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In difesa del marxismo

 


Risposta alle polemiche contro il PCL sulla guerra in Ucraina

La posizione del PCL sulla guerra in Ucraina, ed in particolare l'articolo di Marco Ferrando Lenin e l'Ucraina. La questione nazionale e la guerra, sono stati oggetto di vivace polemica, o da parte di ambienti politici che, a ragione, si sono sentiti chiamati in causa, o di alcuni rispettabili “teorici” trotskisti dalla vocazione solitaria. Per parte nostra naturalmente nulla quaestio. Anzi, abbiamo sempre considerato il confronto politico e teorico tra rivoluzionari come una leva essenziale nella formazione politica dell'avanguardia e dei nostri stessi quadri. L'importante, come sempre, è impostare il confronto su basi di chiarezza e col livello di approfondimento imposto dai temi trattati.

Da questo punto di vista, siamo in presenza di due testi polemici di livello francamente molto diverso.

Il contributo del compagno Pasquale Cordua sulle pagine di Pungolo Rosso (1) è sicuramente apprezzabile per la generosità dello sforzo, ma contiene un impasto confuso di molti ingredienti impropri: artifici retorici al posto dell'analisi, deformazioni caricaturali delle altrui posizioni, e persino ridicole sciocchezze (come «sicuro voto a favore» del decreto Ucraina del governo Draghi da parte di un ipotetico parlamentare Ferrando).
Il testo del compagno Valerio Torre (2) ha invece una levatura obiettivamente diversa, cerca di affrontare con serietà la questione della guerra dal punto di vista della tradizione del marxismo rivoluzionario. Il suo grave limite sta in un'analisi profondamente sbagliata della natura della guerra in atto, e dunque nell'uso infelice e distorto delle citazioni. Tutte esatte e tutte sbagliate, perché estrapolate dal loro contesto e dunque private del loro vero significato. Paradossalmente, proprio l'errore che mi viene attribuito.

Entriamo allora nel merito.


LA NATURA DELLA CRITICA...

Entrambi i testi fondano la propria argomentazione sulla caratterizzazione della guerra in Ucraina come guerra interimperialista.

Per Cordua «Le dichiarazioni dei massimi rappresentanti dei paesi NATO... avrebbero dovuto far capire a chiunque che si tratta di una guerra USA-NATO contro Russia (non trascurando una strizzatina d’orecchio alla Cina) condotta militarmente sul territorio dell’Ucraina, usando cinicamente la popolazione ucraina in una guerra per procura. [...] non esiste più da tempo una “questione ucraina” aperta, di costituzione di una nazione indipendente, rispetto alla quale l’imperialismo russo sarebbe intervenuto... Inoltre tutto lo svolgimento degli avvenimenti... tutti gli aspetti anche militari, mostrano che l’obiettivo di Mosca non è quello di assoggettare l’Ucraina... ma di conseguire con la guerra obiettivi politici... di contenimento del fronte imperialistico avverso capeggiato da Usa-Nato, il cui espansionismo è innegabile. Forse è per questo che M.F. omette di parlare dei prodomi della vicenda bellica: paura di essere accusato di filoputinismo, di censure e gogne mediatiche, [!?!] o cos’altro?».
In Ferrando vi sarebbe dunque niente di meno che «una vera e propria assoluzione della politica bellicista ed espansionista della Nato e degli Usa che hanno imbottito di armi, di bande fasciste anti-russe e di governanti fantoccio tutte le ex repubbliche sovietiche».

Per Torre, analogamente, «Come si fa... a non vedere che la guerra offensiva del blocco Usa/Nato/Ue contro la Russia è già iniziata con l’Ucraina che assolve al ruolo di fanteria d’assalto? [...] All’ordine del giorno c’è proprio la guerra interimperialista che viene combattuta, come abbiamo già detto “per interposta nazione”».
Anche per Torre il vizio del PCL sarebbe quello di non inquadrare la guerra in Ucraina nel contesto storico globale della lotta tra campi imperialisti, finendo «per affidare proprio al blocco imperialista Usa/Nato/Ue la “salvezza” dell’Ucraina».

Seguono e precedono diverse citazioni di Lenin e di Trotsky mirate a spiegare che:
1) la natura della guerra non dipende da chi aggredisce e chi è aggredito ma dalla natura dei paesi in conflitto
2) le guerre nazionali e quelle interimperialiste hanno natura storica diversa (progressiste le prime, reazionarie le seconde)
3) la nozione di una guerra “non puramente imperialista” è di Kautsky e fu criticata da Lenin.

Di conseguenza «delle due l’una: o il PCL riafferma il carattere interimperialista di questa guerra, e allora deve praticare il disfattismo rivoluzionario gettando alle ortiche la rivendicazione del diritto alla resistenza e la difesa dello Stato nazionale ucraino così malamente richiamate; oppure conferma che si tratta di guerra di liberazione e di indipendenza nazionale da parte dell’Ucraina, ma deve cambiare la caratterizzazione generale della guerra».


...E IL SUO PRESUPPOSTO FALSO

Il punto clamorosamente debole di tutta questa costruzione polemica sta paradossalmente proprio nelle fondamenta su cui si appoggia: la rappresentazione della guerra in atto in Ucraina come guerra interimperialista già dispiegata. Cioè, se le parole hanno un senso, come l'inizio della terza guerra mondiale. Tutto il castello delle citazioni storiche si fonda su questo presupposto, o crolla con esso. Tutte le citazioni di Lenin sono del 1914-1915, hanno cioè come sfondo la prima guerra imperialista. Le citazioni di Trotsky hanno come sfondo la seconda guerra imperialista. Sia Lenin che Trotsky, giustamente, condannavano le posizioni che nel quadro di una guerra imperialista già dispiegata cercavano rifugio nella lotta delle singole nazionalità (i diritti nazionali della Serbia) o nella “lotta per la democrazia” (gli imperialismi democratici) occultando così la natura interimperialista della guerra stessa, e dunque la conclusione disfattista.

Condividiamo sino all'ultima virgola gli argomenti di Lenin e di Trotsky, e dunque le citazioni riportate, sia nel merito che nel metodo. Ma non sono le citazioni di Lenin o di Trotsky a spiegare la natura della guerra oggi in atto in Ucraina. Semmai è la natura della guerra in atto in Ucraina a dirci se quelle citazioni sono appropriate o abusive. E le cose non si mettono bene per i nostri critici.


