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Care compagne e cari compagni,
siamo tra coloro che all'assemblea dei lavoratori e lavoratrici combattivi/e del 29 novembre hanno votato per la proposta di Luca Scacchi di mantenere una data aperta per la realizzazione dello sciopero generale (crediamo che sarebbe più logico chiamarlo sciopero nazionale intercategoriale, ma questo è secondario), indicando in ogni caso “i primi mesi del 2021”, cioè entro marzo, come confini della nostra proposta.
Nel commento che fanno i/le compagni/e della direzione del SICobas a quanto avvenuto vi è una polemica, del tutto legittima se realistica, contro chi vorrebbe limitare ad libitum l’indicazione di una data; si parla di chi vorrebbe «aspettare Godot».
Non sappiamo se questa critica si rivolga a noi, o anche a noi. Ad ogni modo, se così fosse noi, la riterremmo sbagliata e ingiusta. La nostra proposta non era funzionale ad attendere nessuno. Né sigle relativamente importanti del sindacalismo di base (come USB e CUB) e neppure la maggioranza dell'area di opposizione CGIL, da un paio d’anni scivolata su posizioni che giudichiamo almeno parzialmente moderate. Questo senza minimizzare l’importanza di sviluppare una battaglia nelle organizzazioni sindacali di base che hanno rifiutato di impegnarsi insieme con noi, e nell'opposizione CGIL, cui appartiene la grande maggioranza di noi.
Ma esattamente per questo, e soprattutto per allargare alla base nei luoghi di lavoro tra delegati/e, attivisti/e e lavoratori/trici l’impatto del nostro appello unitario, noi abbiamo pensato che fosse necessario un tempo maggiore. Ci sono ad esempio compagni di fabbriche importanti aderenti all’opposizione CGIL che sono vicini alle nostre posizioni (alcuni dei quali hanno partecipato all’assemblea del 27 settembre, ma non a quella del 29 novembre) che non è certo che si impegnino per la riuscita dello sciopero. E anche compagni di altri sindacati di base, sempre vicini alle nostre posizioni, che devono prendere una decisione che li può portare in rotta di collisione con la propria organizzazione (l’USB a quanto ci è stato detto ha già minacciato di sanzionare quei pochi di loro che hanno partecipato alla nostra assemblea di settembre). Si tratta di discuterci, di lasciar loro il tempo in questa situazione difficile di verificare l’atteggiamento della loro base di fabbrica o azienda, e tutto questo nella difficile situazione generale in cui siamo. Infatti se non vivessimo la situazione attuale, determinata dall’epidemia di Covid, la data del 29 gennaio avrebbe potuto essere corretta, ma a nostro giudizio non in questa situazione, o almeno non senza una verifica (diciamo ad inizio anno) della praticabilità.
Nel testo stesso della direzione del SICobas si dice che è necessario il massimo impegno perché le date del 29 e 30 gennaio non siano l’ennesimo rituale autocelebrativo di una sigla, ma coinvolgano centinaia di migliaia di lavoratori. Ma questo obbiettivo non è dato. Bisogna lavorarci, ed è difficile. Per questo (e speriamo che non sia così) il rischio che lo sciopero del 29 possa apparire alla stessa avanguardia larga della classe – dati i rapporti di forza ad oggi esistenti tra noi sul piano sindacale, che non misconosciamo – come uno sciopero del SICobas, appoggiato dallo "SLAI Cobas per il sindacato di classe", dalla sinistra dell'opposizione CGIL, speriamo dal SGB più pochi altri. Niente di drammatico in ciò, ma sarebbe una sconfitta, certo parziale e temporanea, del progetto comune che ci siamo dati il 27 settembre. Solo cercare di evitare questo rischio è quello che ci ha motivato nella nostra proposta. In questo senso ci è parso di essere i più fedeli allo spirito di nascita della nostra iniziativa con l’assemblea del 27 settembre.
A ciò avremmo voluto accompagnare anche altre proposte di obiettivi programmatici per la nostra piattaforma comune che riteniamo importanti, come quella della nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo operaio delle industrie che delocalizzano, ristrutturano, licenziano. Cosa che effettivamente uno di noi ha sollevato, ma che è stato impossibile discutere seriamente in un quadro di dibattito centrato sulla questione della data dello sciopero, che ha appunto visto prevalere nel voto la proposta del 29 gennaio.
Per questo, vista la decisione maggioritaria dell'assemblea, noi vogliamo qui sottolineare con forza, se ci fosse qualche dubbio, che noi prendiamo atto di tale decisione, la accettiamo e faremo il massimo possibile per il successo dello sciopero del 29 gennaio, di cui oggi ci sentiamo tra i promotori e organizzatori.
