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Ucraina. Dove va la guerra

  La corsa alle armi degli imperialismi in Europa e la piega della guerra. La crisi del fronte ucraino. Il posizionamento dei marxisti rivol...

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No a un'escalation militare degli imperialismi NATO! No alle minacce di una terza guerra mondiale!

 


Difesa popolare dell'Ucraina dall'imperialismo russo

28 Aprile 2022
Per la cessazione immediata delle ostilità. Per il ritiro delle truppe russe dai territori occupati dopo il 24 febbraio. Per una pace giusta: indipendenza e neutralità dell'Ucraina, riconoscimento della Crimea alla Russia, autodeterminazione del Donbass

La guerra in Ucraina si aggrava.
Dopo aver fallito, grazie alla resistenza ucraina, la conquista di Kiev, la guerra d'invasione di Putin si concentra nel sud dell'Ucraina, con l'obiettivo di unire sotto il proprio controllo il territorio che va dal Donbass alla Transnistria passando per Odessa, e di determinare per questa via la chiusura dell'accesso al mare dell'Ucraina. Da qui l'intensificazione della guerra, la distruzione delle ferrovie ucraine, la moltiplicazione di sofferenze, rovine e massacri della popolazione civile.

A loro volta, gli imperialismi di USA e Gran Bretagna sovrappongono sempre più apertamente alla difesa dell'Ucraina la propria volontà dichiarata di indebolire strutturalmente l'imperialismo russo rivale, favorendo la continuità del conflitto. Da qui la rivendicazione della legittimità di un più ampio spazio d'intervento militare, col rischio di uno scontro diretto tra Russia e NATO e di dinamiche fuori controllo.

Siamo e restiamo a difesa dell'Ucraina contro la guerra d'invasione dell'imperialismo russo, non a difesa degli imperialismi NATO e di una loro guerra. Ci opponiamo alla linea delle sanzioni economiche contro la Russia, che scaricano i loro effetti sui lavoratori russi e sui lavoratori d'Occidente. Ci opponiamo a una linea russofoba odiosa che prende di mira artisti, sportivi, uomini e donne della cultura russa, col risultato oltretutto di fornire alimento allo sciovinismo grande-russo di Putin. Ci opponiamo più in generale al tentativo di usare la stessa resistenza ucraina contro l'invasione russa come un'occasione di regolamento di conti tra imperialismo russo e imperialismi NATO, ciò che moltiplica i rischi di un'escalation militare incontrollata, e rappresenta una minaccia mortale per l'umanità intera.

Leghiamo la necessaria difesa dell'Ucraina da un'invasione imperialista alla rivendicazione di una cessazione immediata delle ostilità, del ritiro delle truppe russe entro i confini precedenti il 24 febbraio, di una pace giusta, che per essere tale deve prevedere l'indipendenza e neutralità dell'Ucraina, il riconoscimento della Crimea alla Russia, il diritto di autodeterminazione delle popolazioni russofone del Donbass, le quali hanno il diritto di decidere liberamente dove vogliono vivere.

La resistenza ucraina all'invasione è la condizione necessaria di una simile soluzione. Senza resistenza ucraina Putin sarebbe già a Kiev da due mesi, e avrebbe già celebrato la grande vittoria dello sciovinismo imperialista grande-russo. Ma una condizione necessaria non è di per sé sufficiente. Occorre respingere il tentativo NATO di prendere in ostaggio la resistenza ucraina subordinandola a un'obiettivo di guerra prolungata in funzione dei propri interessi imperialisti. Occorre contrastare la subordinazione di Zelensky a questa linea.

L'esperienza dimostra che la cessazione delle ostilità e una pace giusta in Ucraina sono incompatibili sia con lo sciovinismo grande-russo e le sue ambizioni imperiali, sia con la logica degli imperialismi NATO e del nazionalismo ucraino. Il sostegno alla resistenza ucraina contro l'imperialismo russo e la lotta contro l'imperialismo di casa nostra sono due aspetti di una stessa politica internazionalista contro la guerra.

Partito Comunista dei Lavoratori

25 aprile, la Resistenza e la guerra

 


È in corso un'inaccettabile campagna maccartista contro l'ANPI, che usa purtroppo errori e timidezze della sua direzione sulla questione Ucraina. È il caso allora di fare chiarezza

IL DIRITTO UNIVERSALE ALLA RESISTENZA CONTRO TUTTE LE GUERRE D'INVASIONE IMPERIALISTE

La Resistenza partigiana si batté eroicamente contro le forze d'occupazione dell'imperialismo nazista (e la Repubblica di Salò), usando giustamente anche gli aiuti militari degli imperialismi “democratici” di Gran Bretagna e USA. Ma il PCI, in omaggio al patto politico di Stalin con gli imperialismi anglosassoni, subordinò a questi ultimi la Resistenza, stroncandone le potenzialità rivoluzionarie. I governi di unità nazionale tra Togliatti e De Gasperi disarmarono i partigiani, riportarono in sella i capitalisti, ricostruirono lo Stato borghese. Fu il tradimento della Resistenza, pagato con lunghi anni di repressione antioperaia e anticomunista.

Oggi l'Ucraina resiste contro le forze d'occupazione dell'imperialismo russo, usando legittimamente gli aiuti militari degli imperialismi NATO. Ma la NATO, attraverso Zelensky, subordina l'Ucraina ai propri interessi. Sono gli interessi di quel Fondo Monetario Internazionale che soprattutto da Maidan in poi ha imposto al proletariato ucraino tagli sociali, privatizzazioni, miseria. Non è una ragione sufficiente per voltare le spalle alla resistenza militare di un paese contro una guerra d'invasione imperialista. Ma è una ragione più che sufficiente per opporsi politicamente al governo Zelensky e alla NATO.


CON LA RESISTENZA UCRAINA MA ALL'OPPOSIZIONE DI ZELENSKY.
PER I DIRITTI DI AUTODETERMINAZIONE DEL DONBASS


Il nostro sostegno alla resistenza ucraina muove da un'angolazione di classe indipendente.
Siamo a sostegno della resistenza ucraina contro la guerra d'invasione russa, così come abbiamo sostenuto la resistenza irachena, la resistenza serba, la resistenza afghana contro le guerre d'invasione occidentali, o la resistenza palestinese contro le forze d'occupazione di Israele. Ma come rifiutammo ogni sostegno politico ai Saddam Hussein, agli Slobodan Milosevic, ai talebani, agli Abu Mazen e ad Hamas, così rifiutiamo ogni sostegno politico al governo nazionalista ucraino e ai suoi padrini internazionali. I diritti di autodeterminazione dell'Ucraina richiedono non solo – innanzitutto – la sconfitta delle mire imperiali della Russia, ma anche una rottura con il FMI e con gli imperialismi d'occidente. Dunque con la stessa borghesia ucraina. Solo la rivoluzione bolscevica consentì all'Ucraina un'autodeterminazione vera: è ciò che Putin imputa a Lenin. Solo il recupero del programma di Lenin per una Ucraina indipendente e socialista può contrastare alla radice il progetto imperiale di Putin.

Siamo per il pieno riconoscimento dei diritti nazionali del Donbass. Li abbiamo difesi contro i governi nazionalisti ucraini emersi dalla rivolta reazionaria di piazza Maidan (2014), nonostante l la natura rossobruna dei governi separatisti e l'aiuto loro fornito dall'imperialismo russo. Così come oggi difendiamo l'Ucraina dall'imperialismo russo nonostante gli aiuti militari dell'imperialismo occidentale e la natura del governo Zelensky. Ma tanto più oggi i diritti delle popolazioni russofone del Donbass possono essere realizzati non solo contro il nazionalismo ucraino ma anche contro le forze di occupazione russe. È il popolo del Donbass che deve poter decidere liberamente in quale paese vivere.


IL NEMICO PRINCIPALE È IN CASA NOSTRA.
NO AL RIARMO. NO ALLA NATO. GIÙ LE MANI DALL'ANPI!


Siamo contro l'imperialismo di casa nostra, italiano, europeo, americano. Contro i suoi piani di riarmo, la sua economia di guerra, i suoi isterismi russofobi, l'intossicazione maccartista che ne deriva. A differenza delle sinistre cosiddette radicali, non abbiamo mai votato crediti di guerra. Non abbiamo mai scambiato complicità di guerra e ministeri. Siamo sempre stati dall'altra parte della barricata. Così oggi.
Difendiamo l'ANPI dalla campagna di intimidazione del PD e degli ambienti NATO. Le chiediamo anzi di rompere apertamente e pubblicamente con il PD senza limitarsi a differenziazioni passive o a posizionamenti puramente difensivi. Ma le chiediamo di farlo riconoscendo il diritto della resistenza ucraina contro l'occupazione russa. Perché è vero che resistenza partigiana e resistenza ucraina sono tra loro diverse. Tutte le resistenze lo sono. Ma è vero che entrambe si contrappongono a una guerra d'invasione e alle sue forze d'occupazione. Entrambe lo fanno con le armi in pugno perché non è possibile diversamente. L'ANPI non può negare questo diritto, se non finendo paradossalmente col regalare al PD e alla NATO la patente abusiva e truffaldina di difensori della libertà.

Siamo contro i fascisti, come sempre, ovunque si collochino. Sia che si tratti del famigerato battaglione Azov, sia che si tratti del panslavismo grande-russo e neozarista, benedetto da Dugin e dalla Chiesa ortodossa, e ben presente ai vertici della Repubblica di Donetsk. Ma la guerra in atto in Ucraina non è tra fascismo e antifascismo, è tra un paese dipendente e una grande potenza imperialista che l'ha invaso. Su questa frontiera occorre schierarsi e scegliere. Mantenendo sempre la propria autonomia politica di classe; lottando sempre, nel modo più intransigente, contro ogni forza reazionaria, sia essa filo-NATO o rossobruna.


PER UNA PACE GIUSTA.
NO ALL'ESTENSIONE DELLA GUERRA


Siamo per la cessazione immediata delle ostilità e il ritiro delle forze russe d'occupazione.
Siamo per una pace giusta, che preveda la neutralità dell'Ucraina, il rispetto dell'appartenenza russa della Crimea, il diritto di autodeterminazione delle popolazioni russofone del Donbass.
Siamo a maggior ragione contro ogni allargamento della guerra in corso, contro ogni espansione della NATO – passata, presente e futura, contro lo scontro tra potenze imperialiste, vecchie e nuove. Ma non ci facciamo illusioni. Dopo il crollo dell'URSS, dopo che la vecchia burocrazia staliniana si è convertita nella nuova classe capitalista in Russia e Cina, ovunque si sono levati i venti di guerra. Prima le guerre d'espansione della NATO, ora la guerra d'espansione della Russia, mentre la grande ascesa dell'imperialismo cinese in Oriente acuisce tutte le contraddizioni imperialiste su scala globale. La verità è che una nuova grande guerra è entrata nel novero delle possibilità reali.


PER LA RIVOLUZIONE SOCIALISTA, PER L'INTERNAZIONALE RIVOLUZIONARIA

Lottare contro la guerra è allora una necessità mondiale. Ma è inseparabile dalla lotta contro l'imperialismo, contro ogni imperialismo. Due grandi cordate di potenze imperialiste, il blocco NATO da un lato, il blocco russo-cinese dall'altro, sono in lotta tra loro per la spartizione del mondo. E sono disposte alla guerra pur di affermarsi. Chi si appella all'ONU, alle diplomazie, alle conferenze internazionali di pace, alle parole ipocrite dei Papi, alle buone volontà dei governi, va a caccia di farfalle. Peggio: semina nuove illusioni. La domanda di pace è fondamentale. L'ideologia pacifista è una truffa. Solo una rivoluzione socialista può salvare il mondo e garantire una pace vera. Solo la classe lavoratrice internazionale, ponendosi alla testa di tutti i popoli oppressi, può realizzare questo compito. Ne ha la forza, quella di tre miliardi di salariati. Non ne ha la coscienza, che anzi ha registrato drammatici passi indietro ed è spesso inquinata dai nazionalismi. Elevare la coscienza dei proletari all'altezza della loro forza, unirli internazionalmente al di là delle frontiere, è ovunque il compito dell'avanguardia.

