svolta di fondo

12 Giugno 2024

English translation

Il voto in Europa per il rinnovo del Parlamento UE è la risultante d'insieme dell'esito elettorale di ciascun paese, ove a prevalere nelle motivazioni di voto è il quadro politico nazionale.

Tuttavia è possibile segnalare alcune linee di tendenza sul piano continentale.

Il PPE (Partito Popolare Europeo) conferma e consolida la propria centralità nella UE, quale architrave dei suoi equilibri politici. Si è affermato come primo partito in Germania, Spagna, Polonia, Grecia, Slovenia, Irlanda. Complessivamente incrementa i propri seggi nel Parlamento Europeo, passando da 179 a 186 seggi.
Il campo liberale (ALDE, Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l'Europa) conosce un netto indebolimento, trascinato dalla pesante sconfitta in Francia, in Belgio, in Spagna. Passa da 106 a 79 seggi.
L'area dei Verdi subisce un forte arretramento, per via delle sconfitte registrate in Germania e Francia. Passa da 74 a 52 seggi.
Il PSE (Partito Socialista Europeo) registra complessivamente un arretramento a livello europeo (passando da 153 a 137 seggi), con risultati differenziati da paese a paese. Crolla al suo minimo storico in Germania, dove guida il governo; conosce una ripresa in Francia dopo il tracollo successivo al governo di Hollande; consegue il primato in altri paesi, come i Paesi Bassi, la Svezia e il Portogallo, mentre in Italia si rafforza col risultato del PD.

Il campo del Partito della Sinistra Europea, i cui soggetti sono stati attraversati negli anni da processi di crisi o disarticolazione più o meno profonda, mantiene complessivamente inalterata la propria presenza nel Parlamento Europeo (con 36 seggi, perdendo un seggio), ma con risultati e dinamiche molto differenziati nei diversi contesti. In Spagna registra la pesante sconfitta di Sumar, non compensata da Podemos; in Francia, nonostante la crisi di NUPES, preserva una forza relativamente consistente (tra la France Insoumise di Mélenchon al 10% e il PCF al 2,3%); in Germania ha subito la scissione di Die Linke (attestata tra il 2 e il 3%) con la nascita alla sua destra di una formazione rossobruna che supera il 5%.

Le destre sovraniste si rafforzano sia nella composita componente ECR (Conservatori e Riformisti Europei), presieduta da Giorgia Meloni (che passa da 64 a 73 seggi), che nella altrettanto composita componente ID (Identità e Democrazia), dominata da Marine Le Pen (che passa da 49 a 58 seggi). A ciò si aggiunge il risultato riportato dall'estrema destra di AfD in Germania, recentemente allontanata da ID (che ha conseguito il 16%).
Complessivamente le forze della destra incrementano dunque i propri seggi nel Parlamento Europeo. Ma non si tratta di un'avanzata né travolgente né uniforme. Il risultato delle destre è infatti marcatamente differenziato da paese a paese. Calano ad esempio elettoralmente in Polonia (con un netto arretramento del PiS), in Ungheria (dove il partito di Orban perde otto punti percentuali), in Svezia, in Slovacchia.
Da un punto di vista politico, l'espressione principale del rafforzamento delle destre è la forte affermazione registrata in paesi imperialistici chiave della UE come la Francia (con il Rassemblement National oltre il 32%), l'Italia (con Fratelli d'Italia al 28,8%), la Germania (con la forte crescita di Alternative für Deutschland), ciò che ha naturalmente una rilevanza politica continentale.
In Francia l'affermazione di Le Pen ha innescato una crisi degli equilibri politico-istituzionali, con lo scioglimento dell'Assemblea Nazionale e la convocazione elle elezioni politiche, un passaggio cruciale su cui torneremo in una prossima nota.

Negli anni cruciali della pandemia, della guerra, della crescita delle disuguaglianze sociali, l'assenza di una iniziativa di lotta del movimento operaio, per responsabilità delle sue direzioni sindacali e politiche, ha consentito un rafforzamento complessivo del campo politico borghese, e al suo interno del sovranismo reazionario.
Le destre sovraniste, al netto delle loro diverse dinamiche e contraddizioni, capitalizzano la crisi congiunta del liberalismo borghese e del movimento operaio, puntando ad una egemonia piccolo-borghese reazionaria su ampie fasce di popolazione povera urbana e rurale, e su settori rilevanti della stessa classe operaia industriale.


