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Bekaert: una lunga storia di licenziamenti in tempo di pandemia

 


La storia dei lavoratori della Bekaert di Figline è emblematica dei rapporti negli ultimi anni tra capitale e lavoro. La fabbrica di cavi speciali per pneumatici, ex gruppo Pirelli, produce un prodotto di eccellenza ma per l’attuale proprietà ha costi di produzione svantaggiosi rispetto ad altri siti esteri, e pertanto da qualche anno ne è stata annunciata la dismissione e delocalizzazione.


La multinazionale belga, in piena pandemia e sotto blocco dei licenziamenti, ha deciso di anticipare le sue mosse inviando la lettera di licenziamento ai 176 lavoratori rimasti in cassa integrazione speciale fino a fine febbraio.

È una lunga storia di false promesse, di strumentalizzazioni politiche e di letterali prese in giro anche da parte sindacale. Nel 2014 la fabbrica viene rilevata dalla Pirelli, e nel 2018 la multinazionale belga cala le sue carte. Scortati dalle forze dell’ordine, i dirigenti della società annunciano il licenziamento in tronco di 318 lavoratori, che per nulla scoraggiati occupano lo stabilimento. Una mossa giusta quella degli operai, ma vista come fumo negli occhi e pericolosa dai politici locali e nazionali, e persino dalle dirigenze sindacali. Siamo nel centro della patria di Renzi e della sua piena ascesa politica. È un periodo in cui i danni provocati ai lavoratori dalla sua mostruosa creazione legislativa conosciuta come Jobs Act cominciano a farsi sentire in una zona in piena osmosi tra la fabbrica e il territorio.

La ex Pirelli di Figline Valdarno ha nella sua storia un legame strettissimo con una comunità che non esita a scendere in piazza in difesa dei lavoratori con una mobilitazione di 5000 presenze. Tra queste si distinguono anche dirigenti sindacali, deputati ed esponenti politici, in particolare del PD di allora ma anche del centrodestra.
Tutti, a parole, si esprimono con le solite frasi retoriche e false: «Siamo impegnati unitariamente nella ricerca di una soluzione e useremo ogni risorsa per scongiurare il destino della chiusura e della deindustrializzazione».

Cade il governo Renzi e la patata bollente passa nelle mani del governo di centrodestra, che vede come ministro dello sviluppo economico Luigi Di Maio che inizia la lenta ma inesorabile opera di smobilitazione della lotta. Promette la cassa integrazione straordinaria per una parte dei lavoratori. Nel contempo i politici locali appoggiano la costituzione di una cooperativa, la Steel Coop Valdarno, composta dai lavoratori della Bekaert insieme a quelli di Legacoop Toscana, allo scopo di acquisire lo stabilimento e riprendere la produzione dei cavi speciali per pneumatici. Viene persino scritto un libro, La Fabbrica che non volle chiudere da redattori di Controradio Firenze e dirigenti locali della FIOM. Non solo, ma il libro contiene persino la prefazione del segretario generale della CGIL Maurizio Landini.

La logica del capitale, tuttavia, è un'altra. Anzi, con il passare del tempo questa si è rafforzata, e anche l’attenzione è calata. Le priorità sono altre, e dei 176 operai della Bekaert, della loro fabbrica dell’indotto e di un altro territorio colpito dalla crisi importa ormai a pochi. Un destino quasi comune ai lavoratori in cassa integrazione dell’acciaieria Jindal Italy ex Lucchini di Piombino e del suo territorio.

Il lento logoramento di una potenziale lotta insegna che solo attraverso l’autogestione diretta e senza compromessi nella mobilitazione, attraverso il fronte unico con altri lavoratori di altre lotte e di altri territori per una difesa comune del posto di lavoro, con la nazionalizzazione delle aziende in crisi sotto il controllo operaio, tramite lo smascheramento delle svendite di dirigenze sindacali più interessate alla cogestione degli interessi confindustriali che a quelli legittimi dei lavoratori, è possibile respingere l’attacco disumano del capitalismo. A maggior ragione nel momento storico più drammatico e difficile provocato dalla pandemia.

Il Partito Comunista dei Lavoratori è solidale con la lotta dei lavoratori della Bekaert, con l’intento di costruire un fronte unico di lotta in loro difesa e di quella di tutti i lavoratori che in questo momento stanno contrastando l’attacco sempre più pesante del capitalismo.

Ruggero Rognoni

AMAZON:Ipersfruttamento, controllo pervasivo, precarietà e ricatto


L'azienda multinazionale agisce con i pieni poteri concessi dal JobsAct nella giungla del libero mercato.


