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Via le truppe italiane da tutte le missioni militari!

Via le truppe italiane da tutte le missioni di guerra, a partire dall'Iraq, dal Libano, dall'Afghanistan. Questa è la parola d'ordine imposta, tanto più oggi, dagli avvenimenti internazionali. È una parola d'ordine che deve risuonare ovunque.

L'Italia è seconda solo agli Stati Uniti in fatto di partecipazione alle missioni militari nel mondo. Per cosa? Per la “democrazia”, la “giustizia”, la “pace”? Mai come oggi questa retorica appare penosa. In Iraq le truppe italiane addestrano la polizia irachena, la stessa che ha fatto 400 morti nelle piazze tra coloro che chiedevano pane e democrazia. In Libia conduciamo la guerra sporca dei droni al fianco di al-Sarraj, dei tagliagole mercenari panislamisti, e ora della Turchia di Erdogan. In Libano l'Italia guida la missione militare varata da Prodi nel 2007 a garanzia dei confini dello Stato sionista e di un regime confessionale libanese corrotto ormai contestato e rigettato in massa. In Afghanistan l'Italia è partecipe di una missione di guerra che nel nome della democrazia ha ammazzato decine di migliaia di civili bombardando persino le cerimonie nuziali e ha finito col favorire la rivincita dei talebani, i quali ormai controllano i due terzi del territorio e trattano coi comandi americani.

Ben altre sono le ragioni vere delle missioni. Compiacere l'alleato USA certamente, all'interno di una NATO presentata per mezzo secolo come strumento di difesa dall'URSS, ma guarda caso in progressiva espansione proprio dopo il suo crollo. E tuttavia non solo questo. Si tratta anche dell'interesse imperialista del capitalismo italiano. In Libia “ci siamo” per spalleggiare ENI contro Total. In Iraq fu l'ENI a premere pubblicamente sul governo italiano per l'interessamento ai pozzi di Nassirya prima ancora del rovesciamento di Saddam Hussein, e proprio per motivare la partecipazione alla guerra. Ovunque la partecipazione alle missioni significa prenotazione di commesse per le aziende tricolori, in fatto di ricostruzione, infrastrutture, vendita di armi. Le missioni all'estero sono solo un'appendice dei comitati d'affari che governano in patria. Comanda il profitto, il resto segue.

E tutto questo ha avuto e ha un costo enorme. Non solo in fatto di vittime in divisa, ogni volta omaggiate con solenni cerimonie di retorica patriottica, in realtà sacrificate ai capitani d'industria. Parliamo del costo sociale delle missioni. Quasi 30 miliardi spesi ogni anno per la Difesa, un miliardo l'anno per le sole missioni: risorse sottratte alla sanità, alle pensioni, all'istruzione, al lavoro, e dunque pagate dai lavoratori e dalle lavoratrici. Per cosa? Per ingrassare gli affari in giro per il mondo dei capitalisti che ci sfruttano in casa nostra.

Allora, via le truppe italiane da tutti i teatri di guerra! Il coordinamento nazionale unitario delle sinistre di opposizione, che il PCL ha contribuito a costruire, ha lanciato il 7 dicembre questa campagna nazionale, che ora diventa centrale. È necessaria la mobilitazione più larga attorno a questo obiettivo, e al tempo stesso portare al suo interno una voce anticapitalista e antimperialista forte e chiara. Innanzitutto contro l'imperialismo di casa nostra. Se non ora, quando?


Partito Comunista dei Lavoratori