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ELEZIONI REGIONALI DELL’EMILIA ROMAGNA: LE NOSTRE INDICAZIONI DI VOTO

  Domenica 17 e lunedì 18 novembre si terranno le elezioni regionali dell’Emilia-Romagna. Il nostro Partito non potrà essere presente a qu...

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Fermiamo l'ondata reazionaria! Nessun sostegno a Bonaccini e al PD e alle loro politiche filopadronali! Vota a sinistra

Il voto in Emilia Romagna può costituire uno spartiacque per la caduta del governo e l’avvento al potere della Lega e di Fratelli d’Italia. Bonaccini e il PD non sono un argine a alla destra reazionaria. Tutt’altro: gli hanno aperto la strada.
Il Partito Comunista dei lavoratori non si sottrae alla responsabilità di dare un’indicazione per fermare la destra. Diamo indicazione ai compagni militanti, aderenti e simpatizzanti di votare a sinistra del PD, ma il nostro sarà un voto necessariamente critico, perché nessuna lista presente alle elezioni rappresenta le ragioni del rilancio del movimento operaio e dei bisogni delle classi popolari
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Il mondo politico e quello dei mass media hanno messo ormai da mesi sotto osservazione le prossime elezioni regionali dell’Emilia Romagna del 26 gennaio 2020. Queste elezioni vengono rappresentate come lo snodo politico decisivo per le sorti del governo e il precipitare della dinamica politica italiana verso le elezioni anticipate, che con tutta probabilità darebbero la vittoria alla destra e al suo progetto neoautoritario.

Non ci possiamo nascondere il pericolo: bisogna fermare l’ondata reazionaria cavalcata da Salvini e Meloni.

Un’ondata reazionaria che cerca di dirottare la rabbia sociale contro gli immigrati, con misure forcaiole, per impedire che si rivolga contro i capitalisti, quelli che loro proteggono, mentre rilancia la crociata contro i diritti delle donne e legittima le organizzazioni fasciste, che si avvalgono della copertura e degli ammiccamenti di Salvini per allargare e moltiplicare le proprie provocazioni e aggressioni squadriste.

Il primo dovere è opporsi alla reazione e ai suoi partiti.

Ma il governo di PD-M5S-LeU non rappresenta in alcun modo un argine alla destra.

Il governo che si annunciava di svolta è in realtà il governo della continuità, di manutenzione degli interessi capitalistici. Continuità non solo di un Presidente del Consiglio buono per ogni stagione, ma soprattutto delle politiche dominanti. Tutte le peggiori misure antioperaie dell'ultimo decennio, dal Jobs Acts alla legge Fornero, restano intatte, ed anzi si preannuncia il de profundis di "quota 100". Restano intatti nella loro sostanza i famigerati decreti sicurezza, usati come clava contro gli immigrati, ma anche contro i picchetti e i blocchi stradali di chi difende il posto di lavoro. Si salvaguarda l'accordo infame col governo libico, che finanzia i carcerieri di carne umana ammassata in luoghi di tortura e di stupri. Si rivendica la continuità di tutte le missioni militari ed anzi si amplia l'acquisto a suon di miliardi dei famosi F-35, mentre si assicura alla NATO l'aumento richiesto del bilancio della Difesa. Si rilancia ed anzi si accelera un progetto di “autonomia differenziata”, a vantaggio delle imprese del Nord e a carico della popolazione povera del Sud e di tutti i lavoratori del Sud e del Nord.

Questo non solo non ferma la destra, ma ne aumenta il consenso fra le masse popolari.

Bonaccini, il governatore dell’Emilia Romagna, è invocato dalle forze del governo e soprattutto dal PD come un “salvatore della patria”.

Bonaccini è indubbiamente un eminente campione delle politiche antisociali dei governi targati PD. Il fatto che oggi preferisca un profilo di parziale autonomizzazione dal PD, da decenni alla guida dell’amministrazione della regione, e che venga investito da parte dell’opinione pubblica del ruolo di argine all'avanzata salviniana, non ne sminuisce le responsabilità. Tutt’altro.

L’Emilia Romagna di Bonaccini insieme a Veneto e Lombardia è tra le regioni che pretendono l’autonomia differenziata.
L’autonomia differenziata è, come abbiamo già spiegato, la secessione dei ricchi. Ossia la pretesa di trattenere sul proprio territorio il gettito fiscale più ricco prodotto da queste regioni, perché sede di una borghesia più ricca, a scapito delle popolazioni povere del Sud, con un aumento del già vertiginoso differenziale tra Nord e Sud. Inoltre a pagare sarebbero anche i salariati del Nord, perché le regioni ad autonomia differenziata, potendo trattenere tutti gli aumenti di gettito fiscale, aumenterebbero le tasse locali (le addizionali sul’IRPEF). Il risultato sarebbe che, poiché l'entità stessa dei fabbisogni in termini di servizi sociali viene col tempo rapportata al gettito fiscale della regione, le regioni più ricche offrirebbero i servizi migliori, quelle più povere i peggiori. Come se i diritti sociali alla salute o all'istruzione dipendessero dal luogo di residenza, e non dalla eguale natura dei bisogni.

Insomma sappiamo chi pagherà: i poveri e i lavoratori salariati.
Se da un lato si incassano maggiori risorse vuol dire che dall'altro c'è qualcuno che paga.

La popolazione povera del meridione è la prima vittima dell'autonomia regionale, ma non la sola.

Lo spostamento di risorse verso le tre regioni che insieme fanno quasi il 40% del Pil nazionale non sarà tutto caricato sulle regioni del Sud (perché data l'entità del trasferimento sarebbe socialmente e politicamente ingestibile). Sarà in parte caricato sul bilancio pubblico nazionale. Per un verso sulla fiscalità generale, e siccome l'80% del carico fiscale ricade sulle spalle di lavoratori e lavoratrici (e pensionati), saranno loro a pagare, inclusi i lavoratori lombardi, veneti, emiliani. Per altro verso sarà finanziato dal taglio della spesa pubblica, che in larga parte è spesa sociale.
Ancora una volta, dunque, pagheranno i lavoratori e le famiglie povere, senza confini geografici.

L'obiezione secondo cui “nelle regioni ricche vi saranno vantaggi sociali per i lavoratori” è una truffa bella e buona. Qual è la destinazione sociale del surplus fiscale che Lombardia, Veneto ed Emilia richiedono? Basta ascoltare la voce dei governatori interessati: riduzione delle tasse per le imprese del territorio, sostegno alle esportazioni e investimenti esteri delle proprie imprese, maggiore finanziamento pubblico alle scuole private e alla sanità privata, secondo il modello sociale già largamente sperimentato in particolare proprio in quelle regioni.

La verità viene a galla: nella regione in cui il PCI costruì la sua fortuna in termini di qualità e quantità dei servizi sociali, lodati anche all'estero, il PD ha dovuto subire lo smacco di essere imputato proprio del contrario, cioè di una sanità che non tiene conto affatto delle esigenze dei malati ma della redditività dei posti letto (chiusura di pronti soccorso o di reparti di ostetricia in zone di montagna, nelle quali le alternative più vicine si trovano a 30-40 km di distanza).

Una verità così imbarazzante per Bonaccini, che, in vista del possibile disastro elettorale, ha avuto bisogno del soccorso del ministro della sanità che glia ha promesso stanziamenti nazionali per nuovi reparti di ostetricia in zone impervie.

L’uomo che si incarica di gestire le politiche filopadronali del PD sul territorio dell’Emilia Romagna, che una volta almeno in parte aveva un’amministrazione influenzata da politiche solidaristiche vesso i lavoratori e i settori più svantaggiati della società, non fermerà la Lega. Al contrario, le sta già spianando la strada.

Per questo il Partito Comunista dei Lavoratori dà indicazione di voto a sinistra, contro le destre e contro Bonaccini.

Invitiamo le compagne e i compagni a dare un voto a sinistra del PD ma senza illusioni.

La lista “L’Altra Emilia Romagna” è composta da partiti che hanno ciclicamente sostenuto le politiche antioperaie dei governi di centrosinistra, anche nei governi locali (precarizzazione del lavoro, detassazione dei profitti, tagli sociali, campi di detenzione per gli immigrati...). Quegli stessi partiti che dopo aver assunto a riferimento europeo il partito Syriza, che con Tsipras ha gestito le politiche di lacrime e sangue per conto e col plauso del capitale finanziario, oggi plaudono al governo Sanchez in Spagna, che lascia praticamente intatte le politiche antioperaie dei governi PPE, omaggia la UE e le sue politiche disumane contro i migranti, difende la NATO in un contesto di revanscismo imperialista, e continua a tenere in galera gli indipendentisti catalani negando il diritto di autodeterminazione al popolo della Catalogna.

La lista di Potere al Popolo, dietro una propaganda roboante di solidarietà con la classe lavoratrice e le masse popolari, si limita a proporre misure mutualistiche e solidali invece di porre la questione del governo dei lavoratori.

La lista del PC, un partito che è guidato da un camaleonte (Rizzo) che non solo ha sostenuto i due governi Prodi, ma persino il governo D'Alema che bombardò la Serbia, parla di anticapitalismo, di diritti dei lavoratori e dei ceti poveri e dice di volere il socialismo. Ma il “socialismo” di riferimento è il regime nordcoreano, e quindi avverso alla democrazia operaia. E la cultura staliniana non promette nulla di buono: basta vedere le ambiguità calcolate del PC sui diritti civili, sulle rivendicazioni delle donne, sulla difesa dei migranti.
È una sinistra che ammicca al sovranismo nazionalista, e proprio in ragione di questa politica di raggiro degli interessi della classe operaia sfocia in un atteggiamento ultrasettario, tanto da rifiutarsi di aderire al coordinamento unitario delle sinistre di opposizione che ha preso il via con la partecipatissima assemblea del 7 dicembre a Roma e che vede il Partito Comunista dei Lavoratori tra i suoi principali promotori.

Nessuna di queste compagini può rappresentare l’esigenza di una vera alternativa anticapitalista su scala nazionale così come su scala locale.

Un’alternativa che declini sul territorio il programma di svolta unitaria e radicale del movimento operaio sul terreno dell'unificazione delle lotte.

Un programma che traduca nei territori la necessità di una vertenza unificante del mondo del lavoro e del suo incontro con i movimenti che si coagulano intorno alle rivendicazioni democratiche: dai diritti dei migranti a quelli delle donne e di tutti i settori oppressi della società.

Perché anche a partire dal territorio dell’Emilia Romagna ci si può battere contro il governo dei padroni avanzando la rivendicazione di un grande piano di nuovo lavoro, a partire dalla riconversione ambientale e la lotta all'inquinamento, finanziato dalla tassazione progressiva dei grandi patrimoni, rendite e profitti; l’abolizione del debito pubblico verso le banche nazionalizzandole senza alcun indennizzo per i grandi azionisti; l’esproprio delle aziende che licenziano o che inquinano, a tutela di lavoro e salute, e sotto il controllo dei lavoratori; l’azzeramento delle vecchie e nuove misure di precarizzazione del lavoro (dai precari della scuola, alla pubblica amministrazione, ai riders); il rilancio della sanità pubblica contro il parassitismo di quella privata; il diritto alla mobilità pubblica; l’accoglienza dei migranti; il contrasto all'autonomia differenziata.

Il nostro partito non ha potuto presentare questo programma alle regionali dell’Emilia Romagna, per via di assurde barriere antidemocratiche che alterano la rappresentanza democratica, a danno soprattutto dei lavoratori e delle classi povere. Ma questo programma lo portiamo in ogni lotta dei lavoratori e degli oppressi.

Attorno a questo programma lavoriamo a costruire il partito rivoluzionario, un partito che lotti controcorrente per elevare la coscienza politica degli sfruttati.
Perché solo una rivoluzione può cambiare le cose.
Partito Comunista dei Lavoratori - Emilia Romagna