LA POLARIZZAZIONE ELETTORALE IN ITALIA

I risultati elettorali in Italia stanno dentro questa cornice europea, con particolarità nazionali proprie.

L'affluenza al voto in Italia è calata nettamente rispetto alle precedenti elezioni politiche del 2022, passando dal 64% al 49%, in contrasto con la tendenza opposta di altri paesi (Germania).

La polarizzazione elettorale è il profilo più evidente del voto italiano.

Il governo a guida postfascista esce consolidato dalla prova elettorale. Fratelli d'Italia rafforza la propria percentuale di voto rispetto al dato già straordinario delle elezioni politiche del 25 settembre 2022 (26%) raggiungendo il 28,8%. Forza Italia sopravvive alla morte di Berlusconi consolidando i propri risultati (dal 8,1% delle politiche al 9,6%), a fronte anche della frantumazione e dispersione del polo di centro, Calenda da un lato, Renzi e Bonino dall'altro. La Lega di Salvini preserva sostanzialmente la forza registrata alle elezioni politiche (passando dal 8,8% al 9,07%) con l'aiuto della candidatura Vannacci, seppur con un indebolimento in regioni del Nord. Complessivamente la maggioranza di governo passa dal 44% delle elezioni politiche al 48% delle europee (pur arretrando in voti assoluti, in misura maggiore o minore, in tutte le sue componenti). Dopo due anni di governo, è un dato di indubbia valenza politica. A differenza di Francia e Germania, l'Italia registra in questa fase una relativa stabilità di governo.

Il PD borghese liberale capitalizza a proprio vantaggio la polarizzazione dello scontro con il governo, e con Giorgia Meloni in particolare, e anche l'effetto immagine del nuovo corso di Elly Schlein, più marcato sul terreno del richiamo ai diritti civili e ai temi sociali. Da qui un netto rafforzamento elettorale del PD, che passa dal 19% delle elezioni politiche del 2022 al 24,1%, con l'incremento di un milione di voti assoluti e il conseguimento del primato nel Mezzogiorno. È un risultato che rafforza la nuova segreteria del partito sul versante interno, e la sua posizione negoziale verso le altre componenti di un virtuale centrosinistra. Tanto più a fronte della pesante sconfitta elettorale del M5S, che passa dal 15,6% delle politiche al 10%, perdendo due milioni di voti, prevalentemente in direzione dell'astensione ma anche dello stesso PD e di AVS (Alleanza Verdi e Sinistra).

Un risultato notevole, sia elettorale che politico, è quello riportato dalla Alleanza Verdi e Sinistra, che non solo supera lo sbarramento del 4% ma raggiunge il 6,7%, con più di un milione e mezzo di voti. Un risultato tanto più rilevante perché conseguito in presenza di una forte ripresa del PD. Sicuramente la candidatura di Ilaria Salis – che abbiamo sostenuto nel Nord-Ovest e che vogliamo immediatamente libera – ha contribuito in modo importante al risultato per il suo forte richiamo democratico, anche al di là delle circoscrizioni del Nord-Ovest, in cui era capolista, e delle Isole, in cui era candidata. Ma al di là del richiamo di Salis, il raddoppio delle percentuali delle elezioni politiche e l'incremento di oltre 500000 voti assoluti rispetto al 2022 indica che AVS sembra raccogliere una domanda di rappresentanza a sinistra del PD di un settore più ampio di popolo della sinistra: una domanda non priva di contraddizioni con la politica organica e irreversibile di coalizione col PD liberale che i gruppi dirigenti di AVS perseguono. Una contraddizione oggi parzialmente occultata dal corso politico “di sinistra” di Elly Schlein.

Di certo l'affermazione di AVS sottolinea la sconfitta politica della lista Santoro, comprensiva di Rifondazione Comunista. Santoro puntava a ottenere almeno una soglia del 3%, che gli consentisse di partecipare alla negoziazione successiva con i partiti del centrosinistra in vista delle elezioni politiche. Il risultato ottenuto, per quanto superiore alle quotazioni elettorali di Unione Popolare, è stato molto al di sotto di quella soglia. Mentre il successo di AVS quale sinistra del centrosinistra occupa lo spazio ambito da Santoro.

Complessivamente, dallo scenario del voto sembra emergere un bipolarismo d'immagine tra il campo della destra e quello di centrosinistra. Il governo si consolida attorno a “Giorgia”, e al tempo stesso si accredita nella percezione pubblica l'”alternativa Schlein”. Con la differenza che la coalizione di governo è un polo definito e strutturato, mentre il centrosinistra liberalprogressista resta disarticolato e virtuale. Ciò che spinge la borghesia italiana, a partire dai nuovi vertici di Confindustria, a confermare il proprio sostegno al governo Meloni.


PERCHÉ IL GOVERNO A GUIDA POSTFASCISTA SI RAFFORZA

Il rafforzamento del campo reazionario a guida postfascista dopo due anni di governo misura la crisi del movimento operaio italiano e le responsabilità delle sue direzioni.

Due anni di sostanziale pace sociale hanno regalato al governo Meloni uno spazio di tenuta e di manovra altrimenti impensabile. Il governo ha potuto sopprimere il reddito di cittadinanza, allargare la precarietà del lavoro, liberalizzare gli appalti, tagliare le prestazioni sociali in sanità ed istruzione, programmare l'aumento delle spese militari, concordare in sede europea un “nuovo” patto di stabilità fondato su un altra mole di sacrifici sociali annunciati, promuovere missioni militari, senza incontrare alcuna vera e seria mobilitazione sociale di massa della classe lavoratrice.
La burocrazia CGIL si è limitata ad una critica mediatica, incapace persino di reagire alla propria emarginazione di ruolo. Ed ora concepisce la sua stessa campagna referendaria sui temi del lavoro – in sé positiva – come alternativa all'iniziativa di lotta, col rischio oltretutto di depotenziare e mettere a rischio i risultati della campagna stessa.
Il PD, per la sua stessa natura borghese liberale, combina un'opposizione “democratica”, non priva di richiami sociali, con la continuità della politica borghese e i suoi risvolti internazionali: avalla il patto di stabilità europeo cucinato (anche) da Gentiloni, partecipa in sede UE attraverso il gruppo PSE all'alleanza col Partito Popolare Europeo, vota col governo Meloni (e il M5S) le missioni di guerra nel Mar Rosso, preserva le relazioni materiali sul territorio con le organizzazioni padronali e i poteri forti, ignora persino ogni richiesta di patrimoniale, fosse pure a supporto delle proprie timide richieste sulla sanità, rivendica l'appartenenza alla NATO e tutte le sue implicazioni, incluso l'incremento del militarismo.
Parallelamente AVS custodisce la collaborazione col PD a livello nazionale e locale. e copre la passività della burocrazia sindacale. Il fatto che in tutta la campagna elettorale non abbia neppure evocato il proprio sostegno ai referendum sociali della CGIL, non sottoscritti in quanto tali dal PD, dà la misura di come la non belligeranza col PD sia la pietra angolare della politica di AVS.

Tutto ciò non impedisce né al PD né ad AVS alla sua sinistra di raccogliere elettoralmente una domanda di opposizione al governo della propria base elettorale. Una domanda importante. Ma si tratta ad oggi di una capitalizzazione passiva che non sposta i rapporti di forza, perché non incide sul blocco sociale reazionario. Un blocco sociale che infatti non solo è rimasto intatto ma si è addirittura consolidato.


DARE PROSPETTIVA ALLA DOMANDA DI OPPOSIZIONE.
LA NECESSITÀ DI UNA SVOLTA DI FONDO


Rompere la pace sociale, promuovere una piattaforma di lotta unificante, aprire una vertenza generale contro governo e padronato è allora tanto più oggi una necessità politica.
L'importante domanda di opposizione al governo Meloni che si è raccolta attorno ad AVS e al nuovo corso di Schlein va travasata e tradotta sul terreno della mobilitazione reale. È l'unica via per aprire le contraddizioni del blocco sociale avversario, liberando milioni di lavoratori e lavoratrici dall'egemonia reazionaria delle destre. L'unica via per affrontare nel migliore dei modi le grandi battaglie democratiche contro i progetti di premierato e autonomia differenziata. L'unica via per riaprire dal basso lo scenario politico italiano.

