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Scuola e trasporti, è già troppo tardi

 


11 Gennaio 2021

La questione dei luoghi di contagio è malposta e pretestuosa, quando agitata dai rappresentanti dei partiti parlamentari. Il punto è che da marzo non hanno fatto nulla a riguardo, lasciando tutto immutato e così aggravando le condizioni di lavoratori e studenti

Il punto non è quando riaprire le scuole per la didattica in presenza, il punto è come. O, almeno, la questione è dirimente soprattutto per quel che concerne le grandi città.

Il 7 dicembre è stato pubblicato un «documento tecnico sulla scuola» (1) connesso ad un «focus sul trasporto pubblico locale» da parte dell'INAIL e dall’Istituto superiore di sanità (ISS), recepito il 4 dicembre dello stesso anno dal Comitato tecnico scientifico (CTS) nominato dal governo, struttura che abbiamo imparato a conoscere nel corso di questa pandemia. Si tratta, come pure è stato riportato sull’elaborazione digitale da parte dei due istituti, di un «documento tecnico sulla gestione del rischio di contagio da Sars-Cov-2 nelle attività correlate all’ambito scolastico con particolare riferimento al trasporto pubblico locale» (2).

La riflessione dell’ISS e dell’INAIL trae spunto dal fatto evidente di come le studentesse e gli studenti siano esposti al rischio del contagio nel momento in cui mettono piede in un autobus per recarsi a scuola. La soluzione parrebbe essere quella degli orari differenziati riguardo l’inizio delle lezioni presso i plessi scolastici, o anche di mezzi aggiuntivi e più personale per i controlli.
Stando a quanto riporta il documento, «secondo l’ultima indagine “Aspetti della vita quotidiana” realizzata dall’ISTAT, nel 2019, 11,1 milioni di studenti si sono mossi quotidianamente sul territorio nazionale per raggiungere i luoghi di studio; tra questi, 3,5 milioni di studenti si sono spostati fuori dal proprio Comune, soprattutto residenti dei piccoli centri, delle periferie delle aree metropolitane e del Nord. La maggior parte degli spostamenti avviene nella fascia oraria tra le 7:30 e le 8:00 in cui si muove il 70% degli studenti. Scolari e studenti del Nord escono mediamente prima: alle 7:30 hanno già intrapreso il viaggio 2 studenti su 3. Relativamente all’utilizzo dei diversi mezzi di trasporto, 4 milioni di studenti hanno usato l’auto (da passeggero o conducente) o la moto per raggiungere la scuola o l’università. Oltre 3,5 milioni di studenti (35% circa) si sono, invece, spostati con mezzi pubblici; di questi, circa 1 milione risiede tra Lombardia e Lazio».

Se incrociamo questi numeri con gli ulteriori dati provenienti dall’ISTAT (e riportati nel documento dell’ISS/INAIL) riguardo la frequentazione delle fermate della metropolitana di Roma tra le 06:00 e le 08:00 di mattina, ci si può facilmente rendere conto della portata della questione. La fermata capolinea “Anagnina” conta più di 800 accessi tra le 06:00 e le 07:00, una delle più frequentate di tutta la linea A di Roma: «i numeri più elevati - si legge nel documento dell’INAIL e dell’ISS - si concentrano in poche stazioni e in determinate fasce orarie». Secondo i promotori, questo dato può «offrire elementi di grande rilievo al fine della modulazione dell’offerta e della collaborazione con le strutture scolastiche per differenziare gli orari di ingresso e uscita».

Sembra evidente, dunque, come le periferie metropolitane e i piccoli centri abitati in cui, in entrambi i casi, gli studenti devono ricorrere al mezzo pubblico per raggiungere il plesso scolastico, rappresentino una criticità maggiore rispetto al centro delle città.
Fermo restando il fatto ovvio che i centri storici, ad oggi, siano molto meno popolati delle periferie. Tra le varie misure che il rapporto afferma come necessarie vi sono le seguenti, oltre alla necessaria modulazione degli orari di ingresso dei plessi scolastici già citata:

«potenziare l’offerta di trasporto pubblico, anche attraverso l’impiego di mezzi aggiuntivi di superficie resi disponibili dal privato in maniera mirata rispetto alla mappatura delle criticità emerse per linee, stazioni ed orari; potenziare il personale dedicato alle stazioni di scambio (tra metropolitana, ferrovie e capolinea bus) più critiche per afflusso, al fine di assicurare maggiore controllo per la prevenzione di assembramenti».


IL CASO ROMA

È sempre positivo quando istituti come INAIL e ISS si rendono conto e si accorgono dell’evidente sovraffollamento nei mezzi pubblici delle grandi città, anche grazie all’utilizzo dei dati forniti da ISTAT e dai big data provenienti dall’utilizzo di smartphone geolocalizzati in quelle determinate fermate delle linee metropolitane in questione (*).
È sempre positivo quando ci si accorge, dati alla mano, dell’estrema arretratezza, nonché inadeguatezza, del trasporto pubblico locale delle grandi città rispetto alla domanda dell’utenza e alla necessità di un servizio che sia parimenti capillare e realmente utile per la realtà metropolitana nella sua interezza.

Il caso di Roma è emblematico nonostante la complessità e la sua granulosità non rappresenti un caso tra i più felici, dato che la viabilità e le infrastrutture viarie sono, in parte, ferme alle consolari degli anni ’60: si pensi alla Casilina o alla Prenestina dentro e fuori dal Grande Raccordo Anulare. Attorno a queste due arterie su cui si sviluppa uno dei più popolati municipi di Roma (il VI) la popolazione è cresciuta esponenzialmente passando dai 198mila circa del 2001 ai 257mila del 2016.
Secondo l’indice INRIX (3) citato da un articolo del Sole 24 ore del 2019: «Il caso di Roma resta quello più drammatico: “nel 2018 gli abitanti di Roma hanno perso 254 ore nel traffico, essendo la seconda città al mondo, dopo Bogotà, dove si trascorrono più ore nel traffico. Anche il resto d’Italia non si posiziona bene. Sono ben 5 le città italiane nella classifica delle prime 25 città al mondo per ore perse nel traffico. Oltre a Roma, si tratta di Milano (7° posto), Firenze (14°), Napoli (17°) e Torino (23°)”» (4).

E c’è chi si ostina a dire che il tragitto casa-lavoro, e viceversa, non andrebbe conteggiato come orario di lavoro. Ma questa è un’altra storia.
Il trasporto pubblico della città di Roma è sotto attacco da svariati decenni, ma lo è ancor di più da poco meno di un lustro, ovvero da quando venne proposto il referendum della messa a bando del servizio concernente il trasporto pubblico locale della Capitale. La proposta non ottenne il quorum e la situazione permane immutata.
Immutata significa a Roma il privato nella gestione del trasporto pubblico esiste già ed è al 25%, gestito dalla «società consortile» Roma TPL, controllata al 66,67% da Cotri e dal 33,33% da Umbria mobilità. L’azienda, un tempo nota come Tevere TPL, gestisce circa 83 linee, perlopiù periferiche, come le linee che percorrono Torre Angela, Torre Spaccata, Cesano di Roma, Ponte di nona nonché alcune linee cimiteriali (5).

I romani, dunque, già conoscono gli effetti della privatizzazione del servizio di trasporto pubblico: a maggio 2018, ad esempio, l’azienda non ha somministrato lo stipendio ai lavoratori per diversi mesi.
Le linee gestite da Roma TPL, azienda privata che dovrebbe supplire al lavoro svolto (male) da ATAC, rappresentano un servizio ancora peggiore di quello fornito dalla municipalizzata in questione. La stessa ATAC (e TPL), nel 2013, razionalizzarono (lemma che spesso viene utilizzato al posto del verbo “tagliare” al fine di «aspergere di soavi licor gli orli del vaso») molte linee periferiche poiché alcuni autobus transitavano in zone a bassa densità abitativa (6). La realtà si tradusse in un taglio lineare delle linee dell’estrema periferia così come del suo quadrante più densamente abitato e popolato, ovvero quello a sud-est.
La privatizzazione del trasporto pubblico ha fatto sì che - evidentemente - il servizio globale ne abbia risentito, con buona pace di chi sostenne il “sì” al referendum radicale per la messa a gara del trasporto. Si parla sempre (forse troppo) di ritorno alla “normalità” ma non si può evidentemente tornare alla “normalità” se la intendiamo come costellazione di città inquinate, travolte dal caos urbano e dal traffico impazzito. Vale nella storia globale e nei rapporti fra Stati come nelle piccole cose, nonché nell’amministrazione di città e suoi relativi municipi.

