Post in evidenza

La confluenza dell'Opposizione Trotskista Internazionale nella Lega Internazionale Socialista

  Avanza l'unità dei marxisti rivoluzionari nel mondo 26 Maggio 2025 English version Il congresso dell'Opposizione Trotskista Intern...

Cerca nel blog per parole chiave

Visualizzazione post con etichetta per una sinistra rivoluzionaria. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta per una sinistra rivoluzionaria. Mostra tutti i post

Il PCL nelle elezioni per il Senato in Liguria

 


Di fronte a una normativa elettorale particolarmente antidemocratica per i tempi imposti, e considerando l'importanza di una presenza dei marxisti rivoluzionari alle elezioni su scala nazionale, avevamo proposto a diverse sinistre classiste (Fronte della Gioventù Comunista, Sinistra Anticapitalista, SCR, Tendenza Internazionalista Rivoluzionaria) un'alleanza elettorale capace di garantire tale presenza. La nostra proposta unitaria è stata purtroppo respinta. Di conseguenza, nei tempi previsti, il PCL ha potuto presentarsi al voto solamente in Liguria al Senato.


Il bilancio di questa esperienza per il partito ligure è stato positivo. In contrapposizione ai partiti borghesi, e a differenza di Sinistra Italiana e di Unione Popolare, abbiamo posto al centro della nostra campagna l'esigenza di una rappresentanza politica indipendente dei salariati e un programma apertamente anticapitalista per un governo dei lavoratori e delle lavoratrici. Non è un programma “elettorale”, è il programma per cui ci battiamo ogni giorno in ogni lotta. Semplicemente, a differenza di altri, non rinunciamo a presentarlo anche alle elezioni. Non disertiamo questo terreno di propaganda di massa. Non rinunciamo a usare la tribuna borghese, fosse pure nelle condizioni più sfavorevoli, per presentare una prospettiva rivoluzionaria. È l'insegnamento elementare del leninismo.

Sotto il profilo strettamente elettorale abbiamo registrato in Liguria un netto progresso rispetto alle elezioni politiche del 2018. Nel 2018, in alleanza con Sinistra Classe Rivoluzione nella lista “Per una sinistra rivoluzionaria”, prendemmo 1500 voti a livello regionale (0,17%). Nel 2022 come Partito Comunista dei Lavoratori, con la piena riconoscibilità del nostro simbolo, abbiamo preso 4380 voti (0,66). Abbiamo cioè triplicato. Ovviamente resta un risultato molto modesto, nel quadro complessivo della perdurante crisi della sinistra politica che le elezioni hanno confermato. Ma resta la sua positività.

L'aspetto più importante, al di là del risultato, ha riguardato la campagna condotta, sia in termini di proiezione mediatica sulle tv e radio locali, con contenuti dichiaratamente di classe, sia soprattutto in termini di volantinaggio sulle fabbriche. Pur con forze molto piccole, il partito ha coperto tutte le principali fabbriche della regione (ex Ilva e Ansaldo a Genova, gli stabilimenti di Fincantieri a Riva Trigoso e a La Spezia, la Oto Melara di La Spezia, la Bombardier di Savona, la Piaggio di Albenga, le vetrerie della Val Bormida). È un intervento al quale daremo stabilità e continuità mensile con la diffusione del volantino periodico nazionale.

La campagna elettorale ci ha consentito di guadagnare alcune nuove adesioni al PCL e diversi nuovi contatti, anche a livello operaio (Oto Melara), che cercheremo di far aderire al partito. In altri termini, nel nostro piccolo, con le difficoltà che ben conosciamo, la campagna elettorale è stata un fattore di costruzione e consolidamento del nostro partito in Liguria. È la conferma una volta di più del metodo leninista: non rinunciare mai, battersi sempre per le proprie idee su ogni terreno.

Partito Comunista dei Lavoratori

Un pessimo risultato per i lavoratori


5 Marzo 2018
Il voto del 4 marzo ha espresso un risultato estremamente negativo per i lavoratori e il movimento operaio. La crisi del renzismo è precipitata, ma è stata capitalizzata da forme diverse di populismo reazionario: dal Movimento 5 Stelle, in particolare nel Sud e nelle Isole, dove realizza un autentico sfondamento; da un centrodestra a trazione Salvini, in particolare nel Nord. La sinistra, nel suo insieme, è pesantemente marginalizzata dal nuovo scenario
Il voto del 4 marzo ha espresso un risultato estremamente negativo per i lavoratori e il movimento operaio. La crisi del renzismo è precipitata, ma è stata capitalizzata da forme diverse di populismo reazionario: dal Movimento 5 Stelle, in particolare nel Sud e nelle Isole, dove realizza un autentico sfondamento; da un centrodestra a trazione Salvini, in particolare nel Nord. La sinistra, nel suo insieme, è pesantemente marginalizzata dal nuovo scenario.


IL SUCCESSO DEL POPULISMO REAZIONARIO 


Il PD di Renzi consuma una disfatta. Il duplice fallimento del renzismo - mancato sfondamento nel blocco sociale di centrodestra e insuccesso dell'operazione diga verso il grillismo sul terreno della competizione populista - era già inscritto da tempo nello scenario politico, come ha mostrato la stessa sconfitta referendaria del 4 dicembre 2016. Il voto del 4 marzo l'ha sanzionato nei termini più pesanti. Una legge elettorale concepita per penalizzare il M5S nei collegi uninominali e consentire la campagna del voto utile per il PD ha favorito, nelle condizioni date, una dinamica opposta, a partire dal Meridione.

Il M5S ha riportato un successo elettorale e politico molto rilevante. Nel Meridione ha capitalizzato la combinazione dello sfaldamento dei vecchi potentati clientelari e del richiamo della bandiera del cosiddetto reddito di cittadinanza, sino a raggiungere risultati da plebiscito. Nel Nord ha consolidato un blocco elettorale che tiene insieme voto operaio e settori di piccola borghesia. Nei fatti il M5S ha sommato l'eredità del “voto contro” i partiti dominanti con l'immagine di possibile carta di ricambio sul terreno del governo, quale nuovo garante e protettore sociale di interessi compositi. Il trasformismo governista del nuovo corso di Di Maio non solo - al momento - non ha penalizzato il M5S, ma ha allargato la sua capacità di presa.

Il centrodestra ha complessivamente conseguito l'obiettivo di coalizione di maggioranza relativa, ma il netto sorpasso della Lega su Forza Italia segna un successo indiscutibile del salvinismo. La campagna centrale per la cacciata degli immigrati (“prima gli italiani”), combinandosi con l'impegno ad abolire la legge Fornero, ha connotato un richiamo politico fortemente caratterizzato capace di polarizzare attorno a sé un blocco sociale reazionario molto eterogeneo. I risultati della Lega nel Sud incoraggiano a loro volta la nuova linea della Lega nazionale. Parallelamente, la sconfitta di Forza Italia, che fallisce il recupero sulla Lega nei collegi del Sud a vantaggio del M5S, va molto al di là del dato elettorale e può sancire il tramonto politico definitivo del berlusconismo, ridisegnando in prospettiva la stessa geografia del centrodestra.


LA SCONFITTA DELLA SINISTRA 

La sinistra, nel suo insieme, esce pesantemente sconfitta dalla prova elettorale.

Liberi e Uguali ha totalmente fallito l'obiettivo di ricomposizione attorno a sé del popolo della sinistra. Prima una scissione del PD molto tardiva e senza riconoscibilità sociale, poi una campagna elettorale attorno a Grasso giocata su una disponibilità alla ricollocazione di governo assieme al PD (e addirittura a Berlusconi) hanno portato LeU in un vicolo cieco. La soglia del 3,3% sancisce una disfatta che mina alla radice non solo il progetto dichiarato di costruzione del nuovo partito della sinistra, ma la stessa tenuta dell'aggregazione.
L'aggregazione riformista di Potere al Popolo (Je so' Pazzo, Rifondazione Comunista, PCI, Eurostop...) manca largamente l'obiettivo massimo del 3%, e anche l'obiettivo intermedio del 2%, attestandosi attorno all'1,12%. Nonostante il relativo successo di immagine in un bacino ristretto di avanguardia, la recita di un movimentismo antagonista in assenza di un movimento reale non è riuscita a capitalizzare lo spazio a sinistra di LeU se non in misura modesta. In ogni caso PaP è e resta segnato da un'assenza di progetto generale che vada al di là della raccolta di rivendicazioni immediate. Peraltro il commento entusiastico del dato elettorale («siamo contentissimi», ha dichiarato Viola Carofalo) sembra rimuovere non solo la realtà del voto conseguito da PaP rispetto alle ambizioni dichiarate, ma il pessimo scenario politico generale.
Il PC stalinista di Marco Rizzo, di impronta nordcoreana, ha investito nel nostalgismo del vecchio PCI (“il Partito Comunista è tornato”) con una pronunciata caratterizzazione di partito, conseguendo un risultato non disprezzabile (0,32, con presenza nel solo 60% del paese). Ma si tratta di un fenomeno d'immagine autocentrato, senza linea e proposta di massa, attorno all'immagine pubblica del segretario, con diversi elementi politicamente equivoci (ad esempio sull'antifascismo, sui migranti, sui diritti civili...) emersi durante la stessa campagna elettorale, e mirati volutamente ad ammiccare ad un elettorato “trasversale”.


“PER UNA SINISTRA RIVOLUZIONARIA”. UN RISULTATO MOLTO NEGATIVO E LA CONFERMA DELLE NOSTRE RAGIONI 

La lista “Per una sinistra rivoluzionaria”, che il PCL ha promosso assieme ai compagni e alle compagne di Sinistra Classe Rivoluzione, ha registrato un risultato molto negativo (0,12 al Senato, 0,08 alla Camera, corrispondente a un bacino di circa lo 0,15, vista la presenza solo nella metà del paese). Da rivoluzionari non rimuoviamo la realtà, né vogliamo abbellirla. Siamo stati in questa campagna elettorale l'unica reale presenza anticapitalista, classista, internazionalista. Molti fattori congiunti hanno militato contro di noi: uno scenario generale di deriva reazionaria segnato dall'arretramento profondo della coscienza politica della classe, la concorrenza inedita di tre formazioni a sinistra del PD molto più equipaggiate di noi in termini di forza organizzata o proiezione pubblica, un simbolo elettorale e un nome della lista con l'esplicito riferimento alla "sinistra" in assenza di una chiara connotazione comunista legato all'accordo tra i soggetti componenti il cartello. A tutto questo si è aggiunta una riduzione degli spazi mediatici d'accesso maggiore che in passato, senza paragone con altri soggetti concorrenti. L'insieme di questi fattori ha concorso a un risultato obiettivamente pessimo, ma non ne sono l’unica motivazione.

Ma da marxisti rivoluzionari non ci facciamo certo demotivare da un risultato elettorale. Naturalmente nei prossimi giorni, a partire dai nostri organismi dirigenti, faremo un'analisi approfondita del voto e un bilancio politico. Ma i risultati elettorali non sono mai la misura delle ragioni, quanto il riflesso di uno scenario dato e dei relativi rapporti di forza. Mentre tutte le ragioni che abbiamo sostenuto nella stessa campagna elettorale, e che più in generale sono alla base del nostro intervento di classe, continuano a corrispondere alla realtà delle cose. Su due terreni complementari.

In primo luogo, la situazione sancita dal voto del 4 marzo conferma una volta di più che solo una irruzione del movimento operaio sul terreno della lotta di classe potrà segnare una svolta reale e aprire dal basso un nuovo scenario politico. Senza la ripresa di un'opposizione sociale di classe e di massa che scomponga i blocchi sociali reazionari e segni nuovi rapporti di forza, l'intera situazione politica continuerà ad avvitarsi lungo la china in atto. È la dinamica di questi anni che il voto ha registrato. Non ci sono scorciatoie politiciste o marchingegni elettorali che possano aggirare questa verità.

Parallelamente, proprio il profondo arretramento della coscienza politica della classe lavoratrice, che i risultati elettorali confermano clamorosamente, ripropone la necessità di costruire controcorrente il partito rivoluzionario, cioè quell'organizzazione dell'avanguardia che porta la coscienza nella classe, contrasta i suoi pregiudizi, combatte i seminatori di vecchie e nuove illusioni, riconduce ogni esperienza alla necessità della rivoluzione e di un governo dei lavoratori. Ogni rimozione della centralità della costruzione del partito d'avanguardia come portatore di coscienza è smentita ancora una volta proprio dal voto del 4 marzo.


COSTRUIRE IL PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

Se il risultato elettorale del 4 marzo è pessimo per il movimento operaio, è ben lungi dall'aver risolto i problemi della borghesia. Il padronato è forte nei luoghi di lavoro, e certo capitalizzerà su quel terreno anche l'esito del voto. Ma il voto del 4 marzo segna anche un nuovo passaggio della crisi di governabilità borghese. La Seconda repubblica del vecchio bipolarismo tra centrodestra e centrosinistra è da tempo tramontata. Ma la Terza repubblica annunciata da Di Maio e dal M5S quale nuovo pilastro politico e istituzionale è ancora lontana dall'essere realizzata. E Salvini non sembra disporre ad oggi dei numeri necessari per formare attorno a sé un nuovo governo di centrodestra. Chi dunque si intesterà nel nuovo quadro i nuovi programmi di austerità imposti dal capitale finanziario (e furbescamente rimossi in campagna elettorale da tutti i principali attori)?

Detto questo, nessuna contraddizione borghese, nessuna dinamica obiettiva degli avvenimenti, porterà una soluzione progressiva della crisi italiana senza l'irruzione nella lotta della classe lavoratrice e l'affermazione di una sua nuova direzione. Questo è il punto decisivo. Sono le ragioni del Partito Comunista dei Lavoratori e della sua costruzione quotidiana.

Tanti nuovi compagni e compagne hanno preso contatto con il nostro partito durante la campagna elettorale, come alcune realtà di classe di avanguardia a livello di fabbrica. Il nostro difficile lavoro controcorrente di costruzione e radicamento continuerà, nell'interesse obiettivo del movimento dei lavoratori e dell'unica possibile soluzione alternativa: una soluzione anticapitalista e rivoluzionaria.
Partito Comunista dei Lavoratori

Le prese in giro della democrazia borghese


Anche sulla “par condicio” elettorale si dimostra quanto valgono le regole in questa società

“La democrazia borghese è una pacchia per i ricchi e un inganno per i poveri”. Queste parole di Lenin hanno sempre guidato l’azione dei marxisti rivoluzionari conseguenti.
A differenza di tutte la varie “sinistre” che si inchinano di fronte alla Costituzione nata dalla Resistenza, noi, pur pronti a sfruttare qualsiasi appiglio che essa offra al movimento dei lavoratori e degli oppressi, sappiamo appunto che fu, fin dall’inizio, uno strumento per incanalare nel quadro del sistema borghese il potenziale rivoluzionario della classe operaia.
A chi si scandalizza del nostro voler abbattere con la rivoluzione la “democrazia” borghese e sostituirla con la dittatura del proletariato noi rispondiamo che il potere dei lavoratori e delle lavoratrici che essa rappresenta è l’unica reale alternativa a questa dittatura di banchieri e capitalisti che la democrazia borghese rappresenta. Come detto, questo non significa che noi non utilizziamo gli spazi - in larga misura guadagnati dalla lotta delle masse - che questo sistema ci offre, a partire della partecipazione alle elezioni parlamentari, per propagandare il nostro programma rivoluzionario.
Ma anche sul terreno di questi spazi, la borghesia, il suo sistema politico e i suoi servi sono pronti a violare le loro stesse regole e ad usare tutti i trucchi per mantenere lo status quo.
In piccolo questa presa in giro della democrazia borghese si è vista in riferimento alla norme di legge della cosiddetta par condicio. Tale legge, del 2000, prevede che nel corso delle campagne elettorali le varie liste in competizione abbiano un pari spazio, temporale e qualitativo, di presentazione su tutti i canali televisivi. Tutto apparentemente molto democratico: una partenza su basi eguali per presentare i propri programmi agli elettori e permetter loro di giudicare liberamente. Ciò che non elimina le differenziazioni di risorse, ma limita il loro dominio.
Solo che... questa legge è totalmente inapplicata. Non nel senso che non si raggiunge la precisione nell’attribuzione degli spazi, ma nel senso di una totale inapplicazione. Così non è che noi (e anche altre liste minori) abbiamo un terzo o un quarto del tempo dei grandi partiti, ma un trentesimo o un quarantesimo.
A garantire la par condicio dovrebbe essere un'autorità che ha appunto il nome di Autorità per la Garanzia nelle COMunicazioni (AGCOM). Il suo ruolo è certamente di garantire; ma di garantire... la non applicazione della legge. Presieduta da un ex professore bocconiano nominato da Monti, essa ha elaborato un regolamento attuativo che stravolgeva la legge distruggendo la par condicio, trasformandola in impari distribuzione dei tempi in funzione della preesistente forza elettorale (come se in una nuova gara di corsa, una parte dei gareggianti partisse molti metri più avanti, perché anni prima ha brillato nella competizione). Ma ha poi coperto pure le violazioni della lettera del suo abusivo regolamento.
Come detto, arrabbiati ma non sorpresi più di tanto: in fondo anche l’AGCOM è una struttura del sistema, e i suoi dirigenti, certamente ben pagati e soddisfatti delle poltrone, del diritto e della democrazia possono ben fregarsene, tanto "c'hanno la loro convenienza" in quel che fanno.
Anche questo episodio ci conforta nella nostra lotta contro lo stato borghese e per la rivoluzione.
In questo quadro noi facciamo un appello, in zona cesarini, a tutti i siti, le radio libere, la stampa democratica etc. a dare l’ultimo giorno della campagna elettorale uno spazio significativo alla nostra lista, per compensare in minima parte la vergognosa soperchieria della AGCOM e delle direzioni delle reti televisive.

Partito Comunista dei Lavoratori

 

Accordo sindacati-Confindustria. Le sinistre hanno qualcosa da dire?


28 Febbraio 2018 - Questa notte Confindustria ha incassato il sì delle burocrazie sindacali alla propria piattaforma. Tutti gli aspetti peggiori dell'ultimo contratto dei metalmeccanici vengono estesi all'intero impianto delle relazioni sindacali. A riprova del fatto che quell'accordo - contestato in tante grandi fabbriche - rappresentava un accordo pilota, come tale peraltro presentato da Federmeccanica. 

La sostanza dell'accordo è inequivocabile. Gli aumenti salariali su scala nazionale vengono subordinati all'Ipca, che per definizione è inferiore alla inflazione reale (perché i costi dell'energia non sono calcolati); ogni contrattazione aziendale viene subordinata all'incremento della produttività: cioè deve essere pagata dai lavoratori stessi (con l'incremento dello sfruttamento). Già solo questo significa che nel momento della massima euforia delle Borse e dei profitti, e dopo un'infinita crisi sociale, non solo si nega ai lavoratori e alle lavoratrici ogni miglioramento della propria condizione, ma li si subordina in forma ancor più vincolante agli interessi padronali.

Un altro aspetto del contratto dei metalmeccanici diventa centrale nel nuovo accordo siglato: la generalizzazione del welfare aziendale. Benefit al posto del salario. Nuovi sgravi fiscali ai padroni a vantaggio dei loro profitti e a carico del welfare universale. Una forma aggiuntiva di ricattabilità dei lavoratori da parte dei padroni. Non bastava la libertà di licenziare senza giusta causa per i nuovi assunti. Occorreva dire all'operaio che se non si subordina all'azienda, se rivendica migliori condizioni, mette a rischio non solo il posto di lavoro ma anche l'accesso ai “benefici” (sanità, rette, pensioni...) che a quel posto si legano. Come negli USA. Mentre il welfare aziendale a scapito di quello universale diventa un nuovo terreno di speculazione e arricchimento del capitale finanziario.

Infine l'accordo blinda la famosa esigibilità dei contratti introdotta dal Testo Unico del 10 gennaio, cioè l'impossibilità di contestare gli accordi da parte di chi ne è vittima, se non al prezzo di sanzioni.

Confindustria brinda entusiasta, a ragione. Brinda la CISL di Furlan, sempre più sindacato padronale. Mentre la burocrazia della CGIL segue a ruota vergognosamente, pur di sancire l'unità sindacale, e ottenere il riconoscimento del padronato. Indecente. Tanto più alla vigilia del voto del 4 marzo. Il segnale che le burocrazie sindacali – CGIL in testa - inviano a tutti i partiti padronali è molto semplice: la governabilità del conflitto sociale è sotto controllo, il movimento operaio starà fuori della contesa politica, siate riconoscenti per il servizio reso.

Le diverse forze della sinistra politica non hanno nulla da dire su questa ennesima capitolazione della CGIL? Continueranno a subordinarsi organicamente agli apparati sindacali (LeU) o a tacere pubblicamente sulle loro responsabilità (Rifondazione, cioè Potere al Popolo)?

Il Partito Comunista dei Lavoratori e la lista “Per una sinistra rivoluzionaria” si battono e si batteranno in ogni caso contro l'accordo Confindustria-sindacati, in coerenza con la battaglia di sempre. Per una direzione alternativa del movimento operaio. Per una prospettiva anticapitalista.
Partito Comunista dei Lavoratori

Militanti sindacali per una sinistra rivoluzionaria


Appello di militanti sindacali per il voto a favore delle liste di “Per una sinistra rivoluzionaria”

Da decenni le conquiste dei lavoratori e delle lavoratrici, i loro diritti, il loro salario, la loro salute sono sotto costante attacco. Lo stesso vale per gli altri settori oppressi, dai giovani ai pensionati e pensionate, al popolo povero in particolare del meridione d’Italia. Le lavoratrici vedono peggiorare la loro condizione dentro e fuori dai posti di lavoro, e su di loro ricadono le conseguenze peggiori dello smantellamento dei servizi pubblici, dai nidi alla scuola e alla sanità pubbliche. Si sviluppano sistematiche campagne razziste contro i migranti per dividere i lavoratori e gli oppressi. 
Questi processi, in corso già da decenni, hanno avuto una pesante accelerazione a partire dalla crisi mondiale del capitalismo scoppiata nel 2008. 
Anche nel nostro paese abbiamo visto attaccare le grandi conquiste realizzate dai lavoratori e dalle lavoratrici con le loro grandi lotte, in particolare degli anni ’60 e ’70. 
Rispetto a questa offensiva i lavoratori e le lavoratrici non hanno visto la sinistra ufficiale, politica e sindacale, ergersi a difesa dei loro interessi. Al contrario hanno visto i riformisti di tutti i tipi complici e addirittura attori della offensiva del capitale. 
Centrodestra e centrosinistra si sono alternati nell’applicare queste politiche, spesso con i governi di centrosinistra addirittura più zelanti di quelli di destra nell’applicare le politiche volute dal grande capitale. Flessibilità e precarizzazione selvagge (pacchetto Treu e legge Biagi-Maroni), distruzione del sistema pensionistico, privatizzazioni a tappeto, aziendalizzazione di scuole e università, leggi liberticide contro i migranti (Turco-Napolitano, legge Bossi-Fini), partecipazione a guerre imperialiste (Jugoslavia, Afghanistan, Iraq) e l’elenco potrebbe continuare ancora a lungo. 
Questo riguarda anche la Lega, che oggi si erge a paladina dei diritti dei lavoratori mentre ha la responsabilità diretta delle controriforme delle pensioni (riforma Dini, “scalone” Maroni), della precarietà, del primo attacco all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, del famigerato “collegato lavoro” di Sacconi, che sancisce la derogabilità dei contratti nazionali, solo per citare alcuni esempi. 
Con i governi Monti, e poi Letta-Renzi-Gentiloni, il PD ha poi sigillato e rilanciato all’ennesima potenza l’offensiva padronale. 
Di fronte a ciò le direzioni delle grandi organizzazioni sindacali hanno oscillato tra complicità e accettazione passiva. Non parliamo della CISL, vero e proprio sindacato padronale, ma anche della CGIL. La risposta alla riforma Fornero con l’incredibile “sciopericchio” di sole tre ore è la rappresentazione emblematica di quanto detto. Gravissima poi è stata la responsabilità di avere abbandonato la lotta contro il Jobs Act e contro la Buona scuola, che pure aveva mostrato un potenziale di massa nelle mobilitazioni dell’autunno 2014 e primavera 2015. 

Come lavoratori e militanti sindacali ci siamo impegnati in questi anni a contrastare questa deriva, e nell’opporci a una lunga serie di contratti bidone che hanno fatto ulteriormente arretrare la condizione nei luoghi di lavoro. 
Questa politica delle organizzazioni politiche e sindacali della sinistra riformista ha colpito duramente il movimento popolare permettendo lo sviluppo all’interno della classe della falsa e reazionaria risposta di organizzazione come la Lega o il Movimento 5 Stelle. 
È giunto il momento di prospettare, anche approfittando della scadenza elettorale, una vera alternativa a questa situazione. Una alternativa non basata sull’eterna riproposizione delle utopie antiliberiste (già più volte sconfitte nella partecipazione della sinistra “radicale” – PRC, PCI – alle coalizioni di centrosinistra, appoggiando misure come il pacchetto Treu, gli sgravi fiscali massicci al padronato e le missioni di guerra), ma sul richiamo ad una prospettiva anticapitalista, rivoluzionaria e socialista. 
Per questi motivi salutiamo con favore e sosterremo la presentazione della lista “Per una sinistra rivoluzionaria”, che indicando una serie di obbiettivi immediati e transitori nel proprio programma ci pare rispondere alle esigenze della situazione. Positiva è anche la scelta di presentare lavoratori e lavoratrici anche di diverse esperienze sindacali che in questi anni sono stati impegnati in prima persona nelle fabbriche e nelle aziende nelle battaglie sindacali e politiche prima ricordate. 
Porre rivendicazioni come la riduzione massiccia dell’orario di lavoro a parità di salario e l’abolizione di tutte le leggi di flessibilità per garantire a tutti e tutte un lavoro dignitoso a tempo indeterminato; la nazionalizzazione senza indennizzo delle grandi aziende che licenziano o inquinano; l’annullamento del debito pubblico verso le banche, ricavando molte decine di miliardi da utilizzare per la spesa pubblica; la nazionalizzazione senza indennizzo del sistema bancario e finanziario; e infine la prospettiva alternativa a tutte le combinazioni governative borghesi di un governo dei lavoratori; tutto ciò pone una prospettiva in cui ci riconosciamo. 
Per questo, pensando così di essere coerenti con la nostra battaglia di sindacalisti e sindacaliste classisti/e, invitiamo gli iscritti e le iscritte alle organizzazioni sindacali e più in generale i lavoratori e le lavoratrici a sostenere col proprio voto nelle prossime elezioni politiche le liste di “Per una sinistra rivoluzionaria”. 


Firmatari: 

Domenico Loffredo (operaio Fca Pomigliano Napoli Fiom-Cgil) 
Luigi Sorge (operaio Fca Cassino Fiom-Cgil) 
Giuseppe Violante (delegato Fiom-Cgil Maserati Modena) 
Matteo Parlati (delegato Fiom-Cgil Ferrari Modena) 
Daniele Debetto (delegato Filcea-CGIL Pirelli Settimo Torinese) 
Simona Leri (delegata Filcams-Cgil Coop Alleanza 3.0 Modena) 
Donatella Ascoli (delegata Filcams-Cgil Musei Civici Veneziani-Venezia Dir Cgil Veneto) 
Stefano Fontana (Fincantieri Marghera Dir Fiom -Cgil Venezia) 
Davide Ledda (delegato Fiom-Cgil Cft Parma) 
Alessandra Pierosara (Dir. Nazionale Fillea Cgil Socia-lavoratrice D'Esi Società Cooperativa Azienda recuperata dai lavoratori) 
Enrico Pellegrini (delegato Filcams-Cgil Musei Civici Veneziani Dir Cgil Venezia) 
Arianna Manicini (delegata Sanità Usb Roma) 
Antonio Forlano (delegato Filt-Cgil Ups Milano) 
Crescenzo Papale (delegato DP Ancona Agenzia Entrate USB Pubblico Impiego) 
Luca Ibattici (delegato Fiom-Cgil Spal Reggio Emilia) 
Laura Parozzi (delegata Filt-Cgil Ups Vimodrone Milano) 
Mario Iavazzi (Direttivo nazionale Cgil) 
Luca Scacchi (Direttivo nazionale Cgil) 
Paolo Brini (Comitato Centrale Fiom-Cgil) 
Francesco Doro (Comitato Centrale Fiom-Cgil) 
Paolo Grassi (Dir. Naz Nidil-Cgil) 
Franco Grisolia (Comitato nazionale di garanzia Cgil) 
Margherita Colella (Dir. Naz Flc-Cgil) 
Alfonsina Palumbo (Dir. Nazionale Fisac-Cgil) 
Francesco Durante (Dir. Nazionale Fisac-Cgil) 
Daniele Prampolini (Dir.Fiom Modena) 
Piero Ficiarà (Dir.Fiom-Cgil Modena) 
Luca Acquarico (Dir. Fiom-Cgil Modena) 
Luca Paltrinieri (delegato Fiom-Cgil Netscout Modena) 
Giuseppe Faillace (delegato Fiom-Cgil Motovario Modena) 
Davide Bacchelli (delegato Fiom-Cgil Ima Bologna) 
Gianplacido Ottaviano (delegato Fiom-Cgil Bonfiglioli Bologna) 
Gian Pietro Montanari (delegato Fiom-Cgil Toyota Bologna) 
Domenico Minadeo (delegato Fiom Metaltarghe Bologna) 
Massimo Pieri (delegato Fiom Tas spa Casalecchio di Reno, Bologna) 
Giuseppe Gomini (delegato Fiom-Cgil Ducati Bologna) 
Davide Tognioni (delegato FP-Cgil Comune di Rolo Reggio Emilia) 
Ilic Vezzosi (Dir. Cgil Reggio Emilia) 
Marco Paterlini (delegato FP-Cgil L'Olmo Reggio Emilia) 
Marco Mussini (Dir. Fiom-Cgil Reggio Emilia) 
Ermanno Lorenzoni (Dir. Emilia Romagna SGB) 
Manfredi Storaci (Dir. Emilia Romagna SGB) 
Antonino Marceca (Dir. Funzione Pubblica-Cgil Veneto) 
Gianbattista Mineni (Dir. CGIL Veneto) 
Stefano D’Intinosante (delegato Fiom-Cgil Somec) 
Alessandro Busetto (segretario provinciale CUB Venezia, delegato Università Ca’ Foscari) 
Fabio Basso (Dir. Fiom-Cgil Venezia Fincantieri Marghera) 
Angelo Raimondi (delegato Filcams-Cgil Esselunga Corbetta-Milano) 
Cinzia Crespi (delegata Filt-Cgil Ups Vimodrone Milano) 
Joan Valdiviezo (delegato Filt-Cgil Italgroup cantiere; Ups Milano) 
Jeisson Zuniga (delegato Filt-Cgil Planet Cantiere Ups Milano) 
Luca Pezza (delegato Filctem-Cgil Michelin Milano) 
Francesca Esposito (lavoratrice Atm Milano iscritta Filt-Cgil Atm) 
Giovanna Benites (lavoratrice Ospedale San Paolo iscritta Funzione pubblica-Cgil Milano) 
Francesco Serati (delegato Filt-Cgil Fast-Log Cantiere Ups Como) 
Barbara Lietti (delegata Funzione pubblica-Cgil Ospedale Sacco Milano) 
Andrea Galvagno (Coordinamento enti locali USB Piemonte) 
Lorenzo Mortara (delegato Fiom-Cgil YKK Vercelli) 
Diego Sabelli (delegato Elt Fiom-Cgil Roma) 
Alessio Sammartino (Dir. Filcams-Cgil Roma) 
Riccardo Spadano (delegato Consiglio Nazionale degli Ingegneri SGB Roma) 
Marco Di Pietrantonio (Dir. FP-Cgil Pescara) 
Ilaria Del Biondo (Dir. Nidil Cgil Pescara) 
Vincenzo Chianese (delegato Fiom-Cgil Ergom Napoli) 
Antonio Esposito (delegato Slc-Cgil Almaviva Napoli) 
Lidia Luzzaro (Dir. Nidil-Cgil Cosenza) 
Francesco De Simone (Dir Cgil Calabria) 
Giuseppe Siclari (Assemblea Generale Cgil Calabria) 
Emilio Damico (Dir Cgil- Camera del Lavoro Cosenza) 
Ercole Mastrocinque (delegato Slc-Cgil Poste Italiane) 
Antonio Pensabene (Dir. Fiom-Cgil Reggio Calabria) 
Michele Mililli (Dir. regionale Filcams-Cgil Ragusa) 
Cinzia Ronzitti (delegata Filcams-Cgil LaRinascente Genova) 
Marco Loprevite (delegato Filcams-Cgil LaRinascente Genova) 
Giovanni Di Marco (delegato USB Università di Genova) 



Per adesioni: redazione@marxismo.net, esecutivo@pclavoratori.it

Lo strano "comunista" Marco Rizzo


Dalla NATO a Kim Jong-un

Il dottor Stranamore, ovvero: come ho imparato ad amare la bomba e a non averne paura

“Rizzo pelato, servo della NATO”. Questo lo slogan apparso sui muri di Torino nel lontano 1999. Il motivo era allora chiaro. Marco Rizzo era uno dei principali dirigenti (coordinatore della segreteria nazionale) del cosiddetto Partito dei Comunisti Italiani, diciamo il numero tre, dopo Cossutta e Diliberto. Come tale era stato, nel 1998, uno dei principali organizzatori della scissione del Partito della Rifondazione Comunista. Scissione di destra.
Quando Bertinotti era stato costretto, a malincuore, a rompere col centrosinistra sfiduciando Prodi, i cossuttiani avevano rotto con lui per continuare a sostenere il governo; che in realtà era stato sostituito da quello di D’Alema, in cui i cossuttiani erano entrati a pieno titolo, ottenendo il ministero della Giustizia, affidato a Diliberto, e quello degli affari regionali, a Katia Belillo.
Fu questo il governo che nel 1999 partecipò alla guerra della NATO contro la Jugoslavia, bombardando Belgrado con arei italiani, mentre tutti gli arei NATO partivano dalla base italiana di Aviano. Il buon Rizzo non mosse un dito contro l’appoggio del suo partito al governo di guerra, anche se una minoranza dei delegati del PdCI ad un congresso del partito sollevò obiezioni (salvo poi capitolare con il profondo argomento che tanto la guerra... stava per finire con la vittoria della NATO).

Nella storia del Partito Comunista - che è poi in realtà sostanzialmente la storia del grande capo Rizzo - pubblicata sul sito del partito rizziano si afferma che il rapporto tra lui e gli altri dirigenti del PdCI cominciò ad incrinarsi all’epoca della guerra del Kosovo cui egli «cercò inutilmente di opporsi» (sic!). Nemmeno Sherlock Holmes riuscirebbe a trovare il minimo indizio di tale opposizione, e la sua conclusione rivolta al suo fido assistente non potrebbe essere che una: “Elementare Watson: Rizzo mente”.
Dopo la fine di questa guerra e, successivamente, del governo D’Alema, Rizzo cercò di accreditarsi come il capo della “destra” del PdCI. Nel 2001 si pronunciò contro la partecipazione del PdCI alle manifestazioni contro il G8 a Genova sulla base del motivo per cui non erano presenti i lavoratori (ovviamente la FIOM e il sindacalismo di base non contavano niente).
Nel 2003, mentre si stava discutendo dell’ipotesi della costituzione di un "Partito del Lavoro”, in pieno Comitato Centrale del PdCI Rizzo affermò testualmente: «il Partito del lavoro c’è già, e Cofferati è il suo capo». Questo mentre Cofferati si pronunciava, insieme a governo e Confindustria, per il boicottaggio del referendum per l’estensione dell’art 18.
Nel 2005, al Parlamento europeo, insieme all’astronauta Guidoni si distinse dal resto del gruppo della Sinistra Europea (GUE). Il futuro sovranista, infatti, feroce nemico della UE e dell’euro, votò a favore dei trattati europei, mentre tutto il GUE, con un minimo di dignità, votava contro.

