Post in evidenza

Il marxismo rivoluzionario e la guerra tra le nazioni

 

Cerca nel blog per parole chiave

 


Ovvero disincrostare i residui idealisti, antistorici e piccolo-borghesi dalle organizzazioni rivoluzionarie

18 Dicembre 2024

Di seguito pubblicata la seconda parte del testo, qui la prima parte

5. ABBANDONIAMO LA LINGUA E PARLIAMO DUNQUE DI CLASSE: I NOSTRI COMPITI


Nella società capitalista eterocispatriarcale e borghese ci sono sfruttati e sfruttatori. Una delle prerogative degli sfruttatori è quella di “dare i nomi alle cose”. È un fenomeno noto anche nella storia coloniale. L’uomo bianco (il padrone) arriva e dà i nomi alle cose, così come dava i cognomi alle mogli, ai figli e alle persone schiavizzate che possiede. Nella storia, di contro, anche le autodefinizioni delle minoranze oppresse hanno avuto importanti funzioni progressive (progressive, non rivoluzionarie, attenzione!).

Un percorso analogo alla comunità LGBTQIAP+ lo sta facendo la comunità nera, che ultimamente si è riappropriata della parola negro e negritudine (c’è un ampio dibattito nel mondo latinoamericano, brasiliano in particolare, su questo).

Questa è la realtà di quello che sta succedendo. Parte della presa di coscienza de* oppress* può passare anche dalle parole/dalle scelte linguistiche con cui tentano di difendersi e raggrupparsi. Di per sé questo fenomeno è rivoluzionario? Ovviamente no. Solo la lotta di classe ha in sé la potenzialità rivoluzionaria.

Si tratta però di un fenomeno sociale, da capire e da comprendere. Da analizzare. Ignorare la diffusione di queste forme linguistiche, tappandosi le orecchie è… antimaterialista. Perché l’esigenza di identificarsi/definirsi/autodeterminarsi da parte de* oppress* per noi marxist* è sacrosanta. La riconosciamo ai popoli, perché non riconoscerla agli individui?

La riconducibilità delle lotte de* oppress* speciali [10] nell’alveo della lotta di classe è da sempre un cardine del pensiero marxista. E per forza. Quale maggiore minaccia per la borghesia che le persone con oppressioni speciali si uniscano sotto la bandiera della lotta di classe, ognuna consapevole che la sua particolare oppressione può essere risolta solo dalla rivoluzione socialista?

Nella nostra tradizione inoltre, quella marxista rivoluzionaria, l’ABC appena sopra accennato viene ribadito in un testo fondamentale, il Programma di transizione (1938) di Lev Trotsky:

«Il compito strategico della quarta internazionale non consiste nel riformare il capitalismo, ma nel rovesciarlo. Il suo scopo politico è la conquista del potere da parte del proletariato al fine di espropriare la borghesia. Tuttavia, la realizzazione di questo compito strategico non è pensabile senza la massima attenzione a tutte le questioni di tattica anche le più minute e parziali. Tutti i settori del proletariato in ogni loro strato, categoria o raggruppamento devono essere trascinati nel movimento rivoluzionario. L'epoca attuale non esonera il partito rivoluzionario dall'intervento quotidiano, ma piuttosto fa sì che tale intervento proceda di pari passo in un legame indissolubile, con i compiti immediati della rivoluzione.»

Ignorare l’importanza delle lotte contro l’oppressione di genere per difendere un presunto italiano oggettivo e “neutrale” ci porta inevitabilmente a sbagliare, sia sul piano politico sia sul piano etico.
La riconoscibilità delle persone non binarie con tutto ciò che comporta sul piano materiale deve avere il suo spazio nel programma transitorio rivolto a quel settore oppresso del proletariato.


6. COSA SONO QUESTE OPPRESSIONI SPECIALI PER UN* MARXISTA?

La risposta alle legittime aspirazioni de* oppress* è la lotta di classe (e quindi la costruzione del partito rivoluzionario), non limitarsi a rinominarsi all’interno del sistema. Ma chi ha mai parlato di limitarsi a una manifestazione linguistica di autodeterminazione? Nessun* di noi. Noi sfruttiamo ogni manifestazione di autodeterminazione de* oppress* per spingere le persone alla lotta di classe.

