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«No pasaran!»

Per una egemonia di classe anticapitalistica nel movimento indipendentista di massa in Catalogna

 Il governo spagnolo del PP di Rajoy procede manu militari contro il diritto di autodeterminazione della Catalogna: incarcerazione di funzionari, sequestro poliziesco delle schede elettorali, minaccia di procedimento giudiziario sino all'arresto di «chiunque si renda complice di un referendum illegale». Una campagna repressiva frontale che giunge a ventilare l'applicazione dell'articolo 115 della Costituzione spagnola che prevede la possibile destituzione amministrativa di governi locali e regionali per mano del governo centrale. Questa campagna vede allineata la grande borghesia di Spagna, la monarchia, l'intero apparato repressivo dello Stato, l'alta magistratura, e tutti i tradizionali partiti di governo dell'imperialismo spagnolo. A partire dal PSOE, solidale col PP, e dalla grande stampa cosiddetta democratica e progressista, come El Pais che da settimane incalza Rajoy da destra, chiedendogli di passare a vie di fatto e di imporre il rispetto della legge.

Intanto le sinistre riformiste spagnole (Izquierda Unida e Podemos), prima contrarie al referendum catalano e ora solidali con la risposta di massa alla repressione, si aggrappano alla vana speranza di un "referendum concordato" tra Catalogna e Madrid. Nei fatti Pablo Iglesias cerca di salvare la propria prospettiva di governo dell'imperialismo spagnolo a braccetto col PSOE (col dissenso maggioritario di Podemos Catalano).

Qual è la natura sociale e politica dello scontro in atto in Spagna? La confusione regna sovrana nella stessa sinistra italiana, con Il Manifesto che scomunica le “due parti”, ed altri che giungono ad assimilare il referendum indipendentista catalano ai referendum reazionario di Maroni e Zaia per la maggiore autonomia della... Padania. Nulla di più falso e ridicolo.


LA NATURA DEL NAZIONALISMO CATALANO


Certo, nel movimento nazionalista catalano, come in ogni movimento nazionalista, sono coinvolti anche interessi borghesi. La Catalogna di oggi è una regione assai sviluppata dal punto di vista capitalistico (20% del PIL statale), ed è parte dell'imperialismo spagnolo. Un settore di questa borghesia vuole l'indipendenza per incassare a proprio vantaggio il residuo fiscale di 9 miliardi oggi versato a Madrid. Il principale partito di governo della Catalogna (Convergencia Democratica) è espressione di questi interessi. Al tempo stesso la borghesia catalana è divisa. La grande impresa catalana, che dirige la Confindustria regionale, è apertamente schierata al fianco di Madrid, contro l'indipendentismo, perché i suoi interessi sono strettamente intrecciati col mercato finanziario nazionale ed europeo.

A fronte di queste contraddizioni borghesi esiste un movimento popolare indipendentista con una larga base di massa e una robusta radice nella storia spagnola. A differenza della patacca padana, la Catalogna è una nazionalità reale, con una lingua e una cultura propria, al pari della nazione basca e della nazionalità galiziana. Se oggi non si può parlare della Catalogna come nazione socialmente oppressa, si può certo riconoscere l'oppressione politica che essa subisce da parte dello Stato spagnolo e del centralismo castigliano; una oppressione che nel corso della lunga dittatura franchista era giunta a punire con la galera l'uso stesso della lingua catalana persino in privato. Il movimento nazionalista catalano ha dunque assunto storicamente una valenza democratica e progressiva in contrapposizione a Madrid. Oggi rappresenta un movimento di massa repubblicano contro la monarchia di Spagna. Il sentimento collettivo che l'accompagna, la sua cultura di riferimento, il suo immaginario politico è di natura democratica. La più grande manifestazione di massa in Europa a difesa dei diritti dei migranti e per la loro accoglienza si è svolta non a caso alcuni mesi or sono proprio a Barcellona: la base di massa dell'indipendentismo catalano è largamente sovrapposta alla base di massa di quella manifestazione. Si tratta dunque di un fenomeno non solo diverso ma del tutto opposto al leghismo referendario del Nord Italia. Tanto più in queste ore, la drammatica stretta repressiva di Madrid, la sua volgarità poliziesca, i suoi metodi franchisti, esaltano il carattere democratico della mobilitazione in Catalogna.

Come marxisti rivoluzionari siamo dunque tanto più oggi per la difesa del diritto di autodeterminazione della Catalogna, che è il suo diritto alla separazione, contro la repressione del governo centrale. “No pasaran!” gridano per le strade di Barcellona decine di migliaia di manifestanti. Facciamo nostra questa parola d'ordine.


PER UNA EGEMONIA DI CLASSE ALTERNATIVA NELLA MOBILITAZIONE INDIPENDENTISTA

Al tempo stesso non siamo nazionalisti, neppure all'interno di una nazione oppressa. Difendiamo il diritto di autodeterminazione, sosteniamo oggi la rivendicazione dell'indipendenza catalana per il suo carattere progressivo, ma riconduciamo strettamente questa rivendicazione alla prospettiva classista e socialista, contro ogni forma di subordinazione del proletariato catalano alla borghesia catalana. Rivendichiamo una Catalogna socialista nella prospettiva degli Stati uniti socialisti d'Europa.

È questa una linea profondamente diversa da quella sostenuta dalla CUP catalana (in Italia, riferimento della Rete dei Comunisti). Questa organizzazione maoista di tipo centrista ha realizzato un blocco politico con la borghesia nazionalista di Catalogna, ed è infatti parte della maggioranza di governo regionale diretta da Convergencia. Non solo vota le leggi di bilancio del governo catalano, incluse le misure di austerità (come faceva Rifondazione Comunista nella maggioranza del primo governo Prodi), ma si subordina alla direzione borghese della battaglia indipendentista. Nei fatti realizza un fronte popolare con la borghesia catalana, sotto l'egemonia di quest'ultima. Il suo obiettivo è una Repubblica di Catalogna democratica a braccetto con i partiti borghesi entro cui difendere e far avanzare i diritti sociali. L'ennesima riproposizione di una soluzione riformista, rispettosa del capitalismo, e peraltro del tutto improbabile tanto in Catalogna quanto in Spagna. L'ennesima “tappa democratica” che nel nome della transizione al socialismo subordina la classe al capitale.

È una linea subalterna molto rischiosa per le stesse ragioni dell'indipendenza catalana. Fino a quando la borghesia catalana reggerà l'urto della repressione di Madrid? La base di massa popolare del movimento probabilmente si allargherà nella lotta contro la repressione del governo centrale e della monarchia. È la dinamica di queste ore. Ma fino a quando i partiti borghesi catalani, i loro dirigenti e alti funzionari, reggeranno la minaccia della galera, il sequestro dei patrimoni, le inchieste giudiziarie di massa, il congelamento dei conti bancari? La polizia catalana dei Mossos era stata presentata dai dirigenti borghesi indipendentisti, e dalla CUP a loro rimorchio, come scudo protettivo della Catalogna, eppure sta oggi partecipando alla repressione della Guardia Civil, o non la contrasta. È possibile che la pressione di massa produca fratture (salutari) tra i Mossos, ma affidare le sorti di una battaglia democratica alle forze di polizia di uno Stato borghese, fosse pure catalano, è un potenziale suicidio. Come oltretutto dimostra l'intera storia di Spagna.

Il compito dei marxisti rivoluzionari in Catalogna è esattamente opposto. È quello di battersi per una egemonia di classe anticapitalistica sul movimento di massa, in contrapposizione a Madrid e in alternativa alle forze borghesi catalane.

La parola d'ordine del momento deve essere più che mai quello della autorganizzazione di massa indipendente dei lavoratori e dei giovani catalani, in alleanza coi lavoratori di tutta la Spagna, e in comune contrapposizione al governo di Madrid. Una autorganizzazione di massa che leghi la rivendicazione democratica dell'autodeterminazione a un proprio programma indipendente di aperta rottura con la borghesia: abolizione del debito verso le banche, nazionalizzazione delle banche, esproprio delle grandi imprese sotto controllo operaio, cancellazione del precariato, ripartizione del lavoro con la riduzione progressiva dell'orario a parità di paga. È la prospettiva di una Repubblica dei lavoratori della Catalogna, basata sulla loro organizzazione e la loro forza.

In queste ultime ore, mentre le burocrazie sindacali spagnole chiedono la “pacificazione” tra Spagna e Catalogna, cioè nei fatti la resa del movimento catalano, i portuali di Barcellona e Terragona, con i relativi sindacati locali, si sono rifiutati di ormeggiare le navi di rinforzo per la Guardia Civil inviate da Madrid e dichiarano pubblica disobbedienza a oltranza. In questo piccolo episodio vive l'autonomia di classe del proletariato catalanoe la sua possibile egemonia alternativa nel movimento indipendentista. In tutta la Spagna, e in tutta Europa, va sostenuta in ogni forma possibile la battaglia dei lavoratori catalani.

Il proletariato catalano è stato storicamente l'avanguardia del proletariato spagnolo. Ricondurlo all'altezza della sua migliore tradizione e' oggi il compito dei marxisti rivoluzionari.

Marco Ferrando