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La confluenza dell'Opposizione Trotskista Internazionale nella Lega Internazionale Socialista

  Avanza l'unità dei marxisti rivoluzionari nel mondo 26 Maggio 2025 English version Il congresso dell'Opposizione Trotskista Intern...

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Sionismo e bolscevismo

 


«Compagni,


il Comitato Esecutivo dell’Internazionale Comunista ha dato un fraterno benvenuto ai compagni da voi delegati al III Congresso Internazionale e con loro ha esaminato molto attentamente la questione dell’affiliazione della vostra organizzazione all’Internazionale Comunista. Il Comitato Esecutivo riconosce il fatto che avete iniziato a espellere dalle vostre file gli elementi apertamente riformisti e centristi. Riconosce che, in quasi tutti i paesi in cui avete organizzazioni, siete pronti a condurre la lotta contro la borghesia a fianco delle sezioni comuniste di quei paesi. Riconosce inoltre che, grazie ai vostri sforzi comuni, siete riusciti a gettare le basi di un movimento comunista in Palestina che, una volta ratificate tutte le condizioni stabilite dal Comitato Esecutivo, sarà idoneo a diventare la sezione nazionale dell’Internazionale Comunista.
Tuttavia, nel vostro movimento esistono tendenze in linea di principio incompatibili con quelle dell’Internazionale Comunista, che ci preoccupano molto. L’idea che la concentrazione delle masse proletarie, semiproletarie ed ebraiche in Palestina possa fornire una base per l’emancipazione sociale e nazionale della classe operaia ebraica è utopica e riformista e in realtà controrivoluzionaria nelle sue conseguenze pratiche, poiché equivale alla colonizzazione della Palestina, che, in ultima analisi, rafforzerebbe la posizione dell’imperialismo britannico in Palestina.
La completa liquidazione di tale ideologia è la condizione più importante che ci sentiamo in dovere di stabilire. Il Comitato Esecutivo dell’Internazionale Comunista è consapevole del fatto che la forte emigrazione, che è un’espressione concreta delle peculiari condizioni industriali del proletariato ebraico, è un problema di cui le sezioni nazionali dell’Internazionale Comunista devono occuparsi nella misura in cui possono essere utilizzate nella lotta per la dittatura del proletariato e per l’adempimento delle rivendicazioni vitali concrete dei lavoratori. È dovere delle sezioni nazionali dell’Internazionale Comunista istituire gli organi appropriati per l’indagine e la soluzione di questa questione.
Il Comitato Esecutivo ha deciso di istituire un Ufficio Ebraico nel centro dell’attività ebraica, il cui compito sarà quello di portare avanti la propaganda comunista tra i proletari ebrei in tutto il mondo. Il Comitato Esecutivo invita il vostro Ufficio Centrale a convocare una conferenza internazionale di tutte le organizzazioni comuniste del Poale Zion entro sei mesi, allo scopo di sciogliere definitivamente la vostra organizzazione internazionale e di fondere le vostre organizzazioni nelle sezioni nazionali dell’Internazionale Comunista, entro un periodo non superiore a due mesi e alle condizioni sopra menzionate.
In conclusione, il Comitato Esecutivo fa appello a tutti i lavoratori comunisti ebrei affinché combattano contro le tendenze particolaristiche prevalenti nel movimento operaio comunista ebraico e si rendano conto che i lavoratori ebrei rivoluzionari possono diventare parte integrante della famiglia dei Grandi Lavoratori Comunisti solo all’interno dell’Internazionale Comunista.
Lunga vita all’Unione degli Operai Comunisti Ebrei nell’Internazionale Comunista!
Lunga vita alla Terza Internazionale che sola è in grado di guidare la lotta per l’emancipazione dei lavoratori di tutte le nazioni alla vittoria finale!»

Così il Comitato Esecutivo dell’Internazionale Comunista rispondeva alla richiesta di adesione del Poale Zion, il 26 agosto 1921. Di fronte alle condizioni del Comintern, una parte del movimento sionista-socialista rinunciò al sionismo e si mise sulla strada dell’internazionalismo proletario. Nel Poale Zion divennero dominanti le tendenze sioniste e riformiste.

Era stata la ex bundista Maria «Esther» Jakovlevna Frumkina, a dichiarare al II congresso del Comintern:

«Un esempio mostrerà di quali menzogne siano state vittime le masse lavoratrici di una nazionalità oppressa, menzogne che rappresentano una grande risorsa per l’Intesa e per la borghesia delle nazioni in questione. È il caso dei sionisti in Palestina che, con il pretesto di fondare uno stato ebraico indipendente, reprimono la popolazione lavoratrice e gli arabi che vivono in Palestina sotto il giogo britannico, sebbene gli ebrei siano ancora una minoranza. Questa menzogna senza precedenti deve essere combattuta, e in modo molto energico, poiché i sionisti in ogni paese lavorano avvicinando tutte le masse arretrate di lavoratori ebrei e cercando di creare gruppi di lavoratori con tendenze sioniste (Poale Zion), che ultimamente si sforzano di adottare una versione comunista. Vorrei citare qui uno degli esempi più eclatanti del movimento sionista. In Palestina non abbiamo a che fare con una popolazione a maggioranza ebraica. Abbiamo a che fare con una mera minoranza che cerca di sottomettere la maggior parte dei lavoratori del Paese alla capitale dell’Intesa. Dobbiamo combattere questi tentativi con la massima energia. I sionisti cercano di conquistare sostenitori in ogni paese e, attraverso la loro agitazione e la loro propaganda, servono gli interessi della classe capitalista. L’Internazionale Comunista deve combattere questo movimento con la massima energia».

Nel 1943, morirà nei gulag staliniani.

Il sionismo non è una creatura atavica, come millanta la mistica delle élite ebraiche. È artefatto tutto contemporaneo, figlio della decadenza capitalistica. L’avaria del sistema classista manifesta con forza la necessità del suo superamento. Chi non vuol concedersi a questo superamento si ritrova costretto a conservare il sistema oltre i suoi limiti razionali, indicando la responsabilità dei suoi guasti in cause fantasiose, col risultato di protrarre e aggravare ogni guasto. La borghesia nazista creerà il mito del giudeo parassita dell’economia, cospiratore filostraniero e filocomunista, principale ragione della sconfitta nazionale della Prima Guerra mondiale.

La borghesia ebraica risponderà non con la confutazione della mistica, ma col suo rovesciamento: l’ebreo che da millenni aspira al ritorno alla primordiale patria di Sionne, per sfuggire all’antisemitismo strutturale del mondo intero. La verità è che, dall’esilio babilonese e dalla dispersione romana lungo tutto il medioevo fino alla storia recente, gli ebrei hanno vissuto in altre terre e, se poté in essi conservarsi un sentimento religioso, caratteristiche culturali e una memoria più o meno condivisa a identificarli come popolo, non è vero che questo popolo ambì al ritorno a una terra perduta millenni addietro. I problemi del popolo ebraico contemporaneo sono i problemi della contemporaneità, risolvibili solo nel suo quadro, non col ricorso a leggende. Di questo avviso furono gli stessi ebrei che, per secoli, pretesero un posto nelle società in cui vivevano e mai invece guardarono a tali società come un luogo di passaggio, in attesa che il Messia ponesse fine alla diaspora.

Dirà Abraham Léon: «il sionismo è un movimento recente e il più giovane dei movimenti nazionali europei, ma ciò non gli impedisce di pretendere – ancor più degli altri nazionalismi – (oggi, anzi, diremmo “ferocemente contro gli altri nazionalismi”) di avere le sue radici nel lontano passato».

La genesi del sionismo, ideologia rovesciata dell’antisemitismo, si annida nella patria dei pogrom, l’impero zarista. Fu il pamphlet Autoemancipazione! (1882) del medico ebreo russo Leo Pinsker, il primo a parlare della fobia secolare e irrazionale per gli ebrei, una «malattia della mente delle nazioni non ebraiche», un pregiudizio insuperabile in qualunque modo non fosse la formazione di una colonia «in America o in una terra adatta in Oriente» (il fondatore dell’Hibbat Zion puntava già alla Palestina). Che il massimo esponente del sionismo politico, Theodor Herzl, lo abbia letto o meno, spiccheranno le analogie col suo Lo Stato degli ebrei. Quando Herzl elabora la sua ideologia si trova a Parigi, scenario dell’affare Dreyfus, il processo a un ufficiale ebreo dell’esercito francese ingiustamente accusato di tradimento, e dell’esplosione di antisemitismo che ne seguì. Si ribadisce: la metafisica sionista venne generandosi come risposta piccolo-borghese alla metafisica della borghesia imperialista, russa, francese, più tardi tedesca.

Nel 1897 Herzl, raccogliendo l’appello di Pinsker per un Congresso Ebraico, ideerà, convocherà e presiederà a Basilea il primo Congresso Sionista. Al cospetto di 17 delegati, fonderà l’Organizzazione Sionista Mondiale (WZO). Quanto mai eloquente il suo manifesto: «Formiamo una parte del baluardo per l’Europa contro l’Asia, saremo la sentinella avanzata della civiltà contro la barbarie». Nasceva ufficialmente un nuovo movimento, il quale tuttavia si trovava inevitabilmente a misurarsi col panorama politico del secolo, venendone alternamente condizionato. Il sionismo conobbe diverse articolazioni, tutte costitutive di un medesimo progetto coloniale. Tra le più importanti: il sionismo politico di Herzl, la cui cifra distintiva era una insistenza sull’aspetto diplomatico del progetto, l’importanza del riconoscimento internazionale e di un mandato legale per l’insediamento in Palestina. Costola tattica di questa articolazione ideologica fu il sionismo sintetico di Chaim Weizmann, che nell’Italia fascista giocò un ruolo diplomatico di rilievo. Col motto «Conquista o muori!», seguì il sionismo-revisionista, la variante ultramilitarista e parafascista di Vladimir Ze’ev Jabotinsky, fondatore del Betar per la «Grande Israele», ispiratore delle squadracce punitive del Brit HaBirionim in Palestina, comandante in capo delle milizie dell’Igrun. Dal Partito Revisionista Sionista (Hatzohar) discende l’Herut (1948-1988) da cui discende l’attuale Likud di Benjamin Netanyahu.

Ma il grande fermento rivoluzionario che agitava il mondo non poteva esimere dal rapporto col socialismo quella parte di popolo ebraico variamente interessato al sionismo. Dal rifiuto del Bund ebraico di integrare l’ideologia sionista, nacque il Poale Zion (Operai di Sion), prima come movimento e nel 1906, per impulso di Ber Borochov, costituitosi in partito.

Il Bund sosteneva che la lotta del proletariato ebraico avrebbe dovuto svilupparsi all’interno della diaspora, nei Paesi in cui viveva, senza la necessità di un’emigrazione di massa o della creazione di uno Stato ebraico. Sul piano ideologico, considerava la proposta sionista come una fuga dalla lotta di classe. Circa le ricadute materiali, il Bund, che nel 1921 si scioglieva in maggioranza nel Partito Comunista Russo, maturò una lettura del sionismo in tutto combaciante col Comintern dopo l’inizio della Prima guerra mondiale e del mandato britannico in Palestina: il progetto sionista come manovra della borghesia occidentale, quinta colonna dell’imperialismo britannico in Medio Oriente.

Prima della Nakba, i marxisti-rivoluzionari che si espressero sul sionismo non poterono prevedere l’immane carneficina cui Israele avrebbe dato corso nei decenni, ma diffusamente si ritrovano preziose intuizioni. Nell’intervista rilasciata ai corrispondenti della stampa ebraica al suo arrivo in Messico (gennaio 1937), Trotskij affermava già che «il conflitto tra ebrei e arabi in Palestina assume un carattere sempre più tragico e minaccioso» e che, in regime capitalistico, ogni tentativo di risoluzione del problema ebraico «non può che essere un palliativo e spesso persino un’arma a doppio taglio, come dimostra l’esempio della Palestina», avendo in mente le prime sollevazioni arabe contro gli ebrei.

La Prima Guerra mondiale si conclude con la sconfitta dell’Impero Ottomano e la sua perdita della regione palestinese. La Rivolta Araba esplosa nel 1916, prima dell’arrivo delle truppe britanniche, aveva cominciato una lotta su vasta scala contro l’oppressione turca finalizzata alla creazione di uno stato arabo indipendente. Strumentalmente, il Regno Unito supportò l’insurrezione; poi si unì militarmente al conflitto. La corrispondenza Hussein-McMahon (1915-1916), con la quale la Gran Bretagna, tramite il suo alto commissario in Egitto Henry McMahon, prometteva allo Sharif Hussein della Mecca, leader della Rivolta, il riconoscimento di un grande regno arabo in cambio del suo aiuto militare contro l’Impero Ottomano, portò dapprincipio una parte dell’insurrezione a battersi a fianco delle truppe inglesi, credendo sincere le promesse.

Le illusioni si sgretolarono quando, nel 1917, gli arabi scoprirono che, con l’accordo di Sykes-Picot, stipulato un anno prima, inglesi e francesi programmavano la spartizione del Medio Oriente in zone di influenza, contraddicendo apertamente la promessa di un regno arabo unito e indipendente; e soprattutto che, con la Dichiarazione Balfour, il Regno Unito s’impegnava a sostenere la creazione di una «patria nazionale per il popolo ebraico» nella Palestina che gli arabi consideravano parte del loro futuro Stato.

Da quel momento, fu un prosieguo ininterrotto di sollevazioni popolari contro l’occupazione britannica e i sionisti suoi protetti, che compravano terreni dagli effendi residenti in altri stati e ne cacciavano gli arabi che li abitavano e li coltivavano. Da parte araba, nasceva un nazionalismo che portava a una inedita lotta anche contro ebrei non sionisti, in una regione in cui da sempre arabi ed ebrei avevano convissuto. Da parte inglese e sionista, massacri di migliaia di arabi. I moti di Gerusalemme (1920) e il massacro di Hebron (1929), centinaia di morti. La seconda Grande Rivolta Araba (1936-1939), seimila arabi uccisi. L’ultimo dei capitoli prima della fondazione di Israele e della Nakba, ma che naturalmente le comprende, fu la guerra civile del 1947-1948, quando l’ONU sancisce di fatto la nascita dello Stato Ebraico e le truppe inglesi si ritireranno. Dopo averla aggiogata, l’Inghilterra lascerà la Palestina in dote all’ONU e, col declinare progressivo del proprio primato imperialista, perderà la supremazia della sua partnership con Israele in favore degli USA, emergenti dalla Seconda Guerra Mondiale come nuova superpotenza.

Nel frattempo, lo stalinismo aveva vinto nel mondo e anche dell’antisionismo genetico del bolscevismo si apprestava a far strame. Credendo di poter istituire un’alleanza con Israele e di farsene strumento di pressione contro l’imperialismo, in sede ONU anche il Cremlino votava a favore della fondazione di Israele. Il veto dell’Unione Sovietica, potenza temuta e decisiva per gli equilibri internazionali, avrebbe fatto saltare il progetto. Ma Stalin non si fermò a ignorare la natura sociale di uno Stato che si fondava sulla soppressione più efferata del diritto di autodeterminazione dei popoli, lui che, del resto, georgiano, era stato il primo a negarlo alla Georgia. Fece di più. Fu il primo a rifornire di armi Israele.

Data l’escalation preoccupante del conflitto in Palestina, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU impose un embargo sulle armi a tutti i paesi della regione coinvolti nel conflitto. Ma l’embargo penalizzava soprattutto Israele, che si ritrovò ad affrontare gli eserciti di diversi Stati arabi con una quantità molto limitata di armamenti. Tradotto in parole semplici, l’operazione equivaleva a dire "ci abbiamo provato! Ma se il rischio è di trovarci nuovamente trascinati in un conflitto mondiale, non intendiamo correrlo per Israele". Fu Stalin a salvare Israele, ripetendo la mossa del Molotov-Ribbentrop quando aggirò l’embargo e armò Hitler. Egli vide nella violazione dell'embargo un’opportunità per indebolire l’influenza occidentale in Medio Oriente e per creare un potenziale alleato. Decise quindi di fornire armi a Israele attraverso la Cecoslovacchia, divenuta stato satellite il febbraio 1948.

Le forniture, organizzate nell’ambito dell’«Operazione Balak», furono decisive per le sorti del conflitto. Tra il 1948 e il 1949, la Cecoslovacchia vendette a Israele un’enorme quantità di armi, tra cui fucili, munizioni, mitragliatrici e persino aerei da caccia come gli Avia S-199, una versione cecoslovacca dei Messerschmitt Bf 109 tedeschi. Queste armi, trasportate con ponti aerei clandestini, furono fondamentali per permettere a Israele di resistere all’attacco e di riportare la vittoria nella sua guerra coloniale.

Il Partito Comunista di Palestina guidato da Radwan Hassan al Hilou (Musa), sezione palestinese dell’Internazionale Comunista, veniva lacerato da una crisi irreversibile. La componente araba, nella quale spiccava Najati Sidqi, abbondonò in massa il partito. Il PCP perse quasi completamente la sua credibilità e la sua influenza all’interno della comunità araba palestinese. La spaccatura rese il partito un’organizzazione prevalentemente ebraica e lo isolò dal movimento nazionalista palestinese e dalle masse arabe. La rottura sancì il fallimento del progetto di un partito misto, arabo-ebraico, che secondo la tradizione bolscevica saldava la lotta di classe e l’anticolonialismo in un’unica organizzazione.

Israele, oggi, è tra le mostruosità più sanguinose che la degenerazione del socialismo su scala internazionale, la controrivoluzione stalinista, ha lasciato in eredità al ventunesimo secolo.

La storia presenta sempre il conto. Non è un caso che i marxisti-rivoluzionari siano arrivati al nuovo secolo anche sulla base della rottura con la tradizione stalinista su Israele e sull’autodeterminazione dei popoli. Progetto Comunista, l’area embrionale del Partito Comunista dei Lavoratori, rompeva dal Partito della Rifondazione Comunista proprio per la sua denuncia del ruolo imperialista giocato dalle truppe italiane in Iraq e sul rifiuto della soluzione "due popoli, due stati" per la Palestina. In Palestina, lo stato sionista nasce proprio contro la nascita di uno o più stati arabi. Nasce come avamposto dell’imperialismo occidentale in Medio Oriente. Qualunque sia la forma di governo di cui possa dotarsi, lo Stato sionista è la pallottola che la prima terribile guerra globale tra le potenze imperialiste ha lasciato nel cuore del Medio Oriente e lo sta uccidendo per avvelenamento.

Dal socialdemocratico Ben Gurion all’ultranazionalista Netanyahu, Israele non ha fatto altro che sfruttare e rubare, espellere e sterminare. Non ha mai conosciuto eccezioni a questa politica. Perché altra politica non può avere il colonialismo. Il sionismo era ieri e tanto più lo è oggi una vergognosa copertura ideologica di un’impresa criminale. Con la sua strumentalizzazione dell’Olocausto per riprodurre lo stesso crimine contro altri popoli, è la più grande offesa che abbia mai conosciuto il popolo ebraico. Solo la rivoluzione saprà far sì che sia l’ultima.

Salvo Lo Galbo