Questo per dimostrare che le rivendicazioni democratiche devono fondersi con le rivendicazioni del programma socialista. Non è forse con la presa del potere che le rivendicazioni democratiche possono trovare effettiva attuazione e non solo facendo pressioni sui governi borghesi? Quante rivendicazioni sono state accolte senza essere tradite puntualmente o modificate dai “comitati d’affari della borghesia” per la compatibilità col sistema capitalistico?

A ciò occorre poi aggiungere un rispetto umano di base per ogni modalità di autodeterminazione in materia di identità di genere, orientamento sessuale e via dicendo, che dovrebbe essere scontato, ma che ci tocca reiterare. Quindi l’uso di forme di linguaggio inclusivo da parte di qualcun* non impone nulla a chi non vuole usarle.

Chiaramente per chi nega l’esistenza dell’identità di genere, con una visione transescludente e transfobica, il problema del linguaggio inclusivo non si pone
.


7. PERCHÉ NOI MARXIST* DOVREMMO ESSERE INCLUSIVI?

La lotta di classe è la strada maestra per spazzare via ogni tipo di oppressione; tuttavia, avrà successo solo se noi includiamo al nostro interno e conquistiamo alla lotta coloro che subiscono anche una oppressione speciale, specifica, senza liquidare le loro istanze. Autodefinirsi marxist* non azzera automaticamente tutte le specificità dell’oppressione che pesa sulle spalle di etnie marginalizzate, persone LGBTQIAP+, donne, persone con disabilità, ecc. Pare persino banale scriverlo: ma in aggiunta all’oppressione di classe ci sono persone che subiscono anche oppressioni diverse e specifiche. Si tratta di oppressioni che i rivoluzionari marxisti riconoscono da sempre, come l’oppressione di genere, trattata ampiamente e specificamente da Marx, Bebel, Engels, Lenin, Armand, Kollontaj, Zetkin e Trotsky. Non stiamo in questa sede a richiamarci alla specificità dell’oppressione di genere, a Bebel, Engels e compagnia. Ci pare che alcuni capisaldi in un partito rivoluzionario debbano essere assodati. Chi nega l’oppressione di genere può tranquillamente accomodarsi in un altro partito, ne troverà tanti anche di “comunisti”.

Tali oppressioni hanno luogo anche dentro la nostra classe. Gratta un comunista e troverai un filisteo, tuonava Lenin. La donna è il proletario del proletario, sottolinea giustamente Engels. Nella famiglia la donna sta all'uomo come l'operaio al padrone nella società, ci ricorda Bebel.

Sappiamo tutt* – si spera – che la lotta di classe è anche lotta alle oppressioni speciali e che la lotta alle oppressioni speciali non è interclassista, se riconduce alla lotta di classe, ma è un dovere rivoluzionario. Descrivere e affrontare le specificità delle varie oppressioni (genere, provenienza, stato di salute ecc. che vanno a sommarsi all’oppressione di classe) non è “femminismo borghese”, ma è analisi marxista dello stato di cose presente, finalizzata al rovesciamento rivoluzionario della società.

Perché riconoscere l’oppressione supplementare che subiscono alcun* nella classe oppressa sarebbe borghese? Perché sarebbe borghese riconoscere, capire e analizzare le cause e i modi in cui queste oppressioni supplementari agiscono sulla classe proletaria? Per noi sarebbe una grossolana semplificazione non farlo. Come convincere queste persone a impegnarsi con noi, con loro stess* nel partito rivoluzionario, se le loro specificità, istanze e modalità di autodeterminazione non vengono neppure riconosciute né ascoltate, anzi ridicolizzate e liquidate?

“Facciamo la rivoluzione, che poi anche tutte le altre oppressioni scompariranno automaticamente insieme a quella di classe”, “Prima abbattiamo la società poi penseremo alle questioni di genere”. No. Il Partito bolscevico – fortunatamente – non l’ha mai pensata così.

Proprio perché c’è già il femminismo borghese che tradisce le istanze de* oppress*, noi non possiamo farlo. Proprio perché c’è già il femminismo borghese che convoglia le istanze de* oppress* in binari morti, che non impensieriscono gli oppressori, che noi non possiamo esimerci dal conoscere questi fenomeni, intercettare queste istanze e indirizzarle verso un rovesciamento rivoluzionario della società.

Questo fa il marxismo. Questo è il nostro compito. Non rimpiangere i bei tempi andati sotto il giogo della borghesia.