IL CONTESTO MONDIALE DELLA GUERRA

Vediamo di intenderci. Come abbiamo già diffusamente spiegato, il PCL non mette affatto in discussione l'elemento interimperialista della guerra in Ucraina. Al contrario. Quando diciamo “Né con Putin né con la NATO” affermiamo esattamente questo. Ciò che naturalmente per noi non significa una posizione di equidistanza pacifista o di neutralità ma al contrario di contrapposizione attiva all'uno e all'altro imperialismo.

Questo scontro interimperialista non nasce oggi, ed è di portata mondiale. Ha preso forma dopo il crollo dell'URSS, con la politica espansionista e militarista dell'imperialismo USA, e il conseguente grande allargamento della NATO (anche in funzione dell'egemonia americana sugli imperialismi europei) nel corso degli anni '90 e nei primi anni 2000. Si è acutizzato enormemente con la grande crisi capitalistica mondiale del 2008, con la disfatta dell'imperialismo USA in Iraq e Afghanistan, e (soprattutto) con l'emersione in Oriente del nuovo imperialismo cinese.

La stessa genesi e rilancio dell'imperialismo russo è figlio di questo contesto internazionale. E non è affatto, come dice Cordua, un imperialismo solamente “difensivo”, mirato a contenere l'espansione NATO. È un imperialismo che rispolvera la propria politica di potenza in centro Asia, Siria, Libia, Caucaso, Mali, Burkina Faso, Repubblica Centrafricana, e persino in settori dell'America Latina, scambiando per lo più protezioni militari con concessioni minerarie e acquisti a debito di materie prime. Altro che pura politica di contenimento della NATO. È una politica che mira a capitalizzare a proprio vantaggio sia la crisi dell'egemonia USA su scala mondiale sia la polarizzazione planetaria dello scontro fra USA e Cina per la dominazione imperialistica del pianeta. Senza la disfatta dell'imperialismo USA in Afghanistan e la sua distrazione sul Pacifico contro la Cina, dubito che la Russia si sarebbe avventurata in una guerra d'invasione nel cuore dell'Europa. Senza la sponda economica e politica della Cina, come potrebbe reggere il peso delle sanzioni americane ed europee?

La guerra in Ucraina è dunque figlia di tutti questi elementi. Sia di quelli che tutti sappiamo e vediamo (incluso Cordua): la grande espansione della NATO nel precedente trentennio dopo il crollo dell'Unione Sovietica; sia di quelli che molti non vedono (tra cui Cordua): la volontà dell'imperialismo russo di riconquistare posizioni perdute, rilanciare la propria politica di potenza, modificare i rapporti di forza interimperialistici nella stessa Europa. L'accusa di non cogliere l'elemento interimperialistico di natura mondiale nella vicenda Ucraina non solo dunque è infondata, ma capovolge esattamente la realtà. Proprio il PCL, a differenza di altri, ha colto, in tutta la loro portata e su ogni versante, il quadro delle contraddizioni mondiali da cui nasce la guerra in atto. Non solo dal versante degli imperialismi NATO ma anche da quello dell'imperialismo russo.


UNA GUERRA MONDIALE?

Tuttavia il fatto che la guerra in Ucraina sia la risultante di contraddizioni interimperialiste su scala mondiale significa perciò stesso che si tratta di una guerra mondiale imperialista, cioè dell'inizio della terza guerra mondiale? Sia Cordua che Torre rispondono affermativamente, ed anzi fondano su questo giudizio tutta la propria polemica. Purtroppo per loro, questo giudizio è totalmente sballato.
Dopo aver rivendicato l'«analisi reale della situazione reale» (Cordua), si mostrano entrambi incapaci di analizzare la realtà. E non certo su un elemento di dettaglio. Dire che la guerra in Ucraina è una guerra per procura (Cordua) o per interposta nazione (Torre), che la popolazione ucraina è la «fanteria d'assalto» degli imperialismi, che l'Ucraina è solo il teatro della guerra interimperialista, può significare solo tre cose, o alternative o complementari (scelgano a piacere Cordua e Torre): o che gli imperialismi NATO hanno scelto di aprire la guerra mondiale contro la Russia (e la Cina) mandando avanti l'Ucraina; o che l'imperialismo russo ha scelto di aprire la guerra mondiale contro la NATO (presumibilmente col sostegno cinese) inaugurandola con l'invasione dell'Ucraina; o ancora entrambe le volontà in reciproca collisione.

Non contesto, sia chiaro, la legittimità di queste interpretazioni, quanto piuttosto la loro serietà. Certo, si può sempre giocare con la demagogia, sostituendo l'analisi marxista con lo slancio della retorica, o con la povertà dei sillogismi. Tipo: “se l'imperialismo NATO arma l'Ucraina (e sicuramente la arma da anni); se l'Ucraina è in guerra con la Russia (e indubbiamente lo è), non è allora evidente che lo scontro fra NATO e Russia è già una realtà e che la terza guerra mondiale è cominciata?”. Tutta l'argomentazione dei nostri critici si riduce in fondo a questa logica formale aristotelica. La dialettica marxista ne è disgraziatamente la prima vittima.

La vecchia dialettica di Marx ci spiega che è la quantità a trasformarsi in qualità, e che cogliere la distinzione, cioè la linea del trapasso, è centrale per capire il mondo reale e la complessità dei processi. Certo, gli imperialismi NATO sostengono militarmente l'Ucraina, addestrano le sue truppe, le offrono basi d'appoggio, per tutelare i propri interessi imperialisti. Ma al tempo stesso, con pubblico disappunto di Zelensky, rifiutano di concedere la no fly zone, non concedono missili a lunga gittata, non concedono aerei da combattimento, respingono la proposta polacca di una missione di pace in Ucraina... Sono fatti incontestabili quanto gli aiuti militari. Cosa significano politicamente? Significano, come chiunque può intendere, che la NATO oggi sceglie di non entrare direttamente in guerra contro la Russia e di ridurre il rischio di tale eventualità. Lo stesso vale sul lato opposto. La Russia ha invaso l'Ucraina, non la Polonia, la Lituania, l'Estonia, la Lettonia, paesi dell'Alleanza Atlantica. Significa che la Russia oggi vuole evitare la trascrescenza verso un conflitto frontale e globale. E le enormi difficoltà militari incontrate in Ucraina non le suggeriscono certo l'espansione della guerra.

