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La politica estera dell'imperialismo italiano

 


La nomina di Marco Minniti a capo della fondazione del gruppo Leonardo

L'ex ministro Marco Minniti si dimette da deputato per presiedere una nuova fondazione della Leonardo (ex Finmeccanica), azienda leader nella produzione militare tricolore. Il suo nome, Med-Or, già ne prefigura il raggio d'azione: «il Mediterraneo allargato fin sotto il Sahara, il Medio e l'Estremo Oriente» (La Repubblica, 27 febbraio). Non è una notizia ordinaria. Si inquadra nella linea di politica estera che Mario Draghi ha indicato nel momento stesso della formazione del governo, quando ha definito proprio in quell'area la zona di interesse primario dell'Italia.


GLI IMPERIALISMI EUROPEI, TRA AUTONOMIA STRATEGICA E NATO

La polarizzazione dello scontro interimperialista fra USA e Cina su scala mondiale produce numerosi effetti. Gli USA cambiano il proprio baricentro strategico. Per concentrare risorse economiche, militari, diplomatiche lungo la rotta del Pacifico, sono costretti a ridurre la propria presenza attiva e diretta sul Mediterraneo e in Medio Oriente. Perciò stesso scatenano nuovi appetiti per la spartizione di quest'area del mondo tra vecchie e nuove potenze: la Turchia si allarga in Siria e in Libia nel nome del revanscismo ottomano; la Russia negozia con la Turchia i nuovi equilibri ed aree di influenza in Libia, in Siria, in Armenia e sul Caucaso.

Ma anche gli imperialismi europei vogliono dire la loro in materia, sgomitando gli uni con gli altri.
La NATO resta un riferimento comune degli imperialismi europei, nel solco dell'alleanza strategica con gli USA, oggi rilanciata dalla vittoria di Biden. Ma l'equilibrio interno dell'alleanza atlantica è oggetto di contenzioso. La Francia sottolinea l'esigenza di un'autonomia strategica dell'Unione Europea in rapporto alla NATO; significa che l'Unione Europea dovrebbe dotarsi della forza militare necessaria e sufficiente per gestire operazioni in proprio nel quadrante mediterraneo e mediorientale. Nei fatti Parigi punta a un'egemonia in Europa mettendo a valore la propria superiorità militare, ancor più evidente dopo l'uscita della Gran Bretagna dalla UE. Gli Stati est-europei si oppongono al disegno francese perché temono un disimpegno USA e NATO dalla frontiera antirussa. La Germania sta in mezzo a queste spinte opposte negoziando con gli uni e con gli altri, incerta se prendere in mano la leadership continentale anche in fatto di politica estera, o se valorizzare un asse con gli USA in funzione del contenimento antifrancese.


IL TRICOLORE SVENTOLA SUL PENNONE DEL GRUPPO LEONARDO

E l'Italia? L'imperialismo italiano è parte attiva del sommovimento in atto. Il suo obiettivo è evitare di restare schiacciata e guadagnare un posto a tavola nella spartizione delle zone di influenza.
La perdita di controllo sulla Libia è stato un colpo per l'Italia, ora cerca di riequilibrarlo col rilancio di relazioni privilegiate con l'Egitto in chiave antiturca, anche per evitare di consegnarlo alla concorrenza francese. Mentre cerca di presentarsi alla nuova amministrazione USA come alleato fiduciario, che si candida a occupare gli spazi liberati dal disimpegno USA per evitare che cadano sotto influenze ostili o competitive. La candidatura italiana alla guida della missione militare in Iraq, come la continuità della presenza italiana in Afghanistan, si pongono in questo quadro.

In questo spazio d'azione l'Italia coltiva gli interessi specifici delle proprie grandi aziende. Il gruppo Leonardo, assieme a Fincantieri e ad ENI, è un gioiello dell'imperialismo italiano. In ogni paese imperialista i grandi gruppi capitalisti hanno un ruolo da protagonisti nella definizione della politica estera. La nuova fondazione aziendale di Leonardo sarà «una seconda gamba della politica estera del sistema Italia», annuncia il quotidiano di FCA. Non sbaglia. La sua missione è quella di «favorire il dialogo costruttivo tra Paesi, culture e sistemi economici ed enfatizzare il ruolo dell'Italia a livello globale», a partire dallo «sviluppo di programmi strutturali nei settori dell'aerospazio, della difesa, della sicurezza». A questo fine si prevede che la fondazione abbia «capacità giuridica, economica e di contenuti culturali che non siano di facciata».
Se si prescinde dal riferimento ridicolo alla “cultura”, che serve solo a nobilitare l'immagine, il contenuto è esplicito: Leonardo cerca commesse per la propria produzione militare attivando un proprio strumento diplomatico, dotato di consistente budget finanziario, da affiancare al ministero degli Esteri e a quello della Difesa.

Marco Minniti è il capo naturale di una struttura di questo tipo. Nel ruolo di ex consigliere principe del presidente del Consiglio D'Alema tra il 1998 e il 2000, di viceministro degli Interni sotto il secondo governo Prodi tra il 2006 e il 2008, di ex ministro degli Interni sotto Renzi, Minniti è un quadro dirigente della borghesia italiana di indubbio livello. Ha dimostrato di avere tutto il cinismo necessario per gestire relazioni criminali coi peggiori regimi, e al tempo stesso la necessaria ipocrisia per coprirle col manto di parole auliche e accenti umanitari. Perché lasciare in disparte una professionalità così pregiata? Il gruppo Leonardo ha trovato un ottimo curatore dei propri affari, l'Italia un degno interprete della propria sovranità nazionale. Quando diciamo che “il nemico è in casa nostra” parliamo anche di questo.

Partito Comunista dei Lavoratori