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'A che serve Podemos?'

 


Persino la stampa borghese spagnola ormai se lo chiede

29 Dicembre 2020

Il governo Sanchez-Iglesias all'attacco delle pensioni

«Presto ogni paese dovrà fare i conti con i suoi debiti» scrive sul Sole 24 Ore il presidente dell'Associazione delle Banche Italiane Antonio Patuelli. Memori di questa necessità i governi capitalisti e i loro entourage sono ovunque al lavoro. Negli stessi giorni in cui si magnifica la vaccinazione anti-Covid, intralciata a ogni passo dai tagli pregressi alla sanità; negli stessi giorni in cui si celebra la svolta europea del Recovery Fund nel segno della fine dell'austerità e del nuovo regno dell'abbondanza, i circoli dominanti cercano di capire su chi scaricare in prospettiva il conto di tanta manna.


Certamente non pagheranno le spese militari, in rapida risalita a tutte le latitudini del mondo. Certamente non pagheranno le imprese e le banche, sorrette tanto più oggi dai soldi pubblici, e beneficiate dalla detassazione dei profitti.
Quali sono allora le voci del bilancio statale che per la loro consistenza possono farsi carico dei nuovi oneri? Sanità, istruzione, pensioni. Solo che sul servizio sanitario, già massacrato per decenni e investito dalla pandemia, nuovi tagli sono oggi problematici anche in rapporto all'opinione pubblica. Ci si limita a evitare gli investimenti necessari in fatto di strutture e personale sanitario, a beneficio delle cliniche private.
L'istruzione pubblica, anch'essa disossata, risparmia a manetta grazie a contratti precari, edifici fatiscenti, appalti sulle pulizie, bassi stipendi. Travolta anch'essa dalla pandemia, difficilmente può essere oggetto di nuove terapie d'urto.

Restano le pensioni. Le care vecchie pensioni, il bancomat privilegiato del lungo ciclo liberista.

Il governo italiano ha già annunciato la cancellazione dell'elemosina di quota 100, di cui pochissimi lavoratori e ancor meno lavoratrici hanno potuto beneficiare. Si andrà in pensione a 64 anni con 38 di contributi, restando l'età pensionabile a 67 secondo l'immutata legge Fornero. Chi può andare prima dei 67 anni verrà penalizzato, grazie al ricalcolo contributivo. Quanto alle grandi aziende, potranno disfarsi del personale eccedente grazie a scivoli pensionistici appositamente concessi e in parte coperti dalla NASPI.

Il governo francese aveva ingaggiato un durissimo scontro sociale proprio sulla riforma delle pensioni, che poi il ciclone del Covid aveva costretto a sospendere. Ora il Comité de suivi des retraites ha sentenziato che i conti previdenziali sono fuori controllo e che dunque il progetto Macron va rilanciato costi quel che costi. L'operazione suggerita è la più semplice: alzare l'età pensionabile, che in Francia è ancora a 62 anni grazie alle ripetute mobilitazioni radicali della classe operaia. La MEDEF (Confindustria francese) caldeggia apertamente il suggerimento. “Tutti sanno che è la soluzione più efficace” dichiara Roux de Bézieux a Le Monde (23 dicembre). Il Presidente, non senza preoccupazioni di piazza, ha subito assicurato ai padroni il proprio impegno.

Il governo spagnolo di PSOE-Podemos non vuole essere da meno. La Spagna dopo l'Italia è la principale beneficiaria dei prestiti europei. La Commissione Europea ha raccomandato a Madrid una gestione rigorosa in prospettiva delle politiche di bilancio. Il governo Sanchez, ed in particolare la ministra dell'Economia Nadia Calviño, ha predisposto una riforma delle pensioni incentrata sull'allungamento da 25 a 35 anni della base di computo degli emolumenti. El Pais parla di una riduzione media delle pensioni future di oltre il 6%. Già il governo Zapatero, beatificato a suo tempo dalla sinistra italiana, aveva allungato da 15 a 25 anni il periodo di computo delle pensioni durante la crisi del 2011. Ora il nuovo governo “progressista” fa altrettanto. Le burocrazie sindacali, coinvolte nella concertazione con padronato e governo (il "patto di Toledo") fanno deboli rimostranze con l'obiettivo di sedere al tavolo della negoziazione, senza alcuna forma di mobilitazione. E Podemos?

Podemos è parte integrante del governo Sanchez, con un vicepresidente, Pablo Iglesias, e due ministri, di cui uno al lavoro (Yolanda Díaz). Pablo Iglesias è in grande difficoltà. Il suo ingresso al governo un anno fa era stato accompagnato da solenni promesse di cambiamento. Ma in Spagna non è cambiato nulla per i salariati e la popolazione povera. Restano le leggi di estrema precarizzazione del lavoro ereditate dalla destra. I contratti di lavoro sono congelati. Il sistema sanitario assomiglia come una goccia d'acqua a quello italiano, stessi tagli, stessa tragedia. Gli immigrati continuano a subire un trattamento inumano, a partire dai respingimenti, grazie all'accordo tra Madrid e Rabat. In compenso aumentano le spese militari, e l'esportazione spagnola di armi negli ultimi sei mesi ha registrato il record assoluto di 22 miliardi e 545 milioni (El Pais, 23 dicembre). Le misure annunciate di riduzione delle pensioni future è solamente il sigillo dell'immutata continuità borghese. Podemos borbotta, promette, minaccia, ma solo per coprire la propria corresponsabilità. Lo facevano Bertinotti e Ferrero con Prodi, lo fa Pablo Iglesias con Sanchez.

La compromissione è talmente sfacciata che il principale quotidiano borghese si chiede «¿Para qué sirve Podemos?» (El Pais, 21 dicembre). «...Ad oggi le tematiche poste di Iglesias o sono insignificanti (come l'aumento di 8 euro del salario minimo) o di ordine ideologico ma estranee alla vita quotidiana (la Monarchia) o di semplice velocizzazione del ritmo legislativo...».
Tanto rumore per nulla, insomma. L'unico risultato concreto della collaborazione ministeriale è l'effetto cloroformio sulla mobilitazione sociale. Finché dura.

Ma Rifondazione e Potere al Popolo non hanno nulla da dire sulle responsabilità del loro alleato spagnolo?

Partito Comunista dei Lavoratori