Perché, per concludere, vogliamo sottolineare una cosa. Noi siamo pienamente d’accordo con i compagni e le compagne della direzione del SICobas nel segnalare l’importanza che si sia votato, senza trucchi o esasperazioni, sulle due posizioni in presenza e che sia «una metodologia e pratica di non poco conto, di cui tutte le componenti e sensibilità presenti all’assemblea dovrebbero fare tesoro se davvero si coltiva l’ambizione di aprire una pagina nuova nella storia del sindacalismo di classe nel nostro paese».
Sono infatti molti anni (per alcuni di noi decenni) che combattiamo contro le pratiche paraburocratiche e imbroglione dei rappresentanti dei vari partiti, sindacati, gruppi e gruppetti, che in camera caritatis litigano e urlano, per poi o rompere facendo fallire i movimenti oppure trovare compromessi spuri, normalmente destinati al fallimento, e poi li presentano come “volontà unanime” di tutto il movimento, condannando all’inferno chi osa contestarli in nome delle proprie legittime posizioni particolari. (Naturalmente queste considerazioni non escludono la costruzione di fronti unici, in particolare politici o politico-sindacali, e il rispetto e il riconoscimento di tutte le forze presenti; ma è ovvio che si tratta di altra cosa).
In questo senso il decidere nel modo in cui lo abbiamo fatto, nonostante alcune criticità emerse rispetto alla gestione dell’assemblea, è stato per l'Italia (perché ad esempio in Francia o in Gran Bretagna, per non parlare della Argentina per il peso maggiore della tradizione marxista rivoluzionaria, si è quasi sempre votato nelle assemblee dei vari movimenti) un salto, e si è data una lezione non solo per chi era presente, ma anche per gli assenti.
È questa tradizione consiliare, vorremmo dire sovietica, ciò che noi vogliamo (speriamo insieme a tutti voi) prospettare a tutte e tutti nel movimento operaio e negli altri movimenti degli oppressi e delle oppresse.
Certo la tradizione consiliare-sovietica è una tradizione di delegati dalla base. Che questo si possa fare anche in un movimento di massa ce lo ha dimostrato nei prima anni Duemila il grande movimento dei piqueteros argentini, che riunivano ogni tre-sei mesi assemblee nazionali dei lavoratori occupati e disoccupati con tremila-quattromila delegati eletti in assemblee di base in ragione di uno ogni quaranta partecipanti (quindi circa centocinquantamila in totale) e in proporzione delle diverse posizioni presenti, e poi si confrontavano e votavano su tutto in assemblea nazionale.
Ma in attesa di poter realizzare qualcosa di analogo anche qui in Italia – ciò che è il nostro obbiettivo – è bene partire da ciò che si può, cioè un'assemblea nazionale senza trucchi e cammellaggio.
Ricordando, per terminare realmente con un grande esempio (proprio in quest'anno in cui ricorre l’ottantesimo anniversario del vile assassinio del principale organizzatore e dirigente, al fianco di Lenin, della rivoluzione russa dei soviet, del principale dei quali appunto il personaggio storico di cui stiamo parlando, cioè Leone Trotsky, era presidente), che senza democrazia operaia e libero confronto e scontro politico nei soviet, la rivoluzione del 1917 non avrebbe mai potuto trionfare.
Noi siamo oggi microbi rispetto a quegli eventi, e le nostre divergenze sono all’interno di militanti classisti e rivoluzionari, e non tra rivoluzionari e riformisti. Ma, come appunto ricordava proprio Trotsky, per essere fedeli e coerenti nelle grandi cose bisogna cominciare ad esserlo nelle piccole.
È quindi con questo spirito, lo ripetiamo ancora una volta, che noi accettiamo la decisione maggioritaria dell’assemblea del 29 novembre e ci impegniamo, nei limiti delle nostre forze, per il successo più ampio possibile dello sciopero del 29 gennaio.
Donatella Ascoli, FILCAMS CGIL Venezia
Ercole Mastrocinque, NIDIL CGIL Torino
Francesco Doro, FILCTEM CGIL Venezia
Franco Grisolia, SPI CGIL Milano
Antonio Tralongo, CUB Palermo
Luca Tremaliti, FILT CGIL Roma
Luigi Sorge, FIOM CGIL Cassino
Maurizio Aprea, USB Lavoro privato
Mauro Goldoni, FILLEA CGIL Ancona
Renato Pomari, FIOM CGIL Monza
Riccardo Spadano, SGB Roma
Roberto Bonasegale, FIOM CGIL Ticino-Olona
Sergio Castiglione, FLC CGIL Caltanissetta
Vincenzo Cimmino, FLC CGIL Milano