Una lettura dell’intervista di Repubblica allo scrittore David Grossman: un tentativo di creare dei sionisti buoni davanti all’evidenza della strage
3 Agosto 2025
La Repubblica del 1° agosto ha dedicato due pagine di intervista a David Grossman, scrittore sionista di fama internazionale. Grossman ha dichiarato che, nonostante gli si «spezzi il cuore» deve constatare che quello in corso a Gaza «è un genocidio». Si chiede come uscire «da questa associazione fra Israele e il genocidio» e riduce l’intera attività storica di Israele agli atti di «gente come Smotrich e Ben Gvir (due ministri israeliani di estrema destra)» a cui governare uno stato potente come Israele sembra avere dato alla testa. Dal 7 ottobre tante persone conosciute da Grossman «hanno abbandonato i nostri comuni valori di sinistra».
Lo sforzo di Grossman è quello di stabilire un ‘noi’ e un ‘loro’ all’interno del sionismo. Il ‘noi’ nel nuovo paradigma per lavarsi la coscienza senza rinunciare alle proprie idee razziste comprende i presunti buoni, i sionisti liberali fantasiosamente «di sinistra». Ebbene, tali sionisti di sinistra hanno avvertito il pericolo che il mondo si prepara a presentargli il conto per la loro posizione storica di complicità con Israele. Ci si deve domandare, però, se non sia già un ossimoro pensare che possa esistere un suprematismo di sinistra.
Dal canto suo La Repubblica ne approfitta per riabilitarsi agli occhi di tutta la sua platea vagamente progressista davanti alla quale ha perso credibilità, grazie alla sua efferata propaganda sionista. Quale occasione migliore per salvare capra e cavoli, sionisti israeliani e stampa italiana, di un israeliano che pronuncia la parola proibita: «genocidio». Ovviamente ribadendo una falsità storica e giustificazionista: che senza il 7 ottobre il genocidio non sarebbe esistito. Fa tenerezza però constatare che a questi pianificatori dell’assenso, almeno, gli si «spezzi il cuore».
Grossman prosegue il suo sforzo muscolare-nervoso: «il grande errore dei palestinesi sta nel fatto che avrebbero potuto trasformarla (Gaza, nda) in un luogo fiorente: invece hanno ceduto al fanatismo e l’hanno usata come rampa di lancio per i missili contro Israele». Si arriva all’assurdo: i palestinesi sarebbero colpevoli delle azioni dei sionisti. Israele avrebbe agito come una furia divina, fatale e inarrestabile, per conseguenza della poca lungimiranza dei palestinesi.
È un’operazione retorica macabra quella di Grossman, che rassomiglia a un carnefice che dice alla vittima di non battere i pugni sulle sue braccia, mentre la strangola. Va detto che l’estremismo islamico di Hamas, come i pugni sulle braccia, è un sottoprodotto dell’efferatezza sionista e imperialista occidentale. Ma Hamas ha garantito alla resistenza palestinese - che non è Hamas - la capacità militare utile a continuare ad esistere. Anche qui le parole di Grossman sembrano essere le parole della linea editoriale de La Repubblica. Insieme compiono il tentativo estremo di passare dalla parte dei presunti buoni, senza rinunciare alle proprie posizioni.
L’operazione è quella di costruire mediaticamente un nuovo paradigma della vittima: inventare la figura del sionista dissidente, del sionista che vorrebbe ma non può far nulla per evitare che il suo stato suprematista smetta di compiere crimini inenarrabili.
Coerentemente con la subdola visione suprematista della borghesia italiana benpensante, i palestinesi diventano una macchietta che ha il diritto di salvarsi solo se Israele ne ha la volontà. Questa volontà, come quella di un dio sadico, dipende dalla volontà dei palestinesi di arrendersi al proprio sterminio.
Riferirsi all’occupazione israeliana del 1967 dei territori palestinesi nei termini di una «maledizione» che ha colpito Israele (così dice Grossman), è un’operazione utile a sollevare dalla responsabilità storica il sionismo e i sionisti, ancora nell’ottica di una lettura della storia totalmente metaforica, astratta e retorica.
Se i palestinesi non avessero commesso l’errore storico di voler continuare a vivere senza che gli si dicesse a quali condizioni farlo, continua Grossman, «magari questo avrebbe spinto Israele a cedere anche la Cisgiordania e a mettere fine all’Occupazione anni fa».
Così Grossman ribadisce l’idea di riconoscere uno stato palestinese, ma a «condizioni ben precise: niente armi». Sarebbe una bella prospettiva, se si ammettesse il disarmo globale. Ma ciò non è possibile, perché Israele in primis esiste come laboratorio di tecnologia militare degli imperialismi occidentali, che ben fanno profitto sulla morte.
In questi stessi giorni la Francia e la Gran Bretagna hanno dichiarato di voler riconoscere uno stato palestinese. Il riallineamento della stampa nazionale e internazionale risponde anche all’esigenza del Governo Meloni di non isolarsi davanti a questa nuova spaccatura europea. Ma l’atto simbolico di riconoscere uno stato di Palestina da parte di Macron e Starmer è vile perché arriva nel momento in cui l’80% della Striscia di Gaza è occupata dall’esercito israeliano, in cui l’apartheid e il controllo anche in Cisgiordania si inasprisce tremendamente e a favore dei nuovi insediamenti dei coloni. Ma soprattutto arriva nel momento in cui, con il loro benestare, l’economia agricola palestinese è stata annientata con le ruspe, rendendo sterili i campi coltivati, in cui i centri abitati sono stati ridotti in macerie, e in cui nessuna forza politica palestinese sarebbe capace in questo momento di rimediare senza indebitarsi fino al collo con i capitali a prestito dei suoi stessi carnefici.
Gli imperialismi europei continuano nei fatti a sostenere Israele come ben illustrato dal report ONU elaborato da Francesca Albanese, non a caso ostracizzata e isolata con forza da queste stesse forze sioniste. Tentano di rimediare al dissenso interno con azioni di solidarietà vuote e di facciata. La stampa borghese si affanna per riposizionarsi coerentemente senza perdere la faccia dopo aver costruito narrazioni fasulle e tendenziose per decenni, e specialmente nell’ultimo anno. Non lo fa dando parola ai palestinesi, ma dando parola ai sionisti redenti, agli oppressori che hanno deciso di considerare come degna di attenzione la realtà vissuta dagli oppressi, conducendone la narrativa.
Ma su una cosa ha ragione Grossman: «più cedi alla paura, più sei isolato e odiato al di fuori di Israele […], l’isolamento cresce e tu ti ritrovi in una trappola sempre più profonda, da cui uscire è complicato». Questa presa di consapevolezza non arriva dal cielo, non è una maledizione. È invece frutto del movimento globale che ha dimostrato la capacità di costruire l’isolamento di Israele. È frutto della resistenza armata palestinese, senza cui la questione oggi non si porrebbe perché lo sterminio sarebbe stato attuato.
Consci di questa grande occasione storica, è necessario ora fare un salto di qualità approfondendo le lotte antisioniste e legando la questione palestinese a quella imperialista.
Perciò il compito dei comunisti rivoluzionari risulta oggi fondamentale: per liquidare una volta per tutte lo stato suprematista, razzista e antidemocratico di Israele, per la creazione di un’unico stato palestinese che garantisca a ogni essere umano i propri diritti individuali e sociali, è necessario innanzitutto volgere le armi verso l’imperialismo di casa propria. E noi verso il governo Meloni e la borghesia italiana, diretti colpevoli e sostenitori consapevoli di questo genocidio.
Per una Palestina libera, laica e socialista.