♠ in Al Fatah,Arafat,federazione socialista,Gerusalemme,Hamas,Medio Oriente,Netanyahu,Palestina,rivoluzione araba,Shoa,sionismo,soluzione,Trump at 01:39
La cosiddetta “soluzione per la Palestina” cucinata da Trump e Netanyahu è una provocazione per i palestinesi e la nazione araba. L'occupazione israeliana della Cisgiordania si trasforma in annessione diretta. Legittimazione definitiva degli insediamenti coloniali. Gerusalemme capitale d'Israele. Una entità palestinese senza controllo dei propri confini, senza esercito proprio, senza continuità territoriale. In conclusione un bantustan, una riserva coloniale sotto il tallone della potenza sionista. Altro che “Stato palestinese”!
L'imperialismo USA chiude così il lungo tragitto dei famosi accordi di Oslo del 1993 siglati da Clinton e Arafat. La promessa era quella di un futuro Stato palestinese nei territori di Gaza e Cisgiordania. Ad Arafat si concedeva l'amministrazione “autonoma” dei territori nella prospettiva di una futura indipendenza. Nei fatti la direzione di Al Fatah pattuiva con Israele la propria funzione di polizia nei territori occupati, in cambio di laute prebende. Tutta la sinistra internazionale applaudì all'epoca all'“accordo di pace”, incluso il neonato PRC. La parola d'ordine “due popoli due Stati” venne celebrata negli ambienti riformisti di tutto il mondo come la soluzione democratica finalmente scoperta per la Palestina; una soluzione che le stesse diplomazie imperialiste hanno a lungo recitato come un mantra.
In realtà quella promessa era semplicemente una truffa, come tale denunciata dalla sinistra palestinese e a maggior ragione dai marxisti rivoluzionari. Come potevano due minuscoli territori accerchiati da Israele rappresentare il luogo dell'autodeterminazione palestinese? Il diritto dei palestinesi a ritornare nella terra da cui furono cacciati era la prima vittima degli accordi di Oslo. La degenerazione di Al Fatah e del suo gruppo dirigente, sospinta dalla corruzione dilagante e dalla collaborazione con le forze di occupazione, fu il suo inevitabile risvolto. Hamas e il panislamismo reazionario capitalizzarono a Gaza la deriva di Al Fatah in Cisgiordania.
Ora Trump e Netanyahu forniscono agli accordi di Oslo la loro concreta traduzione politica. “Due popoli due Stati” diventano una enclave palestinese sotto la dominazione di Israele, una dominazione militare, politica, territoriale, accompagnata da una pioggia di miliardi per chi volesse vendersi. Una prigione a cielo aperto e senza vie d'uscita, benedetta dalle monarchie del Golfo. Un ultimatum provocatorio per le stesse direzioni palestinesi, alle quali si chiede semplicemente una resa definitiva e umiliante agli occhi del loro stesso popolo.
Trump e Netanyahu esibiscono la propria “soluzione” anche a fini di politica interna. Trump, oggetto di impeachment, punta alla propria rielezione a novembre. Netanyahu, sotto processo per corruzione, deve affrontare la terza competizione elettorale nel solo ultimo anno. La cancellazione della questione palestinese è solo merce di scambio nei loro calcoli cinici. Hanno scelto non a caso, per fare l'annuncio, il giorno internazionale della memoria della Shoah, per fornire al colonialismo sionista la maschera di un popolo oppresso. Come se il terribile sterminio degli ebrei da parte del mostro nazista potesse legittimare l'oppressione dei palestinesi. Come se l'ebraismo potesse essere arruolato nel sionismo.
Ma la questione palestinese non si farà cancellare da Trump. Nessuna oppressione nazionale può essere cancellata sulla carta nel momento stesso in cui è riproposta in tutta la sua brutalità materiale. Il popolo palestinese ha dimostrato nella propria storia l'eroismo di cui è capace un popolo oppresso. Non si farà né intimidire né comprare. Ma certo la provocazione dell'imperialismo e del sionismo sottrae ogni spazio alle illusioni. Il diritto di autodeterminazione del popolo palestinese non troverà un proprio spazio all'ombra dello Stato di Israele, né ora né mai. Uno Stato che si regge sulla negazione del diritto al ritorno, sui privilegi confessionali, sulla potenza militare, sulla discriminazione della sua stessa minoranza araba, è incompatibile coi diritti dei palestinesi. Solo la dissoluzione dello Stato d'Israele può consentire il diritto al ritorno. Solo una sollevazione rivoluzionaria della popolazione palestinese ed araba, combinandosi con la migliore opposizione ebraica al sionismo, può dissolvere lo Stato d'Israele, aprendo la via all'unica possibile soluzione storicamente progressiva: quella di uno Stato nazionale palestinese, laico, democratico, socialista, rispettoso dei diritti nazionali della minoranza ebraica, dentro una federazione socialista della nazione araba e del Medio Oriente.
È una prospettiva terribilmente difficile, ma è l'unica reale. Ogni altra soluzione, negoziata con l'imperialismo e col sionismo, può essere solo un inganno. E dunque fonte di nuove tragedie e sofferenze.
Peraltro in larga parte del Medio Oriente e della nazione araba si è levato da tempo un vento nuovo. Le ribellioni democratiche e di massa di dieci anni fa in Tunisia, in Egitto, in Siria si sono risolte in drammatici rovesci, per responsabilità delle loro direzioni liberali e dell'imperialismo. Ma la rivoluzione ha rialzato la testa in Algeria, in Sudan, in Iraq, in Libano, mentre in Iran un nuovo movimento sfida l'oppressione del regime. Ovunque la giovane generazione si ribella alle divisioni confessionali, al dispotismo di regimi teocratici, alla presenza di forze di occupazione. Le ragioni del popolo palestinese possono dunque trovare nuove energie nelle masse oppresse della regione. Ma è necessaria una nuova direzione, all'altezza di un vero progetto di liberazione: una direzione rivoluzionaria e socialista.