La campagna dei referendum promossi dalla CGIL per il ripristino dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, la cancellazione delle peggiori forme di precariato, l'abolizione della libertà di subappalto – campagna che il PCL sostiene – non può limitarsi a un'iniziativa istituzionale ma deve trasformarsi nell'apertura di un fronte di lotta sul terreno della lotta di classe. Un'assemblea nazionale di delegati eletti può e deve definire la sua piattaforma e le sue forme d'azione. È necessario che su questa battaglia di svolta si costruisca il più vasto fronte unico di azione di tutte le organizzazioni del movimento operaio, e di tutte le sinistre politiche e sindacali, fuori da ogni logica isolazionista e minoritaria.

Questa battaglia per una svolta reale di lotta generale attorno ad una piattaforma sociale deve congiungersi ad una coerente battaglia democratica per il ripristino di una legge elettorale proporzionale. Se oggi la destra a guida postfascista col 44% dei voti del 2022 governa col 59% dei seggi parlamentari ciò accade grazie alla legge elettorale varata dal PD (il rosatellum). È significativo che né il PD né AVS vogliano rompere con questa logica maggioritaria che ha premiato Meloni.
Il PD non lo fa perché spera in futuro di usarla per ritornare al governo secondo il pendolo dell'alternanza bipolare. AVS non lo fa perché subalterna al PD, e interessata ad aggregarsi al suo futuro carro ministeriale. Occorre invece capovolgere l'implicazione antidemocratica del bipolarismo attraverso una battaglia di svolta che stabilisca l'uguaglianza di ogni voto, cancelli sbarramenti e premi di maggioranza, affermi la stretta corrispondenza tra rappresentanza e consenso. Una legge pienamente proporzionale minerebbe alla radice il governo delle destre, che non sono maggioranza nel paese, e soprattutto affermerebbe un principio elementare della democrazia: una testa, un voto. È una battaglia storica del movimento operaio.

La battaglia di classe e democratica è inseparabile dall'aperta rottura con l'imperialismo e con il sionismo. Ciò che oggi significa prima di tutto un aperto sostegno al popolo palestinese, alla sua resistenza contro l'oppressione sionista, al principio elementare della sua autodeterminazione, fuori e contro ogni logica di conciliazione con uno Stato coloniale.
Attualmente il governo Meloni si appoggia sulla politica bipartisan in politica estera garantita dal PD (e dal PSE), rivelata dal voto scandaloso di unità nazionale (destre, PD, M5S) a sostegno della missione militare nel Mar Rosso contro gli houthi e la resistenza palestinese, e confermata dalla dissociazione del PD dalle lotte del movimento di solidarietà col popolo palestinese nelle università italiane come in tante università del mondo.
AVS, che pur ha votato contro la missione in Mar Rosso e formalmente sostiene gli studenti, copre il PD col proprio silenzio o con la propria postura pacifista, non senza appoggiare la richiesta di una “difesa comune” europea, cioè degli imperialismi europei, a rimorchio della socialdemocrazia continentale.
L'esigenza del movimento operaio è esattamente opposta: contro ogni forma di militarismo imperialista, contro la NATO, contro il sionismo, a difesa di ogni popolo oppresso. Da qui, oggi, la richiesta di un'azione di sciopero generale e di massa, che coinvolga tutti i sindacati di classe, a sostegno del popolo di Palestina e della lotta degli studenti filopalestinesi, fuori da ogni logica di equidistanza pacifista e di fatto di subordinazione al sionismo.

Ma questa svolta generale di azione implica la piena autonomia del movimento operaio dal PD e dalla logica di subordinazione all'ennesima alternanza di centrosinistra. Implica la costruzione di una rappresentanza politica indipendente del mondo del lavoro sulla base di un programma anticapitalista, che si batta per un governo dei lavoratori e delle lavoratrici. L'unica vera alternativa allo stato di cose presenti. In Italia e in Europa.

Il PCL è impegnato nella costruzione di questo partito, combinando come sempre unità di lotta, contro ogni forma di settarismo, e radicalità di proposta, contro ogni illusione nel riformismo.
Fuori da ogni subordinazione al PD o da ogni Santoro che passa.

PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI