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Il tema del programma acquista durante le tornate elettorali una notevole attenzione e un vasto uditorio. È utile approfittare di questo momento per fare chiarezza su quali sono le ragioni di un programma rivoluzionario, cosa lo contraddistingue e a che cosa serve. Questo è fondamentale soprattutto a sinistra, per fare chiarezza tra un programma di rivoluzione sociale e tutte le diverse declinazioni di illusioni riformiste
IL PROGRAMMA E LE RIVENDICAZIONI
Durante le elezioni quasi tutti i programmi si configurano come un lungo elenco di rivendicazioni. Il punto cruciale da osservare è che una rivendicazione, pur radicale, non serve a qualificare un programma come rivoluzionario. Di più; un insieme di rivendicazioni radicali, da solo, non si qualifica come un programma rivoluzionario. È importante capire questo punto, per capire le ragioni di un programma rivoluzionario.
Una rivendicazione che viene percepita dal senso comune come particolarmente radicale è quella della nazionalizzazione. È una parola d'ordine che accomuna i programmi di diverse liste e anche di diversi riferimenti internazionali. Nel programma di Potere al Popolo si parla di “ripubblicizzazione delle industrie e delle infrastrutture strategiche privatizzate negli anni passati“; il laburista Jeremy Corbyn, cui Liberi ed Uguali cerca esplicitamente di riferirsi, rivendica la “nazionalizzazione di imprese vitali come acqua, energie, trasporti” e “istruzione universitaria gratuita” rivendicazione ripresa pari pari da Grasso; lo stesso Melenchon nel suo programma per le presidenziali francesi, parlava di “Nazionalizzazioni possibili in caso di interesse generale dello Stato“.
La nazionalizzazione dunque, riportando alcuni settori strategici nelle mani dello stato, configura il programma di cui fa parte come un programma rivoluzionario? La risposta è ovviamente negativa.
Per una duplice ragione.
In primo luogo se la nazionalizzazione non è esplicitamente rivendicata come senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori, non entra minimamente in conflitto con la proprietà dei mezzi di produzione dei soliti pochi padroni, imprenditori, capitalisti, cui viene elargito in cambio un sostanzioso indennizzo, come per altro previsto dalla stessa Costituzione. L'indennizzo e l'assenza di controllo operaio sulla produzione ha come conseguenze che da un lato assicura ai padroni un compenso economico che sarà presto reinvestito in altri settori, dall'altro che non c'è un passaggio di proprietà da una classe (i padroni) ad un altra (i lavoratori), ma lo stato si fa garante della proprietà privata, in attesa di poterla riconsegnare ai suoi padroni borghesi, come il record di privatizzazioni operate in Italia negli ultimi vent'anni ha drammaticamente confermato.
In secondo luogo, una singola rivendicazione radicale, fosse anche una di quelle centrali (che intervenga cioè sul sistema bancario o su un settore industriale strategico) fino alle sue estreme conseguenze (l'esproprio), non configura da sola un programma rivoluzionario. Perché? Su questo punto si darà più lunga spiegazione in un paragrafo successivo dedicato, ma qui si possono anticipare due temi centrali, che si intrecciano tra loro: in prima istanza le istituzioni borghesi non sono il terreno di trasformazione sociale. Nessun programma di riforma radicale opererà mai, attraverso il parlamento borghese, una trasformazione sociale o un passaggio di potere da una classe ad un'altra, in secondo luogo e come in parte implicato dal primo passaggio, non ci sarà alcuna trasformazione sociale senza il coinvolgimento della massa di salariati senza, cioè, la discesa in campo dei lavoratori con la loro forza organizzata, che spezzino le istituzioni borghesi e ne costruiscano di nuove, basate sulla loro autorganizzazione a partire dai luoghi di lavoro. Il programma rivoluzionario deve cioè convincere e dunque ottenere la simpatia non della maggioranza di generici elettori, ma la maggioranza dei lavoratori.
Se una singola rivendicazione radicale non trasforma un programma in un programma rivoluzionario, nemmeno un insieme di rivendicazioni radicali è sufficiente a configurare un programma rivoluzionario.
Un programma come quello di Potere al Popolo, molto lungo e dettagliato, contiene molte rivendicazioni anche radicali, ma l'insieme di queste rivendicazioni non trasforma quella proposta in un programma rivoluzionario, vediamo perché.
Scorrendo le rivendicazioni ci imbattiamo in alcune proposte che tutti nella sinistra radicale trovano accettabili, persino di buon senso: cancellazione di JobsAct, Fornero e Collegato Lavoro; riduzione dell'orario di lavoro a 32 ore settimanali; una patrimoniale; la nazionalizzazione della banca d'Italia e via discorrendo. Che cosa manca, dunque? Manca il passaggio da semplice elenco di rivendicazioni radicali a progetto anticapitalista. Per evitare che un programma sia solo una lista di petizioni di principio, occorre che ci sia una proposta programmatica anticapitalista reale. È impossibile combattere la disoccupazione e rivendicare l'abolizione delle controriforme del lavoro, senza rivendicare la ripartizione del lavoro esistente tra tutti, tramite la riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario. Ma se in ogni parte del mondo e dell'Italia il capitalismo estende gli orari di lavoro, riduce i salari, precarizza le condizioni di lavoro, come trasformiamo queste rivendicazioni da semplici oggetti del desiderio a rivendicazioni reali? Si può fare questo passaggio solamente assumendo il governo dei lavoratori come orizzonte politico generale, la rottura dell'ordinamento sociale esistente e la sua ricostruzione su basi socialiste.
Questo snodo centrale vale per ogni aspetto del programma.
Se si vuole avere la più piccola speranza di realizzare anche solo uno degli aspetti di un vasto programma di trasformazione sociale, bisogna mettersi in rotta di collisione con l'esistente. Su tutte le illusioni del caso è meglio sgomberare il campo da dubbi: l'esperienza degli ultimi 30 anni ci ha dimostrato che non esisterà mai alcun governo di centrosinistra amico degli sfruttati e dei lavoratori e che allo stesso modo non ci sarà alcun governo che opererà in rotta con il sistema sotto la pressione di alcun presunto “controllo popolare” o “pressione dal basso”.
Nell'epoca del capitalismo in crisi, non ci sono mezze misure che possono reggere il confronto con la brutalità e la ferocia con cui i padroni si stanno riprendendo tutto quello che sono stati costretti a cedere con trent'anni di lotte straordinarie nel dopoguerra.
IL PROGRAMMA ED IL FINE
Il programma rivoluzionario è costantemente orientato verso il fine. Il fine è la rottura del sistema sociale capitalista e la riorganizzazione della società su basi socialiste. In questo senso le rivendicazioni che costituiscono il programma rivoluzionario devono soddisfare tre caratteristiche: a) devono partire dalle condizioni immediate, oggettive, della classe sociale di riferimento; b) devono funzionare da ponte tra queste condizioni immediate e il livello di coscienza attuale della classe lavoratrice e l'obbiettivo finale, ovvero la rivoluzione, dunque devono essere esplicitamente contro la proprietà capitalistica; c) devono essere collegate al solo strumento che quel fine e di conseguenza quelle stesse rivendicazioni è in grado di mettere in atto, ovvero il governo dei lavoratori e delle lavoratrici.
La battaglia per la riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario è un classico esempio.
Si parte da alcune condizioni immediate: da un lato abbiamo l'insieme delle condizioni dei lavoratori in Italia, fatto di un tasso di disoccupazione permanentemente sopra il 10%, l'allungamento dell'età pensionabile, l'estensione e lo spezzettamento degli orari di lavoro, milioni di ore di cassa integrazione. La riduzione dell'orario di lavoro a parità di paga rompe con questo paradigma, allargando il numero dei lavoratori effettivi senza impoverirli. Il lavoro esistente deve essere suddiviso tra tutti i lavoratori, quelli oggi a lavoro e quelli disoccupati o parzialmente impiegati e sulla base di ciò deve essere calcolata la durata della settimana lavorativa. Il salario deve rimanere quello precedente e comunque non inferiore ad un minimo fissato per legge di almeno 1500 euro.
La distribuzione dell'orario di lavoro a parità di paga attraverso la redistribuzione del lavoro stesso, emerge quindi come necessità dalle condizioni oggettive della classe lavoratrice ad oggi.
In che modo questa rivendicazione si pone come ponte con il fine?
I padroni, i capitalisti e i loro guardaspalle oppongono una presunta irrealizzabilità ad ogni rivendicazione che migliorerebbe le condizioni di vita dei lavoratori e peggiorerebbe quelle delle loro tasche. Il senso comune, la stampa, i media, parlano di “interesse nazionale” e rilanciano la vecchia menzogna del patto sociale per cui “se stanno bene i padroni, allora staranno bene anche i lavoratori”. Questa truffa è ormai completamente smascherata dalla realtà. Dovunque il capitalismo e i suoi governi difendono il benessere dei padroni a discapito di quello dei lavoratori. I profitti sono garantiti e tutelati dissanguando i lavoratori e i proletari in generale. La contraddizione tra le uniche rivendicazioni progressive che l'insieme del movimento dei lavoratori può accettare per migliorare le proprie condizioni immediate di vita e il profitto dei capitalisti svela il trucco della società borghese: nel capitalismo in crisi non c'è nessuna compatibilità possibile tra salari, diritti e salute dei lavoratori da un lato e profitti dei padroni dall'altro. Dal capitalismo gli sfruttati e gli oppressi non hanno più niente da ottenere. Se non ci si vuole rassegnare alla disperazione e allo sconforto, bisogna trovare una via diversa. Per imporre quelle misure progressive necessarie al miglioramento delle condizioni immediate è necessario allora un tipo di governo diverso, non un governo del capitalismo, pur in salsa “centrosinistra”, ma un governo contro il capitalismo. Un governo dei lavoratori e delle lavoratrici, che organizzi la loro forza e imponga queste misure di emergenza sociale. L'instaurazione di un governo dei lavoratori e la riuscita di queste rivendicazioni è cosa che passa dalla lotta, dall'unificazione del fronte dei lavoratori e dall'assunzione di questo fronte di una direzione politica esplicitamente anticapitalista e rivoluzionaria.
Si potrebbe fare lo stesso tipo di ragionamento per la sola rivendicazione dell'abolizione della Legge Fornero. La cancellazione della legge Fornero è una rivendicazione sacrosanta. Dal fronte padronale viene opposta l'irrealizzabilità e l'irresponsabilità di tale proposta per i costi che ricadrebbero “sulla società”. Ma l'aumento dell'età pensionabile rappresenta già, di fatto, lo scaricamento dei costi sociali della crisi sulle spalle dei lavoratori! Da un lato bisogna quindi che l'abolizione della Fornero non sia una semplice petizione astratta e dall'altro bisogna ribaltare la logica dell'insostenibilità dei costi, sbandierata dai padroni. La risposta di fronte a questo bivio è semplice: è necessario abolire la Fornero per migliorare le condizioni di vita di milioni di lavoratori e per farlo è necessario abolire unilaterlmente il debito pubblico verso banche e assicurativi che costa ogni anno 70 miliardi di soli interessi, liberando così le risorse necessarie ad un nuovo sistema pensionistico. Sono questi i “costi sociali” da prendere in considerazione! Quelli che ingrassano le tasche di un manipolo di possidenti e azionisti a discapito della maggioranza della società. Ma quale governo si porrebbe in aperta rottura con il capitalismo a tal punto da mettere in discussione il sistema strangolatore del debito? Ancora una volta l'esperienza diretta ci mostra come sperare di fare questo tipo di operazioni dentro il sistema borghese conduce inevitabilmente alla tragedia. Il tradimento di Tsipras in Grecia è una lezione indelebile. Ancora una volta solo un governo dei lavoratori e delle lavoratrici può imporre questo tipo di rivendicazioni progressive.
IL RUOLO DELLA MASSA
Il programma rivoluzionario è un programma per un'alternativa di società. Per questo a differenza dei vari programmi riformisti buoni per ogni tornata elettorale, il programma rivoluzionario è uno strumento di lotta quotidiano indispensabile per il partito della rivoluzione.
Affrontare il tema del programma rivoluzionario ci dà la possibilità di indagare alcuni aspetto fondamentali della politica comunista. In questo paragrafo si tratterà di tre punti: a) la risposta alla domanda posta nel primo paragrafo, cioè perché le rivendicazioni radicali anche coerenti da sole non bastano a configurare un programma di rivoluzione; b) in che cosa consiste la politica rivoluzionaria e in che modo questa si distingue dalla politica riformista vicino e lontano dalle elezioni; c) perché presentare un programma rivoluzionario durante una tornata elettorale è parte della politica rivoluzionaria. Abbiamo visto nel primo paragrafo di questo breve testo come un insieme di rivendicazioni da sole non configurino un programma rivoluzionario e abbiamo osservato, nel secondo paragrafo, come le rivendicazioni necessitino di un metodo transitorio e di uno stretto collegamento tra i bisogni immediati della classe e il fine del socialismo per poter configurare un programma rivoluzionario. Mancano però ancora alcuni ingredienti perché si possa parlare di politica e programma conseguentemente rivoluzionari. Non c'è processo rivoluzionario possibile senza l'irruzione delle masse nella lotta e non c'è lotta di massa che possa diventare un processo rivoluzionario senza un partito comunista con un programma e una politica rivoluzionaria. O il programma rivoluzionario è uno strumento per la conquista della simpatia delle masse operaie, sfruttate e oppresse al progetto del comunismo, oppure è poco più di una lista della spesa.
Per questo un programma rivoluzionario è tale solo ed esclusivamente se è il programma di un partito conseguentemente marxista rivoluzionario. Per essere tale un partito comunista deve essere in opposizione a tutti i governi padronali, quale che sia il colore del loro schieramento e deve tutelare l'autonomia degli interessi di classe del proletariato; deve avere la capacità di collegare gli obbiettivi di lotta immediati, con la prospettiva anticapitalista di fondo; deve assumere una prospettiva socialista internazionale; deve, da ultimo, battersi per un governo dei lavoratori, ovvero per la presa del potere da parte della classe lavoratrice. In questo quadro l'enorme massa dei diciassette milioni di lavoratori salariati gioca un peso ineliminabile. Un partito comunista che vuole essere tale, deve orientare la sua politica su questo ordine di grandezza, alla conquista di questa maggioranza della società, rifuggendo ogni tentazione minoritaria o settaria. Negli ultimi anni la forza di questa massa è rimasta inespressa, imbrigliata dalla burocrazia sindacale, disillusa dai tradimenti della sinistra riformista, corteggiata dalle sirene del populismo. Si tratta di lavorare in controtendenza, per rilanciare l'entusiasmo, per unificare il movimento dei lavoratori attraverso il più ampio fronte unico di lotta possibile, su obbiettivi chiari e anticapitalisti.
Si può finalmente rispondere alla domanda iniziale: perché le rivendicazioni radicali anche coerenti da sole non bastano a configurare un programma di rivoluzione? Il programma rivoluzionario è tale solo se è parte di un progetto rivoluzionario che comprende un partito coerentemente comunista e che si batte per la conquista della direzione politica della maggioranza degli sfruttati.
Da ciò conseguono importanti considerazioni in merito alla politica rivoluzionaria. O il partito ha una proiezione di massa e un intervento sulla massa oppure il suo programma è un'arma spuntata.
Questo è un elemento cruciale di distinzione politica. Prendiamo l'esempio del PC guidato da Marco Rizzo. Dal PC di Rizzo ci distanziano enormi abissi, sia in termini di storia politica (Rizzo fu parte di quel gruppo dirigente che spaccò il PRC per sostenere il Governo D'Alema bombardiere di Belgrado), sia intermini di costruzione del partito (basta leggere lo statuto del PC di Rizzo per rendersi conto che non c'è nessuna traccia di centralismo-democratico e del funzionamento dei partiti comunisti delle origini), sia come riferimenti politici (il PC di Rizzo sostiene la monarchia dinastica della famiglia Kim in Corea del Nord). Ma quello che interessa qui è analizzare come dietro slogan e rivendicazioni, si può nascondere una prassi politica che niente ha a che vedere con la politica rivoluzionaria.
Formalmente il PC di Marco Rizzo rivendica alcune parole d'ordine coerenti: ad esempio la nazionalizzazione senza indennizzo di alcune aziende come l'Alitalia e la Piaggio. Ma questo non contribuisce in nessun modo a caratterizzare il partito di Rizzo in un partito rivoluzionario e non solo per quanto detto poco sopra. Il PC di Rizzo ricalca in sedicesimi in Italia la metodologia di intervento politico del fratello maggiore KKE in Grecia. Tenta di costruire una scalata al sindacalismo di base, nel tentativo di emulare il controllo del KKE sul PAME, costruendo un intervento assolutamente settario e completamente sganciato da ogni prospettiva di massa. Il KKE si è caratterizzato in negativo per il suo ruolo nefasto durante la stagione di straordinarie mobilitazioni in Grecia contro i governi della Troika precedenti a Syriza. Il PAME si è sistematicamente opposto a rivendicare lo sciopero generale prolungato, ha costantemente organizzato le sue manifestazioni, i suoi cortei e i suoi scioperi distaccati e in opposizione alle enormi manifestazioni di massa che sconquassarono la Grecia in quei mesi, ha tenuto la sua forza organizzata in disparte, quando non l'ha usata per... difendere il parlamento greco dai manifestanti stessi, di fatto operando per dividere il fronte dei lavoratori invece di unificarlo e tutto al servizio di una logica di sopravvivenza e continuità d'apparato. Il PC di Rizzo, fuori da un contesto tumultuoso come quello della Grecia in rivolta, riproduce pedissequamente lo stesso tipo di costruzione ed intervento.
Per sviluppare una politica rivoluzionaria coerente bisogna necessariamente lavorare all'unificazione del fronte di lotta dei lavoratori, a prescindere dalla loro collocazione sindacale, bisogna combattere senza tregua le burocrazie sindacali, bisogna dare ad ogni singola lotta, ogni singola vertenza, la prospettiva generale di unificazione in un'unica grande vertenza del mondo del lavoro che assuma le rivendicazioni anticapitaliste del programma rivoluzionario come proprie.
In questo quadro dovrebbe risultare chiaro perché presentare un programma anticapitalista, rivoluzionario, alle elezioni borghesi fa parte della politica rivoluzionaria. Le elezioni sono un momento di grande attenzione da parte di grandi masse in generale, ma in fasi storiche come quella attuale, di grande riflusso delle lotte, di difficoltà del mondo del lavoro e dei movimenti sociali di costruire momenti di lotta radicale, prolungata o anche semplicemente di vaste dimensioni, la tribuna che le elezioni offrono è uno strumento irrinunciabile per parlare alle orecchie di milioni di lavoratori e lavoratrici, precari, disoccupati e sfruttati.
Il grande circo delle elezioni tartassa le menti degli espropriati con le promesse elettorali dei populisti di tutti i colori e le inganna con le false speranze dei riformisti vecchi e nuovi. I rivoluzionari hanno il dovere di utilizzare questo momento così peculiare per dire attraverso ogni spazio possibile una parola di verità: che in questo sistema sociale gli sfruttati non hanno più niente da ottenere, che per strappare qualsiasi risultato progressivo si deve assumere la prospettiva di rompere con il capitalismo, che l'unico modo per farlo è fare leva sulla forza di milioni di lavoratori organizzati, che solo un governo che sia espressione di questa forza può attuare le rivendicazioni necessarie a migliorare le condizioni immediate di vita della stragrande maggioranza della popolazione, che solo facendola finita col capitalismo si può ricominciare a rialzare la china.
CLASSE, DIREZIONE, PARTITO
Si possono trarre importanti lezioni dallo studio di che cos'è un programma rivoluzionario, che chiamano in causa alcuni degli elementi fondamentali della politica comunista. Un programma rivoluzionario è innanzitutto un programma di un partito rivoluzionario. È attraverso il suo programma, attraverso la definizione dei suoi obbiettivi, che il partito parla alla sua classe sociale di riferimento. C'è un rapporto dialettico fondamentale qui. Il programma parte dalle condizioni immediate cui versa la classe di riferimento (ad esempio il bisogno di ridurre l'orario di lavoro a parità di paga per garantire il lavoro a una più ampia fetta di proletariato) ma non vi si appiattisce, anzi diventa uno strumento per elevare la coscienza della classe a cui parla da semplice difesa dei propri interessi immediati a comprensione che quegli interessi immediati possono essere soddisfatti solo a patto di entrare nell'ottica di spezzare il capitalismo e riorganizzare la società su basi socialiste. È questo uno dei ruoli cruciali del partito, quello di difendere e diffondere la necessità di una coscienza rivoluzionaria. Il partito però non può accettare di lasciarsi relegare al ruolo di buon consigliere. È necessario che sviluppi una lotta per la conquista della direzione del movimento operaio. Con questa formula non si intende questa o quella soggettività d'avanguardia, politica o sindacale, che si proclama in tal senso, ma chi materialmente guida la maggioranza della classe operaia. Uno dei drammi della storia recente in Italia è stato il vuoto politico che si è generato a sinistra e il ruolo di supplenza che la CGIL ha avuto come direzione maggioritaria del movimento operaio. Ruolo attraverso cui ha operato sistematicamente svendite e tradimenti, contribuendo in maniera incisiva al clima di sfiducia e smobilitazione (su tutti valgano la smobilitazione della lotta contto il Jobs Act e la paura di andare fino in fondo sulla Buona Scuola). Oppure più recentemente in Catalogna, il movimento indipendentista ha espresso una direzione piccolo borghese che ha trasformato nel giro di poco tempo una straordinaria mobilitazione democratica e progressiva di massa da un potenziale punto di rottura rivoluzionario degli equilibri capitalistici in UE ad una grottesca farsa di proporzioni storiche.
Il programma allora assume anche il ruolo di strumento di conquista della maggioranza e della sua direzione politica. La politica comunista è un rapporto dialettico costante tra il partito rivoluzionario, la classe di riferimento e il programma di rottura col capitalismo a cui il partito lotta per conquistare la maggioranza di questa classe.
Durante le elezioni quasi tutti i programmi si configurano come un lungo elenco di rivendicazioni. Il punto cruciale da osservare è che una rivendicazione, pur radicale, non serve a qualificare un programma come rivoluzionario. Di più; un insieme di rivendicazioni radicali, da solo, non si qualifica come un programma rivoluzionario. È importante capire questo punto, per capire le ragioni di un programma rivoluzionario.
Una rivendicazione che viene percepita dal senso comune come particolarmente radicale è quella della nazionalizzazione. È una parola d'ordine che accomuna i programmi di diverse liste e anche di diversi riferimenti internazionali. Nel programma di Potere al Popolo si parla di “ripubblicizzazione delle industrie e delle infrastrutture strategiche privatizzate negli anni passati“; il laburista Jeremy Corbyn, cui Liberi ed Uguali cerca esplicitamente di riferirsi, rivendica la “nazionalizzazione di imprese vitali come acqua, energie, trasporti” e “istruzione universitaria gratuita” rivendicazione ripresa pari pari da Grasso; lo stesso Melenchon nel suo programma per le presidenziali francesi, parlava di “Nazionalizzazioni possibili in caso di interesse generale dello Stato“.
La nazionalizzazione dunque, riportando alcuni settori strategici nelle mani dello stato, configura il programma di cui fa parte come un programma rivoluzionario? La risposta è ovviamente negativa.
Per una duplice ragione.
In primo luogo se la nazionalizzazione non è esplicitamente rivendicata come senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori, non entra minimamente in conflitto con la proprietà dei mezzi di produzione dei soliti pochi padroni, imprenditori, capitalisti, cui viene elargito in cambio un sostanzioso indennizzo, come per altro previsto dalla stessa Costituzione. L'indennizzo e l'assenza di controllo operaio sulla produzione ha come conseguenze che da un lato assicura ai padroni un compenso economico che sarà presto reinvestito in altri settori, dall'altro che non c'è un passaggio di proprietà da una classe (i padroni) ad un altra (i lavoratori), ma lo stato si fa garante della proprietà privata, in attesa di poterla riconsegnare ai suoi padroni borghesi, come il record di privatizzazioni operate in Italia negli ultimi vent'anni ha drammaticamente confermato.
In secondo luogo, una singola rivendicazione radicale, fosse anche una di quelle centrali (che intervenga cioè sul sistema bancario o su un settore industriale strategico) fino alle sue estreme conseguenze (l'esproprio), non configura da sola un programma rivoluzionario. Perché? Su questo punto si darà più lunga spiegazione in un paragrafo successivo dedicato, ma qui si possono anticipare due temi centrali, che si intrecciano tra loro: in prima istanza le istituzioni borghesi non sono il terreno di trasformazione sociale. Nessun programma di riforma radicale opererà mai, attraverso il parlamento borghese, una trasformazione sociale o un passaggio di potere da una classe ad un'altra, in secondo luogo e come in parte implicato dal primo passaggio, non ci sarà alcuna trasformazione sociale senza il coinvolgimento della massa di salariati senza, cioè, la discesa in campo dei lavoratori con la loro forza organizzata, che spezzino le istituzioni borghesi e ne costruiscano di nuove, basate sulla loro autorganizzazione a partire dai luoghi di lavoro. Il programma rivoluzionario deve cioè convincere e dunque ottenere la simpatia non della maggioranza di generici elettori, ma la maggioranza dei lavoratori.
Se una singola rivendicazione radicale non trasforma un programma in un programma rivoluzionario, nemmeno un insieme di rivendicazioni radicali è sufficiente a configurare un programma rivoluzionario.
Un programma come quello di Potere al Popolo, molto lungo e dettagliato, contiene molte rivendicazioni anche radicali, ma l'insieme di queste rivendicazioni non trasforma quella proposta in un programma rivoluzionario, vediamo perché.
Scorrendo le rivendicazioni ci imbattiamo in alcune proposte che tutti nella sinistra radicale trovano accettabili, persino di buon senso: cancellazione di JobsAct, Fornero e Collegato Lavoro; riduzione dell'orario di lavoro a 32 ore settimanali; una patrimoniale; la nazionalizzazione della banca d'Italia e via discorrendo. Che cosa manca, dunque? Manca il passaggio da semplice elenco di rivendicazioni radicali a progetto anticapitalista. Per evitare che un programma sia solo una lista di petizioni di principio, occorre che ci sia una proposta programmatica anticapitalista reale. È impossibile combattere la disoccupazione e rivendicare l'abolizione delle controriforme del lavoro, senza rivendicare la ripartizione del lavoro esistente tra tutti, tramite la riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario. Ma se in ogni parte del mondo e dell'Italia il capitalismo estende gli orari di lavoro, riduce i salari, precarizza le condizioni di lavoro, come trasformiamo queste rivendicazioni da semplici oggetti del desiderio a rivendicazioni reali? Si può fare questo passaggio solamente assumendo il governo dei lavoratori come orizzonte politico generale, la rottura dell'ordinamento sociale esistente e la sua ricostruzione su basi socialiste.
Questo snodo centrale vale per ogni aspetto del programma.
Se si vuole avere la più piccola speranza di realizzare anche solo uno degli aspetti di un vasto programma di trasformazione sociale, bisogna mettersi in rotta di collisione con l'esistente. Su tutte le illusioni del caso è meglio sgomberare il campo da dubbi: l'esperienza degli ultimi 30 anni ci ha dimostrato che non esisterà mai alcun governo di centrosinistra amico degli sfruttati e dei lavoratori e che allo stesso modo non ci sarà alcun governo che opererà in rotta con il sistema sotto la pressione di alcun presunto “controllo popolare” o “pressione dal basso”.
Nell'epoca del capitalismo in crisi, non ci sono mezze misure che possono reggere il confronto con la brutalità e la ferocia con cui i padroni si stanno riprendendo tutto quello che sono stati costretti a cedere con trent'anni di lotte straordinarie nel dopoguerra.
IL PROGRAMMA ED IL FINE
Il programma rivoluzionario è costantemente orientato verso il fine. Il fine è la rottura del sistema sociale capitalista e la riorganizzazione della società su basi socialiste. In questo senso le rivendicazioni che costituiscono il programma rivoluzionario devono soddisfare tre caratteristiche: a) devono partire dalle condizioni immediate, oggettive, della classe sociale di riferimento; b) devono funzionare da ponte tra queste condizioni immediate e il livello di coscienza attuale della classe lavoratrice e l'obbiettivo finale, ovvero la rivoluzione, dunque devono essere esplicitamente contro la proprietà capitalistica; c) devono essere collegate al solo strumento che quel fine e di conseguenza quelle stesse rivendicazioni è in grado di mettere in atto, ovvero il governo dei lavoratori e delle lavoratrici.
La battaglia per la riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario è un classico esempio.
Si parte da alcune condizioni immediate: da un lato abbiamo l'insieme delle condizioni dei lavoratori in Italia, fatto di un tasso di disoccupazione permanentemente sopra il 10%, l'allungamento dell'età pensionabile, l'estensione e lo spezzettamento degli orari di lavoro, milioni di ore di cassa integrazione. La riduzione dell'orario di lavoro a parità di paga rompe con questo paradigma, allargando il numero dei lavoratori effettivi senza impoverirli. Il lavoro esistente deve essere suddiviso tra tutti i lavoratori, quelli oggi a lavoro e quelli disoccupati o parzialmente impiegati e sulla base di ciò deve essere calcolata la durata della settimana lavorativa. Il salario deve rimanere quello precedente e comunque non inferiore ad un minimo fissato per legge di almeno 1500 euro.
La distribuzione dell'orario di lavoro a parità di paga attraverso la redistribuzione del lavoro stesso, emerge quindi come necessità dalle condizioni oggettive della classe lavoratrice ad oggi.
In che modo questa rivendicazione si pone come ponte con il fine?
I padroni, i capitalisti e i loro guardaspalle oppongono una presunta irrealizzabilità ad ogni rivendicazione che migliorerebbe le condizioni di vita dei lavoratori e peggiorerebbe quelle delle loro tasche. Il senso comune, la stampa, i media, parlano di “interesse nazionale” e rilanciano la vecchia menzogna del patto sociale per cui “se stanno bene i padroni, allora staranno bene anche i lavoratori”. Questa truffa è ormai completamente smascherata dalla realtà. Dovunque il capitalismo e i suoi governi difendono il benessere dei padroni a discapito di quello dei lavoratori. I profitti sono garantiti e tutelati dissanguando i lavoratori e i proletari in generale. La contraddizione tra le uniche rivendicazioni progressive che l'insieme del movimento dei lavoratori può accettare per migliorare le proprie condizioni immediate di vita e il profitto dei capitalisti svela il trucco della società borghese: nel capitalismo in crisi non c'è nessuna compatibilità possibile tra salari, diritti e salute dei lavoratori da un lato e profitti dei padroni dall'altro. Dal capitalismo gli sfruttati e gli oppressi non hanno più niente da ottenere. Se non ci si vuole rassegnare alla disperazione e allo sconforto, bisogna trovare una via diversa. Per imporre quelle misure progressive necessarie al miglioramento delle condizioni immediate è necessario allora un tipo di governo diverso, non un governo del capitalismo, pur in salsa “centrosinistra”, ma un governo contro il capitalismo. Un governo dei lavoratori e delle lavoratrici, che organizzi la loro forza e imponga queste misure di emergenza sociale. L'instaurazione di un governo dei lavoratori e la riuscita di queste rivendicazioni è cosa che passa dalla lotta, dall'unificazione del fronte dei lavoratori e dall'assunzione di questo fronte di una direzione politica esplicitamente anticapitalista e rivoluzionaria.
Si potrebbe fare lo stesso tipo di ragionamento per la sola rivendicazione dell'abolizione della Legge Fornero. La cancellazione della legge Fornero è una rivendicazione sacrosanta. Dal fronte padronale viene opposta l'irrealizzabilità e l'irresponsabilità di tale proposta per i costi che ricadrebbero “sulla società”. Ma l'aumento dell'età pensionabile rappresenta già, di fatto, lo scaricamento dei costi sociali della crisi sulle spalle dei lavoratori! Da un lato bisogna quindi che l'abolizione della Fornero non sia una semplice petizione astratta e dall'altro bisogna ribaltare la logica dell'insostenibilità dei costi, sbandierata dai padroni. La risposta di fronte a questo bivio è semplice: è necessario abolire la Fornero per migliorare le condizioni di vita di milioni di lavoratori e per farlo è necessario abolire unilaterlmente il debito pubblico verso banche e assicurativi che costa ogni anno 70 miliardi di soli interessi, liberando così le risorse necessarie ad un nuovo sistema pensionistico. Sono questi i “costi sociali” da prendere in considerazione! Quelli che ingrassano le tasche di un manipolo di possidenti e azionisti a discapito della maggioranza della società. Ma quale governo si porrebbe in aperta rottura con il capitalismo a tal punto da mettere in discussione il sistema strangolatore del debito? Ancora una volta l'esperienza diretta ci mostra come sperare di fare questo tipo di operazioni dentro il sistema borghese conduce inevitabilmente alla tragedia. Il tradimento di Tsipras in Grecia è una lezione indelebile. Ancora una volta solo un governo dei lavoratori e delle lavoratrici può imporre questo tipo di rivendicazioni progressive.
IL RUOLO DELLA MASSA
Il programma rivoluzionario è un programma per un'alternativa di società. Per questo a differenza dei vari programmi riformisti buoni per ogni tornata elettorale, il programma rivoluzionario è uno strumento di lotta quotidiano indispensabile per il partito della rivoluzione.
Affrontare il tema del programma rivoluzionario ci dà la possibilità di indagare alcuni aspetto fondamentali della politica comunista. In questo paragrafo si tratterà di tre punti: a) la risposta alla domanda posta nel primo paragrafo, cioè perché le rivendicazioni radicali anche coerenti da sole non bastano a configurare un programma di rivoluzione; b) in che cosa consiste la politica rivoluzionaria e in che modo questa si distingue dalla politica riformista vicino e lontano dalle elezioni; c) perché presentare un programma rivoluzionario durante una tornata elettorale è parte della politica rivoluzionaria. Abbiamo visto nel primo paragrafo di questo breve testo come un insieme di rivendicazioni da sole non configurino un programma rivoluzionario e abbiamo osservato, nel secondo paragrafo, come le rivendicazioni necessitino di un metodo transitorio e di uno stretto collegamento tra i bisogni immediati della classe e il fine del socialismo per poter configurare un programma rivoluzionario. Mancano però ancora alcuni ingredienti perché si possa parlare di politica e programma conseguentemente rivoluzionari. Non c'è processo rivoluzionario possibile senza l'irruzione delle masse nella lotta e non c'è lotta di massa che possa diventare un processo rivoluzionario senza un partito comunista con un programma e una politica rivoluzionaria. O il programma rivoluzionario è uno strumento per la conquista della simpatia delle masse operaie, sfruttate e oppresse al progetto del comunismo, oppure è poco più di una lista della spesa.
Per questo un programma rivoluzionario è tale solo ed esclusivamente se è il programma di un partito conseguentemente marxista rivoluzionario. Per essere tale un partito comunista deve essere in opposizione a tutti i governi padronali, quale che sia il colore del loro schieramento e deve tutelare l'autonomia degli interessi di classe del proletariato; deve avere la capacità di collegare gli obbiettivi di lotta immediati, con la prospettiva anticapitalista di fondo; deve assumere una prospettiva socialista internazionale; deve, da ultimo, battersi per un governo dei lavoratori, ovvero per la presa del potere da parte della classe lavoratrice. In questo quadro l'enorme massa dei diciassette milioni di lavoratori salariati gioca un peso ineliminabile. Un partito comunista che vuole essere tale, deve orientare la sua politica su questo ordine di grandezza, alla conquista di questa maggioranza della società, rifuggendo ogni tentazione minoritaria o settaria. Negli ultimi anni la forza di questa massa è rimasta inespressa, imbrigliata dalla burocrazia sindacale, disillusa dai tradimenti della sinistra riformista, corteggiata dalle sirene del populismo. Si tratta di lavorare in controtendenza, per rilanciare l'entusiasmo, per unificare il movimento dei lavoratori attraverso il più ampio fronte unico di lotta possibile, su obbiettivi chiari e anticapitalisti.
Si può finalmente rispondere alla domanda iniziale: perché le rivendicazioni radicali anche coerenti da sole non bastano a configurare un programma di rivoluzione? Il programma rivoluzionario è tale solo se è parte di un progetto rivoluzionario che comprende un partito coerentemente comunista e che si batte per la conquista della direzione politica della maggioranza degli sfruttati.
Da ciò conseguono importanti considerazioni in merito alla politica rivoluzionaria. O il partito ha una proiezione di massa e un intervento sulla massa oppure il suo programma è un'arma spuntata.
Questo è un elemento cruciale di distinzione politica. Prendiamo l'esempio del PC guidato da Marco Rizzo. Dal PC di Rizzo ci distanziano enormi abissi, sia in termini di storia politica (Rizzo fu parte di quel gruppo dirigente che spaccò il PRC per sostenere il Governo D'Alema bombardiere di Belgrado), sia intermini di costruzione del partito (basta leggere lo statuto del PC di Rizzo per rendersi conto che non c'è nessuna traccia di centralismo-democratico e del funzionamento dei partiti comunisti delle origini), sia come riferimenti politici (il PC di Rizzo sostiene la monarchia dinastica della famiglia Kim in Corea del Nord). Ma quello che interessa qui è analizzare come dietro slogan e rivendicazioni, si può nascondere una prassi politica che niente ha a che vedere con la politica rivoluzionaria.
Formalmente il PC di Marco Rizzo rivendica alcune parole d'ordine coerenti: ad esempio la nazionalizzazione senza indennizzo di alcune aziende come l'Alitalia e la Piaggio. Ma questo non contribuisce in nessun modo a caratterizzare il partito di Rizzo in un partito rivoluzionario e non solo per quanto detto poco sopra. Il PC di Rizzo ricalca in sedicesimi in Italia la metodologia di intervento politico del fratello maggiore KKE in Grecia. Tenta di costruire una scalata al sindacalismo di base, nel tentativo di emulare il controllo del KKE sul PAME, costruendo un intervento assolutamente settario e completamente sganciato da ogni prospettiva di massa. Il KKE si è caratterizzato in negativo per il suo ruolo nefasto durante la stagione di straordinarie mobilitazioni in Grecia contro i governi della Troika precedenti a Syriza. Il PAME si è sistematicamente opposto a rivendicare lo sciopero generale prolungato, ha costantemente organizzato le sue manifestazioni, i suoi cortei e i suoi scioperi distaccati e in opposizione alle enormi manifestazioni di massa che sconquassarono la Grecia in quei mesi, ha tenuto la sua forza organizzata in disparte, quando non l'ha usata per... difendere il parlamento greco dai manifestanti stessi, di fatto operando per dividere il fronte dei lavoratori invece di unificarlo e tutto al servizio di una logica di sopravvivenza e continuità d'apparato. Il PC di Rizzo, fuori da un contesto tumultuoso come quello della Grecia in rivolta, riproduce pedissequamente lo stesso tipo di costruzione ed intervento.
Per sviluppare una politica rivoluzionaria coerente bisogna necessariamente lavorare all'unificazione del fronte di lotta dei lavoratori, a prescindere dalla loro collocazione sindacale, bisogna combattere senza tregua le burocrazie sindacali, bisogna dare ad ogni singola lotta, ogni singola vertenza, la prospettiva generale di unificazione in un'unica grande vertenza del mondo del lavoro che assuma le rivendicazioni anticapitaliste del programma rivoluzionario come proprie.
In questo quadro dovrebbe risultare chiaro perché presentare un programma anticapitalista, rivoluzionario, alle elezioni borghesi fa parte della politica rivoluzionaria. Le elezioni sono un momento di grande attenzione da parte di grandi masse in generale, ma in fasi storiche come quella attuale, di grande riflusso delle lotte, di difficoltà del mondo del lavoro e dei movimenti sociali di costruire momenti di lotta radicale, prolungata o anche semplicemente di vaste dimensioni, la tribuna che le elezioni offrono è uno strumento irrinunciabile per parlare alle orecchie di milioni di lavoratori e lavoratrici, precari, disoccupati e sfruttati.
Il grande circo delle elezioni tartassa le menti degli espropriati con le promesse elettorali dei populisti di tutti i colori e le inganna con le false speranze dei riformisti vecchi e nuovi. I rivoluzionari hanno il dovere di utilizzare questo momento così peculiare per dire attraverso ogni spazio possibile una parola di verità: che in questo sistema sociale gli sfruttati non hanno più niente da ottenere, che per strappare qualsiasi risultato progressivo si deve assumere la prospettiva di rompere con il capitalismo, che l'unico modo per farlo è fare leva sulla forza di milioni di lavoratori organizzati, che solo un governo che sia espressione di questa forza può attuare le rivendicazioni necessarie a migliorare le condizioni immediate di vita della stragrande maggioranza della popolazione, che solo facendola finita col capitalismo si può ricominciare a rialzare la china.
CLASSE, DIREZIONE, PARTITO
Si possono trarre importanti lezioni dallo studio di che cos'è un programma rivoluzionario, che chiamano in causa alcuni degli elementi fondamentali della politica comunista. Un programma rivoluzionario è innanzitutto un programma di un partito rivoluzionario. È attraverso il suo programma, attraverso la definizione dei suoi obbiettivi, che il partito parla alla sua classe sociale di riferimento. C'è un rapporto dialettico fondamentale qui. Il programma parte dalle condizioni immediate cui versa la classe di riferimento (ad esempio il bisogno di ridurre l'orario di lavoro a parità di paga per garantire il lavoro a una più ampia fetta di proletariato) ma non vi si appiattisce, anzi diventa uno strumento per elevare la coscienza della classe a cui parla da semplice difesa dei propri interessi immediati a comprensione che quegli interessi immediati possono essere soddisfatti solo a patto di entrare nell'ottica di spezzare il capitalismo e riorganizzare la società su basi socialiste. È questo uno dei ruoli cruciali del partito, quello di difendere e diffondere la necessità di una coscienza rivoluzionaria. Il partito però non può accettare di lasciarsi relegare al ruolo di buon consigliere. È necessario che sviluppi una lotta per la conquista della direzione del movimento operaio. Con questa formula non si intende questa o quella soggettività d'avanguardia, politica o sindacale, che si proclama in tal senso, ma chi materialmente guida la maggioranza della classe operaia. Uno dei drammi della storia recente in Italia è stato il vuoto politico che si è generato a sinistra e il ruolo di supplenza che la CGIL ha avuto come direzione maggioritaria del movimento operaio. Ruolo attraverso cui ha operato sistematicamente svendite e tradimenti, contribuendo in maniera incisiva al clima di sfiducia e smobilitazione (su tutti valgano la smobilitazione della lotta contto il Jobs Act e la paura di andare fino in fondo sulla Buona Scuola). Oppure più recentemente in Catalogna, il movimento indipendentista ha espresso una direzione piccolo borghese che ha trasformato nel giro di poco tempo una straordinaria mobilitazione democratica e progressiva di massa da un potenziale punto di rottura rivoluzionario degli equilibri capitalistici in UE ad una grottesca farsa di proporzioni storiche.
Il programma allora assume anche il ruolo di strumento di conquista della maggioranza e della sua direzione politica. La politica comunista è un rapporto dialettico costante tra il partito rivoluzionario, la classe di riferimento e il programma di rottura col capitalismo a cui il partito lotta per conquistare la maggioranza di questa classe.