8. UN SEGNO FA DAVVERO TANTA PAURA? QUANTO POCO RIVOLUZIONARI SONO QUESTI RIVOLUZIONARI

Nell’incontrare resistenze all’uso della schwa da parte di alcuni ambienti di avanguardia reputiamo che sia singolare che dei marxisti rivoluzionari si ergano a difensori della grammatica prima che a difensori de* propr* compagn*.

Ma davvero qualcuno che dovrebbe essere pronto a rovesciare per intero la società, qualcuno che deve smantellare il modo di produzione, la famiglia, l’amore borghese, il matrimonio, il modo in cui si crescono i figli ha paura di altr* che – sommessamente – per definire la propria identità usano un segno in modo creativo? Perché l’astio furibondo riservato alla questione del linguaggio inclusivo non si spiega se non con il terrore di veder crollare categorie ataviche, incrostazioni patriarcali, che di marxista non hanno nulla, e hanno tutto dell’idealismo piccolo-borghese.

Invece di guardare alla luna abbaiano al dito, invece che andare alla sostanza si fermano alla forma. Perché? Fa un po’ sorridere sostituire uno strutturalismo con un altro, per chi si professa marxista. Quando va bene è per un’incrostazione idealistica. Altre volte, grattando tali posizioni, si scopre la transesclusione e la transfobia.

Insomma, quando il marxista indica l’oppressione di genere, l’idealista guarda la schwa.

In poche parole, non sorprende neanche oggi che all’interno delle cosiddette avanguardie operaie o marxiste si trovino incrostazioni o atteggiamenti misogini, omofobi o transfobici. Siamo anche noi cresciut* e inserit* nella società patriarcale e capitalista, non siamo avuls* dal nostro contesto sociale. L’importante è non cedere ad essi e non condonarli. Negare a una parte de* propr* compagn*e della propria classe di riferimento di identificarsi mediante ciò che ritiene più opportuno è oppressione.

Ogni negazione dell’autodeterminazione di qualsiasi proletari* colloca chi la compie al di fuori di qualsiasi organizzazione coerentemente marxista rivoluzionaria, che è un luogo dove tutta la classe lavoratrice deve poter sentirsi al sicuro, comprese donne e persone LGBTQIAP+, di qualsiasi orientamento sessuale e provenienza geografica e stato di salute. Persino coloro che usano schwa, asterischi, puntini, vocali, consonanti o qualsiasi cosa serva loro per autodeterminarsi.


9. CHIAMARE LE COSE CON IL LORO NOME, DICEVA TROTSKY

«Fuoriuscendo dallo sconvolgimento rivoluzionario, la nostra lingua verrà rafforzata, ringiovanita con un’accresciuta flessibilità e finezza. Il nostro linguaggio giornalistico prerivoluzionario, ovviamente burocraticamente ossificato e liberale, è già considerevolmente arricchito da nuove forme descrittive, da nuove espressioni più precise e dinamiche.»

Trotsky, La lotta per un linguaggio colto

Riusciamo ad immaginarci la lingua italiana dopo una rivoluzione riuscita? Non è un compito facile. Sarà prodotta dalla nuova società, nata dalla rivoluzione e la nuova società ne verrà influenzata, in un rapporto dialettico. Ci saranno parole nuove per definire realtà nuove, che il padrone non ci ha mai consentito di realizzare.

Le forme di linguaggio inclusivo non sono il prodotto di uno sconvolgimento rivoluzionario né lo strumento per innescarlo, bensì il segnale di un’esigenza di un settore oppresso della società. Un’esigenza che la borghesia non ha esitato a fare propria in modo ipocrita, per coprire le disuguaglianze sociali che non vuole e non può colmare. Tutto ciò non è un buon motivo per buttare il bambino con l’acqua sporca e disconoscere anche noi tale esigenza, facendo di fatto il gioco dell’oppressore.

Queste forme hanno un potenziale progressivo? Possono servirci a dialogare e a intercettare qualcun* di quest* oppress* e conquistarl* alla causa rivoluzionaria? Possono servire semplicemente a rispettare chi le usa per sé? (E scusate se parliamo ancora di rispetto, che tra compagni dovrebbe essere assodato e così non è).

A ognuno le sue risposte. Il Partito bolscevico da anni - oltre cento- è inclusivo: accoglie proletari ma anche proletarie e proletari@, che vivono ovviamente l’oppressione di classe, unita o meno ad altre oppressioni… Se così non fosse non potrebbe essere un partito rivoluzionario.

Di sicuro non sarà facendo il cane da guardia alla lingua del padrone che creeremo una società nuova. È una posizione liquidazionista e settaria e fa il gioco della borghesia.

Abbiamo superato la questione del linguaggio inclusivo già anni fa e senza particolari patemi, perché in verità non c’è bisogno di dibattere se accettare o meno l’autodeterminazione di una parte di compagn*. È ovvia e assodata. Tanti temi possono essere oggetto di dibattito: quale tattica o strategia sia la migliore per intervenire in questo o quel movimento, quali debbano essere le posizioni su questa o quella particolare questione (anche linguistica).

Quello che non può essere messo in discussione è la natura inclusiva di un partito coerentemente rivoluzionario, che deve essere casa di compagni, compagne, compagnu, compagn@, compagn3 e via dicendo che condividono come fine il rovesciamento di patriarcato e capitalismo.

Come non può essere messa in discussione la specificità dell’oppressione che colpisce donne e persone LGBTQIAP+ proletarie.

C’è già un partito “comunista” che esclude minoranze, persone LGBTQIAP+, che ha il mito del proletario, rigorosamente maschio e muscoloso, che fa la rivoluzione con la mascella quadrata al vento e che ama tanto la propria nazione e la propria lingua.

Con noi non ha nulla a che fare.



UNA BREVE NOTA LINGUISTICA

In sintesi, nella linguistica (che è una disciplina accademica, ma difficilmente si potrebbe parlarne in termini di scienza esatta, se non con un carattere descrittivo nei suoi approcci più sperimentali) si sono scontrate diverse ipotesi. Saussure riteneva che non vi fosse pensiero possibile senza un linguaggio a dargli forma, e che quindi il linguaggio influenzasse il modo di pensare di un individuo. In effetti è dimostrato che i concetti non si sovrappongono da lingua a lingua e il modo a cui li pensiamo è effettivamente diverso (è il grande problema della traduzione). Noi abbiamo i termini “mano” e “braccio”, mentre in russo esiste un unico termine “ruka”. Ma anche in tedesco ad esempio esiste il concetto di Oberschenkel (tradotto con coscia) e Unterschenkel (che non ha una traduzione diretta, ma è la parte che va dal ginocchio alla caviglia). Solo per restare nelle cose semplici, come le parti del corpo. Figuriamoci quando ci addentriamo nella Weltanschauung di diverse culture.

Le scoperte legate alle lingue degli indiani d’America e ad altre lingue non eurocentriche hanno dato vita a quella corrente della linguistica denominata “relativismo linguistico”, la famosa ipotesi Sapir-Whorf, che tutti conoscono per via dell’esempio della varietà di nomi della neve per gli eschimesi (una popolarizzazione mediatica poi molto ridimensionata). In base a questo approccio, il nostro sistema cognitivo sarebbe legato alla lingua che parliamo. Realmente dimostrato è invece l’esempio della lingua nootka, una lingua nativa del continente nordamericano, che ha 14 nomi per il salmone di diverse età e caratteristiche, se esce o meno con la pinna dall’acqua, ecc. Tuttavia alcune delle esagerazioni relativistiche più spinte sono state abbastanza criticate, perché sarebbe proprio la cultura (per i marxisti si legga la cultura dominante) e anche le condizioni oggettive a plasmare questo determinismo linguistico. È ovvio che a un egiziano 14 nomi per il salmone non servono. La partita non è chiusa, naturalmente. Alcuni esperimenti dimostrano effettivamente una relazione tra il linguaggio e le funzioni cognitive dell’individuo. I russi ad esempio hanno due parole diverse per blu chiaro e blu scuro (goluboj e sinji) e alcuni test dimostrerebbero che sono più veloci della media a riconoscere le sfumature di questi colori. Seguiremo gli sviluppi degli studi in materia.

Noi marxist* però non operiamo su un piano accademico o filosofico, ma su quello del materialismo dialettico, che valuta un fenomeno inserendolo nella dinamica storica dello scontro tra classi.



[10] Prima che gli antifemministi si avvitino in sterili dibattiti, non è un neologismo, è la linea del nostro partito e della nostra Internazionale: https://ito-oti.org/rwl_specially_oppressed/

Partito Comunista dei Lavoratori - Commissione Donne e altre oppressioni di genere