Come mai questo riformista di destra si tramutò pochi anni dopo nel leader di una rottura di sinistra (per quanto sempre nell’ambito di opzioni riformiste quali quelle proprie dello stalinismo)?
La realtà è molto semplice: bagarre tra burocrati ambiziosi. Esautorato progressivamente Cossutta, i dioscuri del PdCI divennero Diliberto e Rizzo. Ma il segretario e il numero uno era Diliberto. Come si dice popolarmente, non possono esistere due galli nello stesso pollaio (riformista). Rizzo diede un'intervista ad un giornale in cui affermava che lui poteva contentarsi di essere un “numero due” (testuale), ma a condizione di essere il “vero numero due”. Sottotraccia era palese che il nostro era adepto della filosofia di Giulio Cesare secondo cui “è meglio essere il primo nel proprio villaggio, che il secondo in Roma”. Ma scalzare Diliberto si rivelò troppo difficile per il pur intelligente, abile e manovriero Rizzo. Di fronte a ciò egli aveva due possibilità: o approfondire le posizioni di destra e rischiare di fare la fine del vecchio Cossutta, del tutto emarginato e poi fuori dal partito e ai margini del PD; oppure seguire la “linea Totò (Antonio De Curtis principe di Bisanzio)”, e quindi buttarsi a sinistra.
E questo è quello che Rizzo fece, cominciando col criticare la coalizione dell’Arcobaleno, proseguendo con uno scontro frontale con il gruppo dirigente del PdCI, e in primo luogo con Diliberto, fino ad arrivare ad accusarlo di essere un massone, e a candidare un suo adepto neofita come il filosofo Gianni Vattimo nelle liste concorrenti di Italia dei Valori. Da ciò la rottura con il PdCI, e la costituzione con gli elementi più critici della linea opportunista del partito - ma anche più stalinisti - di Comunisti-Sinistra Popolare (oggi semplicemente Partito Comunista).

Ma l’isolamento internazionale della esperienza rizziana, lungi dal sottolineare il ruolo del “capo”, lo sminuiva. Per questo il nostro cominciò a guardarsi intorno per trovare la giusta casa. E incontrò così il Partito Comunista Greco (KKE). Questo partito stalinista combina da tempo un sostanziale riformismo, sia pure di sinistra, con una fraseologia rivoluzionaria, ma anche con un assurdo settarismo, in particolare nei confronti delle altre organizzazioni della sinistra (negli anni ’90, pur di combattere il PASOK socialdemocratico, giunse a costituire un governo con la destra).
Da alcuni anni il KKE ha organizzato una lassa unione di partiti stalinisti di sinistra, che ha assunto il nome di Iniziativa dei Partiti Comunisti e Operai d’Europa. Sufficientemente lassa per non costituire un pericolo per la leadership di Rizzo e, grazie al ruolo del KKE (gli altri partiti sono tutti molto piccoli), sufficientemente prestigiosa per dare una verniciatura internazionalista al suo partito.
Certo, c’erano alcuni problemi di tipo teorico-politico per realizzare l’accordo col KKE. Ma i problemi teorici non sono evidentemente problemi per Rizzo, e del resto, Atene val bene una messa.
Al momento della sua costituzione, il partito rizziano, conformemente alla tradizione stalinista italiana, si era richiamato a Togliatti (correttamente, dal suo punto di vista) e a Gramsci (abusivamente). Ma per il KKE il primo era un revisionista, che aveva anticipato quella tale partito che considera la svolta storica kruscioviana; il secondo un semitrotskista (tesi abbastanza corretta). In obbedienza al nuovo credo, Rizzo non ha esitato un secondo a sbarazzarsi del riferimento ai due.
In particolare, Gramsci era indicato come riferimento nello statuto stesso di Comunisti-Sinistra Popolare. Nondimeno Rizzo, senza aspettare un congresso né convocare almeno un comitato centrale, espulse Gramsci dallo statuto. Un gruppo di militanti di Roma protestò per questa scelta nel merito e nel metodo, e si ritrovò rapidamente fuori del partito, ciò che sottolinea la grande democrazia del partito rizziano.
Allo stesso modo Rizzo, silenziosamente, rinunciò al precedente filoputinismo, visto che il KKE considera (giustamente) la Russia un paese capitalistico in sviluppo e (altrettanto giustamente) la Cina un paese imperialista.
Questo portò Rizzo e il suo partito a considerare ormai come faro del socialismo (oltre Cuba) la Corea del Nord, dinastia ereditaria “rossa” dei Kim, oggi di Kim Jon-Un.

Recentemente il nostro ha parlato di questo e altro alla conferenza stampa elettorale di Rai2, prevista obbligatoriamente per tutte le liste presenti alle elezioni. In questa occasione ha confermato in primo luogo la sua natura di gran contaballe affermando con la più grande faccia tosta che la presentazione per la prima volta alle elezioni politiche del suo partito rappresentava la prima presenza della falce e martello sulle schede elettorali dopo dodici anni, dimenticando pour cause la costante presentazione in questi anni, nella totalità o nella maggioranza del paese, delle liste falcemartellate (accompagnate dal mondo dell’internazionalismo) del nostro PCL.
Nel corso della stessa conferenza stampa si è poi potuto assistere a tutte le ambiguità (e anche peggio) nazionalstaliniste su migranti, lotta ai fascisti, diritti civili, con Rizzo che addirittura si rifiutava di dire cosa avrebbe votato in merito alle unioni civili per gli omosessuali e allo Ius soli. Questioni ovviamente complicate, mica semplici come appoggiare i bombardamenti su Belgrado.
Ma sulla questione della Corea del Nord e del suo regime la faccia tosta ha ripreso il sopravvento. Forse temendo di passare alla cronaca (e alla satira stile Crozza) come il suo quasi omonimo Razzi, Rizzo ha cercato di presentare la sua posizione come una pura - e in questo caso legittima - difesa della nazione nord-coreana dall’imperialismo USA, senza identificazione o sostegno politico al sistema. Peccato che queste non fossero le posizioni espresse al momento della sua visita circa due anni fa in Corea, e soprattutto al momento dell’arresto e messa a morte (con o senza sbranamento dei cani) dello zio di Kim Jong-un che, con l’appoggio dei cinesi, aveva cercato di rovesciare il satrapo di Pyongyang per sostituirlo con uno stalinismo un po’ meno bizzarro. In questa ultima occasione, come avemmo occasione di commentare sul nostro sito all’epoca, egli affermò testualmente ad un giornale che lo intervistava: «Io sono contro la pena di morte, ma bisogna riconoscere che quest’uomo [lo zio, ndr] ha tentato un colpo di stato contro un governo democraticamente eletto» (sic!). Per dirla con Peppino: “e ho detto tutto”. E in questo caso è proprio vero.

Ma noi, che siamo buoni, vogliamo concludere questo testo con un sincero ed accorato appello al voto per le liste del Partito Comunista di Marco Rizzo.
Se pensate, a cento anni dalla rivoluzione russa (“inizio della rivoluzione mondiale” - Lenin), che la soluzione socialista si realizzi sul piano del sovranismo nazionale; che Stalin sia stato un grande dirigente rivoluzionario internazionalista; che il novanta per cento dei dirigenti a tutti i livelli della rivoluzione d’ottobre (che Stalin ha fatto uccidere) fossero solo dei traditori, assassini, terroristi e agenti (da molti anni) delle varie potenze imperialiste e in particolare di Hitler e del Mikado; che il socialismo del futuro debba somigliare, grossomodo, al regime della Corea del Nord, magari con il grande leader dotato di pelata, invece del taglio di capelli di Kim Jong-un; se pensate questo, votate Marco Rizzo e il suo partito.
Ma se invece non condividete quelle affermazioni, e vi considerate comunisti e comuniste, allora l’unica scelta possibile per voi è votare le liste di “Per una sinistra rivoluzionaria".
FG

Per una sinistra rivoluzionaria. Il nostro programma


IL PROGRAMMA PER UNA SINISTRA RIVOLUZIONARIA


Siamo entrati nel decimo anno dall’inizio della crisi economica. Renzi, Gentiloni, Padoan e Draghi ci dicono che la crisi è oramai finita, ma le cose non stanno realmente così. La ripresa italiana è la più bassa in Europa, il nostro Pil è ancora ben lontano dai livelli pre-crisi e in questi anni è andato perduto il 25% della capacità produttiva del paese.La crisi però non ha colpito tutti allo stesso modo in questi dieci anni. Da una parte sono aumentati i disoccupati, i salari sono crollati, il lavoro si è precarizzato e molti piccoli commercianti sono stati costretti a chiudere; dall’altra le grandi aziende, le multinazionali e i gruppi finanziari hanno fatto profitti favolosi e i top manager hanno incassato compensi d’oro spropositati. Tutti i dati confermano che la disuguaglianza sociale non è mai stata così alta. Eppure tutte le forze dell’arco parlamentare italiano non fanno altro che tutelare gli interessi di questa elite economica. Basti pensare a come tutti i leader politici, Salvini e Di Maio compresi, sono andati a scodinzolare al convegno di Cernobbio, che riunisce ogni anno il gotha dell’alta finanza. Oppure basta ricordarsi di come tutti i governi dagli anni 90’ ad oggi non abbiano fatto altro che tagliare i finanziamenti ai servizi sociali che riguardano tutti (sanità, pensioni, scuola, ricerca…) per drenare quattrini a favore delle grandi imprese sotto le forme più svariate (incentivi economici, sgravi fiscali, investimenti pubblici, privatizzazioni…).

Tutto questo è inaccettabile ed è durato fin troppo. È ora di una rivoluzione, che rovesci completamente questo sistema politico-economico in cui i diritti, i bisogni e le aspirazioni dei tanti sono calpestati in nome dei super-profitti di pochi. Fino ad oggi hanno governato i banchieri, gli speculatori, i faccendieri… proprio quelli che la crisi l’hanno provocata. È ora che al governo vadano i lavoratori, che invece finora la crisi l’hanno pagata. Ci hanno sempre detto che non ci sono le risorse per una politica diversa, per una politica a favore delle classi popolari. Ma in realtà queste risorse ci sono, il problema è che sono concentrate nelle mani di una ristretta minoranza. È lì che dobbiamo andare a prenderle per metterle a disposizione della società nel suo complesso. Finché non faremo questo, non ci sarà mai un vero cambiamento.


NO AL PAGAMENTO DEL DEBITO


Qualsiasi governo voglia davvero prendere misure a sostegno dei lavoratori, dei disoccupati e dei pensionati si troverà innanzitutto di fronte all’ostacolo rappresentato dall’Unione Europea e dal pagamento degli interessi sul debito pubblico. Le istituzioni europee in questi anni non hanno fatto altro che imporre in modo inflessibile le più spietate politiche di austerità, proprio per far rispettare il pagamento del debito.


È bene ricordare che il debito dello Stato italiano è stato contratto solo in minima parte da famiglie e piccoli risparmiatori, mentre il grosso è nelle mani di banche, assicurazioni e fondi d’investimento, sia nazionali che internazionali. Di fatto ci hanno spremuto con le politiche di lacrime e sangue solo ed esclusivamente per garantire la remunerazione del grande capitale finanziario.

Di fronte a questa vergogna, tutte le forze politiche si limitano a parlare di “avviare trattative con le istituzioni europee”, ma il caso della Grecia ci ha insegnato che la Trojka non è disponibile a fare la minima concessione, a costo di trascinare un intero paese nella miseria più nera. Non è possibile fare politiche di spesa sociale e allo stesso tempo restare all’interno dei parametri di questa Unione Europea.


  • Abolizione del pareggio di bilancio nella Costituzione.

  • Rifiuto del pagamento del debito, tranne che ai piccoli risparmiatori.

  • Rottura unilaterale dei trattati europei, NO all’Unione europea capitalista.

PER LA NAZIONALIZZAZIONE DEL SISTEMA BANCARIO


Mentre l’Istat ci dice che 18 milioni di italiani sono a rischio povertà, il governo ha stanziato la bellezza di 26 miliardi di euro per salvare le banche venete e il Monte dei Paschi di Siena. E questo potrebbe essere solo l’inizio, visto che l’intero sistema bancario italiano è in sofferenza a causa dell’alto numero di crediti deteriorati.


Anche la Banca Centrale Europea ha pompato liquidità a piene mani sui mercati finanziari per tenere a galla le banche. Il conto di questo fiume di denaro è stato presentato alle popolazioni dei vari paesi europei attraverso le politiche di austerità.


In pratica tutti i sacrifici che ci hanno imposto sono serviti per consentire alle banche di mantenere alto il livello dei profitti, proseguire nelle loro speculazioni azzardate e premiare i manager responsabili del dissesto con liquidazioni a sei zeri.


  • Nazionalizzazione del sistema bancario, senza indennizzo per i grandi azionisti e con garanzia pubblica per i depositi dei piccoli risparmiatori.

  • Creazione di un’unica grande banca pubblica nazionale, in grado di mettere in campo gli investimenti necessari a rilanciare l’economia.

LA LOTTA ALLA DISOCCUPAZIONE E LA DIFESA DEL SALARIO


I governi in questi anni hanno trovato un modo molto originale per combattere la disoccupazione: consentire alle aziende di licenziare più facilmente, sia con il Jobs Act che con i contratti precari. Il risultato è che i posti i lavoro non sono aumentati, ma sono diminuiti. In Italia ci sono oggi più di 3 milioni di disoccupati e tutti i nuovi contratti sono a termine.


Peraltro la disoccupazione è stata trasformata in un business: gli uffici pubblici di collocamento sono stati sostituiti da agenzie interinali private e i corsi di formazione per i disoccupati sono serviti solo per incassare i fondi europei.


Anche chi un lavoro ce l’ha, ha visto ridurre drasticamente il potere d’acquisto del suo stipendio. I salari italiani sono tra i più bassi d’Europa. Tanti, pur di lavorare, hanno accettato condizioni di lavoro sempre peggiori. Giornate di lavoro di 10-12 ore, lavoro domenicale, finte partite iva, corrieri pagati a consegna… fino al lavoro nero e al caporalato.


Siamo arrivati al paradosso del lavoro gratuito: il sociologo Domenico De Masi, tenuto in grande considerazione dal Movimento 5 Stelle, sostiene che per ridurre la disoccupazione, i disoccupati dovrebbero lavorare gratis…


Tutto questo deve essere completamente ribaltato. Per aumentare l’occupazione innanzitutto bisogna che chi ha un lavoro non lo perda; in secondo luogo il lavoro disponibile deve essere distribuito tra tutti attraverso la riduzione dell’orario di lavoro. Inoltre ai lavoratori e ai disoccupati devono essere riconosciuti i mezzi necessari per vivere dignitosamente.


  • Abolizione del Jobs Act, ripristino dell’art. 18 e sua estensione a tutti i lavoratori dipendenti. Nessuno deve essere licenziato senza giusta causa.

  • Trasformazione dei contratti precari in contratti a tempo indeterminato.

  • Salario minimo intercategoriale fissato per legge, non inferiore ai 1.400 euro mensili.

  • Una nuova scala mobile che indicizzi tutti i salari all’inflazione reale.

  • Salario garantito ai disoccupati pari all’80% del salario minimo.

  • Riduzione dell’orario di lavoro a un massimo di 32 ore settimanali a parità di salario.

  • Abolizione delle agenzie interinali e ritorno al collocamento pubblico.

  • Contrasto frontale al lavoro nero, le aziende che ne fanno uso devono essere espropriate.

UN’ECONOMIA SOTTO IL CONTROLLO DEI LAVORATORI

Ci hanno sempre raccontato che “il privato funziona meglio”, eppure la crisi ha completamente sfatato questo mito. Guardiamo a cosa hanno portato le privatizzazioni: aumento generalizzato di prezzi e tariffe, peggioramento complessivo dei servizi ai cittadini e peggioramento delle condizioni di lavoro dei dipendenti delle aziende privatizzate. Le privatizzazioni e le esternalizzazioni hanno inoltre aperto la strada, attraverso il sistema degli appalti e dei sub-appalti, alle infiltrazioni della criminalità organizzata in una serie di settori, come quello dei rifiuti.
Ancora più desolante è il panorama delle infinite crisi industriali. Non si contano le imprese che, nonostante gli aiuti pubblici, hanno chiuso, licenziato e delocalizzato all’estero per risparmiare sulla manodopera.


In questi casi la soluzione non può essere “l’intervento pubblico”, che in Italia va sempre a finire allo stesso modo: lo Stato ci mette i soldi, ma la gestione e i profitti rimangono nelle mani dei privati. È invece necessario rimettere in discussione la proprietà e la gestione private di una serie di attività economiche. Questo è ancor più vero nel campo dei servizi essenziali per la collettività (energia, acqua, trasporti, telecomunicazioni…), che per la loro stessa natura non possono essere impostati sulla logica del profitto.


Non si tratta solo di nazionalizzazioni, ma di controllo dei lavoratori sulla produzione. Nelle grandi aziende “la proprietà” non ha alcun ruolo attivo: si tratta di cordate di grandi azionisti, che si limitano a nominare il management e intascarsi i dividendi in modo totalmente parassitario. La gestione delle imprese deve essere affidata agli operai, agli impiegati e ai tecnici che ci lavorano ogni giorno, che le conoscono in modo approfondito e che le fanno funzionare concretamente.
Aziende dirette da un comitato democraticamente eletto da tutti i lavoratori, senza il fardello degli utili agli azionisti e dei bonus milionari ai manager, potranno funzionare molto meglio di prima.


  • Esproprio di tutte le aziende che chiudono, licenziano e delocalizzano.

  • Nazionalizzazione di tutte le aziende privatizzate.

  • Nazionalizzazione dei grandi gruppi industriali, senza indennizzo eccetto che per i piccoli azionisti.

  • Nazionalizzazione delle reti di trasporti, telecomunicazioni, energia, acqua e ciclo dei rifiuti.

  • Tutte le azienda nazionalizzate siano poste sotto il controllo e la gestione dei lavoratori.


PENSIONI PUBBLICHE E DIGNITOSE PER TUTTI


Viviamo in un mondo paradossale, dove tutto funziona all’incontrario. Da una parte abbiamo la disoccupazione giovanile al 35% e dall’altra riforme che continuano ad alzare l’età pensionabile. Così ci sono i giovani che non trovano lavoro e allo stesso tempo gli anziani che sono costretti a continuare a lavorare.


Si dice che questo è necessario per i conti dell’Inps. In realtà le casse dei lavoratori dipendenti sono sostanzialmente in pareggio. Il problema è che sono a carico dell’Inps una gran quantità di spese che niente hanno a che fare con le pensioni. È il caso degli ammortizzatori sociali, ma anche della decontribuzione fiscale sulle nuove assunzioni regalata da Renzi agli imprenditori assieme al Jobs Act.
Se vogliamo creare lavoro per i giovani, cominciamo mandando in pensione chi ha già lavorato tutta una vita.

  • Abolizione della legge Fornero.

  • In pensione con 35 anni di lavoro o 60 anni di età.

  • Pensione pari all’80% dell’ultimo salario e comunque non inferiore al salario minimo.

PER UN SISTEMA SANITARIO UNIVERSALE E GRATUITO


Anni di tagli hanno devastato il sistema sanitario nazionale. Negli ospedali mancano i fondi, c’è carenza di personale e le apparecchiature non sono adeguate.

Il processo di privatizzazione ha poi portato a una divisione di classe tra pazienti di serie A, che possono permettersi di pagare le prestazioni e hanno una corsa preferenziale, e pazienti di serie B, che invece devono aspettare mesi per un esame, spesso all’interno della stessa struttura.

  • Raddoppio immediato dei fondi destinati alla sanità.

  • Abolizione di ogni finanziamento alla sanità privata e della pratica privata all’interno delle strutture pubbliche. Per un unico sistema sanitario pubblico e gratuito.

  • Abolizione dei ticket sui medicinali e sulle prestazioni specialistiche.

  • Nazionalizzazione sotto controllo dei lavoratori dell’industria farmaceutica.

  • Difesa dei piccoli presidi ospedalieri.

PER UN’ISTRUZIONE PUBBLICA, GRATUITA E DEMOCRATICA


Le scuole e le università italiane versano in uno stato pietoso, soprattutto per la mancanza di risorse adeguate. Tutti i costi vengono scaricati sulle famiglie: aumento delle tasse scolastiche e universitarie, contributi extra richiesti alle famiglie, riduzione delle borse di studio… In questo modo il diritto allo studio non è garantito per tutti, tanto più che aumentano i numeri chiusi e i test d’ingresso.
Il governo Renzi ha peggiorato una situazione già compromessa. Con la riforma della “Buona Scuola” le scuole sono state trasformate in aziende in concorrenza tra loro. Con l’alternanza scuola-lavoro, utilizzando la scusa di “formare i giovani”, gli studenti vanno a fornire manodopera gratuita alle aziende e l’unica cosa che imparano è ad essere sfruttati.


  • Abolizione della Buona Scuola e dell’alternanza scuola-lavoro

  • Raddoppio dei fondi destinati alla pubblica istruzione. No a qualsiasi finanziamento alle scuole private.

  • Per un piano nazionale di edilizia scolastica.

  • No al numero chiuso e ai test d’ingresso nelle università e nelle scuole.

  • No ai contributi delle famiglie alle spese scolastiche. La scuola pubblica deve essere gratuita.

  • Per una scuola pubblica, laica e gratuita per tutti.

PER L’UNITA’ TRA LAVORATORI ITALIANI E IMMIGRATI


Ci vogliono far credere che la colpa di tutti i mali – dalla disoccupazione ai tagli dei servizi sociali, dal degrado delle periferie al problema casa – sia degli immigrati. Tutti i partiti fanno a gara a chi adotta la posizione più razzista e repressiva sul tema dell’immigrazione. In questa competizione disgustosa il ministro Minniti si è aggiudicato il primo premio, appaltando la gestione dei profughi alle bande di tagliagole libici, in totale dispregio dei diritti umani.


Ogni menzogna è buona per alimentare il clima d’odio contro gli stranieri. La balla più clamorosa è quella per cui gli immigrati ricevono soldi dallo Stato, quando in realtà i fondi pubblici vengono intascati dai privati che gestiscono i centri di accoglienza, dove i migranti sono reclusi in condizioni disumane.


In realtà oggi in Italia gli immigrati rappresentano una parte importante della classe lavoratrice in molti settori, dall’edilizia alla logistica, dalla manifattura all’assistenza sanitaria. Ogni legge che discrimina gli immigrati non fa altro che indebolire i lavoratori nel loro complesso e alimentare una guerra tra poveri, utile solo a chi vuole mantenere l’attuale sistema di potere.


  • Abolizione del decreto Minniti, della Bossi-Fini e di tutte le leggi che discriminano gli immigrati.

  • Abolizione del reato di immigrazione clandestina.

  • Diritto di voto per chi risiede in Italia da un anno.

  • Cittadinanza dopo 3 anni per chi ne faccia richiesta.

  • Cittadinanza italiana per tutti i nati in Italia.

LA LOTTA PER I DIRITTI DELLE DONNE


Tutte le forze politiche oggi fanno un gran parlare di violenza sulle donne, discriminazioni di genere, di abusi sessuali… ma nei fatti quale assistenza ricevono le donne in difficoltà dallo Stato? I consultori pubblici sono stati in gran parte smantellati. L’assistenza dei parenti anziani ricade interamente sulle famiglie. Persino il diritto all’aborto è messo in discussione dall’obiezione di coscienza dei medici, che raggiunge in media livelli tra il 70 e l’80%.


Dietro la retorica “rosa” a buon mercato la realtà è che, con il peggioramento della legislazione sul lavoro e i tagli ai servizi, è peggiorata anche la condizione delle donne. Di quale diritto alla maternità si può parlare per una lavoratrice precaria o assunta con il Jobs Act? Come potrà resistere alle molestie sessuali del suo datore di lavoro una lavoratrice che rischia di essere licenziata e lasciata in mezzo ad una strada? Come può una donna con figli emanciparsi davvero se non ci sono abbastanza posti negli asili nido pubblici e le rette degli asili privati sono proibitive?


  • Applicazione del pieno diritto all’aborto. Abolizione dell’obiezione di coscienza del personale medico.

  • Ripristino e potenziamento dei consultori pubblici.

  • Rete capillare di asili nido e scuole materne, pubblici e gratuiti, che coprano l’effettivo orario lavorativo.

  • Rete di strutture pubbliche per il sostegno ai parenti anziani.

PER IL RISCATTO DEL MEZZOGIORNO


Durante la crisi il divario tra Nord e Sud si è ulteriormente accentuato. Nel Mezzogiorno il 46% della popolazione è a rischio povertà e la disoccupazione giovanile in certe zone tocca punte del 60%. Nel giro di vent’anni sono emigrati due milioni e mezzo di persone dal Sud.
La presa della criminalità organizzata sul territorio diventa sempre più soffocante. La mafia, camorra e la ‘ndrangheta monopolizzano grandi fette dell’economia e spesso l’intreccio tra amministrazioni pubbliche, gruppi imprenditoriali e organizzazioni criminali è così fitto che è impossibile distinguere tra attività legali e illegali.


  • Piano di investimenti pubblici per il potenziamento dell’industria, delle infrastrutture e dei servizi al Sud.

  • Bonifica immediata dei territori inquinati da rifiuti tossici.

  • Esproprio delle aziende legate alla criminalità organizzata e confisca dei beni dei mafiosi.

LA DIFESA DELL’AMBIENTE


A mettere in pericolo l’ambiente in cui viviamo è soprattutto la logica del profitto. Inquinamento, speculazione edilizia, trivellazioni stanno distruggendo il territorio e la qualità della vita.
Si investono miliardi in grandi opere, come la Tav, che hanno un alto impatto ambientale e sono utili solo per far guadagnare le imprese di costruzione. E intanto le reti periferiche e i trasporti per i pendolari sono in stato di abbandono.


