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Lotta di classe in Francia

 


Al fianco del proletariato francese

“Non finiremo come in Italia”. Così titolava un lungo striscione a Parigi nelle manifestazioni contro l'aumento dell'età pensionabile. È ciò che esprime la combattività della classe operaia francese e il rifiuto della resa.

Lo scontro di classe in Francia sta affrontando un passaggio cruciale. Macron non dispone di una maggioranza assoluta in Parlamento. La mobilitazione prolungata apertasi il 19 gennaio contro il progetto del governo ha esercitato un'enorme pressione sui parlamentari. Un settore della destra gollista ha minacciato di non votare la legge, e dunque di provocarne la bocciatura. A questo punto Macron è ricorso ad un dispositivo reazionario previsto dalla Costituzione della Quinta Repubblica (l'articolo 49-3) per imporre la legge senza approvazione parlamentare. Una soluzione provocatoria dopo mesi di scontro frontale, e a fronte di un'opinione pubblica largamente ostile all'aumento dell'età pensionabile.

L'articolo 49 prevede tuttavia la possibilità di mozioni parlamentari di censura, l'equivalente di mozioni di sfiducia verso il governo. Il governo conta sul fatto che le mozioni di censura delle sinistre riformiste (NUPES) e quelle dell'estrema destra di Le Pen non siano sommabili, e che la destra gollista non possa congiungersi a tali mozioni. È un calcolo fondato, seppur affidato alle sabbie mobili di un Parlamento scosso.

Lunedì sarà la prova del nove. Se il soccorso gollista dovesse franare, il governo Borne sarebbe costretto a dimettersi, e Macron dovrebbe provare a mettere in piedi un nuovo governo nelle condizioni di massima debolezza. Difficilmente a quel punto il suo progetto di legge sulle pensioni potrebbe risorgere. Se invece il soccorso gollista dovesse tenere, la legge tecnicamente passerebbe senza la foglia di fico del voto parlamentare, ma dovrebbe affrontare la prova d'urto di uno scontro sociale frontale, aperto a ogni esito. Nel 2006 una legge di precarizzazione del lavoro varata dal governo Villepin fu revocata per effetto di una mobilitazione prolungata e radicale di tre settimane.

Seguiremo nei prossimi giorni lo sviluppo dello scontro in Francia, come già abbiamo fatto nei mesi scorsi. Ci limitiamo qui ad alcune considerazioni di fatto.

La classe lavoratrice rigetta la legge. Gli scioperi hanno registrato livelli di partecipazione obiettivamente differenziati tra pubblico e privato, ma le manifestazioni di piazza e di strada sono state nel loro insieme imponenti. Il tentativo del governo di aizzare l'opinione pubblica contro gli scioperanti e i manifestanti è miseramente fallito. Tutti i sondaggi d'opinione testimoniano l'allargamento del rigetto della legge, non la sua riduzione.

Le principali direzioni sindacali continuano la mobilitazione ma temono che vada fuori controllo. Per questo evitano di indire lo sciopero generale, continuando ad affidarsi a giornate nazionali di azione tra loro separate nel tempo. Gli scioperi a oltranza in corso in alcuni settori, in particolare nei servizi (ferrovieri, netturbini, elettricisti...) rinnovati dalla assemblee di base dei lavoratori, non vengono ricondotti ad un'azione generale. Questo è un rischio per il futuro della lotta, come dimostra la vicenda della lotta contro la legge El Khomri (il Jobs Act francese) nel 2017.

Le sinistre riformiste (Mélenchon e NUPES) fanno battaglia parlamentare e sostengono le manifestazioni di piazza. Ma evitano di avanzare parole d'ordine e indicazioni alternative alla linea delle burocrazie sindacali. Il loro scopo è unicamente quello di capitalizzare elettoralmente lo scontro, a futura memoria. La stessa ipotesi di referendum sulla legge (in Francia peraltro assai complicato per ragioni normative, e possibile solo per leggi non ancora promulgate) è il tentativo di dirottare lo scontro sul terreno istituzionale e "legale".

I compagni e le compagne del nuovo NPA sono i soli ad avanzare correttamente la parola d'ordine dello sciopero generale, puntando all'unificazione del movimento di massa al livello più alto di azione ed autorganizzazione. E al tempo stesso inseriscono nel movimento forti rivendicazioni salariali unificanti, oggi osteggiate dalle burocrazie, e lavorano per il massimo coinvolgimento degli studenti al fianco dei lavoratori.

Di certo la parola d'ordine del governo dei lavoratori e delle lavoratrici, quale unica vera alternativa, è il corollario naturale della lotta per lo sciopero generale, l'autorganizzazione di massa, la cacciata di Borne e Macron.

Per quanto ci riguarda siamo e saremo al fianco dei marxisti rivoluzionari in Francia e più in generale del proletariato francese. Se i lavoratori francesi giustamente non vogliono finire come in Italia, è bene che d'altra parte i lavoratori italiani e le loro avanguardie apprendano il meglio dai lavoratori francesi e dal loro esempio. Fare come in Francia è più che mai oggi una parola d'ordine del Partito Comunista dei Lavoratori.

Partito Comunista dei Lavoratori

Nuova pubblicazione. Ženotdel: ascesa e liquidazione di una rivoluzione nella rivoluzione

 


È disponibile il secondo numero di Classe, genere, rivoluzione, una serie di pubblicazioni tematiche a cura della Commissione donne e altre oppressioni di genere del PCL.

Puoi scaricare gratuitamente l’opuscolo in da questa pagina. Se preferisci una copia cartacea contatta la sezione più vicina oppure scrivici a info@pclavoratori.it o in chat alla nostra pagina Facebook

Un rapporto dialettico con la storia è imprescindibile per chiunque si definisca marxista rivoluzionario, e lo è ancora di più per chiunque si definisca femminista, laddove con questo termine si indichi l’adesione a quel femminismo che ha contribuito alla Rivoluzione bolscevica, un femminismo di classe, socialista, marxista e rivoluzionario rigidamente demarcato dal femminismo borghese suffragista. Un femminismo che ancora oggi, faticosamente, si demarca dal femminismo borghese. A guardarla bene, la storia del femminismo e delle femministe nella Rivoluzione ci è utile per sciogliere anche numerosi nodi tematici, teorici e pratici odierni. Zetkin scrive:

«La visione materialista della storia non ci ha fornito - è vero - risposte pronte sulla questione femminile. Ma ci ha dato qualcosa di meglio: il metodo corretto e preciso per studiare e comprendere tale questione»

Per navigare tra questi nodi è opportuno approfondire la storia dello Ženotdel, il dipartimento per il lavoro tra le donne del Partito bolscevico negli anni immediatamente dopo la Rivoluzione d’Ottobre, forse la manifestazione concreta più completa, evidente e incisiva del femminismo marxista rivoluzionario e la strada che portò alla creazione di questo dipartimento speciale, così come la lezione che deriva dalla sua liquidazione durante la controrivoluzione stalinista.


QUALE FEMMINISMO PER LA RIVOLUZIONE?

La nascita dello Ženotdel ha avuto prodromi piuttosto lunghi, eppure la caratterizzazione dell’oppressione femminile e della sua specificità si trova sin a partire dai testi di Engels.

Oltre al successivo Origine della famiglia, la prima menzione dell’oppressione femminile nell’opera di Engels risale al 1844, con “La condizione della classe operaia in Inghilterra”, in cui veniva descritta in dettaglio la situazione delle operaie tessili inglesi e le condizioni in cui affrontavano maternità e figli.

La questione femminile venne trattata anche ne L’ideologia tedesca (1845-46) in cui, per la prima volta, si decostruisce il mito della famiglia “naturale” e “immutabile”.

«La divisione del lavoro, che implica tutte queste contraddizioni e che a sua volta è fondata sulla divisione naturale del lavoro nella famiglia e sulla separazione della società in singole famiglie opposte l’una all’altra, implica in pari tempo anche la ripartizione, e precisamente la ripartizione ineguale, sia per quantità che per qualità, del lavoro e dei suoi prodotti, e quindi la proprietà, che ha già il suo germe, la sua prima forma, nella famiglia, dove la donna e i figli sono gli schiavi dell’uomo. La schiavitù nella famiglia, che certamente è ancora molto rudimentale e allo stato latente, è la prima proprietà, che del resto in questa fase corrisponde già perfettamente alla definizione degli economisti moderni, secondo cui essa consiste nel disporre di forza-lavoro altrui».

Le donne, insomma, erano (e sono) la prima forma di proprietà privata. Erano proprietà degli uomini, proprietà che si estendeva al frutto del potere riproduttivo delle donne, i figli. Già questo elemento teorico dovrebbe farci comprendere la specificità dell’oppressione femminile e l’impossibilità di sovrapporla, inglobarla e risolverla all’interno della lotta di classe.

Un importante contributo teorico e organizzativo al femminismo marxista rivoluzionario fu quello di Clara Zetkin, instancabile nel suo lavoro di organizzazione delle masse femminili. Zetkin spesso si scontrò con i componenti più conservatori del mondo sindacale che cercavano di eliminare le donne dalla forza lavoro proponendo un “salario famigliare”. Per Zetkin, i sindacati dovevano iniziare a organizzare le donne. Il salario, infatti, era un requisito essenziale per la loro indipendenza. Nel suo discorso al Congresso fondativo della II Internazionale, nel 1889, spiegò: «Non è il lavoro delle donne in sé che, in competizione con i salari maschili, causa l’abbassamento dei salari, ma lo sfruttamento della manodopera femminile dai capitalisti che se ne appropriano».

Di nuovo, oppressione di classe e oppressione di genere sono intrecciati e interdipendenti.

Intorno al 1890 Zetkin aveva ottenuto il diritto di condurre un lavoro particolare tra le donne socialiste in concomitanza con i congressi del partito. Gli sforzi di Zetkin furono coronati dalla convocazione, nel 1907, della prima Conferenza internazionale delle Donne Socialiste (seguita da altre due nel 1910 e nel 1914) e la creazione di un Segretariato Internazionale delle Donne permanente, con lei al vertice. In Germania quindi, negli stessi anni in cui in Russia facevano capolino i movimenti femminili, grazie al proprio instancabile lavoro, aveva diviso la farina dalla crusca: da una parte il Frauenbewegung, il movimento femminile interclassista borghese, e dall’altra l’Arbeiterinnerbewegung, il movimento delle donne lavoratrici. E fu quest’ultimo ad avere un’influenza determinante in Russia.

Dal 1891 al 1896, Nadežda Konstantinovna Krupskaja impiegò il proprio straordinario talento nella formazione marxista delle lavoratrici e dei lavoratori del distretto industriale della capitale russa. Qui, insieme ai compagni, faceva visita alle fabbriche, stilando rapporti e raccogliendo informazioni che confluiranno nel primo scritto teorico esclusivamente dedicato alla questione femminile, dal punto di vista marxista, pubblicato nel 1901.