L'imperialismo USA chiude così il lungo tragitto dei famosi accordi di Oslo del 1993 siglati da Clinton e Arafat. La promessa era quella di un futuro Stato palestinese nei territori di Gaza e Cisgiordania. Ad Arafat si concedeva l'amministrazione “autonoma” dei territori nella prospettiva di una futura indipendenza. Nei fatti la direzione di Al Fatah pattuiva con Israele la propria funzione di polizia nei territori occupati, in cambio di laute prebende. Tutta la sinistra internazionale applaudì all'epoca all'“accordo di pace”, incluso il neonato PRC. La parola d'ordine “due popoli due Stati” venne celebrata negli ambienti riformisti di tutto il mondo come la soluzione democratica finalmente scoperta per la Palestina; una soluzione che le stesse diplomazie imperialiste hanno a lungo recitato come un mantra.
In realtà quella promessa era semplicemente una truffa, come tale denunciata dalla sinistra palestinese e a maggior ragione dai marxisti rivoluzionari. Come potevano due minuscoli territori accerchiati da Israele rappresentare il luogo dell'autodeterminazione palestinese? Il diritto dei palestinesi a ritornare nella terra da cui furono cacciati era la prima vittima degli accordi di Oslo. La degenerazione di Al Fatah e del suo gruppo dirigente, sospinta dalla corruzione dilagante e dalla collaborazione con le forze di occupazione, fu il suo inevitabile risvolto. Hamas e il panislamismo reazionario capitalizzarono a Gaza la deriva di Al Fatah in Cisgiordania.
Ora Trump e Netanyahu forniscono agli accordi di Oslo la loro concreta traduzione politica. “Due popoli due Stati” diventano una enclave palestinese sotto la dominazione di Israele, una dominazione militare, politica, territoriale, accompagnata da una pioggia di miliardi per chi volesse vendersi. Una prigione a cielo aperto e senza vie d'uscita, benedetta dalle monarchie del Golfo. Un ultimatum provocatorio per le stesse direzioni palestinesi, alle quali si chiede semplicemente una resa definitiva e umiliante agli occhi del loro stesso popolo.
Trump e Netanyahu esibiscono la propria “soluzione” anche a fini di politica interna. Trump, oggetto di impeachment, punta alla propria rielezione a novembre. Netanyahu, sotto processo per corruzione, deve affrontare la terza competizione elettorale nel solo ultimo anno. La cancellazione della questione palestinese è solo merce di scambio nei loro calcoli cinici. Hanno scelto non a caso, per fare l'annuncio, il giorno internazionale della memoria della Shoah, per fornire al colonialismo sionista la maschera di un popolo oppresso. Come se il terribile sterminio degli ebrei da parte del mostro nazista potesse legittimare l'oppressione dei palestinesi. Come se l'ebraismo potesse essere arruolato nel sionismo.
Ma la questione palestinese non si farà cancellare da Trump. Nessuna oppressione nazionale può essere cancellata sulla carta nel momento stesso in cui è riproposta in tutta la sua brutalità materiale. Il popolo palestinese ha dimostrato nella propria storia l'eroismo di cui è capace un popolo oppresso. Non si farà né intimidire né comprare. Ma certo la provocazione dell'imperialismo e del sionismo sottrae ogni spazio alle illusioni. Il diritto di autodeterminazione del popolo palestinese non troverà un proprio spazio all'ombra dello Stato di Israele, né ora né mai. Uno Stato che si regge sulla negazione del diritto al ritorno, sui privilegi confessionali, sulla potenza militare, sulla discriminazione della sua stessa minoranza araba, è incompatibile coi diritti dei palestinesi. Solo la dissoluzione dello Stato d'Israele può consentire il diritto al ritorno. Solo una sollevazione rivoluzionaria della popolazione palestinese ed araba, combinandosi con la migliore opposizione ebraica al sionismo, può dissolvere lo Stato d'Israele, aprendo la via all'unica possibile soluzione storicamente progressiva: quella di uno Stato nazionale palestinese, laico, democratico, socialista, rispettoso dei diritti nazionali della minoranza ebraica, dentro una federazione socialista della nazione araba e del Medio Oriente.
È una prospettiva terribilmente difficile, ma è l'unica reale. Ogni altra soluzione, negoziata con l'imperialismo e col sionismo, può essere solo un inganno. E dunque fonte di nuove tragedie e sofferenze.
Peraltro in larga parte del Medio Oriente e della nazione araba si è levato da tempo un vento nuovo. Le ribellioni democratiche e di massa di dieci anni fa in Tunisia, in Egitto, in Siria si sono risolte in drammatici rovesci, per responsabilità delle loro direzioni liberali e dell'imperialismo. Ma la rivoluzione ha rialzato la testa in Algeria, in Sudan, in Iraq, in Libano, mentre in Iran un nuovo movimento sfida l'oppressione del regime. Ovunque la giovane generazione si ribella alle divisioni confessionali, al dispotismo di regimi teocratici, alla presenza di forze di occupazione. Le ragioni del popolo palestinese possono dunque trovare nuove energie nelle masse oppresse della regione. Ma è necessaria una nuova direzione, all'altezza di un vero progetto di liberazione: una direzione rivoluzionaria e socialista.