Il territorio, devastato dalla cementificazione selvaggia, è allo stremo: ogni pioggia diventa un’alluvione e ogni scossa sismica una tragedia.


  • Per un piano nazionale di riassetto idro-geologico del territorio.

  • Abbattimento degli eco-mostri e riqualificazione delle aree degradate.

  • Esproprio e riconversione delle aziende che inquinano.

  • No alle grandi opere inutili, per un trasporto pubblico efficiente e gratuito.

RIPRENDIAMOCI I SINDACATI


Durante la crisi i sindacati si sono dimostrate incapaci di contrastare efficacemente l’offensiva padronale. Ogni accordo sindacale non ha fatto altro che ratificare i passi indietro del movimento operaio. La distanza tra le burocrazie sindacali e i lavoratori che dovrebbero rappresentare non è mai stata così forte.


A questo si aggiunga che sono state adottate leggi volte a limitare pesantemente il diritto di sciopero, soprattutto nel pubblico servizio. Anche sul terreno della rappresentanza sindacale, con il Testo Unico del 10 gennaio 2014, si è imposto un giro di vite aumentando il peso degli apparati sindacali a scapito del controllo dal basso da parte dei lavoratori.


Sosteniamo tutte le lotte reali promosse dalle forze sindacali di classe, dentro una battaglia più generale per l’unificazione del movimento operaio.


I lavoratori devono riprendersi i loro sindacati e trasformarli nuovamente in organizzazioni democratiche di lotta, che siano in grado di difendere davvero i loro diritti.


  • Abolizione di tutte le leggi anti-sciopero.

  • Rappresentanze sindacali democratiche, con i soli delegati eletti dai lavoratori.

  • Piena agibilità per tutte le organizzazioni sindacali.

  • I rappresentanti sindacali devono essere revocabili in qualsiasi momento dell’assemblea che li ha eletti.

  • Salario operaio per i funzionari sindacali.

ROVESCIARE UN FISCO CLASSISTA


Si fa un gran parlare di lotta all’evasione, ma senza il minimo risultato concreto. Questo perché il sistema fiscale italiano è strutturato in modo da intrappolare i piccoli e lasciar passare i grandi. Mentre i lavoratori dipendenti vedono una fetta troppo grande della loro busta paga svanire in tasse e i piccoli commercianti sono letteralmente strangolati dalla pressione fiscale, i grandi patrimoni vengono messi al sicuro nei paradisi fiscali.


Tutti i governi si sono ben guardati da andare a toccare le rendite più alte e invece hanno spostato il peso del carico fiscale sui redditi bassi, anche attraverso il continuo innalzamento delle imposte indirette come l’Iva che, essendo slegate dal reddito, colpiscono soprattutto i ceti meno abbienti.


  • Abolizione delle imposte indirette.

  • Tassazione fortemente progressiva, che vada a colpire soprattutto i grandi patrimoni.

  • Esproprio del patrimonio dei grandi evasori fiscali.

LA LOTTA PER I DIRITTI CIVILI E DEMOCRATICI


Non solo siamo costretti ad una quotidianità di disoccupazione, precariato e sfruttamento, ma lo Stato pretende di regolamentare e reprimere in modo bigotto tutti gli altri aspetti della nostra vita, dalle preferenze sessuali alla gestione del tempo libero.

  • Estensione del matrimonio anche alle coppie dello stesso sesso.

  • La possibilità di adozione deve essere indipendente dalla composizione del nucleo famigliare.

  • Abolizione delle leggi repressive del consumo di stupefacenti e di tutte le misure liberticide sia legali che amministrative (daspo, coprifuoco ecc.) rivolte in particolare contro le forme di socialità libere e non commerciali.

PER IL DIRITTO ALLA CASA


Il problema della casa riguarda un numero di persone sempre più grande. Prezzi, affitti e mutui sono al di fuori della portata di disoccupati e lavoratori precari. Il numero di case popolari è ridotto ai minimi termini e crescono ogni anno gli sfratti, i pignoramenti e le esecuzioni immobiliari. Allo stesso tempo le città sono sempre più cementificate a causa della speculazione edilizia e in tutta Italia ci sono ben 7 milioni di case sfitte, molte di queste appartenenti alle grandi immobiliari.

  • Censimento e riutilizzo di tutte le case sfitte.

  • Esproprio del patrimonio delle grandi immobiliari.

  • Per un piano nazionale di edilizia popolare.

PER LA LAICITA’ DELLO STATO


È inaccettabile che in Italia la Chiesa cattolica eserciti continue ingerenze sui diritti e sulle libertà delle persone. D’altro canto la Chiesa non assolve solo ai suoi compiti “spirituali”, ma è una vera e propria potenza economica, che controlla uno sterminato patrimonio immobiliare, banche e grandi consorzi imprenditoriali come la Compagnia delle Opere. Come se tutto questo non bastasse, la Chiesa gode ancora di consistenti privilegi statali e finanziamenti pubblici.


  • Per la separazione tra Stato e Chiesa.

  • Abolizione del Concordato e dell’8 per mille. Nessun finanziamento pubblico o regime fiscale di favore per le confessioni religiose.

  • Esproprio del patrimonio immobiliare e finanziario della Chiesa e delle sue organizzazioni collaterali.

  • Abolizione dell’ora di insegnamento della religione cattolica nelle scuole.

NO ALL’IMPERIALISMO


Lo Stato italiano non ha i fondi per le scuole e gli ospedali, ma spende miliardi di euro in armamenti e missioni militari all’estero. Le truppe italiane in Iraq, in Libano, etc. non sono lì per portare la pace, ma per tutelare gli interessi economici delle imprese italiane. La proiezione estera delle imprese italiane, a partire dall’Europa dell’Est e dall’Africa, a caccia di materie prime ei di lavoro a basso costo ha un carattere classicamente imperialista.
Mentre Trump apre un focolaio di guerra dopo l’altro dalla Corea alla Palestina, è semplicemente scandaloso ma significativo che l’Italia sia ancora parte della coalizione militare della Nato guidata dall’imperialismo Usa.


  • Drastica riduzione delle spese militari.

  • Ritiro delle missioni militari all’estero.

  • Fuori l’Italia dalla Nato. Chiusura delle basi Nato e americane sul territorio italiano.

PER IL GOVERNO DEI LAVORATORI


Il sistema di democrazia parlamentare in Italia è marcio. Il parlamento non è più simbolo di “sovranità e rappresentanza popolare”, ma sinonimo di privilegi, scandali e corruzione.
Tutto si riduce ad una finzione. Ogni cinque anni ci chiamano a votare, ma tanto il programma di governo è già scritto dalle banche, dalla Confindustria e dalle istituzione europee. Tutte le decisioni fondamentali vengono prese da una potente burocrazia statale che nessuno ha eletto: banche centrali, dirigenti dei ministeri, enti amministrativi, commissioni di esperti, garanti, magistrati, prefetti…
La risposta a questa crisi politica non è quella di “riavvicinare i cittadini” a queste vecchie istituzioni screditate in nome di una falsa democrazia. Bisogna invece creare nuove istituzioni, in grado di rappresentare davvero i giovani, i lavoratori, i disoccupati e i pensionati.
Serve una democrazia dei lavoratori, fatta di consigli di delegati eletti nei luoghi di lavoro e di studio, di comitati nei quartieri popolari, di assemblee popolari cittadine. La vecchia burocrazia statale deve essere smantellata e il controllo dei lavoratori deve essere esteso a tutti i rami della vita pubblica.


  • Eleggibilità e revocabilità di tutte le cariche pubbliche.

  • Un tetto alla retribuzione delle cariche pubbliche, che corrisponda allo stipendio medio di un lavoratore qualificato.

  • Controllo dei lavoratori a tutti i livelli della pubblica amministrazione.

UNA PROSPETTIVA INTERNAZIONALISTA


Questo programma entra apertamente in contrasto con tutte le compatibilità del sistema capitalista. D’altronde il capitalismo ha dimostrato di essere un sistema che funziona solo per una ristretta minoranza, ma non è in grado di risolvere i problemi delle grandi masse.
Il nostro modello non è certo il “socialismo reale” che esisteva nei paesi dell’est, dove tutto era deciso dall’alto da un’onnipotente burocrazia statale e i diritti politici dei lavoratori erano calpestati. Il socialismo per cui ci battiamo è quello in cui le principali leve dell’economia non sono nelle mani di un’oligarchia parassitaria, ma appartengono a tutti e il loro utilizzo viene pianificato democraticamente attraverso il controllo dei lavoratori.
Questo programma non può essere realizzato su scala nazionale, non vogliamo isolare l’Italia dal resto del mondo. Siamo anzi convinti che se ci mettessimo con decisione su questa strada rivoluzionaria, offrendo finalmente un’alternativa all’austerità senza fine dell’Unione Europea, saremmo seguiti dalle classi lavoratrici di un paese europeo dopo l’altro.
Solo così si potrebbe ricreare la base per un’unità genuina tra le nazioni europee, attraverso una federazione volontaria costruita su basi economiche completamente nuove.


  • Per la federazione socialista d’Europa