Da qui, possiamo tornare al punto di partenza. Non è quando riaprire le scuole ma come: il contagio non si propaga tanto nei plessi scolastici, quanto piuttosto sui mezzi pubblici. Discorso equanime e che vale sia per chi si deve recare a scuola che a lavoro.
Procrastinare la data della riapertura non fa altro che dare la prova di estremo smarrimento delle istituzioni di fronte ad una situazione certamente inedita, ma a cui non si è saputo contrapporre né una strategia, né una pianificazione. Men che meno un’inversione di tendenza. D’altra parte Conte lo disse chiaramente nella conferenza stampa di fine ottobre: per il Presidente del Consiglio pareva fosse “velleitario” arrivare alla somma di zero contagi, positivi e guariti.
Il punto è che non c’è niente di velleitario nel rivendicare condizioni igienico-sanitarie adeguate alla vita quotidiana, al lavoro delle persone nonché alla sicurezza di migliaia di studentesse e studenti. Velleitarie sono – come lo sono sempre state da inizio pandemia – le posizioni di Confindustria.

Non vorremmo autodefinirci Cassandra, ma quel che avevamo previsto ad ottobre, ovvero un lockdown non dichiarato, per cui le persone potevano semplicemente recarsi presso il proprio posto di lavoro, tornare a casa e fare la spesa, è già realtà.

La strumentale polemica di queste settimane proveniente dagli scranni del Parlamento in cui siede Italia Viva, il partito personale di Matteo Renzi, che denuncia lo stato del trasporto pubblico locale delle città italiane, odora di inconsistente e mefitica propaganda, d’altronde lo stesso Renzi si dichiarò “liberista di sinistra” al Foglio, quando era in corsa per la [prima volta] segreteria democratica. Il come è la questione centrale: l’esecutivo, in questi mesi antecedenti alla seconda ondata, si è limitato a prendere atto della situazione attuale del Paese senza essere conseguente. Le politiche basate su tagli ed esternalizzazioni (dunque privatizzazioni) dei settori fondamentali per la vita quotidiana rappresentano l’arrendevolezza dello stato borghese di fronte al grande capitale che, a breve, non si accontenterà più di sussurrare all’orecchio dei capi di governo o di stato quanto bisogna mettere in atto, in termini di politica economica e sociale, agirà in prima persona attraverso i suoi personaggi più in vista.
Mario Draghi incombe. Così come Monti al crepuscolo dell’era berlusconiana. E, siamo certi, ci sarà chi stapperà bottiglie facendo festa. Ricordiamoci di costoro quando tutto sarà finito. Quando presenteremo il conto.


(*) Si aprirebbe un’altra questione legata al controllo sociale e alla gestione dei dati provenienti dagli smartphone, ma per questo rimandiamo a varie posizioni ed articoli presenti sul nostro sito.




(1) https://www.inail.it/cs/internet/comunicazione/news-ed-eventi/news/news-documento-tecnico-scuola-tpl-covid-19-2020.html

(2) https://www.inail.it/cs/internet/docs/alg-documento-tecnico-trasporto-pubblico-locale-scuola.pdf

(3) https://inrix.com/scorecard/

(4) https://www.ilsole24ore.com/art/per-bus-e-metro-14-miliardi-via-spinta-pil-02percento-e-110mila-posti-ABFopBsB

(5) https://www.romatpl.it/?page_id=366

(6) https://www.romatoday.it/cronaca/elenco-linee-atac-soppresse.html

Marco Piccinelli