In Russia, mentre il partito stalinista di Zjuganov si è schierato con Putin e la sua guerra, con una vergognosa capitolazione all'imperialismo russo, il Revolyutsionnaya Rabochaya Partiya (Partito Operaio Rivoluzionario) sta difendendo coraggiosamente la tradizione leninista dando guerra alla guerra. «Solo il proletariato dell'Ucraina, e non certo l'imperialismo russo, ha il diritto di liberare l'Ucraina dalla dittatura ultraneoliberista e nazionalista... Il nemico principale è nel nostro paese!» (Dichiarazione del CC del POR, 24 febbraio)

Il Partito Comunista dei Lavoratori si batte per la costruzione di un'internazionale rivoluzionaria contro tutti gli imperialismi, contro la guerra, per la rivoluzione socialista in ogni paese e su scala mondiale.

Partito Comunista dei Lavoratori


Ucraina. Per il cessate il fuoco immediato e il ritiro delle truppe di aggressione russe

 


Per una giusta pace. Ucraina indipendente e neutrale; riconoscimento della scelta della Crimea di unirsi alla Russia; per il diritto di autodeterminazione del Donbass

22 Aprile 2022
Per una prospettiva socialista in Europa, da Lisbona a Vladivostok

La disastrosa guerra in Ucraina continua con i suoi massacri (decine di migliaia di morti, in primis civili, distruzione di interi città e villaggi, profughi a milioni...), senza interruzione, anzi sembra pronta ad aggravarsi.

La responsabilità maggiore di questa ignobile strage è dell’imperialismo della Russia capitalista degli oligarchi e del suo “neozar” Putin.
Con questo noi non dimentichiamo le provocazioni della NATO e il carattere reazionario e sciovinista dei governi ucraini nati dal movimento reazionario di Maidan e del conseguente colpo di stato del 2014. Per questo abbiamo sempre difeso il diritto della Crimea di riunirsi alla Russia (dopo l’assurdo “regalo” della penisola all’Ucraina da parte di un autocratico Krusciov nel 1954) e quello del popolo del Donbass all’autodeterminazione.
Abbiamo quindi sostenuto il diritto all’autodifesa delle “repubbliche popolari” di Donetsk e Lugansk; nonostante l’ausilio dell’imperialismo russo e il carattere reazionario dei lori governi, in particolare di quello semifascista di Donetsk che, come e più che in Ucraina, ha messo fuori legge le organizzazioni di opposizione che si richiamavano al comunismo e ha assassinato i comandanti dei “battaglioni operai” del 2014.

Nel 2015 a Minsk fu siglato, con cooperazione internazionale, un accordo tra Russia e Ucraina che, pur con molte ambiguità, prevedeva la fine della guerra a bassa intensità, una Ucraina indipendente e neutrale, una struttura autonoma (all’interno dell’Ucraina) per il Donbass e, implicitamente, la non messa in discussione del recupero della Crimea da parte della Russia.
Questo accordo non è stato mai applicato, in primo luogo per responsabilità della NATO e dei governi reazionari di Kiev. Anzi, la NATO ha imposto le sanzioni contro la Russia e la guerra a bassa intensità nel Donbass è continuata, con un bilancio ufficiale, in otto anni, di quattordicimila morti.

Ma l’aggressione putiniana non nasce dalla difesa dei diritti del popolo del Donbass e la fine della guerra locale, caso in cui la nostra posizione sarebbe stata diversa.
Se fosse stato così, la Russia si sarebbe limitata ad inviare apertamente le sue truppe nel Donbass e porle a protezione armata delle due “repubbliche popolari”. Invece è entrato in tutto il paese e ha puntato in primis verso Kiev. Come dicono i nostri coraggiosi compagni russi del Revolyutsionnaya Rabochaya Partiya (Partito Operaio Rivoluzionario) nel loro comunicato del 24 febbraio: «La Russia ha iniziato la guerra con l’Ucraina, nascondendosi ipocritamente e falsamente dietro le sofferenze del popolo lavoratore delle Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk [...]. Nessun ragionamento sul “contenimento della NATO”, nessuna critica del regime politico ucraino e nessuna altra fesseria geopolitica può giustificare questa strage».

Putin, del resto, ha dichiarato apertamente le sue concezioni e i suoi obiettivi.
Si deve dire che egli ha dichiarato apertamente due guerre. La prima contro l’Ucraina, la seconda contro Lenin e i “comunisti bolscevichi” (come lui li chiama). Per Putin e il suo regime, il popolo ucraino, e anche quello bielorusso, semplicemente non esistono. Sono parti del grande popolo russo e la loro indipendenza è stata un'invenzione di Lenin. Secondo lui Stalin riequilibrò in parte la situazione, ma senza risolvere il problema. Per cui degno erede, a suo giudizio e con paranoia crescente, dello Zar Pietro il Grande, spetta a lui ricomporre, prima di morire, l’unità del popolo russo.

Naturalmente, il popolo ucraino e quello bielorusso non sono un'invenzione di Lenin. Ma è certo che senza la Rivoluzione bolscevica queste due nazioni non sarebbero mai veramente nate; e senza la battaglia di Lenin morente contro Stalin, per garantire il diritto all'eventuale separazione delle repubbliche federate dell’URSS, dopo la crisi di quest’ultima, l’Ucraina e la Bielorussia non avrebbero mai visto il giorno.

Putin ha quindi mandato l’esercito a invadere l’Ucraina per distruggerne l’indipendenza reale e cancellare una delle pochissime conquiste della Rivoluzione d’ottobre ancora esistenti.
Il suo obbiettivo evidente era conquistare rapidamente Kiev, far fuggire o imprigionare Zelensky, sostituirlo con un suo pupazzo (Yanukovich?) e trasformarla in un paese subordinato come la Bielorussia di Lukashenko, passando poi probabilmente a qualche forma ufficiale di federazione.
Putin e la sua cricca pensavano di riuscire nella loro operazione in pochi giorni, contando sul sostegno della parte non solo etnicamente russa, ma in generale russofona della popolazione.
Il rigetto quasi unanime dell'invasione da parte della popolazione e la sua coraggiosa resistenza hanno sconfitto il piano originario di Putin, il quale tuttavia ha tentato di implementarlo con la forza di carri armati, aerei e missili con conseguenti massacri di civili per tutto un mese. Solo allora Putin ha dovuto arrendersi – almeno momentaneamente – alla realtà, ed è passato a un piano meno ambizioso, che tuttavia continua a prospettare, cioè di occupare e staccare dall’Ucraina tutta la cosiddetta Nova Rossia, da Karkhiv al Nord a Odessa al Sud, cioè più della metà del paese. Se ci riuscirà o meno dipenderà dalla capacità della coraggiosa resistenza ucraina. Se il 9 maggio, anniversario della vittoria del 1945, sarà il giorno della verità o meno non ci è certo dato di sapere.
Certamente solo se Putin accettasse di porre termine allo scontro militare e ritirasse le truppe (ad eccezione ovviamente della Crimea e degli oblast di Donetsk e Lugansk) e dichiarasse apertamente di ritornare a chiedere solo l’applicazione degli accordi di Minsk (o una soluzione analoga: autodeterminazione del Donbass, ecc.), la situazione di aggressione russa verrebbe a cessare.

Noi abbiamo sempre affermato, riprendendo le posizioni di Lenin rispetto alla Serbia nella Prima guerra mondiale, che un intervento diretto della NATO o di una sua parte nella guerra (anche solo sul piano dell’aviazione con la no fly zone) ne cambierebbe la natura trasformandola in un vero scontro militare interimperialistico, per cui la difesa dell'indipendenza reale dell’Ucraina diventerebbe una questione subordinata, e noi prenderemmo una posizione intransigente di disfattismo bilaterale.
Vogliamo ora precisare che se Putin e il governo russo fossero costretti a passare all’ipotesi sopra prospettata di limitarsi ad accettare gli accordi di Minsk o soluzione analoga, e il governo ucraino, a causa dello sciovinismo reazionario suo e (purtroppo) della maggioranza della popolazione ucraina in reazione all'aggressione, rifiutasse un tale accordo, magari sotto la pressione della NATO o di USA e Gran Bretagna da soli, cercando di recuperare il Donbass, ugualmente questo cambierebbe la natura della guerra e ci vedrebbe passare su una posizione di disfattismo bilaterale.
Per il momento però non c’è alcun indizio di tale cambiamento, e pertanto noi restiamo sulla posizione di sostegno all’Ucraina, senza alcun appoggio politico al suo governo; paese vittima di un'aggressione imperialista da parte della Russia.

Fermo restando che l’unica garanzia di pace in Europa è lo sviluppo nei suoi vari paesi di rivoluzioni socialiste, che si concludano con la costituzione di una federazione socialista europea, da Lisbona a Vladivostok.

Partito Comunista dei Lavoratori

Una campagna da respingere, una contraddizione da risolvere

 


La campagna maccartista del PD e dei partiti reazionari contro l'ANPI, e la necessità di un cambio di linea dell'Associazione

La gazzarra imbastita contro l'ANPI dall'ambiente politico atlantista è inaccettabile. Rientra nella campagna maccartista contro ogni voce di dissenso sui piani di riarmo, contro ogni critica a Zelensky e alla NATO. Respingiamo questa campagna. Non riconosciamo alcun diritto a sindacare sull'ANPI al PD, che per decenni ha dato sponda al corso revisionista sulla Resistenza partigiana, ha diretto guerre “umanitarie”, ha sponsorizzato la Seconda Repubblica e le sue derive antidemocratiche. Il PD, come tutti i partiti borghesi, è parte del campo avversario.

La nostra critica alla direzione dell'ANPI muove semmai dal versante opposto.
Proprio gli attacchi del PD e di tutto il fronte atlantista mostrano il fallimento della linea della “grande alleanza democratica” col PD e col M5S che i vertici dell'ANPI hanno promosso negli ultimi anni. Persino la lotta elementare contro il riarmo e per la pace si è rivelata incompatibile con i sostenitori del governo Draghi. Il PD è oggi il primo propugnatore del riarmo, assieme al ministro degli esteri pentastellato Di Maio. Giuseppe Conte finge una postura più pacifista solo in funzione elettorale, dopo aver gestito da Presidente del Consiglio l'aumento delle spese militari, e aver accettato in ogni caso il principio del riarmo. Sono i costi fisiologici dell'appartenenza alla NATO e della sua preparazione alla guerra.

I nodi sono ormai giunti al pettine. Invece di lamentare gli attacchi del PD, i vertici dell'ANPI dovrebbero rompere con PD e M5S e battersi per una mobilitazione unitaria contro il riarmo di tutte le forze del movimento operaio, politiche e sindacali. Una mobilitazione contro il governo Draghi, contro la NATO, contro i preparativi di guerra, che chiami la CGIL alle proprie responsabilità.

Contemporaneamente sarebbe bene evitare di fornire al PD armi pretestuose contro l'ANPI sulla questione ucraina. Riconoscere il diritto alla resistenza di un popolo invaso è elementare per un'organizzazione antifascista. Vale contro le guerre d'invasione degli imperialismi NATO come contro la guerra dell'imperialismo russo. Certo, il governo ucraino è reazionario, come il regime sciovinista di Putin, e settori fascisti sono presenti non a caso su entrambi i fronti. Ma la guerra attuale non è tra fascismo e antifascismo, è tra l'imperialismo russo e l'Ucraina. Saddam Hussein, Milosevic, i talebani, i regimi di Abu Mazen e Hamas nei territori occupati non sono meglio di Zelensky sotto il profilo democratico. Semmai in qualche caso peggio. Eppure abbiamo difeso e difendiamo i diritti nazionali di quei popoli, nonostante i loro governi, contro le forze d'occupazione imperialiste e sioniste. Come abbiamo difeso contro il governo ucraino i diritti delle popolazioni russofone del Donbass nonostante la natura reazionaria dei governi separatisti e il sostegno militare dell'imperialismo russo. Questo principio deve valere anche per il popolo ucraino, nonostante il sostegno, per i suoi propri interessi, dell'imperialismo NATO.

Anche qui l'ANPI dovrebbe uscire dalla difensiva. Dovrebbe denunciare l'ipocrisia del governo italiano e della NATO che ora parlano di democrazia in Ucraina ma hanno appoggiato i governi post-Maidan contro i diritti del Donbass, sostengono lo Stato sionista d'Israele, trafficano con la Turchia di Erdogan che massacra i curdi, armano l'Arabia Saudita... Oltre ad aver promosso tutte le guerre d'invasione degli ultimi trent'anni giustificandole con le menzogne più spudorate (le “armi di distruzione di massa” di Saddam Hussein), compiendo crimini contro i civili (dalle torture di Abu Ghraib alle bombe al fosforo di Falluia), varando sanzioni genocide (come contro l'Iraq con la benedizione ONU).
Difendere il diritto di resistenza ucraina, togliendo al PD ogni alibi strumentale, consentirebbe all'ANPI di denunciare liberamente tutto questo, passare finalmente all'offensiva e disarmare le ipocrite speculazioni del campo avverso .

Il peggio che si possa fare di fronte alla campagna di demonizzazione da parte del PD è continuare a corteggiare (criticamente) il PD fornendogli per di più armi abusive. Per quanto ci riguarda difendiamo e difenderemo l'ANPI, non solo in primo luogo dal PD ma anche dalla sua stessa politica.

Partito Comunista dei Lavoratori

SUGLI SGOMBERI: LEPORE FA IL SUO MESTIERE. COALIZIONE CIVICA NELLA PALUDE

 


Lepore fa il suo mestiere.

Sindaco di Bologna in rappresentanza del partito più accondiscendente agli interessi padronali e alle esigenze di governo a loro tornaconto, il PD, dall’alto della giunta più progressista d’Italia non può esimersi di favorire la speculazione edilizia il più progressivamente possibile, appunto.

E così continua imperterrito la politica di sgomberi dei suoi illustri predecessori, colpendo le esigenze dei quartieri popolari dicendo, con lacrime di coccodrillo, di farlo esclusivamente nel loro interesse.

E' il classico mestiere da ciarlatano venditore di paccottiglie.

Nel portare la nostra solidarietà a tutte le realtà impegnate a mettere a disposizione delle classi popolari spazi e i servizi lasciati colpevolmente in disuso dall’amministrazione comunale, e che oggi come il Banca Rotta sono sotto sgombero, tuttavia obbiettivamente non possiamo dire che il sindaco di Bologna sia incoerente. Effettivamente fa quello per cui è stato eletto.

Quella che invece sprofonda nella palude dell’incoerenza e dell’opportunismo più sfacciato è la sinistra riformista che alle ultime elezioni ha appoggiato la candidatura di Lepore convinta di riuscire così nell’impresa di spostare a “sinistra” il PD e i suoi notabili.

Ci correggiamo: Coalizione Civica sapeva perfettamente che questo non era possibile, tuttavia con la faccia tosta che solo le anime belle del riformismo in tutte le salse sanno mostrare, questo ha raccontato ad un elettorato che purtroppo si è illuso e l’ha votata.

Ovviamente anche a proposito di Coalizione Civica non possiamo stupirci. La parabola di questa formazione politica che voleva portare nell’amministrazione cittadina le istanze dei movimenti, è un film in replica ossessiva da decenni e sempre con lo stesso finale: il tradimento delle ragioni di quei movimenti e la loro dispersione.

Lo ripetiamo, a tutte le organizzazioni della sinistra di opposizione in città, politiche, associative e sindacali: non basta dire qualcosa di sinistra, dare consigli di buon governo di chi lo fa solo per favorire nel complesso la rapina sociale del capitale.

Occorre contrapporre a questo usuale governo borghese, che sia a Bologna, in altre città o in Italia, una prospettiva di rovesciamento sociale, di alternativa di società, un programma di governo basato sugli interessi della classe lavoratrice e delle classi popolari sue alleate, un programma anticapitalista, un programma rivoluzionario.

Quello per cui si è battuto il Partito Comunista dei Lavoratori alle elezioni comunali di Bologna dell’ottobre scorso.


PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

SEZ. DI BOLOGNA

Guerra in Ucraina, assemblea a Roma

 


Contro la NATO, contro Putin. Per un'Ucraina socialista e indipendente

Sabato 9 aprile alle 15:00

IL PCL si schiera contro questa guerra imperialista e contro gli imperialismi occidentali e l'imperialismo russo. Sosteniamo il diritto alla resistenza dei lavoratori e delle masse ucraine, indipendente dagli imperialismi, e contro qualsiasi forma di nazionalismo ucraino. Sosteniamo la classe operaia e l'autodeterminazione di tutte le minoranze oppresse. Pertanto, mentre sosteniamo il diritto ucraino all'autodeterminazione, sosteniamo anche i diritti del popolo di Crimea e degli abitanti delle province dell'Ucraina orientale a separarsi dal giogo reazionario dell'Ucraina. Siamo al fianco dei popoli che lottano per i propri diritti, contro la "protezione" di Putin e contro le minacce militari ucraine e delle potenze occidentali e della NATO.

Confrontiamoci e costruiamo insieme un'iniziativa indipendente internazionale di massa contro la guerra, contro l'imperialismo e contro il riarmo.

Interverranno:

Franco Grisolia (PCL), Eugenio Gemmo (PCL), Miguel Sorans (UIT-CI)


Appuntamento sabato 9 aprile ore 15:00 in Via Calpurnio Fiamma 136 (fermata metro A Lucio Sestio), Roma

Partito Comunista dei Lavoratori

No al riarmo!

 


Per una mobilitazione generale contro l'imperialismo di casa nostra

«Per difendere la sua pace oggi l'Europa deve prepararsi alla guerra. Non per combatterla, si spera, ma per dissuadere gli altri dal fargliela».

Così, il 10 marzo, il quotidiano di Confindustria saluta gli imponenti piani di riarmo che percorrono il vecchio continente. Come sempre, gli imperialismi preparano le guerre nel nome della pace.
La guerra in Ucraina è il pretesto. Il riarmo tedesco è la locomotiva.

L'imperialismo USA aveva chiesto da quasi un decennio agli imperialismi alleati di elevare al 2% del PIL le spese militari. Dovendo concentrarsi sulla grande sfida cinese, e alle prese con problemi di debito e di cassa, la più grande potenza imperialista vuole socializzare gli oneri finanziari della NATO tra tutti i membri dell'Alleanza. Partendo dalla vetta di 800 miliardi annui per la Difesa, l'imperialismo USA non può più reggere sulle proprie spalle i nuovi costi imposti dai venti di guerra.

Gli imperialismi europei, uno dopo l'altro, seguono la direttiva americana. Il 2% del PIL non è stabilito da alcun trattato, si fonda su un accordo politico. Per rispettare l'accordo tutti i governi imperialisti d'Europa hanno accresciuto negli ultimi dieci anni, chi più chi meno, i propri bilanci militari. Tutti. Non senza contraddizioni tra loro.
Il tema dell'esercito europeo è emblematico. Macron pochi mesi or sono aveva definito la NATO un “morto cerebrale”, candidando la Francia a guida di un militarismo continentale, in quanto unica potenza nucleare della UE dopo la Brexit. Ma gli stessi USA che sollecitano un maggior impegno militare degli alleati guardano con diffidenza le ambizioni francesi, temendo un parziale sganciamento europeo dalla NATO. Soprattutto l'imperialismo tedesco non è certo disposto a mettersi a rimorchio dei generali francesi. I 100 nuovi miliardi che la Germania destina al proprio riarmo – tutti presi dal proprio bilancio statale – sono anche una risposta indiretta alla Francia. E in prospettiva una ragione di sottile inquietudine per Parigi.

Impossibilitati a seguire il ritmo tedesco, gli altri imperialismi europei vorrebbero affidare i costi del proprio riarmo alle casse comuni dell'Unione Europea, attraverso il ricorso all'indebitamento continentale. Si è fatto il recovery fund per il Covid, perché non fare lo stesso per la difesa? Nuovo debito a carico dei salariati... Ma la richiesta cozza con l'interesse opposto dei capitalismi nordici, Germania inclusa, che premono invece per il ritorno alle vecchie regole fiscali del patto di stabilità. Dunque la stessa guerra russo-ucraina che sospinge il generale riarmo ripropone all'Unione Europea i nodi irrisolti della propria costruzione. Mentre l'emergenza bellica rilancia l'egemonia americana in Europa.

E l'Italia? L'imperialismo italiano è in prima fila nei piani di riarmo. Cerca di accreditarsi agli occhi degli USA come garante della compattezza NATO, a fronte delle velleità francesi e delle “ambiguità tedesche” verso la Russia.
Il riarmo italiano non è un fatto nuovo. Giuseppe Conte che oggi sbandiera ipocrite posture pacifiste per ragioni elettorali, ha diretto da Presidente del Consiglio un sensibile incremento delle spese militari: rispettivamente del 5% e del 7% nei due governi da lui presieduti. Peraltro Luigi Di Maio, suo concorrente interno di partito, sta studiando da gran commis della borghesia italiana proprio in fatto di politica estera e di difesa.

Dunque Italia “serva” di Washington, come recitano i nostri sovranisti? Niente affatto. L'imperialismo italiano segue la bussola dei propri interessi. In accordo con gli USA ma pensando a sé. Il Gruppo Leonardo è la principale azienda militare in Europa, per fatturato e numero dei dipendenti. Più di Airbus, BAE, MBDA, Indra. Persino il pensionato D'Alema si occupa di procurargli affari nella lontana Colombia. I suoi lobbisti sono di casa presso l'Agenzia europea della Difesa. Non a caso Leonardo ha incassato il grosso dei finanziamenti previsti, e oggi sta spingendo, col pieno supporto di Draghi, per una convenzione europea che riformi i trattati in direzione del potenziamento militare della UE. Quanto alle fortune economiche del gruppo, basta osservare l'impennata verticale delle azioni di Leonardo in Borsa lungo il mese della guerra Ucraina. I venti di guerra soffiano, come sempre, nelle vele dei profitti militari.

Ma il riarmo non è solo un fatto economico. Ogni Stato imperialista mette sul piatto delle proprie ambizioni politiche la forza della propria industria militare, che a sua volta è fattore decisivo della forza del proprio esercito. La guerra in Ucraina è una frustata alla competizione imperialista su scala globale. L'Italia non vuol restare indietro. La grande stampa liberaldemocratica ha indossato l'uniforme. L'avversione all'imperialismo russo è fattore di arruolamento dell'opinione pubblica dell'imperialismo italiano. L'isteria maccartista contro chi si oppone al riarmo misura la febbre dell'ora. «C'è un senso di pericolo imminente, rischio nucleare compreso, e di mobilitazione generale mai vista prima», insiste il quotidiano di Confindustria. La diserzione non è ammessa nell'ora del pericolo. I diritti di resistenza dell'Ucraina contro l'imperialismo russo diventano pretesto degli imperialismi rivali ai fini del grande riarmo.

Preparano la guerra perché preparano la guerra. È necessaria e urgente una mobilitazione di massa contro il riarmo, e contro gli imperialismi NATO che lo promuovono.

NON UN UOMO, NON UN SOLDO PER IL RIARMO!
IL NEMICO È IN CASA NOSTRA!
LA RIVOLUZIONE È L'UNICA VIA DELLA PACE

Partito Comunista dei Lavoratori

Solidarietà a USB contro le provocazioni


 Il Partito Comunista dei Lavoratori dichiara la propria solidarietà con il sindacato USB contro la provocazione di cui è stato oggetto.


La perquisizione stamane della sede nazionale di USB a Roma da parte dei carabinieri “alla ricerca di armi” è un fatto inaudito, tanto più se avvenuto, come sembra, sulla base di una segnalazione anonima. È il riflesso paradossale di un'isteria da clima di guerra che accompagna i piani di riarmo dell'imperialismo italiano e della NATO dopo l'invasione dell'Ucraina da parte dell'imperialismo russo, piani di riarmo oggi approvati in Parlamento dalla totalità dei partiti borghesi a sostegno dell'unità nazionale attorno a Draghi.

Contro la campagna bellicista dell'imperialismo di casa nostra, contro la militarizzazione dell'opinione pubblica, denunciamo questa azione dei Carabinieri come un gravissimo precedente, di cui chiamare a rispondere il Ministro degli Interni.

Giù le mani dal sindacato!

Crediamo importante la solidarietà unitaria e collettiva a USB da parte di tutte le sinistre politiche e sindacali.

Partito Comunista dei Lavoratori

Guerra in Ucraina. Intervista a Repubblica

 


Pubblichiamo un'intervista di Repubblica a Marco Ferrando, portavoce nazionale del PCL

FERRANDO SU PUTIN E LA GUERRA IN UCRAINA: "IL ROSSOBRUNISMO È REALTÀ INTERNAZIONALE, MALAPIANTA DELLO STALINISMO"


Marco Ferrando, fondatore del trotskista Partito comunista dei lavoratori, creato nel 2006 dopo aver sancito la rottura con Rifondazione comunista, ha alle spalle una lunga stagione di 'eresia' in tema di politica estera. Proprio per aver difeso il diritto degli iracheni alla propria resistenza fu depennato dalle liste elettorali del Prc durante la segretaria di Fausto Bertinotti. Oggi, dice, "anche gli ucraini hanno diritto alla difesa e all'autodeterminazione come popolo, in coerenza con l'insegnamento di Lenin".

Nell'area della sinistra radicale, i 'rossobruni' che invece difendono le ragioni della Russia esistono davvero? O sono una invenzione, o montatura, giornalistica?

"Il rossobrunismo è una realtà internazionale, che è esistito in Russia attorno all'esperienza di Limonov, esiste in Ucraina ai vertici delle repubbliche popolari soprattutto del Donbass, con Donetsk che mette fuorilegge cinque organizzazioni di sinistra, e anche di Lugansk. In Italia abbiamo il Partito comunista di Marco Rizzo, o ad esempio Patria socialista".


Che origine ha?

"È un prodotto ibrido di tante cose diverse: l'arretramento generale del mondo operaio, ma pure un effetto di rimbalzo dell'avversione al capitalismo e all'imperialismo".


Ma ritiene il rossobrunismo un fenomeno isolato, marginale, nella galassia della sinistra-sinistra?

"In termine organici è limitato, però la fascinazione culturale ha un bacino più esteso, ha una influenza indiretta che si esprime anche attraverso una sottovalutazione o una simpatia latente del putinismo. Rimuovendo le ragioni pubbliche della sua guerra: Putin in Russia l'ha presentato come un conflitto anticomunista, contro i bolscevichi, è curioso che oggi un comunista possa appoggiarla".


Però Putin ha anche parlato di 'denazificare' l'Ucraina, il che forse richiama antichi miti a sinistra.

"La costruzione rossubruna pesca nella grande guerra patriottica, ma quella è la rivendicazione dell'Urss come grande potenza, non come paese socialista. Poi certo che i nazisti in Ucraina ci sono, certo che il nazionalismo ucraino esiste, ma nello sciovinismo russo vediamo fenomeni simili, penso ad esempio a Dugin che rivendica la morte agli ucraini. Dopodiché aggiungo a scanso di equivoci che siamo per i diritti di autodeterminazione delle popolazioni russofile del Donbass, ma come lo si esercita questo diritto con delle truppe di occupazione in casa propria?".


Lei come definirebbe Putin?

"Un Bonaparte reazionario ai vertici di un apparato statale verticalizzato, capo di una grande borghesia erede della grande burocrazia staliniana, che ha dato vita a un gruppo monopolistico e capitalistico enorme: le prime 15 imprese del Paese hanno in mano il 51 per cento del Pil".


La Russia è uno stato imperialista?

"Lo è come per noi lo è la Cina, con la differenza che la seconda ha in corso uno sviluppo economico enorme, e può ambire a sottrarre l'egemonia mondiale agli Stati Uniti. La Russia è meno solida sul piano economica ma eredita una forza militare estesa che ora sta utilizzando con una politica neozarista. Sarà pure vero che la Russia vuole contenere la Nato ma allo stesso tempo cerca di inserirsi nelle debolezze degli Usa, non solo in senso difensivo, ma attivamente in mezzo mondo, penso alle milizie Wagner in giro per il mondo".


Cosa ne pensa dello slogan 'né con Putin né con la Nato' di Rifondazione?

"È anche uno dei nostri slogan, ma non il solo. Russia e Nato si contendono il controllo imperialistico dell'Ucraina, seppur con metodi diversi, per noi quindi il né-né significa contrapposizione al potere capitalistico su entrambi i fronti. Non abbiamo nulla a che spartire al Pd e ai partiti borghesi che oggi rivendicano il riarmo, le politiche di guerra e il maccartismo. Né siamo a favore delle sanzioni perché sono un meccanismo di guerra all'interno di questo imperialismo che poi ricade soprattutto sulle popolazioni".


Però l'invasione oggi è russa, la guerra è scatenata da Putin. Perché non limitarsi a prendere le distanze dalla Russia?

"Perché la Nato in mezzo c'è, le politiche del Fmi in Ucraina che hanno tagliato le spese sociali sono quelle di oppressione imperialistica occidentale. Se poi si aprisse un confronto aperto tra Nato e Russia, noi ci sposteremmo in una posizione di disfattismo bilaterale".


Gli ucraini, per voi, cosa possono fare?

"L'Ucraina è una nazione che ha subito un'oppressione prima zarista e poi staliniana, per noi è del tutto naturale la propria difesa, il principio di autodeterminazione non è in discussione ed è coerente con la nostra storia politica. Un diritto che difendiamo indipendentemente dal governo Zelensky, del quale siamo in opposizione, ma un principio è un principio".


Questo sostegno lo si può esprimere anche attraverso l'invio di armi?

"La resistenza è tale se ha a disposizione delle armi, la mitologia assolutista della non violenza si pone al di fuori della realtà e della lotta tra oppressi e oppressori. C'è un invio funzionale che si fa affinché l'Ucraina passi dall'influenza dell'imperialismo occidentale a quello russo, ma la Resistenza ha diritto a utilizzare ogni arma difensiva possibile. Poi ricordiamo che se ostacoli i bombardamenti o i carri armati le vite le salvi. In Parlamento voteremmo no all'invio di armamenti, però il diritto a usarle c'è tutto".


In Russia invece i comunisti come si stanno posizionando?

"Come PCL abbiamo un'organizzazione di riferimento, il Partito operaio rivoluzionario russo, che ha invitato a scioperare contro la guerra e ha tenuto una propria manifestazione a Mosca in occasione della fondazione dell'Armata rossa poco prima dell'inizio del conflitto. Viceversa il Partito comunista di Zjuganov ha votato i crediti di guerra e le misure restrittive in corso, inoltre ha espulso propri dirigenti che erano critici rispetto all'appoggio della guerra".


Da buon trotskista, lei direbbe - immagino - che alla fine il problema è sempre lo stalinismo.

"Se si pensa al rossobrunismo, sicuramente si sviluppa come malapianta dal ceppo dello stalinismo e tutte le tendenze di questo tipo hanno il mito di Stalin. Storicamente comunque Lenin rivendicava il principio di autodeterminazione, anche eventualmente come separazione, dei popoli dell'Unione sovietica. Contrariamente a Stalin. Noi oggi pensiamo che 'se vuoi la pace prepara la rivoluzione', una citazione di Karl Liebknecht, nel senso che la rivoluzione il rovesciamento del capitalismo è la condizione di una pace durevole e giusta".

Mattero Pucciarelli

In difesa del marxismo

 


Risposta alle polemiche contro il PCL sulla guerra in Ucraina

La posizione del PCL sulla guerra in Ucraina, ed in particolare l'articolo di Marco Ferrando Lenin e l'Ucraina. La questione nazionale e la guerra, sono stati oggetto di vivace polemica, o da parte di ambienti politici che, a ragione, si sono sentiti chiamati in causa, o di alcuni rispettabili “teorici” trotskisti dalla vocazione solitaria. Per parte nostra naturalmente nulla quaestio. Anzi, abbiamo sempre considerato il confronto politico e teorico tra rivoluzionari come una leva essenziale nella formazione politica dell'avanguardia e dei nostri stessi quadri. L'importante, come sempre, è impostare il confronto su basi di chiarezza e col livello di approfondimento imposto dai temi trattati.

Da questo punto di vista, siamo in presenza di due testi polemici di livello francamente molto diverso.

Il contributo del compagno Pasquale Cordua sulle pagine di Pungolo Rosso (1) è sicuramente apprezzabile per la generosità dello sforzo, ma contiene un impasto confuso di molti ingredienti impropri: artifici retorici al posto dell'analisi, deformazioni caricaturali delle altrui posizioni, e persino ridicole sciocchezze (come «sicuro voto a favore» del decreto Ucraina del governo Draghi da parte di un ipotetico parlamentare Ferrando).
Il testo del compagno Valerio Torre (2) ha invece una levatura obiettivamente diversa, cerca di affrontare con serietà la questione della guerra dal punto di vista della tradizione del marxismo rivoluzionario. Il suo grave limite sta in un'analisi profondamente sbagliata della natura della guerra in atto, e dunque nell'uso infelice e distorto delle citazioni. Tutte esatte e tutte sbagliate, perché estrapolate dal loro contesto e dunque private del loro vero significato. Paradossalmente, proprio l'errore che mi viene attribuito.

Entriamo allora nel merito.


LA NATURA DELLA CRITICA...

Entrambi i testi fondano la propria argomentazione sulla caratterizzazione della guerra in Ucraina come guerra interimperialista.

Per Cordua «Le dichiarazioni dei massimi rappresentanti dei paesi NATO... avrebbero dovuto far capire a chiunque che si tratta di una guerra USA-NATO contro Russia (non trascurando una strizzatina d’orecchio alla Cina) condotta militarmente sul territorio dell’Ucraina, usando cinicamente la popolazione ucraina in una guerra per procura. [...] non esiste più da tempo una “questione ucraina” aperta, di costituzione di una nazione indipendente, rispetto alla quale l’imperialismo russo sarebbe intervenuto... Inoltre tutto lo svolgimento degli avvenimenti... tutti gli aspetti anche militari, mostrano che l’obiettivo di Mosca non è quello di assoggettare l’Ucraina... ma di conseguire con la guerra obiettivi politici... di contenimento del fronte imperialistico avverso capeggiato da Usa-Nato, il cui espansionismo è innegabile. Forse è per questo che M.F. omette di parlare dei prodomi della vicenda bellica: paura di essere accusato di filoputinismo, di censure e gogne mediatiche, [!?!] o cos’altro?».
In Ferrando vi sarebbe dunque niente di meno che «una vera e propria assoluzione della politica bellicista ed espansionista della Nato e degli Usa che hanno imbottito di armi, di bande fasciste anti-russe e di governanti fantoccio tutte le ex repubbliche sovietiche».