Come abbiamo ripetutamente affermato, riconoscere questa evidenza non significa affatto minimizzare la possibilità di una guerra mondiale futura. E neppure negare la possibilità che l'attuale guerra in Ucraina possa trasformarsi nella miccia del grande incendio. Non lo riteniamo probabile, ma è assolutamente possibile. E naturalmente in ogni caso tutta la nostra campagna contro la guerra si fonda sulla denuncia del militarismo imperialista – innanzitutto del nostro imperialismo – e dei suoi possibili effetti catastrofici per lo stesso futuro del genere umano. Non a caso la nostra parola d'ordine centrale in tutte le manifestazioni pubbliche è il vecchio motto di Karl Liebknecht: “Se vuoi la pace prepara la rivoluzione”. Ieri come oggi, contro ogni illusione pacifista, e ogni abbellimento della democrazia imperialista, della sua diplomazia, dei suoi inganni.

Ma non c'è niente da fare. Per Cordua tutto questo è «ignavia attendista» (!?), è «disarmare in anticipo» i propri militanti (!?). Poiché «la possibilità futura va fermata oggi, o quanto meno va denunciata oggi... con queste premesse c’è da essere sicuri che al primo “incidente”, al primo missile su Mosca o su Varsavia Ferrando esclamerà un sonoro “ohibo’, è arrivato lo scenario drammatico!”» (sic).

È il caso di dire: quanta confusione, caro compagno, in così poche parole.
La guerra mondiale è una realtà presente o una possibilità futura? Non si capisce. Se è una possibilità futura, come noi crediamo, Cordua dovrebbe sentirsi appagato dalla nostra denuncia permanente di questo rischio, niente affatto attendista, e tanto meno ignava. Rappresentarla invece come realtà presente – e tutto il testo di Cordua si fonda su questo assunto – significa non solo negare l'evidenza, ma paradossalmente minare alla radice proprio la campagna contro la guerra imperialista. Se siamo già in guerra, se la catastrofe mondiale si è già prodotta, non c'è nessun futuro terribile da cui guardarsi che sia diverso dal nostro presente. Questo sì è disarmo preventivo della campagna contro la guerra. Per di più fondato su un'idiozia. Quando un missile cadrà su Mosca o su Varsavia, Cordua dirà: “E che sarà mai, in guerra ci siamo da un pezzo!”.


LA NATURA SPECIFICA DELLA GUERRA RUSSA ALL'UCRAINA

L'intero quadro delle contraddizioni interimperialistiche precipita oggi nella guerra dell'imperialismo russo contro la nazione ucraina. Questo è oggi incontestabilmente l'epicentro e l'attuale confine della guerra. Le sue potenzialità sono una guerra mondiale. La sua realtà in atto è lo scontro fra la Russia e l'Ucraina. Cogliere la distinzione tra i due livelli è tanto importante quanto individuare il loro nesso dialettico. Torre ci chiede di scegliere tra la caratterizzazione di una guerra imperialista internazionale o una guerra di indipendenza nazionale. Rispondo: si tratta dal versante ucraino di una guerra di indipendenza nazionale contro l'invasione dell'imperialismo russo, una guerra d'invasione consentita dalle contraddizioni interimperialistiche internazionali e con queste inevitabilmente intrecciata. Forse la risposta non soddisfa Torre, in compenso coglie la realtà.

Torre argomenta che tutti gli esempi storici da noi portati di guerre nazionali (Iraq 1991 e 2003, Serbia 1999, Argentina 1982, Turchia 1921, Cina 1937) riguarderebbero guerre isolate, dove l'«aggressione costituiva da sé sola l’unico e centrale elemento caratterizzante del conflitto o dell’invasione.», a differenza della guerra in Ucraina. Non è esattamente così. Le campagne imperialiste in Iraq, Serbia, Afghanistan, lungi dall'essere isolate dal quadro mondiale, descrivevano la linea di espansione dell'imperialismo USA dopo il crollo dell'URSS, a scapito dell'area di influenza russa. La guerra britannica contro la Turchia di Kemal Atatürk rientrava nella lotta di spartizione interimperialistica del Medio Oriente e dei Balcani, dopo il crollo ottomano (Kemal fu infatti armato oltre che dall'URSS dall'imperialismo italiano e francese). La guerra del Kuomintang cinese contro il Giappone si incrociò con la contesa mondiale tra i vecchi imperialismi coloniali, gli Stati Uniti e il Giappone circa l'egemonia in Asia, e infatti poté disporre del sostegno attivo di Churchill che addirittura propose (invano) a Mussolini ed a Hitler un fronte comune antigiapponese a sostegno della Cina.

Ma è vero che si trattò di guerre che, ciò nonostante, avevano la propria specificità: guerre tra una o più potenze imperialiste contro una nazione dipendente, non guerre interimperialistiche. La guerra dell'imperialismo russo all'Ucraina ha un carattere analogo. I suoi intrecci col quadro interimperialistico mondiale sono indubbiamente più stretti e diretti che in diverse guerre passate, entro un quadro internazionale in cui l'URSS non esiste più da trent'anni e dove sulle sue rovine sono emersi nuove potenze imperialiste. Ma resta oggi, al di là dei suoi intrecci, una guerra specifica tra una grande potenza imperialista e un paese dipendente, combattuta non casualmente sul territorio di quest'ultimo. È vero che nella caratterizzazione di una guerra si guarda alla natura dei soggetti in campo, non all'aggressore o all'aggredito, ma è indubbio che nel caso in questione la guerra d'invasione dell'aggressore è anche la carta d'identità del suo imperialismo e della sua politica di potenza.


IL NEGAZIONISMO DELL'IMPERIALISMO RUSSO

Cordua nega questa realtà. E insiste: «Ciò che rende per me inaccettabile nel metodo e nel merito l’analisi di M.F. è l’incomprensione della natura e delle caratteristiche del conflitto in atto, che non è tra l’imperialismo russo e la nazione ucraina sottomessa (forse si pensa ancora alle borghesie nazionali invocate da Stalin?)». Del resto «non esiste più da tempo una “questione ucraina” aperta, di costituzione di una nazione indipendente, rispetto alla quale l’imperialismo russo sarebbe intervenuto».
Ora, a prescindere da ciò che Cordua ritiene inaccettabile o meno (come si suol dire, ce ne faremo una ragione), c'è da restare davvero allibiti. Il 21 febbraio Vladimir Putin ha accusato frontalmente a reti unificate Lenin e i bolscevichi di aver inventato la nazione ucraina, concedendole il diritto di autodeterminazione: da qui la rivendicazione dell'Ucraina come terra russa, e la guerra di invasione per assoggettarla. Quale altro fatto può misurare la drammatica esistenza della questione ucraina in modo più diretto ed efficace della pubblica dichiarazione del Bonaparte di Mosca?

Siamo in presenza di un caso clamoroso di negazionismo. Non solo della storia dell'Ucraina ma della sua realtà. Presi dalla giusta denuncia dell'imperialismo di casa nostra, si nega (Cordua) o si sottovaluta (Torre) l'imperialismo russo e le questioni nazionali che esso sottende.
Naturalmente la denuncia dell'imperialismo di casa nostra è sempre il compito principale: Lenin attaccò ferocemente i socialisti tedeschi che denunciavano solamente l'imperialismo russo, e i socialisti francesi e britannici che denunciavano solo l'imperialismo tedesco. Il loro antimperialismo era solo la maschera ipocrita del proprio sciovinismo nazionalistico. E tuttavia Lenin attaccò anche quei socialisti russi – il Bund, ad esempio – che, all'opposto, erano avversari dello zarismo russo ma ignoravano l'imperialismo tedesco o ne abbellivano i caratteri. Parlò ripetutamente di «germanofilia» proprio per denunciare questo fenomeno. Del resto tutta la polemica allora centrale contro i vertici della socialdemocrazia tedesca era contro la loro subordinazione all'imperialismo tedesco, avversario dell'imperialismo russo.

La verità è che Lenin guardava sempre ai compiti della rivoluzione russa dall'angolo di visuale della rivoluzione internazionale e dell'interesse internazionale del movimento operaio. È una lezione che parla anche a noi. La strisciante putinofilia, diversamente graduata, che oggi è presente in alcuni ambienti della sinistra può essere anche, come nel caso dei nostri critici, una reazione riflessa dell'odio sacrosanto contro il proprio imperialismo (mentre in altri casi convive con forme di sovranismo sciovinista), ma resta una postura profondamente sbagliata, e quella sì inaccettabile, per usare il tono di Cordua. Tanto più a fronte della guerra in Ucraina.

In fondo è una forma di dipendenza capovolta dalla propria borghesia. Se il nostro imperialismo attacca Putin, per i propri interessi imperialisti, allora “forse Putin non è così male”, forse “le sue responsabilità non sono così grandi”, forse “i suoi obiettivi sono limitati”, forse “non poteva fare altrimenti”, e così via discorrendo. Nei fatti, un abbellimento dell'imperialismo in guerra, e la rinuncia a difendere la nazione che questo aggredisce.


LA NOSTRA DIFESA DELL'UCRAINA

La difesa dell'Ucraina dalla guerra d'invasione dell'imperialismo russo è un compito del movimento operaio internazionale; discende dalla natura della guerra oggi in atto. Questo compito non è affatto in contraddizione con la denuncia di tutti gli interessi imperialistici che si affacciano e si intrecciano nello scenario di guerra, ma rifiuta di rimuovere l'elemento centrale dello scontro militare oggi in atto, la sua valenza nazionale, il suo retroterra storico. L'argomento di Torre secondo cui la nostra difesa dell'Ucraina affidare proprio al blocco imperialista USA/NATO/UE la salvezza dell’Ucraina è un totale nonsenso. Vi sono alcune correnti del movimento trotskista internazionale che con le loro posizioni finiscono col dare argomenti a questo genere di accuse. Mi riferisco al sostegno alle sanzioni, all'appello ai governi imperialisti per l'invio delle armi, alla richiesta di rottura delle relazioni diplomatiche con la Russia oggi avanzata ad esempio dalla LIT-CI e dalla UIT-CI. Non condividiamo queste posizioni e le critichiamo pubblicamente. Vengono, non a caso, da organizzazioni e tendenze che presentarono come rivoluzione il movimento reazionario di piazza Maidan del 2014. Non apparteniamo a questa scuola.

Non sosteniamo nessuna delle misure del nostro imperialismo contro la Russia. Non partecipiamo a nessun segmento della sua guerra contro un imperialismo rivale, sia essa una guerra economica o diplomatica. A maggior ragione siamo contro ogni misura di riarmo del nostro imperialismo, e contro ogni economia di guerra. Denunciamo tutte queste politiche come parte di una guerra che non ci appartiene, perché è la guerra dei nostri nemici di classe. Per dirla con Lenin, di una banda di rapinatori contro un'altra banda di rapinatori. Il fine immediato di questa guerra è preservare il proprio controllo imperialista sull'Ucraina e impedire che essa ritorni sotto il controllo dell'imperialismo rivale. Il suo obiettivo strategico è ampliare il proprio bottino nella spartizione delle zone d'influenza e degli equilibri mondiali contro il blocco imperialista russo-cinese. I suoi metodi, oltretutto, come nel caso delle sanzioni, pesano sui lavoratori russi (e italiani) ben più che sui capitalisti russi. E per di più offrono argomenti allo sciovinismo grande-russo di Putin, lo stesso peraltro con cui le borghesie d'Occidente e i loro ambienti politici più reazionari hanno intrattenuto a più riprese rapporti d'affari e complicità di varia natura.

Difendiamo l'Ucraina dall'angolo di visuale esattamente opposto: quello del movimento operaio, dei suoi interessi immediati, della sua prospettiva di emancipazione. È la stessa ragione per cui difendiamo e abbiamo difeso ogni nazione dipendente in guerra contro una potenza imperialista che l'attacca e l'invade. Tutti gli esempi storici che abbiamo portato e che Torre contesta rientrano perfettamente in questo quadro. Tutti. In ognuno di questi casi abbiamo difeso il diritto di resistenza delle nazioni dipendenti contro le potenze imperialiste, indipendentemente dalla natura dei loro governi e/o delle loro direzioni politiche. È la politica di Lenin.


A PROPOSITO DELL'ESEMPIO STORICO DELLA SERBIA 1914

Il parallelo con la situazione della Serbia del 1914, lungi dall'essere l'argomento forte di Torre, ne rivela la debolezza disarmante. Certo, se la guerra in atto fosse l'equivalente della guerra mondiale del 1914-'18, la guerra russo-ucraina sarebbe semplicemente un suo risvolto minore, il suo elemento nazionale sarebbe riassorbito nella guerra mondiale, la difesa dell'Ucraina non avrebbe alcun senso, come non lo aveva in quel contesto la difesa della Serbia. Il disfattismo bilaterale su tutti i fronti sarebbe la conclusione obbligata della politica rivoluzionaria. Ma è il presupposto analitico che è completamente falso. Proprio riferendosi alla Serbia Lenin parlava della «centesima parte dei partecipanti alla guerra odierna». Potremmo dire oggi la stessa cosa dell'Ucraina in rapporto alla guerra in atto? Ancora Lenin: «Il fattore nazionale della guerra serbo-austriaca non ha e non può avere alcuna seria importanza nella guerra europea. Se vincerà la Germania, essa si annetterà il Belgio, ancora una parte della Polonia e, forse anche, parte della Francia, ecc. Se vincerà la Russia, essa si annetterà la Galizia, un’altra parte della Polonia, l’Armenia, ecc. Se la guerra sarà “pari e patta”, sussisterà la vecchia oppressione nazionale».
In questo quadro, e solo in questo quadro, la guerra tra Serbia ed Austria non comportava la difesa della Serbia. Viceversa, «Se questa guerra fosse isolata... tutti i socialisti avrebbero l’obbligo di desiderare il successo della borghesia serba.». È questo il caso in relazione alla guerra russo-ucraina.

Quando Kautsky evocava la guerra serbo-austriaca per spiegare che la guerra europea non era “puramente imperialista”, e dunque per giustificare il proprio opportunismo verso la grande guerra imperialista, Lenin giustamente sferzava l'ipocrisia di Kautsky. Si parva licet, Torre evoca la Grande guerra del 1914-'18 per giustificare la mancata difesa dell'Ucraina dall'invasione dell'imperialismo russo nel febbraio 2022. Le citazioni sono importanti, ma è anche importante saperle fare.

Nella guerra russo-ucraina il PCL applica lo stesso metodo rigoroso dei marxisti rivoluzionari conseguenti in tutta la loro storia. La difesa della nazione oppressa nella guerra con un paese imperialista è una costante della tradizione marxista. Lo stesso Torre non può negarlo, e non lo nega. L'unica eccezione al riguardo è in presenza di una guerra interimperialista mondiale o continentale, condizione oggi assente, checché ne dicano Torre e Cordua.

La difesa della nazione oppressa contro il paese imperialista è incondizionata. Prescinde cioè dalla natura del governo e/o della direzione politica della nazione oppressa. Il Saddam Hussein del 1991 e 2003, il regime di Milosevic nel 1999, la direzione talebana nell'Afghanistan del 2001, non erano meglio dell'attuale regime di Zelensky. Eppure la difesa dell'Iraq, della Serbia, dell'Afghanistan dalle guerre d'occupazione degli imperialismi NATO fu un dovere dei rivoluzionari. Perché non dovrebbe valere lo stesso criterio di fondo nella difesa dell'Ucraina dalla guerra d'invasione dell'imperialismo russo? Cordua cita a ragione di scandalo la presenza, indiscutibile, di organizzazioni fasciste nella resistenza ucraina. Ma se è per quello, perché tacere di un'analoga presenza nel corpo organizzato dello sciovinismo grande-russo, con un peso specifico assai maggiore e al servizio di un apparato militare assai più potente perché imperialista? La vera linea di distinzione in questa guerra non è tra democrazia e progresso, né tra fascismo e antifascismo. È tra una potenza imperialista e una nazione dipendente. È la distinzione di fondo che segna la collocazione dei rivoluzionari.


L'AUTONOMIA DAL NAZIONALISMO REAZIONARIO UCRAINO

Difesa incondizionata della nazione oppressa non significa mai difesa subalterna. Questo punto è della massima importanza. Difendere l'Ucraina dall'invasione dell'imperialismo russo non deve comportare un solo grammo di fiducia politica a Zelensky, o anche solo di attenuazione dell'opposizione classista nei suoi confronti. I marxisti non sono mai nazionalisti, neanche all'interno delle nazioni oppresse. Tanto meno lo possono essere nei confronti di un nazionalismo di tipo reazionario come quello che oggi governa l'Ucraina.

La difesa militare non è la difesa politica. Non abbiamo mai sostenuto politicamente i Saddam, i Milosevic, i Mohammed Omar, e neppure, nella memoria storica, i Chiang Kai-shek, i Kemal Atatürk o i Hailé Selassié. Nella difesa di una nazione oppressa i marxisti tutelano sempre l'indipendenza della classe operaia, cioè l'autonomia del proprio progetto rivoluzionario. Questo sì è un principio incondizionato. La stessa difesa della nazione oppressa dalla guerra imperialista contro di essa è in funzione dell'egemonia alternativa nel movimento nazionale di liberazione. Un deputato comunista nella Rada ucraina sarebbe all'opposizione del governo Zelensky, non voterebbe la fiducia e neppure i crediti di guerra. Perché con ciò non voterebbe semplicemente il sostegno alla guerra ma anche la direzione politica nazionalista reazionaria della guerra stessa.

Sparare nella stessa direzione non significa compromettersi nella linea politica di un'altra classe. Persino nella guerra civile spagnola Trotsky sosteneva che i rivoluzionari non dovevano votare i crediti di guerra del governo di fronte popolare di Negrin. Perché sparare contro i militari di Franco era un dovere, sostenere politicamente la gestione staliniana della guerra no. Fu la divergenza centrale con la linea del POUM. Se era vero persino sullo sfondo di una rivoluzione proletaria, a maggior ragione è vero nel quadro di una guerra nazionale.

Un'organizzazione rivoluzionaria in Ucraina, nelle condizioni attuali, prenderebbe parte alla resistenza popolare, lavorerebbe a conquistarsi un posto di combattimento nella guerra, rivendicherebbe un programma di misure anticapitaliste a sostegno della resistenza stessa in aperta contrapposizione a Zelensky: l'esproprio degli oligarchi e delle loro ricchezze per finanziare la resistenza, la cancellazione del debito estero verso gli imperialismi occidentali e il FMI, la requisizione delle grandi proprietà immobiliari per le esigenze dei rifugiati. Un programma di resistenza nazionale declinato dal versante della classe lavoratrice.

Sicuramente lavorerebbe contro il nazionalismo ucraino, contro la negazione dei diritti delle popolazioni russofone, per il loro diritto di autodeterminazione e dunque di separazione. Che è la condizione decisiva per ricomporre l'unità tra i salariati ucraini dell'est e dell'ovest, e al tempo stesso un ponte verso i lavoratori russi. Naturalmente l'incidenza di questa politica dipenderebbe dalla maggiore o minore consistenza della presenza rivoluzionaria, ma è certo che in ogni caso questa linea d'intervento, apertamente opposta a quella di Zelensky e degli imperialismi NATO, è inseparabile dalla scelta del fronte della resistenza contro le forze imperialiste di occupazione. Ogni diserzione politica dal fronte della resistenza contro l'imperialismo russo sarebbe il più grande regalo al nazionalismo borghese e reazionario di Zelensky. Oltre che naturalmente, in primo luogo, all'imperialismo russo.


LA QUESTIONE DELLE ARMI

La posizione da assumere sulla questione delle armi all'Ucraina è la risultante di questo posizionamento politico e strategico rivoluzionario. Deve tenere insieme la difesa dell'Ucraina contro l'imperialismo russo e l'indipendenza politica di classe contro il governo Zelensky e gli imperialismi NATO che lo sostengono.
Se difendiamo la resistenza ucraina dalla guerra d'invasione dell'imperialismo russo non possiamo rimuovere la questione delle armi. Lo possono fare i pacifisti piccolo-borghesi, non lo possono fare i rivoluzionari. Tutte le elucubrazioni della galassia ideologica nonviolenta possono, forse, guadagnare il plauso di Papa Francesco, ma non possono rispondere alla necessità concreta di difendere case, scuole, fabbriche, dai bombardamenti e dalla violenza degli occupanti. L'idea secondo cui concretamente l'invio di armi difensive moltiplica i morti tra la popolazione civile è l'esatto capovolgimento della verità e della logica. Gli strumenti di difesa contro carri armati e aerei a bassa quota sono quelli che hanno contrastato e ridotto i bombardamenti e impedito l'ingresso dei carri armati nelle stragrande maggioranza delle città. Senza di essi, sofferenze e morti tra la popolazione civile sarebbero stati ben superiori, e non minori. Nei fatti, al di là di ogni intenzione, il rifiuto ideologico delle armi e dunque della resistenza armata all'occupante è di fatto una proposta di resa, a tutto beneficio dell'imperialismo russo.

Al tempo stesso i rivoluzionari non possono sostenere l'invio di armi da parte dei governi imperialisti occidentali, per la stessa ragione per cui non potrebbero votare i crediti di guerra (neppure in Ucraina): l'invio di armi da parte dei governi imperialisti è un'espressione della loro politica di controllo sull'Ucraina, di una sua subordinazione al carro dei propri interessi. Il loro obiettivo è sostenere la resistenza quel tanto che basta per negoziare con l'imperialismo russo. I diritti di autodeterminazione dell'Ucraina e delle sue minoranze russofone sono solo la variabile dipendente degli interessi degli imperialisti stessi e della loro partita negoziale. Merce di scambio e nulla più, nelle migliori tradizioni dell'imperialismo.
I marxisti rivoluzionari non solo non possono sostenere ma debbono apertamente denunciare le finalità politiche del sostegno NATO all'Ucraina, il sostegno della corda all'impiccato.

Sulla questione delle armi c'è allora un solo modo di tenere insieme la difesa dell'Ucraina dall'imperialismo russo e l'indipendenza politica dal proprio imperialismo. Non sostenere l'invio delle armi, denunciando la sua finalità politica, e al tempo stesso rivendicare il diritto dell'Ucraina a usarle, indipendentemente dalla loro provenienza, non boicottando questo diritto. È questa una contraddizione? Si, lo è. Ma non è una contraddizione della nostra posizione, è una contraddizione della situazione oggettiva. Oggettivamente oggi non esiste né un'organizzazione internazionale del movimento operaio che possa provvedere autonomamente all'invio degli strumenti di difesa necessari, né un'organizzazione e movimento di classe in Ucraina che possa essere il destinatario di questo invio. È la realtà. Se questi presupposti esistessero, sarebbe non solo possibile ma necessario provvedere alla resistenza ucraina attraverso questi canali. Purtroppo non vi sono. In queste condizioni, se i rivoluzionari si opponessero attivamente all'invio di armi all'Ucraina (fermo restando in ogni caso e sempre la denuncia politica delle finalità imperialiste dell'invio), negherebbero di fatto all'Ucraina il diritto alla resistenza contro l'occupante. Non sarebbe una buona politica. Non è il metodo dei rivoluzionari.


IL METODO DI TROTSKY

Anche in questo caso, con buona pace di Torre, esistono esempi storici preziosi, legati all'esperienza del movimento rivoluzionario e alla sue riflessioni. Basta saperle capire.

Abbiamo citato la risposta di Trotsky ad alcuni critici ultrasinistri circa la politica proletaria in tempo di guerra. Vediamo meglio di cosa si tratta. Le Tesi del segretariato della Quarta Internazionale sulla guerra affermavano che un partito rivoluzionario, pur restando in ogni paese imperialista all'opposizione irriducibile del proprio governo, avrebbe dovuto articolare la propria politica pratica in ciascun paese in base alla situazione interna e ai raggruppamenti internazionali, distinguendo uno Stato operaio da uno Stato borghese, un paese coloniale da un paese imperialista. I critici ultrasinistri videro in questa formulazione l'abbandono del principio della politica disfattista. Trotsky rispose a questa obiezione scolastica con un argomento esemplificativo:

«Poniamo che in una colonia francese, l'Algeria, sorga domani un'insurrezione sotto la bandiera dell'indipendenza nazionale e che il governo italiano, spinto dai propri interessi imperialisti, si disponga a fornire armi ai ribelli. Quale dovrebbe essere l'atteggiamento degli operai italiani? Faccio volutamente l'esempio di una sollevazione contro un imperialismo democratico e di un intervento a favore dei ribelli da parte di un imperialismo fascista. Gli operai italiani dovrebbero opporsi a inviare dei battelli di carichi d'armi per gli algerini? Che qualche ultrasinistro osi rispondere affermativamente a tale domanda! Ogni rivoluzionario, a fianco degli operai italiani e dei ribelli algerini, respingerebbe con indignazione una tale risposta. Persino se si sviluppasse nell'Italia fascista uno sciopero generale dei portuali, in quel caso gli scioperanti dovrebbero fare un'eccezione a favore dei lavoratori marittimi che vanno a portare un aiuto agli schiavi della colonia in rivolta. In caso contrario sarebbero dei pietosi sindacalisti, non dei rivoluzionari proletari. [...] Forse questo significherebbe che gli operai italiani addolciscono nel caso in questione la propria lotta contro il regime fascista? Neppure per sogno. Il fascismo porta il proprio “aiuto" agli algerini al solo scopo di indebolire il proprio nemico, la Francia, e appropriarsi delle sue colonie. Gli operai rivoluzionari italiani non lo dimenticano per un solo istante. Essi si appellano agli algerini perché non diano la minima fiducia al loro perfido “alleato” e nello stesso tempo proseguono la propria lotta contro il fascismo, “il principale nemico all'interno del loro proprio paese”. È solamente così che essi possono guadagnare la fiducia dei ribelli, aiutare la ribellione stessa, e rinforzare le loro proprie posizioni rivoluzionarie”» (3).