E' ormai noto a tutti coloro che non vogliono chiudere gli occhi davanti all'evidenza cosa significhi lavorare nei settori della logistica e affini nell'era della precarietà assoluta, dello smantellamento dei diritti sindacali, del logoramento delle condizioni salariali, dell'aumento dei carichi di lavoro accompagnato dai tagli al personale e dall'aumento della disoccupazione, del sindacalismo addomesticato e neutralizzato a semplice gestore del malcontento nei processi di aggressione frontale da parte di padronato e amministrazioni.

Turni massacranti e ritmi alienanti e pericolosi per la salute; continue pressioni ad uscire al di fuori dell'orario di lavoro ordinario per sopperire ad una organica e voluta carenza di personale per poter aumentare le quote di profitto estrapolate dal lavoro dei dipendenti; precarietà in crescita che aumenta masse di lavoratori ricattabili a cui è possibile chiedere ogni tipo di prestazione extra e, perchè no, illegittima, non retribuita o in nero; controllo pervasivo dei movimenti, dei ritmi, dei minimi errori, del livello di produttività e degli obiettivi senza la minima considerazione delle variabili umane (stanchezza, malattia, genitorialità, distrazione, fatica etc); pause negate e criminalizzate.

Così, da varie inchieste, emergono dati sconcertanti: turni fino a 55 ore settimanali e fino a 10 ore consecutive; dai 6 ai 9 secondi per imballaggio a disposizione per raggiungere obiettivi di 300 articoli all'ora, non più di 30 secondi per l'impacchettamento; lavorazioni a cottimo che possono portare il pagamento a 8 centesimi a "pezzo"; ritorsioni, sanzioni disciplinari e mobbing contro chi non garantisce piena disponibilità ad ogni tipo di pressione o richiesta.

A documentare questi dati sono le testate giornalistiche più importanti, alcune sicuramente interessate a colpire un concorrente dei propri finanziatori, semplicemente perchè questi ultimi vorrebbero poter accedere e raggiungere lo stesso livello di aggressione, temendo però l'eccessiva spudoratezza del nuovo magnate del settore. Le inchieste perciò arrivano dal NewYorkTimes, dal Mirror, dal Guardian, da Linkiesta, da LaStampa, dall'Espresso etc.

L'altro dato, non meno importante, riguarda le relazioni sindacali. L'azienda regolarmente rifiuta, nega o rimanda gli incontri con i sindacati, anche i concertativi ed "affidabili" CGIL-CISL-UIL, tentando di delegittimare lo strumento della contrattazione collettiva e del confronto con i lavoratori in quanto classe, ricercando il diretto contatto e "dialogo" con il singolo lavoratore, per "accoglierne" le esigenze riconducendole e corregendole entro la logica aziendale, per farlo ragionare su quanto i disegni siano più grandi e di come la grande famiglia possa sopravvivere solo con i sacrifici e gli sforzi di tutti. Poco importa se questi "sforzi" ricadano esclusivamente su lavoratori da 1.000 euro netti al mese, i benefici si concentrano tutti nel patrimonio di Jeff Bezos che si stima tra i 105 (stima Bloomberg) e i 125 (Stima Forbes) miliardi di dollari.

Tutto ciò non è nulla di nuovo, e non è nemmeno patrimonio esclusivo di Amazon e del patron Jeff Bezos, che su questo impero di sfruttamento di avanguardia si è costruito il patrimonio e la ricchezza che lo ha portato al primo posto nella classifica degli uomini più ricchi del mondo. Condizioni e tendenze simili, in alcuni casi anche peggiori, sono registrabili in tutte le aziende di logistica in cui la giungla delle cooperative rende il tutto anche più intricato e continuamente spinto oltre ogni parvenza di distinzione tra legalità e illegalità, con vere e proprie truffe ai danni dei lavoratori e della previdenza pubblica. E' così quindi in TNT, DHL, BRT, SDA, FedEx, FERCAM etc. Lo sta diventando anche nella più grande azienda italiana, al momento ancora sotto controllo pubblico, il Gruppo PosteItaliane (proprietario al 100%, peraltro, di SDA).

Ora sconcerta l'ultima grande invenzione e brevetto che in casa Amazon vogliono far proprio: il braccialetto per il controllo dei movimenti, dei ritmi e delle azioni del dipendente, un braccialetto che possa inviare anche vibrazioni e messaggi al lavoratore non appena commetta un errore o faccia qualcosa di non permesso dall'azienda. Insomma si passa dal lavoro schiavizzato al lavoro del controllo pervasivo e totalitario, la robotizzazione dell'essere umano trasformato in un carcerato controllato sul lavoro e, perchè no, attraverso social e tecnologie, nel privato (non sono rari i casi di regolamenti interni aziendali in cui si avvertono i dipendenti di sanzioni in caso di diffusione di informazioni o commenti che possano danneggiare l'immagine dell'azienda sui social – per cui non solo non è possibile scioperare e sindacalizzarsi ma addirittura nemmeno lamentarsi delle condizioni di lavoro).

l' ipocrisia peggiore si registra nel coro dei vari esponenti dei partiti confindustriali e padronali, nella maggior parte dei casi gli stessi che si sono fatti promotori e sostenitori di politiche e decreti sul lavoro che hanno incentivato e permesso tutto questo, dando mano libera e carta bianca alla costante tendenza del mercato e dei capitali di schiacciare e schiavizzare il mondo del lavoro per poter estrapolare quote sempre maggiori di profitto e sfruttamento. A partire proprio dagli esponenti del Partito Democratico il cui Jobs Act, assieme al decreto Poletti, ha aperto alla totale precarizzazione del lavoro trasformando in precario anche il contratto a tempo indeterminato grazie alle "tutele crescenti", ha cancellato la possibilità di vedere un reintegro in caso di licenziamenti illegittimi con la cancellazione dell'art.18 e ha allargato la platea di giustificazioni aziendali con cui coprire tagli e licenziamenti, prima illegittimi, rendendo quasi incontestabili legalmente gli esuberi di massa e lo scarico sui lavoratori dei rischi aziendali. Infine, proprio il JobsAct, ha aperto alla possibilità per le aziende di controllare il lavoratore a 360°, dagli spostamenti alle comunicazioni private.

Non per nulla già un primo sciopero su questo tema si registrò il 24 Marzo 2015 in Fincantieri, sciopero che coinvolse i cantieri di Muggiano (La Spezia), di Riva Trigoso e di Sestri Ponente, perchè l'azienda voleva installare dei microchip negli scarponi dei lavoratori per controllarne spostamenti e ritmi.

Non solo. Questi governi, con il consenso bipartisan, hanno neutralizzato legalmente il ruolo del sindacato relegandolo a semplice sottoscrittore delle scelte padronali, accolto ai tavoli di trattativa solo se accetta la condizione di ricoprire il ruolo ritagliato nel teatrino delle trattative per smussare alcuni angoli, far fare qualche sfogo illusorio ai propri iscritti con qualche ora di sciopero isolata e portare a compimento i progetti aziendali e governativi. Tutte le sigle che non stanno a questa logica saranno escluse aprioristicamente dai salotti delle chiacchere concertative, tutti i lavoratori che esprimono risentimento e conflittualità che possono mettere in discussione questo copione devono essere prima di tutto "ricondotti a ragione" dai sindacati e, se questo non bastasse, isolati, sanzionati o lasciati a casa.

Oggi però tutti, in campagna elettorale, si indignano ed esprimono parole di sconcerto per le condizioni di quei lavoratori e di quelle lavoratrici eppure tutti sono responsabili delle politche di aggressione al mondo del lavoro di questi ultimi 40 anni, da Liberi&Uguali fino a Fratelli d'Italia. A questi si aggiungono coloro che si sono presentati alle porte della politica come movimento "antisistema" e i cui esponenti, oggi per domani, corrono nei principali salotti e club della borghesia nazionale e internazionale ad assicurare la propria affidabilità nel guardare agli interessi del profitto, delle speculazioni e dello sfruttamento, proprio come sta dimostrando DiMaio per il Movimento5Stelle e Salvini per la LegaNord (ormai non più Nord e già ampiamente organica alle politiche di aggresione del lavoro portate avanti dai governi di Centrodestra).

Solo un programma rivoluzionario e anticapitalista può dare una prospettiva di miglioramento a questi lavoratori. Solo la prospettiva di un fronte unico di classe e di massa, che riunisca tutto il mondo dei lavoratori e delle lavoratrici contro il blocco delle borghesie e della finanza, sopra la spinta di uno sciopero generale ad oltranza, può rispondere a questi attacchi con una forza in grado di far indietreggiare la classe padronale e rilanciare la conquista di diritti e condizioni dignitose.
Solo un governo dei lavoratori e delle lavoratrici può garantire l'applicazione di misure efficaci come le nazionalizzazioni senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori, la riduzione dell'orario di lavoro con l'istituzione di un salario minimo garantito, la cancellazione della precarietà e della disoccupazione. Solo una Sinistra Rivoluzionaria può farsi portavoce di queste istanze, e il PCL è in prima linea nell'affermare questa necessità e nel darle concretezza programmatica in questa prossima campagna elettorale, come in ogni terreno d'intervento del nostro partito.
Partito Comunista dei Lavoratori