Per Torre, analogamente, «Come si fa... a non vedere che la guerra offensiva del blocco Usa/Nato/Ue contro la Russia è già iniziata con l’Ucraina che assolve al ruolo di fanteria d’assalto? [...] All’ordine del giorno c’è proprio la guerra interimperialista che viene combattuta, come abbiamo già detto “per interposta nazione”».
Anche per Torre il vizio del PCL sarebbe quello di non inquadrare la guerra in Ucraina nel contesto storico globale della lotta tra campi imperialisti, finendo «per affidare proprio al blocco imperialista Usa/Nato/Ue la “salvezza” dell’Ucraina».

Seguono e precedono diverse citazioni di Lenin e di Trotsky mirate a spiegare che:
1) la natura della guerra non dipende da chi aggredisce e chi è aggredito ma dalla natura dei paesi in conflitto
2) le guerre nazionali e quelle interimperialiste hanno natura storica diversa (progressiste le prime, reazionarie le seconde)
3) la nozione di una guerra “non puramente imperialista” è di Kautsky e fu criticata da Lenin.

Di conseguenza «delle due l’una: o il PCL riafferma il carattere interimperialista di questa guerra, e allora deve praticare il disfattismo rivoluzionario gettando alle ortiche la rivendicazione del diritto alla resistenza e la difesa dello Stato nazionale ucraino così malamente richiamate; oppure conferma che si tratta di guerra di liberazione e di indipendenza nazionale da parte dell’Ucraina, ma deve cambiare la caratterizzazione generale della guerra».


...E IL SUO PRESUPPOSTO FALSO

Il punto clamorosamente debole di tutta questa costruzione polemica sta paradossalmente proprio nelle fondamenta su cui si appoggia: la rappresentazione della guerra in atto in Ucraina come guerra interimperialista già dispiegata. Cioè, se le parole hanno un senso, come l'inizio della terza guerra mondiale. Tutto il castello delle citazioni storiche si fonda su questo presupposto, o crolla con esso. Tutte le citazioni di Lenin sono del 1914-1915, hanno cioè come sfondo la prima guerra imperialista. Le citazioni di Trotsky hanno come sfondo la seconda guerra imperialista. Sia Lenin che Trotsky, giustamente, condannavano le posizioni che nel quadro di una guerra imperialista già dispiegata cercavano rifugio nella lotta delle singole nazionalità (i diritti nazionali della Serbia) o nella “lotta per la democrazia” (gli imperialismi democratici) occultando così la natura interimperialista della guerra stessa, e dunque la conclusione disfattista.

Condividiamo sino all'ultima virgola gli argomenti di Lenin e di Trotsky, e dunque le citazioni riportate, sia nel merito che nel metodo. Ma non sono le citazioni di Lenin o di Trotsky a spiegare la natura della guerra oggi in atto in Ucraina. Semmai è la natura della guerra in atto in Ucraina a dirci se quelle citazioni sono appropriate o abusive. E le cose non si mettono bene per i nostri critici.


IL CONTESTO MONDIALE DELLA GUERRA

Vediamo di intenderci. Come abbiamo già diffusamente spiegato, il PCL non mette affatto in discussione l'elemento interimperialista della guerra in Ucraina. Al contrario. Quando diciamo “Né con Putin né con la NATO” affermiamo esattamente questo. Ciò che naturalmente per noi non significa una posizione di equidistanza pacifista o di neutralità ma al contrario di contrapposizione attiva all'uno e all'altro imperialismo.

Questo scontro interimperialista non nasce oggi, ed è di portata mondiale. Ha preso forma dopo il crollo dell'URSS, con la politica espansionista e militarista dell'imperialismo USA, e il conseguente grande allargamento della NATO (anche in funzione dell'egemonia americana sugli imperialismi europei) nel corso degli anni '90 e nei primi anni 2000. Si è acutizzato enormemente con la grande crisi capitalistica mondiale del 2008, con la disfatta dell'imperialismo USA in Iraq e Afghanistan, e (soprattutto) con l'emersione in Oriente del nuovo imperialismo cinese.

La stessa genesi e rilancio dell'imperialismo russo è figlio di questo contesto internazionale. E non è affatto, come dice Cordua, un imperialismo solamente “difensivo”, mirato a contenere l'espansione NATO. È un imperialismo che rispolvera la propria politica di potenza in centro Asia, Siria, Libia, Caucaso, Mali, Burkina Faso, Repubblica Centrafricana, e persino in settori dell'America Latina, scambiando per lo più protezioni militari con concessioni minerarie e acquisti a debito di materie prime. Altro che pura politica di contenimento della NATO. È una politica che mira a capitalizzare a proprio vantaggio sia la crisi dell'egemonia USA su scala mondiale sia la polarizzazione planetaria dello scontro fra USA e Cina per la dominazione imperialistica del pianeta. Senza la disfatta dell'imperialismo USA in Afghanistan e la sua distrazione sul Pacifico contro la Cina, dubito che la Russia si sarebbe avventurata in una guerra d'invasione nel cuore dell'Europa. Senza la sponda economica e politica della Cina, come potrebbe reggere il peso delle sanzioni americane ed europee?

La guerra in Ucraina è dunque figlia di tutti questi elementi. Sia di quelli che tutti sappiamo e vediamo (incluso Cordua): la grande espansione della NATO nel precedente trentennio dopo il crollo dell'Unione Sovietica; sia di quelli che molti non vedono (tra cui Cordua): la volontà dell'imperialismo russo di riconquistare posizioni perdute, rilanciare la propria politica di potenza, modificare i rapporti di forza interimperialistici nella stessa Europa. L'accusa di non cogliere l'elemento interimperialistico di natura mondiale nella vicenda Ucraina non solo dunque è infondata, ma capovolge esattamente la realtà. Proprio il PCL, a differenza di altri, ha colto, in tutta la loro portata e su ogni versante, il quadro delle contraddizioni mondiali da cui nasce la guerra in atto. Non solo dal versante degli imperialismi NATO ma anche da quello dell'imperialismo russo.


UNA GUERRA MONDIALE?

Tuttavia il fatto che la guerra in Ucraina sia la risultante di contraddizioni interimperialiste su scala mondiale significa perciò stesso che si tratta di una guerra mondiale imperialista, cioè dell'inizio della terza guerra mondiale? Sia Cordua che Torre rispondono affermativamente, ed anzi fondano su questo giudizio tutta la propria polemica. Purtroppo per loro, questo giudizio è totalmente sballato.
Dopo aver rivendicato l'«analisi reale della situazione reale» (Cordua), si mostrano entrambi incapaci di analizzare la realtà. E non certo su un elemento di dettaglio. Dire che la guerra in Ucraina è una guerra per procura (Cordua) o per interposta nazione (Torre), che la popolazione ucraina è la «fanteria d'assalto» degli imperialismi, che l'Ucraina è solo il teatro della guerra interimperialista, può significare solo tre cose, o alternative o complementari (scelgano a piacere Cordua e Torre): o che gli imperialismi NATO hanno scelto di aprire la guerra mondiale contro la Russia (e la Cina) mandando avanti l'Ucraina; o che l'imperialismo russo ha scelto di aprire la guerra mondiale contro la NATO (presumibilmente col sostegno cinese) inaugurandola con l'invasione dell'Ucraina; o ancora entrambe le volontà in reciproca collisione.

Non contesto, sia chiaro, la legittimità di queste interpretazioni, quanto piuttosto la loro serietà. Certo, si può sempre giocare con la demagogia, sostituendo l'analisi marxista con lo slancio della retorica, o con la povertà dei sillogismi. Tipo: “se l'imperialismo NATO arma l'Ucraina (e sicuramente la arma da anni); se l'Ucraina è in guerra con la Russia (e indubbiamente lo è), non è allora evidente che lo scontro fra NATO e Russia è già una realtà e che la terza guerra mondiale è cominciata?”. Tutta l'argomentazione dei nostri critici si riduce in fondo a questa logica formale aristotelica. La dialettica marxista ne è disgraziatamente la prima vittima.

La vecchia dialettica di Marx ci spiega che è la quantità a trasformarsi in qualità, e che cogliere la distinzione, cioè la linea del trapasso, è centrale per capire il mondo reale e la complessità dei processi. Certo, gli imperialismi NATO sostengono militarmente l'Ucraina, addestrano le sue truppe, le offrono basi d'appoggio, per tutelare i propri interessi imperialisti. Ma al tempo stesso, con pubblico disappunto di Zelensky, rifiutano di concedere la no fly zone, non concedono missili a lunga gittata, non concedono aerei da combattimento, respingono la proposta polacca di una missione di pace in Ucraina... Sono fatti incontestabili quanto gli aiuti militari. Cosa significano politicamente? Significano, come chiunque può intendere, che la NATO oggi sceglie di non entrare direttamente in guerra contro la Russia e di ridurre il rischio di tale eventualità. Lo stesso vale sul lato opposto. La Russia ha invaso l'Ucraina, non la Polonia, la Lituania, l'Estonia, la Lettonia, paesi dell'Alleanza Atlantica. Significa che la Russia oggi vuole evitare la trascrescenza verso un conflitto frontale e globale. E le enormi difficoltà militari incontrate in Ucraina non le suggeriscono certo l'espansione della guerra.

Come abbiamo ripetutamente affermato, riconoscere questa evidenza non significa affatto minimizzare la possibilità di una guerra mondiale futura. E neppure negare la possibilità che l'attuale guerra in Ucraina possa trasformarsi nella miccia del grande incendio. Non lo riteniamo probabile, ma è assolutamente possibile. E naturalmente in ogni caso tutta la nostra campagna contro la guerra si fonda sulla denuncia del militarismo imperialista – innanzitutto del nostro imperialismo – e dei suoi possibili effetti catastrofici per lo stesso futuro del genere umano. Non a caso la nostra parola d'ordine centrale in tutte le manifestazioni pubbliche è il vecchio motto di Karl Liebknecht: “Se vuoi la pace prepara la rivoluzione”. Ieri come oggi, contro ogni illusione pacifista, e ogni abbellimento della democrazia imperialista, della sua diplomazia, dei suoi inganni.

Ma non c'è niente da fare. Per Cordua tutto questo è «ignavia attendista» (!?), è «disarmare in anticipo» i propri militanti (!?). Poiché «la possibilità futura va fermata oggi, o quanto meno va denunciata oggi... con queste premesse c’è da essere sicuri che al primo “incidente”, al primo missile su Mosca o su Varsavia Ferrando esclamerà un sonoro “ohibo’, è arrivato lo scenario drammatico!”» (sic).

È il caso di dire: quanta confusione, caro compagno, in così poche parole.
La guerra mondiale è una realtà presente o una possibilità futura? Non si capisce. Se è una possibilità futura, come noi crediamo, Cordua dovrebbe sentirsi appagato dalla nostra denuncia permanente di questo rischio, niente affatto attendista, e tanto meno ignava. Rappresentarla invece come realtà presente – e tutto il testo di Cordua si fonda su questo assunto – significa non solo negare l'evidenza, ma paradossalmente minare alla radice proprio la campagna contro la guerra imperialista. Se siamo già in guerra, se la catastrofe mondiale si è già prodotta, non c'è nessun futuro terribile da cui guardarsi che sia diverso dal nostro presente. Questo sì è disarmo preventivo della campagna contro la guerra. Per di più fondato su un'idiozia. Quando un missile cadrà su Mosca o su Varsavia, Cordua dirà: “E che sarà mai, in guerra ci siamo da un pezzo!”.


LA NATURA SPECIFICA DELLA GUERRA RUSSA ALL'UCRAINA

L'intero quadro delle contraddizioni interimperialistiche precipita oggi nella guerra dell'imperialismo russo contro la nazione ucraina. Questo è oggi incontestabilmente l'epicentro e l'attuale confine della guerra. Le sue potenzialità sono una guerra mondiale. La sua realtà in atto è lo scontro fra la Russia e l'Ucraina. Cogliere la distinzione tra i due livelli è tanto importante quanto individuare il loro nesso dialettico. Torre ci chiede di scegliere tra la caratterizzazione di una guerra imperialista internazionale o una guerra di indipendenza nazionale. Rispondo: si tratta dal versante ucraino di una guerra di indipendenza nazionale contro l'invasione dell'imperialismo russo, una guerra d'invasione consentita dalle contraddizioni interimperialistiche internazionali e con queste inevitabilmente intrecciata. Forse la risposta non soddisfa Torre, in compenso coglie la realtà.

Torre argomenta che tutti gli esempi storici da noi portati di guerre nazionali (Iraq 1991 e 2003, Serbia 1999, Argentina 1982, Turchia 1921, Cina 1937) riguarderebbero guerre isolate, dove l'«aggressione costituiva da sé sola l’unico e centrale elemento caratterizzante del conflitto o dell’invasione.», a differenza della guerra in Ucraina. Non è esattamente così. Le campagne imperialiste in Iraq, Serbia, Afghanistan, lungi dall'essere isolate dal quadro mondiale, descrivevano la linea di espansione dell'imperialismo USA dopo il crollo dell'URSS, a scapito dell'area di influenza russa. La guerra britannica contro la Turchia di Kemal Atatürk rientrava nella lotta di spartizione interimperialistica del Medio Oriente e dei Balcani, dopo il crollo ottomano (Kemal fu infatti armato oltre che dall'URSS dall'imperialismo italiano e francese). La guerra del Kuomintang cinese contro il Giappone si incrociò con la contesa mondiale tra i vecchi imperialismi coloniali, gli Stati Uniti e il Giappone circa l'egemonia in Asia, e infatti poté disporre del sostegno attivo di Churchill che addirittura propose (invano) a Mussolini ed a Hitler un fronte comune antigiapponese a sostegno della Cina.

Ma è vero che si trattò di guerre che, ciò nonostante, avevano la propria specificità: guerre tra una o più potenze imperialiste contro una nazione dipendente, non guerre interimperialistiche. La guerra dell'imperialismo russo all'Ucraina ha un carattere analogo. I suoi intrecci col quadro interimperialistico mondiale sono indubbiamente più stretti e diretti che in diverse guerre passate, entro un quadro internazionale in cui l'URSS non esiste più da trent'anni e dove sulle sue rovine sono emersi nuove potenze imperialiste. Ma resta oggi, al di là dei suoi intrecci, una guerra specifica tra una grande potenza imperialista e un paese dipendente, combattuta non casualmente sul territorio di quest'ultimo. È vero che nella caratterizzazione di una guerra si guarda alla natura dei soggetti in campo, non all'aggressore o all'aggredito, ma è indubbio che nel caso in questione la guerra d'invasione dell'aggressore è anche la carta d'identità del suo imperialismo e della sua politica di potenza.


IL NEGAZIONISMO DELL'IMPERIALISMO RUSSO

Cordua nega questa realtà. E insiste: «Ciò che rende per me inaccettabile nel metodo e nel merito l’analisi di M.F. è l’incomprensione della natura e delle caratteristiche del conflitto in atto, che non è tra l’imperialismo russo e la nazione ucraina sottomessa (forse si pensa ancora alle borghesie nazionali invocate da Stalin?)». Del resto «non esiste più da tempo una “questione ucraina” aperta, di costituzione di una nazione indipendente, rispetto alla quale l’imperialismo russo sarebbe intervenuto».
Ora, a prescindere da ciò che Cordua ritiene inaccettabile o meno (come si suol dire, ce ne faremo una ragione), c'è da restare davvero allibiti. Il 21 febbraio Vladimir Putin ha accusato frontalmente a reti unificate Lenin e i bolscevichi di aver inventato la nazione ucraina, concedendole il diritto di autodeterminazione: da qui la rivendicazione dell'Ucraina come terra russa, e la guerra di invasione per assoggettarla. Quale altro fatto può misurare la drammatica esistenza della questione ucraina in modo più diretto ed efficace della pubblica dichiarazione del Bonaparte di Mosca?

Siamo in presenza di un caso clamoroso di negazionismo. Non solo della storia dell'Ucraina ma della sua realtà. Presi dalla giusta denuncia dell'imperialismo di casa nostra, si nega (Cordua) o si sottovaluta (Torre) l'imperialismo russo e le questioni nazionali che esso sottende.
Naturalmente la denuncia dell'imperialismo di casa nostra è sempre il compito principale: Lenin attaccò ferocemente i socialisti tedeschi che denunciavano solamente l'imperialismo russo, e i socialisti francesi e britannici che denunciavano solo l'imperialismo tedesco. Il loro antimperialismo era solo la maschera ipocrita del proprio sciovinismo nazionalistico. E tuttavia Lenin attaccò anche quei socialisti russi – il Bund, ad esempio – che, all'opposto, erano avversari dello zarismo russo ma ignoravano l'imperialismo tedesco o ne abbellivano i caratteri. Parlò ripetutamente di «germanofilia» proprio per denunciare questo fenomeno. Del resto tutta la polemica allora centrale contro i vertici della socialdemocrazia tedesca era contro la loro subordinazione all'imperialismo tedesco, avversario dell'imperialismo russo.

La verità è che Lenin guardava sempre ai compiti della rivoluzione russa dall'angolo di visuale della rivoluzione internazionale e dell'interesse internazionale del movimento operaio. È una lezione che parla anche a noi. La strisciante putinofilia, diversamente graduata, che oggi è presente in alcuni ambienti della sinistra può essere anche, come nel caso dei nostri critici, una reazione riflessa dell'odio sacrosanto contro il proprio imperialismo (mentre in altri casi convive con forme di sovranismo sciovinista), ma resta una postura profondamente sbagliata, e quella sì inaccettabile, per usare il tono di Cordua. Tanto più a fronte della guerra in Ucraina.

In fondo è una forma di dipendenza capovolta dalla propria borghesia. Se il nostro imperialismo attacca Putin, per i propri interessi imperialisti, allora “forse Putin non è così male”, forse “le sue responsabilità non sono così grandi”, forse “i suoi obiettivi sono limitati”, forse “non poteva fare altrimenti”, e così via discorrendo. Nei fatti, un abbellimento dell'imperialismo in guerra, e la rinuncia a difendere la nazione che questo aggredisce.


LA NOSTRA DIFESA DELL'UCRAINA

La difesa dell'Ucraina dalla guerra d'invasione dell'imperialismo russo è un compito del movimento operaio internazionale; discende dalla natura della guerra oggi in atto. Questo compito non è affatto in contraddizione con la denuncia di tutti gli interessi imperialistici che si affacciano e si intrecciano nello scenario di guerra, ma rifiuta di rimuovere l'elemento centrale dello scontro militare oggi in atto, la sua valenza nazionale, il suo retroterra storico. L'argomento di Torre secondo cui la nostra difesa dell'Ucraina affidare proprio al blocco imperialista USA/NATO/UE la salvezza dell’Ucraina è un totale nonsenso. Vi sono alcune correnti del movimento trotskista internazionale che con le loro posizioni finiscono col dare argomenti a questo genere di accuse. Mi riferisco al sostegno alle sanzioni, all'appello ai governi imperialisti per l'invio delle armi, alla richiesta di rottura delle relazioni diplomatiche con la Russia oggi avanzata ad esempio dalla LIT-CI e dalla UIT-CI. Non condividiamo queste posizioni e le critichiamo pubblicamente. Vengono, non a caso, da organizzazioni e tendenze che presentarono come rivoluzione il movimento reazionario di piazza Maidan del 2014. Non apparteniamo a questa scuola.

Non sosteniamo nessuna delle misure del nostro imperialismo contro la Russia. Non partecipiamo a nessun segmento della sua guerra contro un imperialismo rivale, sia essa una guerra economica o diplomatica. A maggior ragione siamo contro ogni misura di riarmo del nostro imperialismo, e contro ogni economia di guerra. Denunciamo tutte queste politiche come parte di una guerra che non ci appartiene, perché è la guerra dei nostri nemici di classe. Per dirla con Lenin, di una banda di rapinatori contro un'altra banda di rapinatori. Il fine immediato di questa guerra è preservare il proprio controllo imperialista sull'Ucraina e impedire che essa ritorni sotto il controllo dell'imperialismo rivale. Il suo obiettivo strategico è ampliare il proprio bottino nella spartizione delle zone d'influenza e degli equilibri mondiali contro il blocco imperialista russo-cinese. I suoi metodi, oltretutto, come nel caso delle sanzioni, pesano sui lavoratori russi (e italiani) ben più che sui capitalisti russi. E per di più offrono argomenti allo sciovinismo grande-russo di Putin, lo stesso peraltro con cui le borghesie d'Occidente e i loro ambienti politici più reazionari hanno intrattenuto a più riprese rapporti d'affari e complicità di varia natura.

Difendiamo l'Ucraina dall'angolo di visuale esattamente opposto: quello del movimento operaio, dei suoi interessi immediati, della sua prospettiva di emancipazione. È la stessa ragione per cui difendiamo e abbiamo difeso ogni nazione dipendente in guerra contro una potenza imperialista che l'attacca e l'invade. Tutti gli esempi storici che abbiamo portato e che Torre contesta rientrano perfettamente in questo quadro. Tutti. In ognuno di questi casi abbiamo difeso il diritto di resistenza delle nazioni dipendenti contro le potenze imperialiste, indipendentemente dalla natura dei loro governi e/o delle loro direzioni politiche. È la politica di Lenin.


A PROPOSITO DELL'ESEMPIO STORICO DELLA SERBIA 1914

Il parallelo con la situazione della Serbia del 1914, lungi dall'essere l'argomento forte di Torre, ne rivela la debolezza disarmante. Certo, se la guerra in atto fosse l'equivalente della guerra mondiale del 1914-'18, la guerra russo-ucraina sarebbe semplicemente un suo risvolto minore, il suo elemento nazionale sarebbe riassorbito nella guerra mondiale, la difesa dell'Ucraina non avrebbe alcun senso, come non lo aveva in quel contesto la difesa della Serbia. Il disfattismo bilaterale su tutti i fronti sarebbe la conclusione obbligata della politica rivoluzionaria. Ma è il presupposto analitico che è completamente falso. Proprio riferendosi alla Serbia Lenin parlava della «centesima parte dei partecipanti alla guerra odierna». Potremmo dire oggi la stessa cosa dell'Ucraina in rapporto alla guerra in atto? Ancora Lenin: «Il fattore nazionale della guerra serbo-austriaca non ha e non può avere alcuna seria importanza nella guerra europea. Se vincerà la Germania, essa si annetterà il Belgio, ancora una parte della Polonia e, forse anche, parte della Francia, ecc. Se vincerà la Russia, essa si annetterà la Galizia, un’altra parte della Polonia, l’Armenia, ecc. Se la guerra sarà “pari e patta”, sussisterà la vecchia oppressione nazionale».
In questo quadro, e solo in questo quadro, la guerra tra Serbia ed Austria non comportava la difesa della Serbia. Viceversa, «Se questa guerra fosse isolata... tutti i socialisti avrebbero l’obbligo di desiderare il successo della borghesia serba.». È questo il caso in relazione alla guerra russo-ucraina.

Quando Kautsky evocava la guerra serbo-austriaca per spiegare che la guerra europea non era “puramente imperialista”, e dunque per giustificare il proprio opportunismo verso la grande guerra imperialista, Lenin giustamente sferzava l'ipocrisia di Kautsky. Si parva licet, Torre evoca la Grande guerra del 1914-'18 per giustificare la mancata difesa dell'Ucraina dall'invasione dell'imperialismo russo nel febbraio 2022. Le citazioni sono importanti, ma è anche importante saperle fare.

Nella guerra russo-ucraina il PCL applica lo stesso metodo rigoroso dei marxisti rivoluzionari conseguenti in tutta la loro storia. La difesa della nazione oppressa nella guerra con un paese imperialista è una costante della tradizione marxista. Lo stesso Torre non può negarlo, e non lo nega. L'unica eccezione al riguardo è in presenza di una guerra interimperialista mondiale o continentale, condizione oggi assente, checché ne dicano Torre e Cordua.

La difesa della nazione oppressa contro il paese imperialista è incondizionata. Prescinde cioè dalla natura del governo e/o della direzione politica della nazione oppressa. Il Saddam Hussein del 1991 e 2003, il regime di Milosevic nel 1999, la direzione talebana nell'Afghanistan del 2001, non erano meglio dell'attuale regime di Zelensky. Eppure la difesa dell'Iraq, della Serbia, dell'Afghanistan dalle guerre d'occupazione degli imperialismi NATO fu un dovere dei rivoluzionari. Perché non dovrebbe valere lo stesso criterio di fondo nella difesa dell'Ucraina dalla guerra d'invasione dell'imperialismo russo? Cordua cita a ragione di scandalo la presenza, indiscutibile, di organizzazioni fasciste nella resistenza ucraina. Ma se è per quello, perché tacere di un'analoga presenza nel corpo organizzato dello sciovinismo grande-russo, con un peso specifico assai maggiore e al servizio di un apparato militare assai più potente perché imperialista? La vera linea di distinzione in questa guerra non è tra democrazia e progresso, né tra fascismo e antifascismo. È tra una potenza imperialista e una nazione dipendente. È la distinzione di fondo che segna la collocazione dei rivoluzionari.


L'AUTONOMIA DAL NAZIONALISMO REAZIONARIO UCRAINO

Difesa incondizionata della nazione oppressa non significa mai difesa subalterna. Questo punto è della massima importanza. Difendere l'Ucraina dall'invasione dell'imperialismo russo non deve comportare un solo grammo di fiducia politica a Zelensky, o anche solo di attenuazione dell'opposizione classista nei suoi confronti. I marxisti non sono mai nazionalisti, neanche all'interno delle nazioni oppresse. Tanto meno lo possono essere nei confronti di un nazionalismo di tipo reazionario come quello che oggi governa l'Ucraina.

La difesa militare non è la difesa politica. Non abbiamo mai sostenuto politicamente i Saddam, i Milosevic, i Mohammed Omar, e neppure, nella memoria storica, i Chiang Kai-shek, i Kemal Atatürk o i Hailé Selassié. Nella difesa di una nazione oppressa i marxisti tutelano sempre l'indipendenza della classe operaia, cioè l'autonomia del proprio progetto rivoluzionario. Questo sì è un principio incondizionato. La stessa difesa della nazione oppressa dalla guerra imperialista contro di essa è in funzione dell'egemonia alternativa nel movimento nazionale di liberazione. Un deputato comunista nella Rada ucraina sarebbe all'opposizione del governo Zelensky, non voterebbe la fiducia e neppure i crediti di guerra. Perché con ciò non voterebbe semplicemente il sostegno alla guerra ma anche la direzione politica nazionalista reazionaria della guerra stessa.

Sparare nella stessa direzione non significa compromettersi nella linea politica di un'altra classe. Persino nella guerra civile spagnola Trotsky sosteneva che i rivoluzionari non dovevano votare i crediti di guerra del governo di fronte popolare di Negrin. Perché sparare contro i militari di Franco era un dovere, sostenere politicamente la gestione staliniana della guerra no. Fu la divergenza centrale con la linea del POUM. Se era vero persino sullo sfondo di una rivoluzione proletaria, a maggior ragione è vero nel quadro di una guerra nazionale.

Un'organizzazione rivoluzionaria in Ucraina, nelle condizioni attuali, prenderebbe parte alla resistenza popolare, lavorerebbe a conquistarsi un posto di combattimento nella guerra, rivendicherebbe un programma di misure anticapitaliste a sostegno della resistenza stessa in aperta contrapposizione a Zelensky: l'esproprio degli oligarchi e delle loro ricchezze per finanziare la resistenza, la cancellazione del debito estero verso gli imperialismi occidentali e il FMI, la requisizione delle grandi proprietà immobiliari per le esigenze dei rifugiati. Un programma di resistenza nazionale declinato dal versante della classe lavoratrice.

Sicuramente lavorerebbe contro il nazionalismo ucraino, contro la negazione dei diritti delle popolazioni russofone, per il loro diritto di autodeterminazione e dunque di separazione. Che è la condizione decisiva per ricomporre l'unità tra i salariati ucraini dell'est e dell'ovest, e al tempo stesso un ponte verso i lavoratori russi. Naturalmente l'incidenza di questa politica dipenderebbe dalla maggiore o minore consistenza della presenza rivoluzionaria, ma è certo che in ogni caso questa linea d'intervento, apertamente opposta a quella di Zelensky e degli imperialismi NATO, è inseparabile dalla scelta del fronte della resistenza contro le forze imperialiste di occupazione. Ogni diserzione politica dal fronte della resistenza contro l'imperialismo russo sarebbe il più grande regalo al nazionalismo borghese e reazionario di Zelensky. Oltre che naturalmente, in primo luogo, all'imperialismo russo.


LA QUESTIONE DELLE ARMI

La posizione da assumere sulla questione delle armi all'Ucraina è la risultante di questo posizionamento politico e strategico rivoluzionario. Deve tenere insieme la difesa dell'Ucraina contro l'imperialismo russo e l'indipendenza politica di classe contro il governo Zelensky e gli imperialismi NATO che lo sostengono.
Se difendiamo la resistenza ucraina dalla guerra d'invasione dell'imperialismo russo non possiamo rimuovere la questione delle armi. Lo possono fare i pacifisti piccolo-borghesi, non lo possono fare i rivoluzionari. Tutte le elucubrazioni della galassia ideologica nonviolenta possono, forse, guadagnare il plauso di Papa Francesco, ma non possono rispondere alla necessità concreta di difendere case, scuole, fabbriche, dai bombardamenti e dalla violenza degli occupanti. L'idea secondo cui concretamente l'invio di armi difensive moltiplica i morti tra la popolazione civile è l'esatto capovolgimento della verità e della logica. Gli strumenti di difesa contro carri armati e aerei a bassa quota sono quelli che hanno contrastato e ridotto i bombardamenti e impedito l'ingresso dei carri armati nelle stragrande maggioranza delle città. Senza di essi, sofferenze e morti tra la popolazione civile sarebbero stati ben superiori, e non minori. Nei fatti, al di là di ogni intenzione, il rifiuto ideologico delle armi e dunque della resistenza armata all'occupante è di fatto una proposta di resa, a tutto beneficio dell'imperialismo russo.

Al tempo stesso i rivoluzionari non possono sostenere l'invio di armi da parte dei governi imperialisti occidentali, per la stessa ragione per cui non potrebbero votare i crediti di guerra (neppure in Ucraina): l'invio di armi da parte dei governi imperialisti è un'espressione della loro politica di controllo sull'Ucraina, di una sua subordinazione al carro dei propri interessi. Il loro obiettivo è sostenere la resistenza quel tanto che basta per negoziare con l'imperialismo russo. I diritti di autodeterminazione dell'Ucraina e delle sue minoranze russofone sono solo la variabile dipendente degli interessi degli imperialisti stessi e della loro partita negoziale. Merce di scambio e nulla più, nelle migliori tradizioni dell'imperialismo.
I marxisti rivoluzionari non solo non possono sostenere ma debbono apertamente denunciare le finalità politiche del sostegno NATO all'Ucraina, il sostegno della corda all'impiccato.

Sulla questione delle armi c'è allora un solo modo di tenere insieme la difesa dell'Ucraina dall'imperialismo russo e l'indipendenza politica dal proprio imperialismo. Non sostenere l'invio delle armi, denunciando la sua finalità politica, e al tempo stesso rivendicare il diritto dell'Ucraina a usarle, indipendentemente dalla loro provenienza, non boicottando questo diritto. È questa una contraddizione? Si, lo è. Ma non è una contraddizione della nostra posizione, è una contraddizione della situazione oggettiva. Oggettivamente oggi non esiste né un'organizzazione internazionale del movimento operaio che possa provvedere autonomamente all'invio degli strumenti di difesa necessari, né un'organizzazione e movimento di classe in Ucraina che possa essere il destinatario di questo invio. È la realtà. Se questi presupposti esistessero, sarebbe non solo possibile ma necessario provvedere alla resistenza ucraina attraverso questi canali. Purtroppo non vi sono. In queste condizioni, se i rivoluzionari si opponessero attivamente all'invio di armi all'Ucraina (fermo restando in ogni caso e sempre la denuncia politica delle finalità imperialiste dell'invio), negherebbero di fatto all'Ucraina il diritto alla resistenza contro l'occupante. Non sarebbe una buona politica. Non è il metodo dei rivoluzionari.


IL METODO DI TROTSKY

Anche in questo caso, con buona pace di Torre, esistono esempi storici preziosi, legati all'esperienza del movimento rivoluzionario e alla sue riflessioni. Basta saperle capire.

Abbiamo citato la risposta di Trotsky ad alcuni critici ultrasinistri circa la politica proletaria in tempo di guerra. Vediamo meglio di cosa si tratta. Le Tesi del segretariato della Quarta Internazionale sulla guerra affermavano che un partito rivoluzionario, pur restando in ogni paese imperialista all'opposizione irriducibile del proprio governo, avrebbe dovuto articolare la propria politica pratica in ciascun paese in base alla situazione interna e ai raggruppamenti internazionali, distinguendo uno Stato operaio da uno Stato borghese, un paese coloniale da un paese imperialista. I critici ultrasinistri videro in questa formulazione l'abbandono del principio della politica disfattista. Trotsky rispose a questa obiezione scolastica con un argomento esemplificativo:

«Poniamo che in una colonia francese, l'Algeria, sorga domani un'insurrezione sotto la bandiera dell'indipendenza nazionale e che il governo italiano, spinto dai propri interessi imperialisti, si disponga a fornire armi ai ribelli. Quale dovrebbe essere l'atteggiamento degli operai italiani? Faccio volutamente l'esempio di una sollevazione contro un imperialismo democratico e di un intervento a favore dei ribelli da parte di un imperialismo fascista. Gli operai italiani dovrebbero opporsi a inviare dei battelli di carichi d'armi per gli algerini? Che qualche ultrasinistro osi rispondere affermativamente a tale domanda! Ogni rivoluzionario, a fianco degli operai italiani e dei ribelli algerini, respingerebbe con indignazione una tale risposta. Persino se si sviluppasse nell'Italia fascista uno sciopero generale dei portuali, in quel caso gli scioperanti dovrebbero fare un'eccezione a favore dei lavoratori marittimi che vanno a portare un aiuto agli schiavi della colonia in rivolta. In caso contrario sarebbero dei pietosi sindacalisti, non dei rivoluzionari proletari. [...] Forse questo significherebbe che gli operai italiani addolciscono nel caso in questione la propria lotta contro il regime fascista? Neppure per sogno. Il fascismo porta il proprio “aiuto" agli algerini al solo scopo di indebolire il proprio nemico, la Francia, e appropriarsi delle sue colonie. Gli operai rivoluzionari italiani non lo dimenticano per un solo istante. Essi si appellano agli algerini perché non diano la minima fiducia al loro perfido “alleato” e nello stesso tempo proseguono la propria lotta contro il fascismo, “il principale nemico all'interno del loro proprio paese”. È solamente così che essi possono guadagnare la fiducia dei ribelli, aiutare la ribellione stessa, e rinforzare le loro proprie posizioni rivoluzionarie”» (3).

È un esempio di scuola della politica rivoluzionaria. Mostra che l'intransigenza dei principi non è in contraddizione con la duttilità della pratica, ma la richiede. E che viceversa ogni declinazione dei principi in forma astratta entra in contraddizione con la politica rivoluzionaria.

Il compagno Torre contesta l'uso della citazione nel nome delle differenze tra l'Algeria del 1938 e l'Ucraina del 2022. Afferma che l'Ucraina non è una colonia, ma «il classico vaso di coccio tra due vasi di ferro – entrambi riprovevoli – e la sua popolazione vuole stringersi nell’abbraccio mortale con uno dei due vasi cercando di sfuggire all’abbraccio altrettanto mortale con l’altro; è il topo che è conteso da due serpenti affamati, il quale crede di sfuggire alle fauci dell’uno gettandosi con tutto il cuore in quelle dell’altro». Segue l'immancabile riferimento al battaglione Azov.

Purtroppo il compagno Torre indica il dito perché non vede la luna. Il punto centrale dell'argomentazione di Trotsky, e di tutto l'articolo in questione, e dei molti altri esempi che porta, non riguarda affatto la natura dell'Algeria, ma il metodo politico dei rivoluzionari. Cioè la necessità di padroneggiare le contraddizioni avversarie per i propri fini. Ovviamente l'Ucraina non è l'Algeria. Ma se è per quello, neppure l'Italia di oggi è il regime di Mussolini. Non è questo il punto. Il punto è se in una guerra che contrappone un paese dipendente a un paese imperialista, i rivoluzionari del campo imperialista debbono sostenere o no la resistenza del paese dipendente anche usando per i propri scopi le contraddizioni internazionali dell'imperialismo. La risposta di Trotsky è sì. Assolutamente sì. Ciò non significa affatto abdicare alla politica rivoluzionaria, ma realizzarla. Non opporsi all'invio di armi all'Ucraina non significa né rinunciare a denunciare politicamente le finalità politiche del nostro imperialismo (e dunque dello stesso “aiuto” militare) né sostenere politicamente il governo reazionario di Zelensky. Significa, parafasando Trotsky, cercare di guadagnare la fiducia dei resistenti, aiutare la resistenza, rafforzare le proprie posizioni rivoluzionarie.

Sì, la nazione ucraina è come un «topo che è conteso da due serpenti», per usare la rappresentazione di Torre. Ma con lo spiacevole dettaglio che uno dei due serpenti ha preso a mordere il topo con tutte le proprie forze per ucciderlo e poi divorarlo, e l'altro lo tiene in vita per sottrarlo al primo e continuare ad opprimerlo meglio. Questa differenza, che a Torre sfugge, non sfugge a chi oggi è sotto le bombe di una guerra d'invasione. Torre rifiuta di aiutare “il topo” contro i bombardamenti rimproverandogli di non aver capito la natura di chi l'aiuta. Noi diciamo al “topo” di usare ogni aiuto per salvare la pelle – perché è suo diritto – spiegandogli al tempo stesso i fini imperialisti di chi l'aiuta (l'altro serpente), e continuando l'opposizione irriducibile al suo “aiutante”, cioè all'imperialismo di casa nostra. Non abbiamo dubbi su quale oggi sarebbe, nel caso concreto, la posizione di Trotsky.


GLI ESEMPI STORICI E LA LORO SCUOLA.
LENINISMO E SCOLASTICA DOTTRINARIA


È infatti il metodo che Trotsky ha usato sempre, indipendentemente dalla natura politica dei governi dei paesi dipendenti.

Nel 1936 di fronte alla guerra d'invasione dell'imperialismo italiano in Etiopia, Trotsky disse: «Naturalmente noi siamo per la disfatta dell'Italia e la vittoria dell'Etiopia, e di conseguenza, noi dobbiamo fare tutto il possibile per ostacolare con tutti i mezzi disponibili il sostegno all'Italia da parte di altre potenze imperialiste, e, al tempo stesso, facilitare l'invio di armamenti all'Etiopia nel modo migliore». Per la precisione, l'invio di armi all'Etiopia fu fatto non solo dall'imperialismo britannico ma anche dalla Germania nazista (tre aereoplani, 10000 fucili Mauser, 10 milioni di munizioni), in risposta alla freddezza di Mussolini di fronte all'invasione tedesca dell'Austria. Quanto all'imperatore Salassié, non era esattamente un faro del progresso. Ma una sconfitta dell'imperialismo italiano in Etiopia, anche in virtù delle contraddizioni imperialiste, avrebbe potuto favorire la rivoluzione in Europa ben più di quanto la vittoria del Negus avrebbe potuto ostacolarla.

Nella guerra d'invasione dell'imperialismo giapponese contro la Cina del Kuomintang, guidata da Chiang Kai-shek (1937), Trotsky usò lo stesso metodo. Sostenne apertamente la resistenza cinese (armata anche dall'imperialismo britannico) polemizzando con lo scolasticismo retorico di chi gli contestava il sostegno a Chiang Kai-shek:

«Chiang Kai-shek? Noi non dobbiamo farci alcuna illusione su Chiang Kai-shek, sul suo partito e sull'insieme della classe dirigente della Cina, non più di quanto Marx ed Engels si fecero illusioni sulle classi dirigenti di Irlanda e di Polonia. Chiang Kai-shek è il massacratore degli operai e dei contadini cinesi. Ma oggi è costretto suo malgrado a combattere il Giappone affinché la Cina conservi la sua indipendenza. Domani potrà tradire di nuovo È possibile. È probabile. È persino inevitabile. Ma oggi si batte. Solo... degli imbecilli completi possono rifiutarsi di prendere parte a questa lotta... Partecipare alla lotta militare sotto il comando di Chiang Kai-shek, sino a quando sfortunatamente egli dirige la guerra di indipendenza, per preparare politicamente il rovesciamento di Chiang Kai-shek... questa è la sola politica rivoluzionaria».

Eppure Chiang Kai-shek era colui che aveva soffocato nel sangue la rivoluzione proletaria in Cina nel 1927 (grazie alla politica staliniana) con decine di migliaia di comunisti trucidati. La lotta per l'indipendenza del proletariato dalla borghesia nazionale del Kuomintang fu la genesi stessa del trotskismo in Cina. Ma la lotta politica irriducibile contro il Kuomintang e il suo capo non poteva esprimersi nelle stesse forme a fronte della guerra d'invasione dell'imperialismo giapponese. Solo prendendo parte alla lotta contro il Giappone, militarmente al fianco del Kuomintang, si poteva preparare politicamente l'alternativa proletaria al Kuomintang borghese.

«Se “la guerra è la continuità della politica ma con altri mezzi”, come affermava il teorico militare tedesco Von Clausewitz, allora vuol dire che la politica proletaria in tempo di guerra dev'essere la continuità della politica proletaria in tempo di pace» afferma Trotsky. E nella politica proletaria in tempo di pace possono prodursi i casi più svariati. Ad esempio:

«Un'attitudine intransigente verso il militarismo borghese non significa affatto che il proletariato entra in lotta in tutti i casi contro il proprio esercito nazionale... Se domani i fascisti francesi cercano di attivare un colpo di Stato e il governo Daladier si trova costretto a usare l'esercito contro i fascisti, gli operai rivoluzionari, mantenendo sempre un'indipendenza politica completa, lotterebbero contro i fascisti al fianco delle truppe. Anzi, in alcuni casi, potrebbero essere costretti non solamente a tollerarle ma persino a sostenere attivamente delle misure pratiche del governo borghese».

Facciamo un esempio per così dire “sindacale”. Supponiamo che in una fabbrica, dalla composizione proletaria arretrata (sindacalmente e politicamente), il padrone licenzi i propri dipendenti; che in questa fabbrica la direzione sindacale della lotta contro i licenziamenti sia il sindacato giallo UGL; che altri capitalisti, per ragioni di concorrenza col padrone che licenzia o magari di complicità con quel sindacato giallo nella propria azienda, diano un aiuto sottobanco agli scioperanti. Un rivoluzionario proletario dovrebbe disertare la lotta contro il padrone che licenzia solo perché la lotta è diretta da un sindacato giallo, o dovrebbe prendere parte alla lotta per smascherare nel processo stesso di quella lotta il vero volto di quel sindacato e delle sue complicità padronali? La scelta di collocazione dei rivoluzionari è sempre legata alla natura di classe dello scontro, non alla sua direzione. Vale nello scontro fra operaio e padrone sul piano sindacale come nello scontro fra nazione dipendente e imperialismo in caso di guerra. La lotta per una direzione proletaria alternativa si fa partecipando allo scontro, non estraniandosi da questo. È la differenza tra una politica marxista e un'attitudine settaria.

La politica leninista, cui si richiama Trotsky, non è una scolastica dottrinaria, al di sopra del tempo e dello spazio, una summa teologica di schemi imbalsamati a dispetto della realtà. Sa coniugare la fermezza dei principi con la duttilità della tattica, che è il solo modo di difendere e fortificare i principi stessi. Se la politica rivoluzionaria fosse unicamente e sempre la pura negazione formale delle misure della borghesia, sacrificherebbe paradossalmente la propria autonomia. Si ridurrebbe a una forma di dipendenza dall'avversario, seppur capovolta. Proprio Trotsky ha chiarito bene questo concetto:

«Nella grande maggioranza dei casi gli operai mettono giustamente il segno meno là dove la borghesia mette il segno più. Tuttavia in un cero numero di casi si trovano costretti a mettere lo stesso segno della borghesia... nel momento stesso in cui esprimono la propria sfiducia verso la borghesia. La politica del proletariato non si deduce automaticamente dalla politica della borghesia mettendo il segno contrario, nel qual caso ogni settario sarebbe un grande stratega. No, il partito rivoluzionario deve orientarsi ogni volta in modo indipendente nella situazione interna ed estera, prendendo le decisioni che corrispondono nel modo migliore agli interessi del proletariato. Questa regola riguarda sia il tempo di guerra che il tempo di pace».

E ancora:

«La politica disfattista, cioè la politica della lotta di classe intransigente durante la guerra, non può essere la “stessa” in tutto il paese, proprio come non può essere una sola e unica politica del proletariato in tempo di pace. È solamente il Comintern degli epigoni che ha stabilito un regime per cui i partiti di ogni paese alzano nello stesso momento il piede sinistro. Nella lotta contro questo cretinismo burocratico, noi abbiamo mostrato più di una volta che i principi e i compiti generali debbono essere applicati in ogni paese in base alle condizioni interne ed esterne. Questo principio conserva totalmente il proprio valore in tempo di guerra. Gli ultrasinistri che non vogliono pensare in modo marxista, cioè concretamente, saranno presi di sorpresa dalla guerra. La loro politica durante la guerra sarà il fatale coronamento della loro politica in tempo di pace. I primi colpi di cannone getteranno gli ultrasinistri nella loro nullità o li spingeranno nel campo del socialpatriottismo, per le stesse ragioni per cui gli anarchici spagnoli, negatori assoluti dello Stato, sono diventati durante la guerra ministri borghesi. Per condurre una giusta politica in tempo di guerra, bisogna imparare a pensare correttamente in tempo di pace».

Non c'è nulla da aggiungere.





(1) In risposta a Marco Ferrando, sulla guerra in Ucraina, https://pungolorosso.wordpress.com/2022/03/25/in-risposta-a-marco-ferrando-sulla-guerra-in-ucraina-pasquale-cordua/

(2) La guerra in Ucraina e il social-sciovinismo dei giorni nostri, https://www.assaltoalcielo.it/2022/03/27/la-guerra-in-ucraina-e-il-social-sciovinismo-dei-giorni-nostri/

(3) Il faut apprendre à penser. Conseil amical à l'adresse de certains ultra-gauches, Quatrième Internationale n. 10, luglio 1938

Marco Ferrando