È un esempio di scuola della politica rivoluzionaria. Mostra che l'intransigenza dei principi non è in contraddizione con la duttilità della pratica, ma la richiede. E che viceversa ogni declinazione dei principi in forma astratta entra in contraddizione con la politica rivoluzionaria.

Il compagno Torre contesta l'uso della citazione nel nome delle differenze tra l'Algeria del 1938 e l'Ucraina del 2022. Afferma che l'Ucraina non è una colonia, ma «il classico vaso di coccio tra due vasi di ferro – entrambi riprovevoli – e la sua popolazione vuole stringersi nell’abbraccio mortale con uno dei due vasi cercando di sfuggire all’abbraccio altrettanto mortale con l’altro; è il topo che è conteso da due serpenti affamati, il quale crede di sfuggire alle fauci dell’uno gettandosi con tutto il cuore in quelle dell’altro». Segue l'immancabile riferimento al battaglione Azov.

Purtroppo il compagno Torre indica il dito perché non vede la luna. Il punto centrale dell'argomentazione di Trotsky, e di tutto l'articolo in questione, e dei molti altri esempi che porta, non riguarda affatto la natura dell'Algeria, ma il metodo politico dei rivoluzionari. Cioè la necessità di padroneggiare le contraddizioni avversarie per i propri fini. Ovviamente l'Ucraina non è l'Algeria. Ma se è per quello, neppure l'Italia di oggi è il regime di Mussolini. Non è questo il punto. Il punto è se in una guerra che contrappone un paese dipendente a un paese imperialista, i rivoluzionari del campo imperialista debbono sostenere o no la resistenza del paese dipendente anche usando per i propri scopi le contraddizioni internazionali dell'imperialismo. La risposta di Trotsky è sì. Assolutamente sì. Ciò non significa affatto abdicare alla politica rivoluzionaria, ma realizzarla. Non opporsi all'invio di armi all'Ucraina non significa né rinunciare a denunciare politicamente le finalità politiche del nostro imperialismo (e dunque dello stesso “aiuto” militare) né sostenere politicamente il governo reazionario di Zelensky. Significa, parafasando Trotsky, cercare di guadagnare la fiducia dei resistenti, aiutare la resistenza, rafforzare le proprie posizioni rivoluzionarie.

Sì, la nazione ucraina è come un «topo che è conteso da due serpenti», per usare la rappresentazione di Torre. Ma con lo spiacevole dettaglio che uno dei due serpenti ha preso a mordere il topo con tutte le proprie forze per ucciderlo e poi divorarlo, e l'altro lo tiene in vita per sottrarlo al primo e continuare ad opprimerlo meglio. Questa differenza, che a Torre sfugge, non sfugge a chi oggi è sotto le bombe di una guerra d'invasione. Torre rifiuta di aiutare “il topo” contro i bombardamenti rimproverandogli di non aver capito la natura di chi l'aiuta. Noi diciamo al “topo” di usare ogni aiuto per salvare la pelle – perché è suo diritto – spiegandogli al tempo stesso i fini imperialisti di chi l'aiuta (l'altro serpente), e continuando l'opposizione irriducibile al suo “aiutante”, cioè all'imperialismo di casa nostra. Non abbiamo dubbi su quale oggi sarebbe, nel caso concreto, la posizione di Trotsky.


GLI ESEMPI STORICI E LA LORO SCUOLA.
LENINISMO E SCOLASTICA DOTTRINARIA


È infatti il metodo che Trotsky ha usato sempre, indipendentemente dalla natura politica dei governi dei paesi dipendenti.

Nel 1936 di fronte alla guerra d'invasione dell'imperialismo italiano in Etiopia, Trotsky disse: «Naturalmente noi siamo per la disfatta dell'Italia e la vittoria dell'Etiopia, e di conseguenza, noi dobbiamo fare tutto il possibile per ostacolare con tutti i mezzi disponibili il sostegno all'Italia da parte di altre potenze imperialiste, e, al tempo stesso, facilitare l'invio di armamenti all'Etiopia nel modo migliore». Per la precisione, l'invio di armi all'Etiopia fu fatto non solo dall'imperialismo britannico ma anche dalla Germania nazista (tre aereoplani, 10000 fucili Mauser, 10 milioni di munizioni), in risposta alla freddezza di Mussolini di fronte all'invasione tedesca dell'Austria. Quanto all'imperatore Salassié, non era esattamente un faro del progresso. Ma una sconfitta dell'imperialismo italiano in Etiopia, anche in virtù delle contraddizioni imperialiste, avrebbe potuto favorire la rivoluzione in Europa ben più di quanto la vittoria del Negus avrebbe potuto ostacolarla.

Nella guerra d'invasione dell'imperialismo giapponese contro la Cina del Kuomintang, guidata da Chiang Kai-shek (1937), Trotsky usò lo stesso metodo. Sostenne apertamente la resistenza cinese (armata anche dall'imperialismo britannico) polemizzando con lo scolasticismo retorico di chi gli contestava il sostegno a Chiang Kai-shek:

«Chiang Kai-shek? Noi non dobbiamo farci alcuna illusione su Chiang Kai-shek, sul suo partito e sull'insieme della classe dirigente della Cina, non più di quanto Marx ed Engels si fecero illusioni sulle classi dirigenti di Irlanda e di Polonia. Chiang Kai-shek è il massacratore degli operai e dei contadini cinesi. Ma oggi è costretto suo malgrado a combattere il Giappone affinché la Cina conservi la sua indipendenza. Domani potrà tradire di nuovo È possibile. È probabile. È persino inevitabile. Ma oggi si batte. Solo... degli imbecilli completi possono rifiutarsi di prendere parte a questa lotta... Partecipare alla lotta militare sotto il comando di Chiang Kai-shek, sino a quando sfortunatamente egli dirige la guerra di indipendenza, per preparare politicamente il rovesciamento di Chiang Kai-shek... questa è la sola politica rivoluzionaria».

Eppure Chiang Kai-shek era colui che aveva soffocato nel sangue la rivoluzione proletaria in Cina nel 1927 (grazie alla politica staliniana) con decine di migliaia di comunisti trucidati. La lotta per l'indipendenza del proletariato dalla borghesia nazionale del Kuomintang fu la genesi stessa del trotskismo in Cina. Ma la lotta politica irriducibile contro il Kuomintang e il suo capo non poteva esprimersi nelle stesse forme a fronte della guerra d'invasione dell'imperialismo giapponese. Solo prendendo parte alla lotta contro il Giappone, militarmente al fianco del Kuomintang, si poteva preparare politicamente l'alternativa proletaria al Kuomintang borghese.

«Se “la guerra è la continuità della politica ma con altri mezzi”, come affermava il teorico militare tedesco Von Clausewitz, allora vuol dire che la politica proletaria in tempo di guerra dev'essere la continuità della politica proletaria in tempo di pace» afferma Trotsky. E nella politica proletaria in tempo di pace possono prodursi i casi più svariati. Ad esempio:

«Un'attitudine intransigente verso il militarismo borghese non significa affatto che il proletariato entra in lotta in tutti i casi contro il proprio esercito nazionale... Se domani i fascisti francesi cercano di attivare un colpo di Stato e il governo Daladier si trova costretto a usare l'esercito contro i fascisti, gli operai rivoluzionari, mantenendo sempre un'indipendenza politica completa, lotterebbero contro i fascisti al fianco delle truppe. Anzi, in alcuni casi, potrebbero essere costretti non solamente a tollerarle ma persino a sostenere attivamente delle misure pratiche del governo borghese».

Facciamo un esempio per così dire “sindacale”. Supponiamo che in una fabbrica, dalla composizione proletaria arretrata (sindacalmente e politicamente), il padrone licenzi i propri dipendenti; che in questa fabbrica la direzione sindacale della lotta contro i licenziamenti sia il sindacato giallo UGL; che altri capitalisti, per ragioni di concorrenza col padrone che licenzia o magari di complicità con quel sindacato giallo nella propria azienda, diano un aiuto sottobanco agli scioperanti. Un rivoluzionario proletario dovrebbe disertare la lotta contro il padrone che licenzia solo perché la lotta è diretta da un sindacato giallo, o dovrebbe prendere parte alla lotta per smascherare nel processo stesso di quella lotta il vero volto di quel sindacato e delle sue complicità padronali? La scelta di collocazione dei rivoluzionari è sempre legata alla natura di classe dello scontro, non alla sua direzione. Vale nello scontro fra operaio e padrone sul piano sindacale come nello scontro fra nazione dipendente e imperialismo in caso di guerra. La lotta per una direzione proletaria alternativa si fa partecipando allo scontro, non estraniandosi da questo. È la differenza tra una politica marxista e un'attitudine settaria.

La politica leninista, cui si richiama Trotsky, non è una scolastica dottrinaria, al di sopra del tempo e dello spazio, una summa teologica di schemi imbalsamati a dispetto della realtà. Sa coniugare la fermezza dei principi con la duttilità della tattica, che è il solo modo di difendere e fortificare i principi stessi. Se la politica rivoluzionaria fosse unicamente e sempre la pura negazione formale delle misure della borghesia, sacrificherebbe paradossalmente la propria autonomia. Si ridurrebbe a una forma di dipendenza dall'avversario, seppur capovolta. Proprio Trotsky ha chiarito bene questo concetto:

«Nella grande maggioranza dei casi gli operai mettono giustamente il segno meno là dove la borghesia mette il segno più. Tuttavia in un cero numero di casi si trovano costretti a mettere lo stesso segno della borghesia... nel momento stesso in cui esprimono la propria sfiducia verso la borghesia. La politica del proletariato non si deduce automaticamente dalla politica della borghesia mettendo il segno contrario, nel qual caso ogni settario sarebbe un grande stratega. No, il partito rivoluzionario deve orientarsi ogni volta in modo indipendente nella situazione interna ed estera, prendendo le decisioni che corrispondono nel modo migliore agli interessi del proletariato. Questa regola riguarda sia il tempo di guerra che il tempo di pace».

E ancora:

«La politica disfattista, cioè la politica della lotta di classe intransigente durante la guerra, non può essere la “stessa” in tutto il paese, proprio come non può essere una sola e unica politica del proletariato in tempo di pace. È solamente il Comintern degli epigoni che ha stabilito un regime per cui i partiti di ogni paese alzano nello stesso momento il piede sinistro. Nella lotta contro questo cretinismo burocratico, noi abbiamo mostrato più di una volta che i principi e i compiti generali debbono essere applicati in ogni paese in base alle condizioni interne ed esterne. Questo principio conserva totalmente il proprio valore in tempo di guerra. Gli ultrasinistri che non vogliono pensare in modo marxista, cioè concretamente, saranno presi di sorpresa dalla guerra. La loro politica durante la guerra sarà il fatale coronamento della loro politica in tempo di pace. I primi colpi di cannone getteranno gli ultrasinistri nella loro nullità o li spingeranno nel campo del socialpatriottismo, per le stesse ragioni per cui gli anarchici spagnoli, negatori assoluti dello Stato, sono diventati durante la guerra ministri borghesi. Per condurre una giusta politica in tempo di guerra, bisogna imparare a pensare correttamente in tempo di pace».

Non c'è nulla da aggiungere.





(1) In risposta a Marco Ferrando, sulla guerra in Ucraina, https://pungolorosso.wordpress.com/2022/03/25/in-risposta-a-marco-ferrando-sulla-guerra-in-ucraina-pasquale-cordua/

(2) La guerra in Ucraina e il social-sciovinismo dei giorni nostri, https://www.assaltoalcielo.it/2022/03/27/la-guerra-in-ucraina-e-il-social-sciovinismo-dei-giorni-nostri/

(3) Il faut apprendre à penser. Conseil amical à l'adresse de certains ultra-gauches, Quatrième Internationale n. 10, luglio 1938

Marco Ferrando