Venne scritto nel 1899, con lo pseudonimo di Sablina, mentre Krupskaja era in esilio in Siberia, a Šušenskoe, insieme al marito Lenin e ad altri compagni con cui anni prima aveva tentato di pubblicare “Raboceie Delo” (trad. La causa operaia), un giornale di agitazione e propaganda.

Il pamphlet si intitola “La donna lavoratrice”, e venne ritirato dalla circolazione già nel 1905, in seguito alla repressione che seguì alla rivoluzione di quell’anno. Venne poi ripubblicato nel 1925, con una nuova prefazione dell’autrice.

Per la prima volta si analizzava la questione femminile in termini marxisti, si descriveva la condizione delle donne proletarie sotto lo zarismo e si invitavano le donne a unirsi ai lavoratori nella lotta di classe. Krupskaja scrive: «La lavoratrice fa parte della classe lavoratrice e tutti i suoi interessi sono strettamente collegati agli interessi di tale classe».

Tuttavia, nella prefazione all’edizione del 1925, Krupskaja non poté fare a meno di notare come, vent’anni dopo e con le rivoluzioni di Febbraio e di Ottobre nel mezzo, molto ci fosse ancora da fare per l’emancipazione della donna lavoratrice: «Le sezioni femminili del Partito Comunista hanno ampliato sensibilmente le loro attività e, con ogni giorno che passa, le lavoratrici e le contadine stanno acquisendo coscienza di classe, stanno guadagnando fiducia in se stesse e stanno partecipando sempre di più alla costruzione di una nuova vita. […] Ma si vede anche il rovescio della medaglia, ossia che molto resta ancora da fare e di quanta perseveranza serve per lavorare all’emancipazione completa della donna lavoratrice».

È da queste radici teoriche che nasce il femminismo marxista rivoluzionario.

Nel 1906, Aleksandra Kollontaj, allora ancora menscevica, iniziò a organizzare le lavoratrici di San Pietroburgo in gruppi di discussione socialdemocratici. Nel 1909 scrisse una delle sue opere più importanti, “Le basi sociali della questione femminile”, un’opera agile e lineare, che ricevette ampia circolazione tra le lavoratrici.

L’intento, oltre a quello di fare avanzare la coscienza di classe nella popolazione femminile, era tenere lontane le lavoratrici dalle lusinghe del femminismo borghese e suffragista.

Non sorprende che i bolscevichi si distanziassero con orrore dalla parola “femminismo”, che all’epoca designava esclusivamente il movimento suffragista borghese. Molti bolscevichi e bolsceviche eminenti, tra loro Luxemburg e Zasulich, ritenevano prematuro occuparsi della questione femminile quando in gioco c’erano le sorti delle masse, e sottolineavano il pericolo rappresentato dall’incanalare le energie nella lotta femminista, temendo che ciò avrebbe voluto dire dirottarle dalla lotta di classe, preoccupandosi delle trivialità della vita quotidiana.

Il 12° Congresso del Partito, ancora nel 1923, metteva in guardia dal pericolo delle “tendenze femministe” che “sotto la bandiera del miglioramento delle condizioni femminili potrebbero in realtà portare il contingente femminile della forza lavoro a distanziarsi dalla lotta di classe”.

Un timore, errato, che, unito alle tendenze maschiliste ancora presenti nel Partito, rese difficile l’azione delle bolsceviche e la creazione dello Ženotdel. Lenin stesso, più volte, deplorò gli atteggiamenti dei militanti che, a parole, si riempivano la bocca di emancipazione femminile, ma poi impedivano alle mogli di partecipare ai lavori del dipartimento femminile.

Kollontaj, Armand e altre bolsceviche intuirono invece una realtà fondamentale, quasi matematica: senza affrontare i problemi di oltre la metà della classe, la lotta di classe è inevitabilmente destinata al fallimento. Ciò che alcuni rivoluzionari disprezzavano come trivialità della vita quotidiana, e di cui non si vollero occupare, era in realtà precisamente la componente che la lotta di classe da sola non avrebbe potuto rovesciare, il byt, la realtà giornaliera delle masse, uno dei fattori che faranno la differenza tra una rivoluzione riuscita e la controrivoluzione stalinista.

Mentre Krupskaja lavorava al suo pamphlet nel 1899, Lenin chiese di fare una modifica alla bozza del programma del partito, aggiungendo “il raggiungimento della piena uguaglianza di diritti tra uomini e donne”, una modifica ratificata al Secondo Congresso del 1903, con l’uguaglianza dei sessi in termini di diritti civili e politici e nell’istruzione. Lo stesso congresso richiedeva inoltre l’esclusione delle lavoratrici da settori nocivi, congedo di maternità di 10 settimane, strutture per i bambini e ispettrici sui luoghi di lavoro.

Nel 1914, il movimento femminile proletario ricevette una nuova spinta con la pubblicazione del giornale “L’operaia”, redatto da Krupskaja, Kollontaj e Inessa Armand, Anna Elizarova Ul’janova (sorella di Lenin) e altre attiviste. Il giornale ebbe vita breve, alla pubblicazione (l’8 marzo 1914) a San Pietroburgo, le redattrici locali vennero tutte arrestate. La pubblicazione del giornale riprese nel 1917, con il ritorno in patria di Kollontaj, Krupskaja e Armand, e con il ripristino e la ricostituzione fulminea di un movimento femminile di massa che la guerra aveva fiaccato.

Già in questo primo numero, Krupskaja spiegava la demarcazione tra il femminismo borghese e il femminismo proletario: «Le donne della classe operaia prendono atto del fatto che la società attuale è divisa in classi. Ciascuna classe ha i suoi propri interessi, la borghesia ha i suoi e la classe operaia ne ha altri, che sono opposti tra di loro. La differenza tra donne e uomini non è così importante per le donne proletarie. Ciò che unisce le lavoratrici con i lavoratori è molto più forte di ciò che li divide».

[continua]



Puoi scaricare l’opuscolo in formato PDF in fondo a questa pagina ("allegati").
Se ti sei persa/o il primo numero, lo trovi qui.



8 marzo. Lottare per costruire una opposizione di classe anticapitalista e rivoluzionaria

 


Pandemia e guerra hanno impattato pesantemente sulla vita di milioni di persone.


Dopo una nuova recessione causata dal dilagare del coronavirus a livello globale, si è avuta forte ripresa economica nel 2021 e una crescita occupazionale, dovuta a politiche di forte indebitamento pubblico da parte degli stati capitalisti e a politiche espansive delle banche centrali. Ciò trascina con sé un forte aumento inflazionistico, legato al rincaro delle materie prime e dei beni di approvvigionamento e amplificato in questo ultimo anno dalla guerra in Ucraina. Si registra ovunque un peggioramento delle condizioni dei lavoratori salariati. In Italia, la realtà riflette uno scenario di impoverimento generale poiché all’aumento dell’inflazione (11,6%), si accompagna il peggioramento dei contratti, la compressione salariale e l’allungamento dell’età lavorativa (migliaia di lavoratori più anziani dopo i 64 anni).

La fase politica che vede al governo la coalizione di destra a guida Meloni ottiene già il plauso di Confindustria: lo stop al superbonus e al reddito di cittadinanza accompagnati dai forti tagli alla spesa pubblica su scuola e sanità, il progetto di autonomia differenziata, il preannunciato taglio dell’Irap e l’aumento al 2% delle spese militari in funzione del rafforzamento dell’imperialismo italiano. Sul versante dei diritti civili mostra una pesante torsione reazionaria, che colpirà soprattutto le donne e la comunità LGBTQIAP+, gli immigrati e più in generale il proletariato “scomodo” sul quale dirottare il malcontento sociale. Ne abbiamo avuto un assaggio con la repressione politica nei confronti dei ravers e ancor più nei confronti dell’anarchico Alfredo Cospito.

Cosa farà nel concreto questo governo?

“La legge 194 non verrà abolita, ha affermato Meloni, ma vanno messi sullo stesso piano donne che vogliono abortire e obiettori”. Dal nostro punto di vista questo è da respingere se pensiamo che in Italia il 70% dei ginecologi sono obiettori e 31 strutture sanitarie hanno il 100% di obiettori; alcune regioni sono tra le peggiori in termini di presenza di obiettori sul numero di strutture, in ordine Molise, Puglia e Marche. I tagli alla sanità hanno inoltre causato la diminuzione dei reparti di ostetricia e/o ginecologia, dei quali solo una parte (il 63%) pratica l’IVG. L’autonomia differenziata in futuro determinerà ulteriori disuguaglianze e ostacoli per le donne, soprattutto nel sud. La Campania risulta già tra le regioni con il solo 30% di strutture che praticano l’IVG.

Il tanto sbandierato diritto alla maternità rimane un fermo riferimento ideologico di stampo reazionario, tant’è che persino la propaganda sui congedi parentali si è trasformata in nulla di fatto.

Il governo, inoltre, non è intenzionato nemmeno parlare di DDL Zan, di legalizzazione della Cannabis, di Eutanasia. Leggi non risolutive ma che garantiscono, quantomeno ad una democrazia borghese, un maggiore livello di civiltà. Del resto, cosa aspettarsi da chi parla in maniera delirante di “ideologia gender” e di “lobby LGBT”? Cosa aspettarsi da esponenti di governo, come Roccella e Nordio apertamente omofobi? Il punto è che l’omobilesbotransfobia e il razzismo istituzionale sono fenomeni che incentivano e autorizzano l’attuazione della violenza già presente in quella che viene definita “la società civile”, per ragioni strutturali legate all’intreccio molto forte tra capitalismo e patriarcato.

In alcuni paesi si solleva il vento della protesta. In Francia dal 19 gennaio si continua a scioperare e a lottare contro l’innalzamento dell’età pensionabile, misura voluta da Macron per tagliare sulle spese sociali e garantire investimenti ad imprese e spese militari. In Iran le coraggiose donne hanno sfidato il regime da quando, il 16 settembre la ventiduenne curda Mahsa Amini fu assassinata a bastonate dalla polizia religiosa perché portava irregolarmente il velo. Una protesta che ha assunto un carattere di massa, coinvolgendo la gioventù e l’avanguardia operaia iraniana.

In Italia quando? Dobbiamo forse sperare nell’immobilismo di Landini e della burocrazia CGIL?

L’indizione dello sciopero da parte di alcuni sindacati è apprezzabile ma insufficiente, poiché è legata a logiche minoritarie e autocentrate. Non è stato fatto nessuno sforzo per concepire una data unitaria di tutto il sindacalismo di base che potesse fungere da catalizzatore anche per migliaia di lavoratrici iscritte ad altri sindacati ma intenzionati a mobilitarsi. Se giungerà un segnale nelle prossime settimane, sarà purtroppo un segnale tardivo nell’ambito di questa scadenza, che ricordiamo, non è una giornata commemorativa ma una data di lotta internazionale. Questa debolezza è dovuta anche al fatto che il movimento Non Una Di Meno, seppur continua a riempire le piazze per alcune scadenze importanti, registra un calo di partecipazione di dinamiche machiste ed egemoniche, che contribuiscono indirettamente a indebolire la costruzione di un’opposizione dal basso in Italia.

In questa fase è necessario ripartire e cercare di costruire una forza uguale e contraria a quella dei nostri oppressori e sfruttatori ed è ancor più necessario coinvolgere la grande massa astensionista, per trasformare la disillusione nella spinta alla lotta. Come femministe rivoluzionarie vorremmo contribuire a questo scopo, portando ovunque il nostro programma, sui luoghi di lavoro, nelle piazze e tra le mura domestiche.
Ci battiamo per:

• La difesa del lavoro, unico effettivo strumento di autodeterminazione, con l’abolizione di tutte le leggi che hanno precarizzato il lavoro e ne hanno eliminato le tutele: il pacchetto Treu, la legge Biagi, il Jobs Act e le controriforme degli ultimi trenta anni ci espongono ai ricatti sociali e sessuali; introduzione del collocamento pubblico a chiamata numerica; la ripartizione del lavoro con la riduzione dell’orario di lavoro a parità di paga; parità salariale per tutte.
• La nazionalizzazione sotto controllo delle lavoratrici e dei lavoratori delle imprese che chiudono, inquinano o delocalizzano: ci serve lavoro, non un reddito di povertà alternativo al lavoro!
• La reintroduzione dell’articolo 18 sui licenziamenti, esteso a tutte le aziende con almeno dipendenti.
• Il salario garantito per chi è in cerca di occupazione: contro ogni forma di reddito di base universale, voluto anche da Bill Gates, Zuckerberg ed Elon Musk! E quindi contro ogni forma di reddito di autodeterminazione slegato dalla condizione lavorativa, che non garantisce autonomia, ma al contrario prospetta maggiori possibilità di rinchiuderci nell’ambiente domestico. Contro la logica del salario minimo in fase di compressione salariale, per una scala mobile che, al contrario, adegui i salari all’aumento dell’inflazione.
• Riforma delle pensioni che faccia a pezzi tutte le controriforme pensionistiche, per ritornare al sistema retributivo al 2% annuo con 60 anni per la pensione di vecchiaia e 35 anni per la pensione di anzianità, dopo una vita lavorativa in cui a tutte e tutti sia garantito un lavoro completo di tutele in ogni settore.
• Tutela della maternità e congedi parentali retribuiti per tutte/i (affinché la genitorialità non sia prerogativa delle sole donne).
• Revisione e aggiornamento della sicurezza sui posti di lavoro; istituzione del delitto di omicidio sul lavoro.
• Un welfare statale che non ci renda schiave all’interno della famiglia, con l’istituzione di un ampio programma di servizi sociali che si prenda in carico l’enorme quantità di lavoro di cura che oggi pesa maggiormente sulle spalle delle donne, nella prospettiva della socializzazione del lavoro di cura.
• Requisizione di tutte le case sfitte da assegnare in primo luogo a tutte le persone con difficoltà di inserimento lavorativo e alle persone con disabilità, a garanzia dello sviluppo della propria autonomia personale.
• Abolizione dell’obiezione di coscienza nelle strutture sanitarie pubbliche, nonché la fine delle erogazioni statali alle strutture private, con il loro esproprio senza indennizzo e la determinazione dell’unicità del Servizio Sanitario Nazionale pubblico. Fuori i religiosi e i capitalisti dalla nostra vita e dalla nostra salute!
• Libero e gratuito accesso all’interruzione di gravidanza e alla contraccezione.
• Consultori pubblici per le donne e per le persone LGBT*QIAP+, sotto il controllo delle utenti e con accesso a tutte le tecniche e alle informazioni mediche per autodeterminare le decisioni sul proprio corpo.
• Auto-organizzazione e autodifesa della comunità LGBT*QIAP+ per rispondere colpo su colpo e al di fuori delle logiche riformiste ed opportuniste all’offensiva reazionaria e clerico-fascista che si preannuncia nell’immediato futuro.
• Superamento della Legge 164/82 e di tutte le leggi che patologizzano e discriminano l’esistenza e i percorsi di autodeterminazione delle soggettività T* e, più in generale, di tutte le persone LGBT*QIAP+.
• Apertura dei confini e l’eliminazione di tutte le leggi securitarie che opprimono le donne e soggettività LGBT*QIAP+ migranti e legittimano le violenze nei loro confronti.
• Educazione all’affettività e alla sessualità nelle scuole, rigorosamente laica che chiami medici ed educatrici/educatori, escludendo associazioni collegate alla Chiesa. Questo per garantire la promozione di una contraccezione consapevole e di un libero sviluppo della propria sessualità.
• Lotta senza quartiere alla concezione abilista e neurotipica dell’esistente, figlia delle necessità del sistema di produzione capitalistico, e di ogni altra forma di abilismo. Perché il mondo che vogliamo deve essere invece adatto ai bisogni e ai desideri di tutte e tutti, incluse le persone con disabilità e neurodivergenti.

Non si può pensare di sconfiggere il patriarcato senza abbattere il capitalismo e viceversa, qualsiasi rivoluzione è destinata a fallire senza un nuovo progetto di società che spezzi le catene dei soggetti doppiamente oppressi.

Alla lotta!

Partito Comunista dei Lavoratori

La guerra in Ucraina a un anno di distanza. Nessuna fine in vista - Dichiarazione dell'Opposizione Trotskista Internazionale

 


Fuori le truppe russe dall'Ucraina! Né Russia né NATO! Per un'Ucraina indipendente e socialista

28 Febbraio 2023

Dichiarazione dell'Opposizione Trotskista Internazionale. (English translation)

Un anno fa, il 24 febbraio 2022, i soldati russi invadevano l'Ucraina. Le truppe erano state ammassate al confine tra Russia e Ucraina, ma pochi osservatori pensavano che sarebbero entrate. Pochi pensavano che il governo russo fosse così sciocco. Ma alla fine sono entrate.

Il governo, l'esercito e il popolo ucraino hanno resistito, confinando gli invasori nei cinque oblast' sudorientali da Lugansk alla Crimea. Un anno dopo, la guerra rimane uno stallo militare lungo una linea del fronte di 600 miglia.

Inizialmente gli ucraini hanno combattuto con armi lasciate dall'era sovietica o prodotte dalla propria industria bellica. Ma quando queste si sono esaurite, gli Stati Uniti e la NATO hanno inviato armi per sostituirle. Stati Uniti e NATO hanno inoltre imposto sanzioni alla Russia e hanno iniziato a tagliare i legami economici, soprattutto l'importazione di petrolio e gas russo. Gli Stati Uniti, in particolare, hanno visto nella guerra un'opportunità per indebolire la Russia e mettere in guardia la Cina.

L'estrema sinistra si divise sull'invasione. La maggior parte dei rivoluzionari l'ha denunciata e ha chiesto alla Russia di ritirare le proprie truppe. Ma le spedizioni di armi e le sanzioni USA-NATO hanno portato alcuni a concludere che la guerra è una guerra per procura tra blocchi imperialisti, in cui non sostengono nessuna delle due parti.

L'Opposizione Trotskista Internazionale (OTI), in fase di ricostituzione all'inizio della guerra, sostiene l'Ucraina contro la Russia, si oppone a entrambi i blocchi imperialisti e rivendica l'unica soluzione piena e giusta alla guerra: un'Ucraina socialista indipendente.

In occasione dell'anniversario della guerra, ripercorriamo gli eventi e traiamo da essi una lezione.


LA GUERRA FINORA

Il 'piano russo A' consisteva in uno shock and awe per costringere l'Ucraina alla sottomissione, prendendo a modello l'invasione dell'Iraq da parte degli Stati Uniti nel 1991 e nel 2003. Il piano è fallito. La Russia aveva inizialmente troppe poche truppe per prevalere se l'Ucraina avesse resistito, e così è stato. Il governo ucraino rifiutò di sottomettersi, l'esercito tenne duro e il popolo si mobilitò.

Non potendo prendere Kiev, il comando russo ha ripiegato sul 'piano B', conquistando l'arco di quattro oblast' a confine con la Russia e fornendo un ponte terrestre verso la Crimea. Questo piano ha avuto successo. L'assalto iniziale russo ha portato all'occupazione della maggior parte dell'arco, e la conquista di Mariupol nel maggio 2022 completò il ponte terrestre.

Le forze russe hanno preso Sievierodonetsk a giugno e Lysychansk a luglio, completando la presa dell'Oblast di Lugansk, ma non sono riuscite ad avanzare nella parte occidentale di Donetsk, dove hanno affrontato la parte migliore dell'esercito ucraino.

Esasperati a nord e a sud, i russi sono stati costretti a ritirarsi su posizioni più difendibili. Hanno abbandonato l'Oblast di Kharkiv e Lyman, nel nord di Donetsk, a settembre, e Kherson a novembre. Le truppe ucraine si sono spostate nelle aree che i russi hanno lasciato. Lo slancio sembrava essersi spostato dalla parte ucraina e il governo parlava di offensive a sud e a nord. Ma queste offensive non vi sono state, nel mentre arrivava l'inverno.

Le forze russe, comprese le unità dell'esercito regolare e del Gruppo Wagner, hanno continuano a lavorare duro a Bakhmut, nel nord di Donetsk. Il loro piano era di riprendere il movimento a tenaglia da nord e da sud per espellere l'esercito ucraino da Donetsk. Fondamentalmente, però, la situazione militare rimane di stallo.

Nei primi mesi di guerra, le truppe ucraine hanno combattuto con armi e munizioni dell'era sovietica o prodotte dall'industria bellica ucraina. Man mano che queste si esaurivano, ottenevano rimpiazzi dalla Polonia e da altri Paesi dell'ex Patto di Varsavia, e poi nuove armi dagli Stati Uniti e dalla NATO.

Le armi comprendono obici e sistemi missilistici HIMARS, che hanno dato all'Ucraina una certa parità di potenza di fuoco in prima linea, ma non sono state inviate armi a più lungo raggio che avrebbero permesso all'Ucraina di colpire la Russia. In quello che potrebbe essere stato un accordo implicito, la Russia si è generalmente astenuta dal colpire obiettivi ucraini dietro le linee del fronte. Né la Russia né la NATO volevano un'escalation della guerra fuori controllo.

Nell'ottobre 2022, le forze speciali ucraine hanno bombardato il ponte sullo Stretto di Kerch. Da allora, l'aviazione russa ha preso di mira le infrastrutture in tutta l'Ucraina e la popolazione ha dovuto sopravvivere all'inverno con calore e luce limitati. L'escalation era probabilmente inevitabile, visto lo stallo del fronte.


E ADESSO?

Con l'arrivo della primavera, è quasi certo che l'Ucraina e la Russia lanceranno offensive per cercare di superare la situazione di stallo. Dal punto di vista tattico, il compito principale dell'Ucraina è quello di tagliare il ponte terrestre russo spingendosi a sud verso il Mar Nero. Il compito principale per i russi è quello di espellere l'esercito ucraino dalla parte occidentale di Donetsk chiudendo la sua tenaglia da nord e da sud.

Non è affatto chiaro se una delle due parti possa raggiungere il proprio obiettivo. I combattimenti hanno assunto un carattere da Prima Guerra Mondiale, ma con armi del XXI secolo. Le due parti si bombardano a vicenda con l'artiglieria e i missili, mentre la fanteria non riesce ad avanzare, perché ognuna delle due parti è troppo profondamente trincerata.

Il governo ucraino ha chiesto carri armati per aiutare le sue forze a sfondare. I governi statunitense, tedesco, britannico e francese si sono opposti per molti mesi, affermando che i carri armati non sarebbero stati efficaci. Per ragioni di politica interna, alla fine hanno accettato. Decine di carri armati tedeschi Leopard 2 saranno probabilmente dispiegati entro la primavera.

Nella Seconda Guerra Mondiale, i carri armati tedeschi, sostenuti dal potere aereo, lanciarono la loro guerra lampo, affiancando o superando le linee francesi, britanniche e polacche. Da allora, il potere aereo ha spostato nuovamente gli equilibri, poiché i missili possono abbattere i carri armati.

I comandi statunitensi e tedeschi erano riluttanti a inviare carri armati costosi, difficili da mantenere e da usare in un teatro dove i missili russi avrebbero potuto distruggerli rapidamente. Ma i governi sentivano di dover fare qualcosa di più.

Andare al di là di questo sarebbe fare speculazioni. È possibile che le linee russe crollino e che l'Ucraina si riprenda gran parte del territorio che ha perso. È possibile che le linee ucraine crollino e che la Russia avanzi su Charkiv, Dnipro e Odessa.

È possibile che gli Stati Uniti e la NATO forniscano all'Ucraina armi a più lunga gittata e che la Russia reagisca con livelli di distruzione crescenti. È possibile che gli Stati Uniti e la NATO decidano che la guerra è troppo costosa e rischiosa e si tirino indietro.

È possibile che i lavoratori ucraini del nord e dell'ovest decidano che una guerra infinita a est non ha senso. È possibile che i lavoratori russi decidano che non vale la pena morire per occupare parti dell'Ucraina.

Tuttavia, l'esito più probabile è che l'attuale situazione di stallo continui fino a quando le due parti non saranno esauste e decideranno di smettere di combattere. Ciò che significherà non una pace giusta o duratura, ma un'interruzione temporanea dei combattimenti.


LA CONVERGENZA DI TRE GUERRE

La guerra in Ucraina è complicata, perché vi convergono tre guerre. O, per dirla diversamente, la guerra ha tre aspetti.

Il primo aspetto è la guerra della Russia imperialista contro l'Ucraina capitalista ma non imperialista. La classe dirigente e l'élite governativa russa, guidata da Vladimir Putin, vogliono riaffermare il potere russo nel territorio dell'ex Impero russo. Per l'Occidente, ciò significa soprattutto riaffermare l'egemonia russa sull'Ucraina.

In questa prima guerra il popolo ucraino sta difendendo il proprio diritto a uno Stato nazionale contro un aggressore imperialista, di fatto il suo oppressore storico. In questa guerra i marxisti rivoluzionari devono sostenere l'Ucraina.

La seconda guerra è la guerra fredda tra il blocco di potenze imperialiste storiche guidato dagli Stati Uniti e il blocco Russia-Cina che lo sfida. Si tratta di un classico conflitto interimperialista. I marxisti rivoluzionari, in questo caso, non devono sostenere nessuna delle due parti.

La terza guerra è la guerra civile tra il governo centrale e la minoranza russa dell'Ucraina, concentrata nell'arco di territorio che va da Charkiv a Odessa. Questo conflitto è il più difficile da risolvere, poiché le persone che vivono nell'area sono divise: alcuni combattono per il governo centrale, altri per la secessione.

Gli accordi di Minsk II del 2015 hanno cercato di risolvere il conflitto nazionale all'interno dell'Ucraina attraverso l'uguaglianza linguistica e culturale e una struttura federale in cui le regioni avrebbero avuto ampia autonomia. Il federalismo avrebbe precluso all'Ucraina l'ingresso nella NATO, ma non necessariamente l'ingresso nell'Unione Europea, poiché l'accesso all'UE avrebbe potuto favorire anche la Russia.

Gli accordi sono falliti perché né il governo ucraino né i separatisti russi volevano il compromesso. Ma hanno indicato che la strada da seguire è quella di lasciare che la popolazione delle aree storicamente russe determini il proprio rapporto con gli Stati ucraino e russo. scegliendo di rimanere in Ucraina, di unirsi alla Russia – con pieni diritti democratici, tra cui l'uguaglianza linguistica e culturale e l'autonomia regionale – o di avere un proprio Stato.

Per i marxisti rivoluzionari, prendere posizione sulle tre guerre separatamente è, o dovrebbe essere, relativamente facile: a favore dell'Ucraina nella guerra russo-ucraina, contro entrambe le parti nella guerra fredda interimperialista e per il diritto all'autodeterminazione della popolazione nelle parti storicamente russe dell'Ucraina.

La difficoltà è come mettere in relazione le tre posizioni. Quando russi e ucraini si sparano addosso, quale aspetto predomina? L'Opposizione Trotskista Internazionale ritiene che il conflitto che si sta dispiegando sia ancora prevalentemente una guerra di difesa nazionale dell'Ucraina capitalista (ma non imperialista) contro la Russia imperialista.


I NOSTRI COMPITI

I marxisti rivoluzionari sostengono la fine della guerra in Ucraina su basi giuste e democratiche: Russia fuori dall'Ucraina, no alla guerra fredda interimperialista e autodeterminazione per le aree storicamente russe dell'Ucraina. Questo nella prospettiva a lungo termine di un'Ucraina socialista indipendente, poiché nulla al di fuori di ciò potrebbe portare a una pace giusta e duratura.

I rivoluzionari di tutti i Paesi dovrebbero sostenere questa soluzione, ma i compiti variano da paese a paese.

In Ucraina i rivoluzionari devono sostenere lo sforzo bellico in qualsiasi modo possibile: combattendo nell'esercito o nelle Forze di difesa territoriale, organizzando attività di difesa dietro le linee, curando i feriti, riparando gli edifici danneggiati, mantenendo attiva l'economia e la vita del paese.

Ma oltre a sostenere lo sforzo bellico, devono aiutare la classe operaia a capire che i lavoratori russi non sono loro nemici e che gli Stati Uniti, la NATO, l'UE, gli oligarchi ucraini e il governo Zelensky non sono loro amici. Gli oligarchi e i loro governi stanno usando la guerra per subordinare l'Ucraina alle potenze occidentali. Stanno traendo vantaggio dalla guerra e ne approfittano per attaccare i diritti democratici e sociali.

I rivoluzionari devono esortare i lavoratori e i soldati a organizzarsi, a difendere i loro diritti, a contrastare ordini crudeli o stupidi, a proteggere le vite dei civili e dei soldati e a fraternizzare con i soldati russi, ogni volta che se ne presenta l'occasione.

In Russia i rivoluzionari devono fare tutto il possibile per ostacolare lo sforzo bellico. Devono smascherare le menzogne e gli interessi personali che si celano dietro la guerra, nonché la crudeltà e la stupidità con cui viene combattuta. Devono evitare la chiamata alle armi e aiutare gli altri a evitarla, oppure arruolarsi e organizzarsi nell'esercito. Devono continuare la lotta di classe, anche se, e soprattutto se, questa mina lo sforzo bellico.

Naturalmente, tutto questo deve essere fatto con attenzione e in gran parte in modo clandestino. Il RRP, Revolyutsionnaya Rabochaya Partiya (Partito Operaio Rivoluzionario) e altri rivoluzionari russi stanno dando un esempio di coraggio e integrità politica.

Negli Stati Uniti e in Europa i rivoluzionari devono sostenere il diritto del popolo e del governo ucraino di procurarsi armi da qualsiasi parte del mondo. Ma il loro ruolo non è quello di chiedere ai governi imperialisti di fornire armi. I governi lo stanno già facendo. Non siamo in una situazione da guerra civile spagnola. E la loro condizione per fornire armi è che l'Ucraina accetti un rapporto di dipendenza e di sudditanza.

Il ruolo dei rivoluzionari è piuttosto quello di pretendere che i loro governi cancellino il debito dell'Ucraina e forniscano le centinaia di miliardi di aiuti che saranno necessari per ricostruire il paese, senza alcun obbligo di rimborso. Dovrebbero pretendere che i loro governi cancellino il debito e forniscano aiuti all'Afghanistan e alle decine di altri paesi distrutti da interventi diretti e indiretti.

I rivoluzionari devono opporsi alla nuova guerra fredda e pretendere che i loro governi riducano le spese militari, chiudano le basi straniere, riportino a casa le truppe e sciolgano la NATO e tutte le altre alleanze imperialiste.

In Cina i rivoluzionari devono opporsi al proprio imperialismo nel suo tentativo di impadronirsi di Taiwan e di spartirsi il mondo con gli altri imperialismi. Devono chiedere al loro governo di convertire i prestiti concessi ai paesi più poveri in sovvenzioni e di cedere gli investimenti ai lavoratori. Devono cercare di impedire all'imperialismo cinese di aiutare l'imperialismo russo nella guerra in Ucraina.

In India, Brasile, Messico, Sudafrica, Turchia e altri paesi non belligeranti, i rivoluzionari devono far sì che i loro governi sostengano l'Ucraina nella guerra contro la Russia, siano neutrali nella guerra fredda fra i blocchi imperialisti e contrastino gli effetti della crisi di cibo, della crisi energetica e dell'inflazione sulla popolazione. Devono opporsi ai tentativi della loro classe dirigente di approfittare della guerra per perseguire le proprie ambizioni regionali.

In tutti i paesi i rivoluzionari devono continuare la lotta di classe, compresa la lotta per i diritti democratici e per la liberazione degli oppressi, e la lotta contro il cambiamento climatico e la devastazione ambientale. La guerra è un'altra ragione per odiare il capitalismo, non per fare pace con esso.

I due blocchi di potenze imperialiste sono in lotta per dominare il mondo. La classe operaia non ha alcun interesse nell'esito della loro lotta. Il suo interesse è il proprio potere e l'istituzione di un proprio governo, in ogni paese e nel mondo.

I rivoluzionari di oggi dovrebbero seguire l'esempio dei rivoluzionari dalla Lega dei Comunisti fino alla Terza e alla Quarta Internazionale. Dobbiamo organizzarci per aiutare la classe operaia a organizzarsi per porre fine al capitalismo e alla guerra.


Le truppe russe fuori dall'Ucraina
Né Russia né NATO. Contro tutti gli imperialismi
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