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PER UN PARTITO DI CLASSE RIVOLUZIONARIO, IN ITALIA E NEL MONDO

Testo del volantino nazionale PCL che verrà distribuito il primo maggio



Il Primo Maggio simbolo dell'unità di classe internazionale dei lavoratori contro lo sfruttamento del capitale.
Il Primo Maggio 2015 esordio dell' EXPO a Milano, simbolo di sfruttamento, speculazione, profitto.

Questa sovrapposizione di date dà un carattere particolare a questo Primo Maggio a Milano.

EXPO: PROPAGANDA CAPITALISTA E SFRUTTAMENTO OPERAIO

La cassa propagandistica dell'Expo esalta il capitalismo come fattore di progresso contro la fame nel mondo. Mai la propaganda fu più ipocrita. La fame si aggrava in Africa e in India, per via dell'accaparramento delle terre per la produzione dei biocombustibili, del saccheggio delle risorse, dell'impatto dei cambiamenti climatici indotti dall'industrializzazione capitalista, dello spopolamento e impoverimento delle campagne. Mentre la corsa all'abbattimento dei costi da parte dell'industria alimentare, in reazione alla caduta del saggio di profitto, peggiora la qualità dei cibi (e moltiplica le frodi alimentari) nelle stesse metropoli del capitalismo. La vetrina dell'Expo serve anche a nascondere tutto questo.

Non solo. L'Expo di Milano in quanto tale è stato ed è un autentico manifesto della cinica legge del profitto. Da ogni versante. Cementificazioni selvagge, con danni permanenti al territorio, per ingrassare la rendita fondiaria ( Fiera Milano). Moltiplicazione dei costi delle infrastrutture, per incassare risorse pubbliche, con l'inevitabile contorno di mazzette e infiltrazioni mafiose. Ma soprattutto super sfruttamento dei lavoratori coinvolti, connesso agli appalti al massimo ribasso: turni di lavoro massacranti, lavoro precario, lavoro nero, negazione dei diritti più elementari in fatto di sicurezza sul lavoro, per generosa concessione delle burocrazie sindacali. Infine la vergogna di migliaia di giovani “volontari” indotti a lavorare gratis in cambio di una menzione nel curriculum, per non assumere i lavoratori precari del Comune. Mentre la giunta Pisapia, acclamata nel 2011 da tutte le sinistre ( SEL e PRC in testa, ma non solo) ha tagliato oltre 50 milioni di servizi sociali per destinarli al finanziamento di questa fiera dello sfruttamento. Altro che “primavera arancione”!

Non è finita. Sull'Expo monta la fanfara propagandistica del governo Renzi. L'aspirante Bonaparte vuole appuntarsi sul petto la medaglia dell'Expo agli occhi del grande capitale, italiano e mondiale. Per questo chiede “ordine e disciplina”. La pretesa di un regime speciale di ordine pubblico nei mesi dell'Expo ( e del Giubileo) con l'imposizione del divieto di sciopero nel settore trasporti è indicativa: lo stesso governo che ha distrutto l'articolo 18 per i nuovi assunti fa leva sull'Expo per sperimentare una ulteriore restrizione di altri diritti democratici fondamentali. Nel mentre promuove una riforma elettorale e istituzionale che mira a concentrare nelle mani del Capo tutte le leve fondamentali del potere.

UNIRE IL FRONTE DI CLASSE, PER UNA SVOLTA UNITARIA E RADICALE

Se questo è il quadro generale diventa chiaro il compito di tutte le avanguardie di classe in questo primo Maggio a Milano. Non si tratta di limitarsi a celebrare un contro evento sul terreno mediatico. Si tratta di fare del primo Maggio una giornata di preparazione e ricostruzione dell'opposizione di classe al governo Renzi e al capitale finanziario, nella prospettiva di un'alternativa di classe .

Al fronte unico del capitale e dei suoi partiti va contrapposto il fronte unico dei lavoratori e di tutte le loro organizzazioni. All'aggressione radicale del capitale contro il lavoro, va contrapposta una radicalità di classe uguale e contraria . L'esperienza di questi anni di crisi ha mostrato il completo

fallimento della gestione riformista dello scontro sociale. Lo scontro sul Job Act è stato esemplare. Da un lato la massima determinazione a vincere. Dall'altro (Camusso, Landini) il balbettio di atti rituali, senza piattaforma di lotta e prospettiva. Così non si può andare avanti. Nè si può replicare con logiche autocentrate e minoritarie, in ordine sparso, di pura dissociazione dagli apparati. Occorre ricomporre un vero fronte di massa; definire una piattaforma unificante di rivendicazioni di classe, a partire dalla richiesta della riduzione generale dell'orario di lavoro a parità di paga, per ripartire fra tutti il lavoro esistente; avviare su questa piattaforma una mobilitazione generale vera, continuativa, accompagnata da una svolta radicale delle forme di lotta ( occupazione delle aziende che licenziano, cassa di resistenza). Una grande assemblea nazionale di delegati eletti nei luoghi di lavoro potrebbe varare questa svolta unitaria e radicale di lotta del movimento operaio.

Dare battaglia su questa proposta di svolta in ogni luogo di lavoro, in ogni sindacato classista, è compito di tutte le avanguardie di classe ovunque collocate, al di là di ogni divisione di sigla e di organizzazione.

COSTRUIRE IL PARTITO DELLA RIVOLUZIONE: IN ITALIA, IN EUROPA, NEL MONDO

Ma congiuntamente si pone il nodo politico. Non c'è ricomposizione di un'altra direzione di marcia del movimento operaio e sindacale senza la costruzione di un'altra sinistra politica. La vecchia sinistra ha fatto bancarotta. La sinistra cosiddetta “radicale”, quella che si è genuflessa ai Prodi e ai Pisapia, quella che ha scambiato le ragioni del lavoro con ministeri e assessorati, si è suicidata con le proprie mani. Larga parte dell'avanzata populista tra le stesse fila dei lavoratori ( renzismo, grillismo, salvinismo) ha capitalizzato lo spazio liberato dalla disfatta della sinistra. Va allora costruita una sinistra rivoluzionaria. Non una sinistra di Landini, all'ennesima ricerca del “compromesso onorevole” col capitale. Non una sinistra puramente antagonista, di sola contrapposizione al padrone e allo Stato. Ma una sinistra che coniughi l'antagonismo radicale ai padroni e alla Stato con la prospettiva di un'alternativa di società e di potere. Una sinistra che in ogni lotta lavori a sviluppare la coscienza politica dei lavoratori verso la comprensione della rivoluzione sociale come unica via di liberazione. Una sinistra che proprio per questo non si limiti al terreno sindacale e agisca ovunque in una logica di massa. Una sinistra che ponga apertamente la prospettiva del governo dei lavoratori come l'unica reale alternativa.

Il Partito Comunista dei Lavoratori (PCL), l'unico che si contrappose ai Prodi e ai Pisapia, è impegnato quotidianamente nella costruzione del partito di classe e anticapitalista dei lavoratori.

L'esigenza di un'altra direzione del movimento operaio e degli sfruttati si pone non solo in Italia. Si pone in Europa, a fronte del fallimento di ogni ricerca di compromesso riformatore col capitale e con la UE (Syriza). Si pone sul piano mondiale, a fronte della capitolazione sciovinista alla “propria borghesia”; di un mercato internazionale della forza lavoro che mette gli operai delle più diverse latitudini in concorrenza spietata tra loro; di migrazioni bibliche e disperate di masse umane in fuga dalla guerra e dalla fame. Unire tutto ciò che il capitale divide, in Italia, in Europa, nel mondo, per un altro ordine sociale sul pianeta: questo è il compito di un partito internazionale della classe per cui lavorare in ogni paese. Questo è il progetto del Coordinamento per la Rifondazione della Quarta Internazionale, di cui il PCL è sezione italiana.
PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

Il PCL nelle piazze dell'Emilia-Romagna per il 25 aprile: VIVA LA RESISTENZA, VIVA IL COMUNISMO!


Orgogliosamente in piazza con falce e martello, contro i fascismi vecchi e nuovi, il Partito Comunista dei Lavoratori è sceso in piazza in tutta l'Emilia-Romagna per riaffermare la tradizione rivoluzionaria dei lavoratori italiani, nel 1945 come oggi. 














25 APRILE 2015

25 APRILE:

IL PARTITO COMUNISTA DEL LAVORATORI, SEZIONE DI BOLOGNA, PARTECIPERA' ALLA MANIFESTAZIONE

PRATELLO R'ESISTE


NEL RISPETTO DELLE INDICAZIONI DEL COMITATO PROMOTORE
CON UN PROPRIO BANCHETTO COLLOCATO PRESSO IL CIVICO 54a DI VIA DEL PRATELLO





ANTAGONISMO CLASSISTA E PARTITO RIVOLUZIONARIO

21 Aprile 2015
 In queste settimane, in preparazione delle mobilitazioni milanesi NoExpo dei primi di maggio, è stato diffuso un appello (“Per un primo maggio anticapitalista-lotta di classe”), che raccoglie intorno al SICobas alcune altre organizzazioni (Vittoria di Milano, Iskra di Napoli, Combat, Clash City Worker). L’appello è incentrato sostanzialmente su 4 elementi:
1. una valutazione negativa della ritualità dei contro-eventi, attenta alle forme più o meno radicali della piazza piuttosto che sullo sviluppo della coscienza e del conflitto di classe;
2. l’opportunità di caratterizzare la lotta contro Expo sul lavoro, come esempio paradigmatico della nuova fase determinata dal governo Renzi (Poletti e Jobs Act);
3. il rifiuto della coalizione sociale, come operazione politica di interlocuzione con il centrosinistra per perseguire politiche redistributive social-keynesiane;
4. la necessità di partire dai processi reali di lotta, con una prospettiva anticapitalista, partendo per il primo maggio da una caratterizzazione centrata sul conflitto capitale/lavoro.
L'appello si propone quindi di generalizzare da una parte l’esperienza del ciclo di lotte sulla logistica, dall’altra le elaborazioni degli ultimi anni di Clash City Workers sulla centralità del conflitto del classe. Si configura di conseguenza come la riemersione pubblica di un polo classista nell'area antagonista, in aperta contrapposizione alle posizioni disubbidienti e post-operaiste tradizionalmente egemoni da alcuni decenni (dopo l’esperienza, ad esempio, dell’assemblea per l’autonomia di classe negli anni novanta).

Consideriamo positiva questa novità, per tre buone ragioni.

La consideriamo positiva in sé.
Le sconfitte sociali del movimento operaio italiano si sono accompagnate nell'ultima fase con un drammatico arretramento della sua coscienza politica. Questo arretramento coinvolge pesantemente lo stesso immaginario collettivo di ampi settori di massa, che disperdono la propria autorappresentazione come classe, e si accodano al mercato truffaldino delle offerte politiche correnti e alle loro culture borghesi e/o populiste (renzismo, salvinismo, grillismo). A questo arretramento hanno concorso- da versanti diversi e con diverse responsabilità- sia le formazioni residuali della sinistra politica riformista, sia i soggetti prevalenti dello stesso campo antagonista. Entrambi hanno rimosso dalle proprie categorie d'analisi la contraddizione centrale fra capitale e lavoro.
I primi hanno da tempo sostituito analisi ed impostazioni teoriche classiste (seppur riformiste, cioè rivolte alla mediazione dei diversi interessi di classe) con impostazioni progressiste o democratico radicali, cioè centrate sui diritti dei cittadini o nelle versioni più di sinistra sulla coalizione di movimenti antisistemici in difesa dei diritti di singole soggettività (minoranze, donne, giovani, gay, contadini, migranti, ambientalisti, ecc).
I secondi (a partire dalle teorie di Toni Negri, Michel Hardt, Andrea Fumagalli, Yann Moulier Boutang) ritengono che il dominio del capitale non avvenga più nei processi di lavoro, ma attraverso forme di dominio delle relazioni sociali in cui oggi si concentrerebbero i processi di valorizzazione (dalla microfisica del potere al controllo della moneta, dai mercati finanziari al debito pubblico), a cui si opporrebbe una sola moltitudine (cioè una molteplice volontà di potenza collettiva, un potere costituente nella forma di zone liberate, produzioni sociale auto valorizzanti, beni comuni o open source, ecc).
Entrambe queste operazioni ideologiche, diverse ma convergenti, entrambe basate sulla trasfigurazione della realtà, hanno contribuito all'arretramento della coscienza politica in settori della stessa avanguardia di classe e di movimento, con ulteriori ricadute sul versante di massa. Per queste ragioni ogni fattore di contrasto di questa deriva non può che essere considerato con favore dai marxisti rivoluzionari.

Inoltre la consideriamo positiva per il particolare contesto in cui si sviluppa. Negli ultimi due/tre anni, nel quadro di una declinante capacità di consenso e di organizzazione della sinistra, l’articolato mondo antagonista ha riconquistato un profilo di larga avanguardia (cortei del 15 ottobre 2011, del 19 ottobre 2013, del 12 aprile 2014, del 14 novembre 2014 e prossimamente del 1 maggio 2015). Un profilo che acquista rilevanza politica e capacità di egemonia (come evidenziato dalla diffusione delle parole d’ordine sullo sciopero sociale, il reddito di cittadinanza, il controllo biopolitico), proprio a fronte della debolezza del movimento operaio organizzato, della dinamica della lotte di classe, delle forze organizzate della sinistra politica. In questo quadro, l’apertura di una dinamica di confronto delle impostazioni disobbedienti e postoperaiste, con una possibile polarizzazione classista, possono esser un elemento importante nei suoi possibili riflessi nell’avanguardia larga.

Infine consideriamo positiva la novità che si è prodotta anche dal punto di vista delle nuove possibili opportunità di confronto che essa ci offre.
L'emergere di una polarizzazione classista all'interno del campo antagonista può estendere il terreno di confronto col marxismo rivoluzionario. Innanzitutto può consentire un terreno di confronto più avanzato, capace di avvalersi di alcuni elementi comuni di linguaggio e di individuare possibili battaglie comuni nei movimenti e nella lotta di classe. In secondo luogo, e parallelamente, può liberare lo spazio di una chiarificazione vera e sincera delle divergenze. Divergenze programmatiche, teoriche, pratiche. Divergenze che sarebbe sbagliato rimuovere, e che invece è bene vengano affrontate e dibattute nel modo più franco, secondo la migliore tradizione rivoluzionaria. Che è sempre nemica degli infingimenti.

Questo testo vuol essere esattamente un primo contributo al confronto, prendendo a riferimento in particolare elaborazione e posizioni dei Clash City Workers, in quanto da una parte rappresentative in genere di questo polo classista dell’antagonismo, dall’altra in quanto più organicamente e pubblicamente presentate nei diversi documenti di questi anni.


ANTAGONISMO DI CLASSE PER QUALE PROGRAMMA?

Le componenti dell'antagonismo classista fanno della classe operaia la propria centralità di riferimento. Sviluppano lo studio della nuova composizione ed estensione del lavoro salariato, sul terreno nazionale ed internazionale, fornendo un interessante contributo di analisi (“Dove sono i nostri” del CCW). Respingono giustamente le illusioni su ogni forma di collaborazione di classe, a partire dal terreno sindacale, rifiutando ad esempio l' avallo al “landinismo” e alla mitologia FIOM. Pongono la questione dell'unificazione della classe salariata e dello sviluppo della sua autonoma coscienza come terreno principale del proprio lavoro. E per questo respingono i feticci ideologici che pure abbagliano parte rilevante della sinistra riformista o di movimento: il “reddito” contrapposto al lavoro, la suggestione del ritorno alla moneta nazionale, le pose scioviniste a difesa della “sovranità nazionale” del capitalismo (imperialismo) italiano contro la Germania.
Questo patrimonio di posizioni è assolutamente positivo. Ognuno dei punti citati ricalca oltretutto un terreno di caratterizzazione marcata del Partito Comunista dei lavoratori in questi anni sul terreno della battaglia politica, in ogni sede di intervento. Su questo terreno la convergenza è piena, e non è irrilevante.

Ma la convergenza sul riferimento di classe, per quanto importante, non è l'essenziale. Antagonismo di classe per quale programma? Qual'é il soggetto agente dell'azione di classe che si vuole organizzare e promuovere? Che rapporto si intende porre tra l'azione sindacale e l'azione politica? Quale relazione si imposta tra lavoro nazionale e internazionale?
In altri termini: cosa si vuole costruire e per cosa? Questi interrogativi, tra loro correlati, non trovano risposta nell'antagonismo classista. O trovano risposte diverse, tra loro respingenti. O trovano risposte che riteniamo sbagliate. Questa è la materia della discussione.


IL BANDOLO DELLA MATASSA

La questione del programma è la questione del fine.
I compagni del Clash City Workers in particolare non disdegnano nelle proprie argomentazioni i riferimenti a Marx, a Lenin, alla tradizione rivoluzionaria. Questo fatto è molto apprezzabile tanto più nel contesto della desertificazione culturale dell'avanguardia. Ma è anche molto impegnativo.

Nel documento preparatorio dell'Assemblea nazionale dei CCW del luglio 2013 si afferma che “ sin dai tempi di Marx i comunisti hanno centrato il loro lavoro a partire dall'inchiesta”. Da qui l'ideologizzazione dell'”inchiesta” come primo livello d'azione su cui costruire l'intera impalcatura degli altri livelli (funzione del sito come “megafono” dei lavoratori, indagine sulle singole vertenze, promozione della connessione tra lavoratori, stabilizzazione dell'organizzazione..).

Nessuno obietta naturalmente sulla funzione positiva dell'analisi di classe e sull'uso possibile di determinati strumenti. Ma il punto di partenza dei comunisti non è l'inchiesta, è il programma generale. Marx non partì dall'”inchiesta” come dicono i CCW, partì dal Manifesto del Partito Comunista del 1848. Cioè dal programma comunista come programma di rivoluzione e dall'organizzazione dei comunisti attorno a quel programma. Tutta l'esperienza di lavoro della Lega dei Comunisti e poi, in un quadro diverso, della Prima Internazionale (incluse singole “inchieste”sulla condizione operaia), si è sviluppato a partire dal programma generale. Quella fu nel 1848 la prima linea di demarcazione rispetto alle altre correnti o espressioni ideologiche del “socialismo” del tempo. Quella fu successivamente la linea di demarcazione dal mazzinianesimo come dall'anarchismo. Quella fu infine la base costitutiva della Seconda Internazionale. E non è un caso se il “revisionismo” nelle fila della Seconda Internazionale si manifestò come rottura sul programma generale. La tesi di Bernstein “il fine è nulla il movimento è tutto” era proprio per questo l'atto di liquidazione del marxismo. Perché il fondamento del marxismo è esattamente il fine: il rovesciamento rivoluzionario e la distruzione dello Stato borghese, la dittatura proletaria come potere dei lavoratori autorganizzati (Comune), la prospettiva del comunismo come abolizione delle classi a partire dall'economia democraticamente pianificata.

In tutta l'elaborazione del campo “antagonista”, inclusa la componente classista, è difficile trovare traccia sull'indicazione del fine. Anche quando ci si definisce comunisti, manca ogni definizione programmatica del comunismo. Se si obietta che si tratta di una discussione “ideologica” astratta, si riprende involontariamente tutta la vecchia polemica anti marxista del primo riformismo. Se invece si obietta che è una discussione inutile, perchè l'”accordo sul fine è scontato, ma non ci fa fare un solo passo avanti nell'intervento di classe reale” si sbaglia due volte.
In primo luogo perché l'accordo scontato non è: quante correnti si definiscono “comuniste” ma presentano come “socialismo del XXI Secolo” il regime bonapartista chavista “bolivariano”(che colpisce gli operai e la loro autonomia) o il regime castrista (che non ha mai conosciuto i consigli dei lavoratori), o addirittura.. il regime dinastico nord coreano, e perfino la Cina capitalista? La pagina tragica novecentesca dello Stalinismo sottolinea tanto più oggi più l'importanza decisiva della definizione programmatica.
In secondo luogo si sbaglia perché la definizione del fine non riguarda il futuro ma il presente: il fine è sempre la prima bussola della linea politica, della definizione delle rivendicazioni, dell'impostazione dell'azione, della stessa articolazione della tattica. Naturalmente non è in sé sufficiente a determinare la complessità della politica, che si confronta sempre con l'analisi concreta delle condizioni date. Ma è la prima condizione necessaria. Dire che il fine non è importante perché “non è sufficiente” sarebbe come buttarsi in mare aperto senza bussola, perché intanto “la bussola non risolve il problema delle mareggiate”. Si converrà che sarebbe un'impostazione logica un po' debole. E soprattutto disastrosa per i naviganti.


PROGRAMMA E PARTITO: LA QUESTIONE DELL'ORGANIZZAZIONE

Una seconda questione, legata alla prima, è quella della “organizzazione”.

Il documento citato del Clash City Workers si sofferma a lungo sull'argomento. Distingue positivamente tra il livello dell'organizzazione sindacale e il livello dell'organizzazione politica. Ma sul livello dell'organizzazione politica sembra rinviare ogni scelta a un futuro indeterminato. La logica di fondo è riassunta nei termini seguenti: “ Per noi la questione dell'organizzazione si pone senza alcuna scorciatoia.., ma si pone. Non potremmo mai pensare di risolverla da soli, con un'operazione di tipo volontaristico e ridicolo, come tanti hanno fatto in questi anni, bruciando energie, e non pensiamo di risolverla prescindendo da un livello di mobilitazione di massa che- va sempre tenuto in mente- è l'unico che può sollecitare e contribuire alla soluzione del problema..” A ciò si accompagna una lunga citazione del Che Fare di Lenin, incentrata sulla funzione del giornale come “organizzatore collettivo”: un giornale definito da CCW come “quel primum che serve a raccogliere gli elementi dispersi, a organizzarli, a dargli vigore”. Dunque, par di comprendere, si tratterebbe di usare il sito di Clash City Workers come “organizzatore collettivo”, in analogia al giornale proposto dal Che Fare. L'organizzazione politica (il termine partito non è mai usato) sarebbe eventualmente lo sbocco ultimo di questo lavoro, in connessione con le dinamiche di classe.
Questa impostazione non regge, perché capovolge i termini del problema.

Naturalmente è positivo che la questione dell'organizzazione politica venga posta. Ancor più che si assuma formalmente come esempio quella che viene definita “ la più grande organizzazione rivoluzionaria della storia: il partito bolscevico”. Ma proprio questo riferimento, di assoluta importanza, ribalta totalmente l'impostazione dei compagni. Nella storia reale del partito bolscevico, il giornale non fu affatto “il primum” come afferma Clash City Workers. Il primum fu il Partito Operaio Socialdemocratico russo, nato nel 1898, sulla base di un programma marxista generale, cioè di una delimitazione programmatica. Il bolscevismo nacque come tendenza della socialdemocrazia rivoluzionaria russa, difendendo e sviluppando quel programma. E sul programma realizzerà la rottura finale col menscevismo. E' vero: la funzione del giornale come “organizzatore collettivo” è centrale nella concezione di Lenin . Ma la funzione del giornale non è quella di “creare” il partito. É quella di organizzare un partito già esistente, che ha raggruppato i comunisti attorno a un comune programma di rivoluzione. Questo è metodologicamente il punto decisivo. Nella concezione leninista il partito è in primo luogo un programma generale, distinto e contrapposto a ogni altro programma. L'avanguardia che aderisce a quel programma si unisce e si organizza attorno ad esso. Questo è il fondamento del partito. Naturalmente, su quel fondamento, il partito lavora a costruirsi in connessione con la dinamica viva della lotta di classe, coi processi di maturazione della sua avanguardia più larga, con i processi di scomposizione e ricomposizione della rappresentanza politica della classe. E sul terreno della sua costruzione possono porsi le più diverse articolazioni della tattica e della strumentazione organizzativa. Ma un partito rivoluzionario non nasce da un giornale, e non si fonda su un giornale. Nasce e si fonda su un programma generale.
Siccome i compagni del Clash City Workers non partono dal programma ma dall'”inchiesta” finiscono con l'impantanarsi sulla questione del partito, affidandone il futuro al giornale che fa l'inchiesta. Il risultato è quello che gli stessi compagni riconoscono con onestà intellettuale:” E' il punto su cui ci siamo bloccati” (luglio 2013). Si sono bloccati perché il vicolo è cieco.


TRADUNIONISMO O POLITICA RIVOLUZIONARIA?

Una terza questione attiene al profilo dell'intervento di classe, in generale e nell'oggi.
Clash City Workers nelle proprie elaborazioni riporta più volte un concetto importante: “I presupposti oggettivi per ricominciare un'azione rivoluzionaria in Italia non sono mai stati così numerosi..(luglio 2013). Oppure:” Si pone davanti a noi la possibilità materiale di fare la rivoluzione e instaurare un diverso modo di produzione..”(“Dove sono i nostri”). Detto in altri termini: le condizioni oggettive di una rivoluzione socialista sono presenti, sono mature, sono misurate dalla profondità della crisi capitalista e dalla crisi dello stesso spazio riformista, dal fatto che solo un rovesciamento del capitalismo può riaprire una dinamica di progresso sociale altrimenti precluso. Il punto è che “se dal punto di vista materiale motivi e risorse per fare una rivoluzione ce ne sarebbe a iosa, la coscienza di classe è ai minimi storici, la soggettività rivoluzionaria è dispersa..” (“Dove sono i nostri”). Condividiamo a fondo questo punto d'analisi. La contraddizione di fondo della nostra epoca sta tra la maturità delle premesse oggettive della rivoluzione e l'immaturità del fattore soggettivo: cioè l'arretramento profondo della coscienza politica della classe, il ritardo della costruzione e sviluppo del partito rivoluzionario. Chi conosce la nostra riflessione ed elaborazione sa che essa è la cornice di fondo della nostra analisi e della nostra azione.

Ma se questa è la realtà dovrebbero seguirne implicazioni adeguate.
In primo luogo, come abbiamo visto, la definizione di un programma rivoluzionario generale e l'unificazione organizzativa attorno ad esso di tutti coloro che lo condividono e si impegnano a militare nella lotta di classe per sostenerlo. In secondo luogo, e in connessione con questo, un intervento nella classe finalizzato a sviluppare la sua coscienza politica, ad elevare la sua coscienza soggettiva all'altezza della necessità oggettiva della rivoluzione.

Invece l'impostazione di Clash City Workers rimuove non solo il primo aspetto, ma di riflesso anche il secondo. Il grosso dell'intervento, delle prese di posizione sulle vertenze, della stessa impostazione del lavoro d'inchiesta, sembra attestarsi in sostanza sul livello minimo sindacale. Con una giusta sottolineatura e attenzione classista, spesso con posizioni di merito condivisibili. Ma senza sviluppare il lato politico dell'intervento.
Qui sta una divergenza di fondo.

Il Che Fare di Lenin che giustamente i compagni citano a riferimento fu scritto esattamente per contrastare l'abbassamento dell'intervento rivoluzionario al livello sindacale e tradunionista. Agli “economicisti” del suo tempo che si limitavano a “dare carattere politico alle lotte economiche”, mettendosi a rimorchio della spontaneità del movimento, Lenin replicava affermando che il “tradunionismo è l'asservimento ideologico degli operai alla borghesia”: “Chi induce la classe operaia a rivolgere la sua attenzione, il suo spirito di osservazione e la sua coscienza esclusivamente, o anche principalmente, su se stessa, non è un socialdemocratico, perché per la classe operaia la conoscenza di sé stessa è indissolubilmente legata alla conoscenza esatta dei rapporti reciproci di tutte le classi della società contemporanea, e conoscenza non solo teorica, anzi, non tanto teorica, quanto ottenuta attraverso l'esperienza della vita politica”. “La questione si può porre solamente così: o ideologia borghese o ideologia socialista, non c'è via di mezzo... Il compito della socialdemocrazia è di introdurre nel proletariato la coscienza della sua situazione e della sua missione. Non occorrerebbe far questo se la coscienza emanasse da sé dalla lotta di classe”. Da qui la necessità che i militanti comunisti non si limitino al ruolo di “sindacalisti”, sia pure classisti, ma si trasformino in “tribuni del popolo”, capaci di sviluppare la propria propaganda e agitazione tra le masse su tutti i fatti politici, su tutte le forme di oppressione e di ingiustizia, su tutte le esperienze della vita politica, nazionale e internazionale, per portare nella classe la coscienza socialista, la coscienza della necessità della rivoluzione.

Se questo era vero nella Russia del primo 900, non è meno vero oggi, a fronte dell'arretramento storico della coscienza operaia. E tanto più in Italia, dove l'arretramento della coscienza politica di classe ha registrato un'autentica precipitazione all'indietro negli ultimi decenni.

Naturalmente non si tratta affatto di ignorare o anche solo sottovalutare l'importanza dell'intervento sindacale e sui temi economici, ciò che vede il nostro partito impegnato costantemente e su diversi fronti. Ma si tratta di combinare quello stesso intervento col primato della battaglia politica, per sviluppare coscienza politica. Che non è solo spiegare agli operai che il loro interesse è in contraddizione con quello dei padroni (tradunionismo), ma è anche spiegare agli operai cos'è lo Stato, qual'é la diversa natura dei partiti borghesi che lo gestiscono, in cosa consiste la specifica truffa del populismo in tutte le sue varianti, qual'é la funzione delle sinistre riformiste come “agenzie borghesi” nella classe operaia, qual'é la natura della Chiesa e di ogni confessionalismo religioso, qual'é la natura della diplomazia borghese internazionale e delle sue finzioni (ONU), qual'é il quadro delle attuali contraddizioni imperialistiche nel mondo; ed anche qual'é il bilancio di verità della storia della propria classe, cosa ha significato lo stalinismo, qual'é la differenza tra socialismo e stalinismo... E così su ogni altro tema e terreno di mistificazione borghese.

Anche per questo è fondamentale, non domani ma oggi, la funzione del partito comunista: perché non un sindacato, fosse pure il migliore, ma solo un partito rivoluzionario può misurarsi con l'insieme dei temi politici di propaganda e agitazione, unendo in un unico piano d'azione battaglia economica, battaglia politica, battaglia ideologica. E solo un partito può misurarsi con la molteplicità dei terreni e delle angolazioni da cui sviluppare quella battaglia: quello sindacale certamente; ma anche quello dell'intervento in ogni settore sociale oppresso e su ogni terreno di oppressione; ed anche quello elettorale, come occasione di presentazione a masse più larghe del programma della rivoluzione, contro ogni forma di elettoralismo borghese e subalterno.


PROGRAMMA MINIMO O RIVENDICAZIONI TRANSITORIE?

Aggiungiamo che lo stesso intervento di classe sul piano sindacale, non può limitarsi all'intervento molecolare sulle singole vertenze, ma deve porsi il problema di una proposta generale unificante, sia sul terreno delle rivendicazioni sia sul terreno delle forme d'azione, che contrasti la drammatica frammentazione delle lotte di resistenza in direzione di una ricomposizione del movimento operaio.

Per questo, ad esempio, abbiamo posto il tema di una grande vertenza generale, di una piattaforma di svolta unificante, di un processo di autorganizzazione unitaria che la promuova (assemblea nazionale di delegati eletti), di una svolta sullo stesso terreno delle forme di lotta e di organizzazione (occupazione delle aziende che licenziano, azione prolungata, casse di resistenza), indicando la necessità di “una radicalità uguale e contraria a quella dei padroni e del governo”, come unica via per strappare risultati. Su questo asse di proposta generale abbiamo dato e diamo battaglia in ogni sindacato classista e in ogni occasione di confronto, contro la burocrazia CGIL da un lato e l'autocentratura di molti sindacati di base dall'altro. E sempre su questo asse di proposta siamo intervenuti nelle singole vertenze di frontiera di questi anni di crisi: in Alitalia, alla Fiat, all'Alcoa, alla Merloni, all'Irisbus, all'AST di Terni, fra i tranvieri di Genova e oggi anche all'Ilva, articolando l'intervento secondo le diverse specificità aziendali ma sempre ponendo la necessità di una svolta unitaria e radicale del movimento operaio. Sempre cercando di far emergere dall'esperienza viva degli operai l'esigenza di una direzione alternativa delle loro lotte, sul piano sindacale ma anche politico.

Così è stato ed è sul terreno delle rivendicazioni.
I compagni di Clash City Workers criticano giustamente l'impostazione rivendicativa subalterna di altre componenti dell'antagonismo, in particolare sul tema del reddito, ponendo la centralità della rivendicazione della riduzione dell'orario a parità di paga come ripartizione del lavoro. Ma è necessario sviluppare questo spunto sul piano più generale. Riduzione dell'orario come ripartizione del lavoro è una rivendicazione tanto centrale quanto dirompente sullo sfondo della crisi capitalista. Richiama l'esigenza di un sistema di rivendicazioni più complessivo che crei un ponte tra la coscienza attuale dei lavoratori e la necessità di rompere con la società borghese. E' il tema del programma delle rivendicazioni transitorie su cui nacquero i partiti comunisti delle origini e che proprio la profondità della crisi capitalista ripropone in tutta la sua straordinaria attualità. Quando rivendichiamo l'esproprio sotto controllo operaio delle aziende che licenziano come misura a difesa del lavoro; quando poniamo l'abolizione del debito pubblico verso le banche e la nazionalizzazione delle banche come misura necessaria per la difesa e l'allargamento delle protezioni sociali, partiamo sempre dalla concretezza di uno scontro radicale col padrone e col governo: ma al tempo stesso diciamo agli operai che per affrontare e vincere quello scontro è necessario rompere le compatibilità del capitale e porsi su un terreno anticapitalistico. La campagna propagandistica incessante che conduciamo “per un governo dei lavoratori, basato sulla loro organizzazione e la loro forza” è non a caso il coronamento politico costante di tutto il nostro intervento sindacale, ben al di là di un orizzonte puramente tradunionista. E' l'indicazione della rivoluzione socialista, formulata in termini più popolari e accessibili.

Su questo terreno generale misuriamo la distanza tra noi e le migliori espressioni dell'antagonismo classista come i Clash City Workers. E non è un caso. Non si tratta di una differenza banale di accentuazione più o meno radicale dell'intervento sindacale. Si tratta in ultima analisi, ancora una volta, della natura del programma, cioè del fine. Un partito rivoluzionario, che si basa su un programma di rivoluzione, è una tensione organizzata verso il fine. E' naturale che esso cerchi di introdurre la prospettiva del potere dei lavoratori in tutte le pieghe della propria propaganda e della propria agitazione: nell'indicazione di una forma di lotta, nell'articolazione di una rivendicazione transitoria, nella formulazione di una proposta di auto organizzazione, nell'impostazione politica più complessiva del proprio intervento di classe, nella classe operaia e in ogni movimento. Sempre nell'ottica di elevare la coscienza di classe al livello della necessità rivoluzionaria. Un'area antagonista classista, fondata essenzialmente sul lavoro d'inchiesta, sia pur meritorio, tenderà a ridurre il grosso del proprio intervento alla sfera tradunionista e vertenziale. Senza poter sviluppare sul piano politico le tante intuizioni classiste che magari enuclea sul piano dell'analisi.


LA QUESTIONE DELL'INTERNAZIONALE

Una quarta questione investe l'aspetto internazionale e internazionalista dell'intervento di classe.

Clash City Workers riconosce ripetutamente l'esigenza di un internazionalismo classista. “Il quarto livello di azione che ci proponiamo è la connessione dei lavoratori fra loro, su base locale, nazionale e magari internazionale” (luglio 2013). E' un riconoscimento importante. Ma anche in questo caso non ci si può fermare all'evocazione del tema. Occorre dare una risposta.

I lavoratori hanno un proprio interesse internazionale da difendere, contro la propria borghesia. Affermare questo concetto a fronte della marea montante delle campagne reazionarie anti migranti, o più semplicemente delle operazioni divisorie che quotidianamente affiorano in ogni vertenza operaia sul lavoro (delocalizzazioni, ricatti, uso della miseria maggiore di altri sfruttati ad altre latitudini del globo per strappare peggiori condizioni di vita e di lavoro nelle metropoli) rappresenta di per sé un valore politico. Tanto più a fronte delle molte brecce che campagne e culture scioviniste hanno aperto tra i lavoratori e nella stessa sinistra.

Ma come sul piano nazionale, anche sul piano internazionale vanno distinti i livelli. Dialetticamente sempre connessi. Ma anche diversificati.

Un primo livello è quello sindacale: i lavoratori dell'automobile nel mondo, ad esempio, hanno l'interesse comune a coalizzarsi contro le politiche dei capitalisti e dei loro Stati a tutela della propria condizioni. E' un esempio che vale ovviamente per tutti i settori della classe operaia coinvolti, direttamente o indirettamente, nella concorrenza globale sul mercato mondiale (a partire dalla siderurgia, dalla cantieristica, dall'industria tessile ecc..). Le burocrazie sindacali dei vari paesi, interessate a vendere la propria classe operaia alla propria borghesia, sono nemiche di ogni vero internazionalismo proletario sullo stesso terreno più elementare. Occorre reagire. Come sul piano nazionale si tratta di lavorare per la rifondazione di un sindacato di classe antiburocratico, lo stesso va fatto sul piano internazionale . Per questo abbiamo partecipato due anni fa al primo incontro mondiale dei sindacati o tendenze sindacali di orientamento classista, tenutosi a Parigi, cui hanno contribuito compagni e partiti della nostra organizzazione politica internazionale di riferimento (CRQI). Connettere i lavoratori internazionalmente, è impossibile farlo su basi serie ed utili senza passare per il rapporto con altre organizzazioni e tendenze sindacali di altri paesi che lavorano per il medesimo scopo.

Ma accanto al livello sindacale c'è il livello politico più generale. L'internazionalismo proletario non si fonda soltanto sulla comunanza dell'interesse immediato dei lavoratori dei diversi Paesi. Si fonda anche sul fatto che un programma rivoluzionario e comunista può realizzarsi compiutamente solo su scala internazionale. Per i comunisti questo è e deve essere il punto prioritario e caratterizzante. Tanto più dopo l'esperienza liquidatrice dello stalinismo e del “socialismo in un solo paese”. Se questo è vero si tratterà di unificare e organizzare sul piano mondiale tutti coloro che condividono quel programma e intendono battersi per la sua realizzazione. Se il programma è mondiale, mondiale dev'essere il partito che lo persegue.

Non si tratta di rinviare all'avvenire questa esigenza politica. Come non può rinviare la costruzione del partito rivoluzionario su scala nazionale, così non si può rinviare la costruzione dell'internazionale rivoluzionaria sul piano mondiale. Né si può dire: prima costruiamo il partito in casa nostra, poi ci occuperemo eventualmente dell'internazionale. Perché partito nazionale e internazionale sono due lati dello stesso processo.
Nella storia del movimento operaio, non sono venuti prima i partiti nazionali e poi le internazionali. Semmai è accaduto l'inverso. Il Manifesto del Partito Comunista del 1848 fu il manifesto della prima organizzazione internazionale del movimento operaio, la Lega dei Comunisti. Poi Marx ed Engels lavorarono alla Prima internazionale (1864) e successivamente alla Seconda (1889). Lenin e Trotsky e Rosa Luxemburg lanciarono immediatamente la prospettiva della Terza Internazionale subito dopo il tradimento della Seconda Internazionale di fronte alla guerra, quando le forze disponibili all'impresa erano talmente ridotte che, come disse Lenin, potevano “stare tutte in una sola automobile”. Prima dello Stalinismo, la costruzione del partito internazionale era dunque questione di principio, quanto la natura internazionale del programma. Non a caso lo stalinismo che distrusse quel programma fini col distruggere e infine dissolvere la Terza Internazionale.

Se oggi poniamo con altri partiti rivoluzionari al mondo la necessità di rifondare la Quarta Internazionale, è esattamente per riannodare la migliore tradizione rivoluzionaria del movimento operaio. Del resto: se Clash City Workers afferma l'attualità oggettiva della rivoluzione sul piano internazionale, come può ignorare la necessità di costruire un'internazionale rivoluzionaria?

Ma per costruire un internazionale rivoluzionaria non è sufficiente “connettere i lavoratori” nelle vertenze sindacali transnazionali. Non è sufficiente il puro terreno tradunionista/ classista. E' necessario unificare le forze su un programma generale, attorno ad assi generali: rifiuto della collaborazione di classe in ogni sua forma; opposizione ai governi borghesi inclusi quelli “di sinistra” (Governo Syriza); centralità della prospettiva della dittatura proletaria come potere dei consigli (contro ogni deriva stalinista o chavista); impostazione transitoria del programma d'intervento nella classe per gettare un ponte tra coscienza e rivoluzione. Sono non a caso gli stessi assi generali su cui costruire il partito rivoluzionario nei diversi paesi.

A sua volta lo sviluppo di un partito rivoluzionario è il miglior investimento nella rifondazione classista e anticapitalista del sindacato. Lo è sul piano nazionale. Lo è sul piano internazionale. E' un caso che la più grande esperienza di sindacalismo classista e anticapitalista sul piano mondiale nel secolo scorso (Internazionale sindacale rossa) sia nata in connessione con lo sviluppo della Terza Internazionale comunista?

Ma ancora una volta, per affrontare tale necessità non serve l'inchiesta e la pura evocazione dell'interesse internazionale dei lavoratori. Serve un lavoro paziente di confronto, incontro, tessitura di relazioni con quelle forze d'avanguardia che sul piano mondiale si pongono sul terreno della rivoluzione socialista. Una dimensione di lavoro che l'antagonismo classista, per sua natura, ignora.


IN CONCLUSIONE

Ribadiamo il giudizio positivo sull'emergere di una componente di impronta classista nel campo antagonista. Guardiamo con interesse alla battaglia di idee che essa intende aprire nel proprio campo di riferimento. Pensiamo alla possibilità di alcune battaglie comuni nei movimenti sulla centralità del riferimento di classe.

Ma il marxismo rivoluzionario è altra cosa dal puro antagonismo classista. Va oltre la soglia del conflitto tra operaio e padrone. Si pone sul terreno della rivoluzione. Per questo si impegna nella costruzione del partito rivoluzionario, su scala nazionale e internazionale.

L'eventuale conquista a tale prospettiva delle forze migliori dell'antagonismo classista sarebbe un passo positivo di questa costruzione.
PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI
Segreteria politica

LA XENOFOBIA E' NAUSEANTE. IL PURO UMANITARISMO E' INSUFFICIENTE. PER UNA SOLUZIONE ANTICAPITALISTA DEL DRAMMA MIGRATORIO

20 Aprile 2015

La strage di oltre 700 migranti in acque libiche misura l'enormità di quanto sta accadendo in fatto di migrazione. Ma anche l'ipocrisia criminale di tutti gli attori istituzionali della tragedia, in Italia e in Europa.

BUGIE CRIMINALI

Avevano detto che la missione italiana Mare Nostrum incoraggiava le partenze in quanto “assicurava il soccorso in mare”, e poi “costava troppo”. E che per questo andava rimpiazzata dalla missione europea Triton, promossa da Frontex, che ha l'esclusivo mandato del pattugliamento senza soccorso. Risultato? Le partenze sono cresciute a fronte di un soccorso minimo, di fatto solo volontario, di navi mercantili. La conseguenza terribile è la moltiplicazione annunciata dei morti. Un vero e proprio crimine di cui portano la responsabilità le forze dominanti di ogni colore, in Europa e in Italia.

Il flusso migratorio cresce di dimensioni e muta nella sua composizione.
La disgregazione dello Stato libico non è la causa del flusso. Polarizza la sua direttrice , offre il luogo di massima concentrazione delle partenze. Non di più. Nè la causa sono i cosiddetti “scafisti”, bande e imprese criminali che sfruttano la disperazione nella logica spietata del mercato, con metodi schiavisti. La causa dell'espansione progressiva del flusso migratorio è la stessa che spiega la sua composizione nuova: è la fuga dalla guerra e dalla morte. Somalia, Eritrea, Irak, Siria, Nigeria, Mali, Gaza e naturalmente la Libia: sono questi i luoghi di provenienza della stragrande maggioranza degli uomini, delle donne, dei bimbi, degli anziani, che cercano la via del mare.

Questa umanità disperata e dolente non sarà mai trattenuta dalla mancata certezza del soccorso, o dal rischio della morte. Perchè preferisce il rischio della morte, concentrato in una sola impresa, al terrore della morte come destino della vita, per sé e per i propri cari. Aver coscientemente e volutamente ridotto il soccorso non poteva ridurre le partenze, poteva solo moltiplicare i morti. A tutti gli effetti, proprio per questo, autentici omicidi. Omicidi di cui portano la responsabilità tutti i firmatari della missione Triton, governo italiano e autorità europee in primo luogo. Come tutte le canaglie del salvinismo e dei suoi omologhi europei che costruiscono la propria carriera politica ( stipendi e poltrone incluse) alimentando il gioco cinico della paura dei migranti nel più totale disprezzo di ogni senso umano di pietà.

LE FALSE “SOLUZIONI”

Ora gli stessi responsabili italiani ed europei dell'ecatombe in corso, si affrettano ad annunciare “soluzioni”. Ma le “soluzioni” sono tanto poco credibili quanto coloro che le propugnano.

“ Blocco navale davanti alle coste libiche” grida Salvini, “per respingere l'invasione”. Questa “ soluzione” significherebbe abrogare il diritto di fuga e di asilo dei profughi di guerra, consegnandoli ai loro aguzzini.
“ Azione di polizia internazionale, targata UE e ONU, davanti alle coste libiche, per istituire centri di identificazione e smistamento dei migranti” propone Renzi. Questa “soluzione” ipotizzata da ambienti del governo italiano, a prescindere da ogni problema di praticabilità, si scontra con un interrogativo elementare: quale sarebbe il criterio dello smistamento ? Si dice che occorrerebbe distinguere tra “migranti economici” e profughi di guerra, i primi da respingere e i secondi da accogliere. Ma non è chiaro che il grosso del flusso è oggi fuga dalla morte? La verità è che si cerca il modo di bloccare la fuga dalla morte di masse umane disperate istituendo una barriera “legale” e “democratica” di respingimento. Potrebbe essere forse una “soluzione” per Renzi e i governi europei: si fa mostra di bloccare l'afflusso con argomenti “umanitari”, non si paga il prezzo d'immagine delle morti in mare, si contrasta la concorrenza elettorale dei Salvini di turno. Ma sarebbe una “soluzione” per i migranti quella di morire nel deserto, o di tornare nelle fauci delle proprie domestiche dittature, o di finire preda e trofeo del fascismo islamico dell'ISIS? Oppure di provare la fuga con mezzi e peripezie ancor più avventurose, ancor più ricattabili, ancor più costose in termini di sacrifici e di vite?

L'IPOCRISIA DEI GOVERNI BORGHESI EUROPEI

La verità è che i governi borghesi d'Europa, senza eccezione alcuna, cercano una soluzione per sé, non per i migranti. Di fronte alla più grande migrazione di massa del secondo dopoguerra, ogni regime borghese cerca il massimo utile per gli interessi della propria classe col minimo prezzo in termini di consenso. A questo sono servite e servono le leggi anti migranti nella UE. Non hanno bloccato la migrazione, perchè nessuna migrazione dalla fame e dalla morte può essere bloccata. In compenso hanno trasformato la vita di grandi masse di migranti in un inferno “clandestino” quotidiano, merce ricattabile per il massimo profitto delle imprese, e per di più oggetto di aggressioni xenofobe e concorrenze elettorali.

Oggi la storia si ripete. Di fronte alla nuova tragica impennata del flusso migratorio, per di più “incontestabile” trattandosi di profughi, si cerca di mascherare il loro respingimento con argomenti “umanitari” e persino “democratici”( lotta agli “scafisti schiavisti”, ai possibili “terroristi” ISIS mascherati, alla “tragedia delle morti in mare”). In realtà otterranno solo due risultati: renderanno ancor più difficile e disperata la fuga, accrescendo il rischio di morte. Creeranno una nuova leva di massa di cosiddetti “clandestini” da sfruttare entro le proprie frontiere.

Quanto agli accoglimenti “legali”, ridotti al minimo, ogni Stato capitalistico cercherà di scaricare sull'altro il fardello dei relativi costi di accoglienza (v. accordo di Dublino). E sicuramente ridurrà al minimo, sotto ogni più elementare livello di decenza, i “costi” di accoglienza della “propria quota”. Non senza invereconde mangiatoie di sprechi e ruberie, gestite da cooperative bianche e “rosse” sulla pelle dei migranti, ridotti ad appestati senza diritti nei campi di detenzione senza colpa.

IL CAPITALISMO NON SA RISOLVERE I PROBLEMI CHE CREA

Il capitalismo è incapace di risolvere i problemi che esso stesso crea. Questa è la lezione di fondo del dramma migratorio oggi. Le guerre che attraversano il Medio Oriente e il Corno d'Africa; le convulsioni tragiche dell'Africa sub sahariana, sono tutte effetto diretto o indiretto della dominazione imperialista, dei suoi retaggi antichi, delle sue più recenti rapine e scorrerie. La stessa barbarie dell'ISIS è il sottoprodotto delle missioni militari “democratiche” del passato decennio.

E non si tratta solo di responsabilità militari. Le vetrine dell'Expo a Milano mostreranno la ricchezza dell'offerta capitalistica del cibo. Ma la fame cresce in Africa e in Asia, anche per effetto dello spopolamento delle campagne, dell'accaparramento di terre fertili per la produzione di biocombustibili, della desertificazione e siccità crescente connessa anche ai cambiamenti climatici prodotti dall'industrializzazione tossica del capitalismo. Le grandi migrazioni di masse umane sono sempre state nella storia un riflesso di disuguaglianze e contraddizioni planetarie. Così fu a fine 800 e primo 900 nelle migrazioni europee verso le Americhe. Così è oggi nelle grandi migrazioni africane e medio orientali in Europa.

La differenza è che le stesse migrazioni prodotte dai crimini imperialisti trovano oggi un Europa capitalistica in declino, complessivamente stagnante, distruttrice di posti di lavoro e di diritti dei propri proletari. E quindi un Europa ancor meno “accogliente” dell'America di un secolo fa.
Dovrebbe essere una ragione in più perchè il movimento operaio europeo faccia quanto fece il movimento socialista americano del primo 900: una battaglia contro la xenofobia, contro le leggi anti migranti, per la fratellanza tra gli sfruttati e gli oppressi al di là di ogni confine e bandiera.

PER UNA SOLUZIONE SOCIALISTA DEL DRAMMA MIGRATORIO

No ai respingimenti, aperti o mascherati, dei migranti.
Per un piano di accoglienza dignitosa dei migranti, a partire dai profughi, su scala europea.
Per una libera circolazione dei migranti in Europa.

Cancellazione delle leggi anti migranti, in ogni paese e su scala europea. A parità di diritti parità di lavoro, tra lavoratori europei e migranti
Ripartizione fra tutti del lavoro esistente, con la riduzione dell'orario di lavoro a parità di paga. A vantaggio dei lavoratori europei e migranti.
Piano del lavoro, in ogni paese e su scala europea, per opere sociali, finanziato dalle grandi ricchezze. A vantaggio dei lavoratori europei e migranti.
Requisizione, in ogni paese, dei grandi patrimoni immobiliari, per dare reale diritto di abitazione a lavoratori europei e migranti.

Altro che balbettii “umanitari” delle sinistre riformiste europee!
Solo un governo dei lavoratori, in ogni paese e su scala europea, può seriamente affrontare la tragedia migratoria nell'interesse comune degli sfruttati.
Solo gli Stati Uniti Socialisti d'Europa possono incoraggiare in tutti i continenti la lotta e ribellione degli sfruttati contro la dominazione del capitalismo e dell'imperialismo.
Per recidere alla radice la causa stessa dell'emigrazione.

“Solo la rivoluzione cambia le cose”. Vale anche per i migranti.
PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

Volantino PCL di aprile - Renzi, un bugiardo al servizio dei capitalisti

Le bugie del populismo reazionario in tutte le sue salse (Renzi, Salvini, Grillo) non fanno che distogliere i lavoratori dalla realtà delle cose e dai loro reali bisogni. Un'opposizione alle classi dominanti di sfruttatori e ai loro partiti (comprese le sinistre compromesse col PD) può passare solo da un partito dei lavoratori, un partito rivoluzionario forgiato nella fucina della lotta di classe e del movimento operaio.

Hera: il dominio del profitto sul bene pubblico

In questi stessi giorni i vari consigli dei comuni soci di Hera stanno votando le delibere che modificano lo statuto di Hera permettendo ai proprietari pubblici (oltre 200 comuni del Nord-Est) di scendere sotto il 51% dell'azionariato complessivo, consegnando di fatto il controllo di Hera in mano a capitali privati. Hera è una delle principali aziende, in Italia, che erogano i servizi energetici, idrici e ambientali (raccolta e smaltimento rifiuti): il piano di privatizzazione, ancora una volta, è quello di subordinare i bisogni vitali della popolazione al profitto di investitori privati che non hanno altro fine se non quello di arricchirsi sulla pelle di tutta la cittadinanza ed in particolare a spese delle masse di lavoratori, disoccupati e studenti che faticano (o non riescono proprio) a pagare le bollette, tra le più alte d'Italia.
Il Partito Comunista dei Lavoratori sostiene da sempre la necessaria misura del ritorno alla piena proprietà pubblica, sotto controllo dei lavoratori, di Hera e di tutte le multiutility, contro la privatizzazione e la quotazione sul mercato azionario. Se un’azienda privata va avanti con risorse pubbliche, pubblica deve essere la sua proprietà, a tutela dei lavoratori che impiega e per minimizzare il suo impatto sull'ambiente.

Una battaglia diffusa e radicale contro la privatizzazione di Hera e contro il dominio del profitto sul bene pubblico è nell'interesse della grande maggioranza della popolazione, di tutti i lavoratori e i proletari. Senza alcuna illusione nella “democrazia” dei partiti asserviti proprio a quei capitalisti interessati a trarre lucro dai bisogni vitali della popolazione. Contro il Partito Democratico, che a Bologna nelle segrete stanze ha già deciso, a quanto pare, di portare la quota d'azioni pubbliche al solo 35%.

VOLENTIERI DIFFONDIAMO: Venerdi' 10 aprile - Benefit per FALCE

SERATA BENEFIT

PRESSO IL
CIRCOLO IQBAL MASIH
VIA DEI LAPIDARI 13, BOLOGNA
BUS 11/C O 62 notturno
tang. uscita 5

Un soldo per l’Appello!
ore 19.00 incontro con Francesco
0re 20.00 Apericena
0ra 22.00 concerto con: IL VASO DI PANDORA (LIVE)
…a seguire dj set rock’n’roll

Pubblichiamo un contributo dei compagni di modena sulla vicenda, oggetto della serata di solidarietà.
Francesco Ficiarà, è un operaio della Fiat Trattori di Modena da circa 20 anni. Francesco lavora(va) al reparto saldatura, qui organizzandosi insieme ai suoi colleghi è diventato punto di riferimento in fabbrica nella resistenza al quotidiano sfruttamento imposto dal padrone Fiat. Per anni si sono svolte lotte in quella fabbrica per la sicurezza e la salute di tutti gli operai contro le imposizioni dell’azienda sulla produzione, e spesso contro il lassismo e la complicità dei sindacati, lotte che hanno portato anche risultati apprezzabili materialmente dagli operai.
A volte la coscienza e la determinazione del singolo spingono alla coesione sui propri interessi un intera collettività operaia, e risultano superiori, a quella di cento o mille manifestanti in piazza.
Già nel lontano 1997 a fine luglio, prima delle ferie estive, Fiat licenzio’Francesco con la scusa di una mai provata “voluta lentezza recidiva nella produzione”. In realtà, la Fiat si decise a fare questo passo per stroncare una testa pensante dell’ azione sindacale e politica all’interno (e non solo all’interno) della sua fabbrica. Allora egli dovette affrontare tre gradi di giudizio per vedere riconosciute le sue ragioni e alla fine la Fiat dovette ingoiare il calice amaro della sconfitta e riamettere Francesco al lavoro.
Nel 2011 la Fiat ci riprova, ancora più determinata, ad espellere questa avanguardia politico-sindacale dai suoi effettivi: il clima nel paese in quel 28 ottobre 2011 non era certo a favore dei compagni questo clima entro’ anche nelle fabbriche usato puntualmente dai dirigenti Fiat e Lo Licenzia di Nuovo. Francesco ricorre d’urgenza. la magistratura del lavoro nel processo d’urgenza il 20 Gennaio 2012 non accetta le tesi della Fiat su tre insignificanti episodi in fabbrica tra Francesco e 3 esponenti aziendali, diatribe che si verificano tutti i giorni in ogni luogo di lavoro, con “epiteti” reciproci, tra operai/capi e padroni, dando di nuovo ragione a Francesco riammetendolo in fabbrica, stigmatizzando il comportamento della Fiat come origine della (giusta) “conflittualità” tra operai e quadri dell’azienda .
Condannata però la Fiat non reintegra Francesco, impedendogli di rientrare nella fabbrica, tale è la paura di avere un operaio coerente e combattivo fra i suoi ranghi. E Ricorre al processo ordinario. Siamo a Febb. 2012.
Per tre anni Francesco rifiuta le offerte economiche di Fiat per una sua liquidazione deluxe, e resiste alla pressione oggettiva della situazione.
il 9 di Dicembre 2014 si conclude l’ordinaria, una giudice con una giravolta (della sentenza precedente) da ragione questa volta a Fiat e dichiara “legittimo” il licenziamento: per far ciò non si attacca più Francesco dal lato politico-sindacale, ma dal punto di vista umano e della sua rispettabilità. Di tutti gli operai e delegati Fiom che hanno sfilato al processo come testimoni delle innumerevoli multe e sospensioni, comprese le ultime 3, ricevute da Francesco, nel corso degli anni, come reazioni della Fiat alle lotte e agli scioperi interni ed esterni con picchetti, la giudice non ne tiene conto. In tempi di Jobs act viene naturale pensare la pericolosità estesa su tutti in tutti i luoghi di lavoro di una sentenza del genere, non facciamola passare.
In breve e per concludere, citiamo un solo esempio inaudito: nella sentenza si definisce l’epiteto “crumiro” rivolto ad una collega da Francesco (di risposta ad un epiteto dall’altra parte), come un atto di insubordinazione, talmente grave da giustificare, da solo, la perdita del lavoro. Insomma non si può attaccare sul lato politico dunque la Fiat cerca di sputtanare l’onorabilità dell’operaio, facendolo apparire come un distruttore delle “regole”, notoriamente da “bon-ton” e galatee che regnano nelle fabbriche.
Ora dopo questa battuta d’arresto (legale) non si può certo mollare, Francesco e i suoi compagni ricorrono in appello. L’appello costa e questa gabella (della borghesissima in-giustizia) è ancora più pesante per chi si trova a casa senza un salario. La solidarietà è un arma; così è scritto sullo striscione del nostro circolo e noi coerenti con questo motto vogliamo promuovere una serata benefit per aiutare con il calore della solidarietà ma anche con la materialità di risorse economiche la lotta impari di Francesco contro il moloch Fiat. Consci che se alla fine l’avrà vinta l’operaio Francesco e l’azienda Fiat avrà perso, a vincere saranno tutti gli operai che lottano, in questo paese del Jobs act, e a perdere saranno tutti i padroni, con i loro crumiri.

http://circoloiqbalmasihbologna.noblogs.org/files/2015/04/10_aprile.jpg

DE GENNARO E L'IPOCRISIA DELLA SINISTRA

Colpisce l'ipocrisia dei sepolcri imbiancati della democrazia borghese sulla figura di De Gennaro. “ Vergognoso che sia Presidente di Finmeccanica” grida Orfini. Ma” voi dove eravate ?” rispondono SEL e PRC. Già dove eravate.. Ma il “dove eravate” deve valere per tutti. La carriera di De Gennaro dopo la macelleria di Genova è stata assicurata e sospinta da TUTTI i governi che si sono susseguiti dopo il 2001. Non solo dai governi Berlusconi, Monti, Letta, Renzi. Ma anche dal governo di Romano Prodi, in cui sedevano gioiosi gli attuali dirigenti di SEL e PRC. La nomina di De Gennaro a capo gabinetto del ministro Amato risale infatti al 2007 durante il governo dell'Ulivo, sotto la Presidenza della Camera Bertinotti, all'ombra del ministro Paolo Ferrero. Quando il PRC che aveva raccolto i voti del “movimento No Global” nel nome della “non violenza” e di Carlo Giuliani votò le missioni di guerra e tacque sulla promozione del responsabile della tortura di Stato. Il PCL nacque allora, anche in risposta a quel crimine politico. Per questo siamo gli unici a sinistra a poter chiedere senza vergogna: “Ma voi dove eravate?”

PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

Sfratto ad Anzola: vincere con la lotta!

Continua la lotta per la casa a Bologna e in provincia: grazie alla presenza degli abitanti del quartiere e di solidali bolognesi, è stato rinviato di due mesi uno sfratto che pendeva su tre famiglie residenti ad Anzola dell'Emilia. Famiglie di lavoratori immigrati, spesso residenti da decenni nel territorio, ben lontane dagli stereotipi razzisti e reazionari che i partiti padronali alimentano.
Proletari che perdono loro malgrado il lavoro, e il salario su cui contavano, che non possono più permettersi di pagare affitti di 700 euro all'ASP Città di Bologna, l'azienda pubblica bolognese di servizi alla persona, che insieme all'amministrazione di Anzola si preoccupa prima di tutto di garantire la continuità delle rendite immobiliari, a danno di intere famiglie proletarie la cui prospettiva è spesso, come in questo caso, quella di finire per la strada. Anche chiamando in forze polizia e carabinieri (con quali costi? Chissà!), che devono prestarsi a questa militarizzazione sempre più estesa e brutale nella gestione delle giuste rivendicazioni dei lavoratori e del conflitto sociale che ne consegue di necessità.
Il tutto succede mentre la sinistra politica, quella che teoricamente dovrebbe schierarsi sempre e comunque dalla parte dei lavoratori, dei proletari contro i loro oppressori e sfruttatori, continua a disertare scientificamente questi appuntamenti di lotta, limitandosi a proporre soluzioni fantasiose e comunque inadeguate quando si tratta di raccogliere voti in campagna elettorale, salvo adattarsi, o appoggiare direttamente, le politiche locali e nazionali dei partiti dominanti (in primis il PD), tutte a favore dei grandi proprietari immobiliari e contro gli inquilini.
La buona riuscita del picchetto di oggi è sicuramente un risultato positivo e un buon esempio di come si possa iniziare a ricostruire quell'unità di classe necessaria per rispondere alle politiche di speculatori immobiliari, banchieri, industriali e partiti loro servi.
Ma rimane la questione di fondo di una alternativa politica dei lavoratori a tutto campo, che non si limiti a richieste d'elemosina a padroni che non vogliono concedere più nulla e che, anzi, demoliscono tutti i diritti acquisiti con le lotte operaie, portando mano a mano la classe lavoratrice verso una vita precaria, misera, umiliante, da schiavi salariati (per chi ha la “fortuna” del posto di lavoro). Alla forza dei padroni contro i lavoratori va contrapposta una forza uguale dei lavoratori (occupati e no) per rovesciare questo sistema, il capitalismo, e imporre un governo della maggioranza: una repubblica dei lavoratori.

Il Partito Comunista dei Lavoratori (PCL) continuerà a stare al fianco dei lavoratori e degli oppressi per la costruzione di un movimento di massa della lotta di classe e per un partito rivoluzionario dei lavoratori!


ORGANIZZARE E COORDINARE COMITATI DI LOTTA DEGLI INQUILINI!


LOTTARE INSIEME AGLI OPERAI MINACCIATI DA LICENZIAMENTI E CHIUSURE!


PER UN UNICO MOVIMENTO DI LOTTA CONTRO I PADRONI E CONTRO IL GOVERNO!


PER UN GOVERNO DEI LAVORATORI!











Comunicato stampa: verso lo sciopero cittadino del 15 maggio a Parma


Quello che ai più sembrava scontato alla fine si è avverato. Renzi, Poletti, Sacconi e compagnia anti-operaia applicano alla lettera i diktat della Troika e di Confindustria, realizzando il loro sogno più grande, che è allo stesso tempo l’incubo peggiore dei lavoratori: un taglio alle tutele della classe lavoratrice senza precedenti, lo smantellamento di fatto dello statuto dei lavoratori e dei suoi diritti più fondamentali.
Renzi e Confindustria portano a casa con estrema facilità la tanto desiderata schiavitù del nuovo secolo, decretando inoltre la crisi più profonda del più grande sindacato europeo e dei suoi dirigenti.
La chiamata allo sciopero, contro la deriva autoritaria e corporativista ed il neo-fascismo, contro il JobsAct ed i tagli delle spese sociali, contro la politica estera totalmente asservita all’imperialismo economico trans-nazionale del governo Renzi, le cui conseguenze sono a carico dei lavoratori e delle popolazioni inermi, e' nel segno della continuità con le manifestazioni e gli scioperi di ottobre, novembre e dicembre 2014 e con le lotte degli operai nelle fabbriche in crisi e dei lavoratori delle cooperative della logistica sostenute ed organizzate dai SI COBAS.
Lunedì 6 aprile 2015 si è svolta la prima azione di propaganda del fronte per la proclamazione dello sciopero cittadino affiggendo striscioni contro il Jobs Act nei punti nevralgici della città seguiranno altre azioni.
Contro il lavoro precario, le ristrutturazioni e i licenziamenti forzati, per la difesa dell’occupazione e la tutela dei diritti dei lavoratori, sosteniamo un fronte unico di classe e lo sciopero generale cittadino del 15 maggio 2015.
PCL Parma – USI – AZIONE PROLETARIA – FAI - CUB

Parma 07\04\2015

L'unica risposta al Jobs Act, alla politica del padronato e dei suoi partiti al governo, è LA LOTTA DI CLASSE!
Unità di classe nei territori per arrivare allo sciopero nazionale ad oltranza!





Mr. Job, continua la lotta operaia. Quale prospettiva?

Questa mattina lavoratrici e lavoratori della Mr. Job, che lavora in appalto per la Yoox, hanno scioperato nel complesso dei magazzini dell'interporto di Bologna; riprende la loro lotta a seguito del tentativo da parte delle aziende di rifarsi un'immagine dopo l'emergere delle gravi condizioni di sfruttamento e di abuso, tra ritmi sempre più accelerati di produzione, l'aumento selettivo e discrezionale di livello solo per alcune lavoratrici e non in base alla effettiva professionalità o anzianità maturata (unito a molestie sessuali), la non applicazione al 100% del CCNL, la non regolarizzazione delle ore lavorate passando da un contratto Part-Time ad uno Full-time, il tutto mentre la Yoox si allarga nel settore della moda con il beneplacito del PD renziano, sempre più palesemente in sostegno dei padroni contro i lavoratori a Bologna come in tutta Italia.

Solo costruendo coordinamenti di lotta, tra delegati e lavoratori diretti e delegati e lavoratori delle ditte d'appalto -dove lo sfruttamento e il ricatto è più pesante-, che abbia il compito di decidere le forme e i contenuti della mobilitazione può rappresentare un salto di qualità ed impedire la frammentazione e lo spegnersi delle lotte.

Costruire un vero coordinamento nazionale dei lavoratori, eletto dai lavoratori diretti e indiretti, che elabori un piano di azione da sottoporre al voto dei lavoratori!

Costituire una cassa di resistenza per sostenere gli scioperi che inevitabilmente per essere vincenti dovranno essere ad oltranza!

Costruire comitati aziendali di sciopero, eletti dai lavoratori, che affianchino nella mobilitazione i delegati e i rappresentati sindacali!

Costruire nel territorio la solidarietà attiva attorno alla lotta di tutti gli stabilimenti!


Solo un programma operaio di uscita dalla crisi capitalista può assicurarci un futuro: solo nazionalizzando, senza indennizzo e sotto controllo operaio, le aziende che licenziano e non rispettano i diritti dei lavoratori è possibile ritornare a vincere. Un programma che solo un governo dei lavoratori può attuare. 
 

Gravi affermazioni di Di Maio (M5S)

GRAVI AFFERMAZIONI DI DI MAIO (M5S) 30 Marzo 2015

L'affermazione di Luigi Di Maio (M5S) su Repubblica, secondo cui “il sindacato è una struttura che non ha più senso di esistere, come le ideologie”, conferma la natura profondamente anti operaia e anti sindacale del M5S. Non sono affermazioni nuove. Ricalcano il concetto espresso a suo tempo da Grillo sul “sindacato come ferrovecchio dell' 800, da abolire”. Non si tratta, come si vede, della critica alla politica sindacale o alla burocrazia sindacale, ma dell'esistenza stessa del sindacato in quanto tale. Nella concezione del M5S per cui “uno vale uno”( tranne i capi), ogni organizzazione di massa dei lavoratori è delegittimata e va soppressa. Esistono solo i “cittadini” come atomi web e il M5S quale rappresentanza dei “cittadini”. Punto. I tanti che anche a sinistra civettano col grillismo hanno una nuova occasione per riflettere: la Repubblica plebiscitaria sognata da Grillo e Casaleggio è agli antipodi non solo della sinistra, ma della stessa democrazia politica. In ogni caso è nemica dichiarata del lavoro.  

PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI