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Lo strano "comunista" Marco Rizzo


Dalla NATO a Kim Jong-un

Il dottor Stranamore, ovvero: come ho imparato ad amare la bomba e a non averne paura

“Rizzo pelato, servo della NATO”. Questo lo slogan apparso sui muri di Torino nel lontano 1999. Il motivo era allora chiaro. Marco Rizzo era uno dei principali dirigenti (coordinatore della segreteria nazionale) del cosiddetto Partito dei Comunisti Italiani, diciamo il numero tre, dopo Cossutta e Diliberto. Come tale era stato, nel 1998, uno dei principali organizzatori della scissione del Partito della Rifondazione Comunista. Scissione di destra.
Quando Bertinotti era stato costretto, a malincuore, a rompere col centrosinistra sfiduciando Prodi, i cossuttiani avevano rotto con lui per continuare a sostenere il governo; che in realtà era stato sostituito da quello di D’Alema, in cui i cossuttiani erano entrati a pieno titolo, ottenendo il ministero della Giustizia, affidato a Diliberto, e quello degli affari regionali, a Katia Belillo.
Fu questo il governo che nel 1999 partecipò alla guerra della NATO contro la Jugoslavia, bombardando Belgrado con arei italiani, mentre tutti gli arei NATO partivano dalla base italiana di Aviano. Il buon Rizzo non mosse un dito contro l’appoggio del suo partito al governo di guerra, anche se una minoranza dei delegati del PdCI ad un congresso del partito sollevò obiezioni (salvo poi capitolare con il profondo argomento che tanto la guerra... stava per finire con la vittoria della NATO).

Nella storia del Partito Comunista - che è poi in realtà sostanzialmente la storia del grande capo Rizzo - pubblicata sul sito del partito rizziano si afferma che il rapporto tra lui e gli altri dirigenti del PdCI cominciò ad incrinarsi all’epoca della guerra del Kosovo cui egli «cercò inutilmente di opporsi» (sic!). Nemmeno Sherlock Holmes riuscirebbe a trovare il minimo indizio di tale opposizione, e la sua conclusione rivolta al suo fido assistente non potrebbe essere che una: “Elementare Watson: Rizzo mente”.
Dopo la fine di questa guerra e, successivamente, del governo D’Alema, Rizzo cercò di accreditarsi come il capo della “destra” del PdCI. Nel 2001 si pronunciò contro la partecipazione del PdCI alle manifestazioni contro il G8 a Genova sulla base del motivo per cui non erano presenti i lavoratori (ovviamente la FIOM e il sindacalismo di base non contavano niente).
Nel 2003, mentre si stava discutendo dell’ipotesi della costituzione di un "Partito del Lavoro”, in pieno Comitato Centrale del PdCI Rizzo affermò testualmente: «il Partito del lavoro c’è già, e Cofferati è il suo capo». Questo mentre Cofferati si pronunciava, insieme a governo e Confindustria, per il boicottaggio del referendum per l’estensione dell’art 18.
Nel 2005, al Parlamento europeo, insieme all’astronauta Guidoni si distinse dal resto del gruppo della Sinistra Europea (GUE). Il futuro sovranista, infatti, feroce nemico della UE e dell’euro, votò a favore dei trattati europei, mentre tutto il GUE, con un minimo di dignità, votava contro.

Come mai questo riformista di destra si tramutò pochi anni dopo nel leader di una rottura di sinistra (per quanto sempre nell’ambito di opzioni riformiste quali quelle proprie dello stalinismo)?
La realtà è molto semplice: bagarre tra burocrati ambiziosi. Esautorato progressivamente Cossutta, i dioscuri del PdCI divennero Diliberto e Rizzo. Ma il segretario e il numero uno era Diliberto. Come si dice popolarmente, non possono esistere due galli nello stesso pollaio (riformista). Rizzo diede un'intervista ad un giornale in cui affermava che lui poteva contentarsi di essere un “numero due” (testuale), ma a condizione di essere il “vero numero due”. Sottotraccia era palese che il nostro era adepto della filosofia di Giulio Cesare secondo cui “è meglio essere il primo nel proprio villaggio, che il secondo in Roma”. Ma scalzare Diliberto si rivelò troppo difficile per il pur intelligente, abile e manovriero Rizzo. Di fronte a ciò egli aveva due possibilità: o approfondire le posizioni di destra e rischiare di fare la fine del vecchio Cossutta, del tutto emarginato e poi fuori dal partito e ai margini del PD; oppure seguire la “linea Totò (Antonio De Curtis principe di Bisanzio)”, e quindi buttarsi a sinistra.
E questo è quello che Rizzo fece, cominciando col criticare la coalizione dell’Arcobaleno, proseguendo con uno scontro frontale con il gruppo dirigente del PdCI, e in primo luogo con Diliberto, fino ad arrivare ad accusarlo di essere un massone, e a candidare un suo adepto neofita come il filosofo Gianni Vattimo nelle liste concorrenti di Italia dei Valori. Da ciò la rottura con il PdCI, e la costituzione con gli elementi più critici della linea opportunista del partito - ma anche più stalinisti - di Comunisti-Sinistra Popolare (oggi semplicemente Partito Comunista).

Ma l’isolamento internazionale della esperienza rizziana, lungi dal sottolineare il ruolo del “capo”, lo sminuiva. Per questo il nostro cominciò a guardarsi intorno per trovare la giusta casa. E incontrò così il Partito Comunista Greco (KKE). Questo partito stalinista combina da tempo un sostanziale riformismo, sia pure di sinistra, con una fraseologia rivoluzionaria, ma anche con un assurdo settarismo, in particolare nei confronti delle altre organizzazioni della sinistra (negli anni ’90, pur di combattere il PASOK socialdemocratico, giunse a costituire un governo con la destra).
Da alcuni anni il KKE ha organizzato una lassa unione di partiti stalinisti di sinistra, che ha assunto il nome di Iniziativa dei Partiti Comunisti e Operai d’Europa. Sufficientemente lassa per non costituire un pericolo per la leadership di Rizzo e, grazie al ruolo del KKE (gli altri partiti sono tutti molto piccoli), sufficientemente prestigiosa per dare una verniciatura internazionalista al suo partito.
Certo, c’erano alcuni problemi di tipo teorico-politico per realizzare l’accordo col KKE. Ma i problemi teorici non sono evidentemente problemi per Rizzo, e del resto, Atene val bene una messa.
Al momento della sua costituzione, il partito rizziano, conformemente alla tradizione stalinista italiana, si era richiamato a Togliatti (correttamente, dal suo punto di vista) e a Gramsci (abusivamente). Ma per il KKE il primo era un revisionista, che aveva anticipato quella tale partito che considera la svolta storica kruscioviana; il secondo un semitrotskista (tesi abbastanza corretta). In obbedienza al nuovo credo, Rizzo non ha esitato un secondo a sbarazzarsi del riferimento ai due.
In particolare, Gramsci era indicato come riferimento nello statuto stesso di Comunisti-Sinistra Popolare. Nondimeno Rizzo, senza aspettare un congresso né convocare almeno un comitato centrale, espulse Gramsci dallo statuto. Un gruppo di militanti di Roma protestò per questa scelta nel merito e nel metodo, e si ritrovò rapidamente fuori del partito, ciò che sottolinea la grande democrazia del partito rizziano.
Allo stesso modo Rizzo, silenziosamente, rinunciò al precedente filoputinismo, visto che il KKE considera (giustamente) la Russia un paese capitalistico in sviluppo e (altrettanto giustamente) la Cina un paese imperialista.
Questo portò Rizzo e il suo partito a considerare ormai come faro del socialismo (oltre Cuba) la Corea del Nord, dinastia ereditaria “rossa” dei Kim, oggi di Kim Jon-Un.

Recentemente il nostro ha parlato di questo e altro alla conferenza stampa elettorale di Rai2, prevista obbligatoriamente per tutte le liste presenti alle elezioni. In questa occasione ha confermato in primo luogo la sua natura di gran contaballe affermando con la più grande faccia tosta che la presentazione per la prima volta alle elezioni politiche del suo partito rappresentava la prima presenza della falce e martello sulle schede elettorali dopo dodici anni, dimenticando pour cause la costante presentazione in questi anni, nella totalità o nella maggioranza del paese, delle liste falcemartellate (accompagnate dal mondo dell’internazionalismo) del nostro PCL.
Nel corso della stessa conferenza stampa si è poi potuto assistere a tutte le ambiguità (e anche peggio) nazionalstaliniste su migranti, lotta ai fascisti, diritti civili, con Rizzo che addirittura si rifiutava di dire cosa avrebbe votato in merito alle unioni civili per gli omosessuali e allo Ius soli. Questioni ovviamente complicate, mica semplici come appoggiare i bombardamenti su Belgrado.
Ma sulla questione della Corea del Nord e del suo regime la faccia tosta ha ripreso il sopravvento. Forse temendo di passare alla cronaca (e alla satira stile Crozza) come il suo quasi omonimo Razzi, Rizzo ha cercato di presentare la sua posizione come una pura - e in questo caso legittima - difesa della nazione nord-coreana dall’imperialismo USA, senza identificazione o sostegno politico al sistema. Peccato che queste non fossero le posizioni espresse al momento della sua visita circa due anni fa in Corea, e soprattutto al momento dell’arresto e messa a morte (con o senza sbranamento dei cani) dello zio di Kim Jong-un che, con l’appoggio dei cinesi, aveva cercato di rovesciare il satrapo di Pyongyang per sostituirlo con uno stalinismo un po’ meno bizzarro. In questa ultima occasione, come avemmo occasione di commentare sul nostro sito all’epoca, egli affermò testualmente ad un giornale che lo intervistava: «Io sono contro la pena di morte, ma bisogna riconoscere che quest’uomo [lo zio, ndr] ha tentato un colpo di stato contro un governo democraticamente eletto» (sic!). Per dirla con Peppino: “e ho detto tutto”. E in questo caso è proprio vero.

Ma noi, che siamo buoni, vogliamo concludere questo testo con un sincero ed accorato appello al voto per le liste del Partito Comunista di Marco Rizzo.
Se pensate, a cento anni dalla rivoluzione russa (“inizio della rivoluzione mondiale” - Lenin), che la soluzione socialista si realizzi sul piano del sovranismo nazionale; che Stalin sia stato un grande dirigente rivoluzionario internazionalista; che il novanta per cento dei dirigenti a tutti i livelli della rivoluzione d’ottobre (che Stalin ha fatto uccidere) fossero solo dei traditori, assassini, terroristi e agenti (da molti anni) delle varie potenze imperialiste e in particolare di Hitler e del Mikado; che il socialismo del futuro debba somigliare, grossomodo, al regime della Corea del Nord, magari con il grande leader dotato di pelata, invece del taglio di capelli di Kim Jong-un; se pensate questo, votate Marco Rizzo e il suo partito.
Ma se invece non condividete quelle affermazioni, e vi considerate comunisti e comuniste, allora l’unica scelta possibile per voi è votare le liste di “Per una sinistra rivoluzionaria".
FG

Liberi e Uguali... agli altri?

  
La lista Liberi e Uguali si presenta come “la sinistra” rediviva. Curioso. Il suo candidato di punta, Pietro Grasso, è un corpo estraneo alla storia della sinistra. I suoi gruppi dirigenti (D'Alema, Bersani...) sono gli stessi che sciolsero il principale partito della sinistra, il PCI, per legittimare la propria corsa al governo agli occhi del capitale finanziario. I governi di centrosinistra che guidarono negli anni '90 (Prodi, D'Alema, Amato) sono gli stessi che realizzarono la precarizzazione del lavoro, la demolizione del vecchio sistema pensionistico, l'equiparazione tra scuola pubblica e privata, il record delle privatizzazioni in Europa, il bombardamento “umanitario” di Belgrado. I governi che hanno appoggiato in anni recenti (Monti, Letta, Renzi, Gentiloni) sono gli stessi che hanno varato la legge Fornero e distrutto l'articolo 18.
Sarebbe questa la sinistra finalmente scoperta?

Nessuno dica che si tratta di responsabilità del passato e che bisogna guardare al futuro. Perché il progetto futuro di Bersani e D'Alema ricalca di fatto le orme del passato. Non a caso ancor prima del voto Bersani, D'Alema, Grasso hanno candidato pubblicamente LeU ad entrare in un cosiddetto governo del Presidente, a garanzia della governabilità. Garanzia per chi? Per i mercati finanziari, le grandi imprese, le grandi banche, l'establishment europeo. Gli stessi che Bersani e D'Alema hanno servito ossequiosamente negli ultimi decenni. Governo con chi? Con il PD, o con chi Mattarella dovesse indicare, e i numeri parlamentari consentire. “Non lasceremo l'Italia allo sbando”, assicurano compunti. È la continuità di sempre: un personale politico in servizio permanente per la borghesia italiana, che chiede il voto dei lavoratori per prostrarsi ai piedi dei loro avversari.

D'Alema e Bersani hanno un solo vero obiettivo: disfarsi del renzismo che li ha emarginati per ricomporre il vecchio caro centrosinistra. Hanno rotto col PD, dopo aver votato le sue peggiori misure antioperaie, proprio per ricomporre l'alleanza col PD. Senza peraltro escludere neppure il proprio ritorno diretto in un PD liberato da Renzi.
Di più. L'ansia di rientrare nel gioco politico di governo è tale che LeU si lascia aperta ogni porta, inclusa la possibilità di negoziare il governo col reazionario Movimento 5 Stelle. Un partito per ogni governo, questo è LeU.
Sconcertante in questo quadro la capitolazione di Sinistra Italiana (Fratoianni) a Bersani e D'Alema. Dopo aver celebrato il proprio congresso all'insegna del respingimento del centrosinistra, sono finiti a servire la messa annunciata dell'ennesimo centrosinistra, o addirittura di un governo di salute pubblica. Un eterno gioco dell'oca che inganna e colpisce i lavoratori da decenni, e che ha spianato la strada alle destre peggiori.
Perché dunque un lavoratore o una lavoratrice che cerca un reale riferimento a sinistra dovrebbe affidarsi ancora una volta a Bersani e D'Alema, e ai loro reggicoda?

Ma un'alternativa a sinistra di Liberi e Uguali non può essere Potere al Popolo. Non può essere un accrocchio guidato nei fatti da quello stesso PRC che con Bersani e D'Alema ha governato per cinque anni negli ultimi venti, e che oggi rifiuta di rompere col governo Tsipras persino nel momento delle sue leggi antisciopero. Né certo può essere il PC di Marco Rizzo, che nella maggioranza di governo è stato più di ogni altro, prima con Bertinotti poi con Cossutta, votando Pacchetto Treu e guerra nei Balcani.

L'unica vera alternativa è quella che è sempre stata dalla parte dei lavoratori, perché persegue da sempre un progetto di rivoluzione. È l'alternativa di “Per una sinistra rivoluzionaria”, l'unica di cui ci si può fidare.
Partito Comunista dei Lavoratori

Sul contratto istruzione e ricerca


Un brutto accordo con pochi soldi, che ingloba i principi competitivi della "Buona scuola" e della riforma Gelmini

Cinguettano felici i governanti e i sindacalisti complici e concertativi dopo la firma del contratto del comparto scuola, università, ricerca e Afam (istituti artistici e musicali). Apre la kermesse del ridicolo Madia, twittando che è «giusto e doveroso» essere arrivati a concludere; segue Fedeli affermando che «valorizzare chi lavora nei settori della conoscenza è un investimento per il futuro»; e ancora Castellana (CISL), sottolineando che ci sono volute 15 ore per ottenere questo risultato; chiude in bellezza la CGIL gioendo per aver restituito «dignità a più di un milione di lavoratori».

Così, senza ritegno né vergogna. Il nuovo contratto, infatti, al di là dei roboanti annunci alla stampa, e delle stentate difese nelle assemblee, nella scuola recepisce i commi fondamentali della Legge 107 sul Bonus (dal 126 al 128, quelli che stabiliscono la finalizzazione del premio al merito, i criteri del Comitato di Valutazione ed il pieno potere nel distribuirli al Dirigente scolastico), portando a contrattazione solamente a livello di singola scuola dei vaghi criteri generali.
Nell’università, istituisce in pieno "stile Brunetta” superpremi per pochi eccellenti, e rilancia la differenziazione di stipendi e condizioni di lavoro tra ateneo e ateneo, degradando secondo la logica della riforma Gelmini il sistema universitario nazionale.
Tutto questo per portarsi inoltre a casa pochi soldi e mal distribuiti. Gli aumenti conquistati sono solo del 3,48 %: intorno ai 75 euro medi, a confronto dei circa 300 persi in quasi dieci anni di congelamento dei salari e che dovrebbero esser recuperati solo per riguadagnare il potere d’acquisto (senza contare la remunerazione dei nuovi compiti e delle diversità intensità di lavoro, oggi richieste in tutti i settori della conoscenza). Quindi, per gli insegnanti e gli ATA meno pagati dell’OCSE (sotto, solo i greci) non si recupera nemmeno il 5,5 %, che corrisponderebbe all’indicizzazione della vacanza contrattuale.

Ma perché sorprendersi? Era già avvenuto per altri comparti della pubblica amministrazione, e venduto come grasso che cola. E i docenti stiano zitti e muti, perché sono l’unica categoria che ha conservato gli scatti di anzianità! Nella scuola (ma non negli atenei) gli aumenti diventano più o meno gli 85 euro che erano stati promessi, grazie alla distribuzione di un’indennità aggiuntiva (però solo su 12 mesi e senza TFR). Inoltre nei prossimi mesi tutti vedranno in stipendio almeno 80 euro (anche quelli con gli stipendi più bassi, come i collaboratori scolastici, i docenti neoassunti o i CEL e B1 negli atenei): è solo un temporaneo artificio contabile, un piccolo imbroglio. Erogando gli aumenti a regime da marzo, con i soldi risparmiati dei primi due mesi dell’anno si è inventata una perequazione “a scadenza” per gli stipendi inferiori, che porta per tutti gli aumenti appunto intorno agli 80/85 euro: una perequazione (su 12 mesi e comunque senza TFR) costruita con i soldi dei lavoratori e delle lavoratrici (che si vedono gli aumenti slittati di due mesi) che scompare nel nulla dopo il 31 dicembre, portando alla luce gli aumenti reali (ad esempio, un collaboratore scolastico avrà aumenti lordi mensili di circa 51 euro, che però sino a fine 2018 saranno magicamente aumentati di 29 euro, per arrivare a circa 80: dal primo gennaio 2019, però, il suo stipendio perderà questa componente, ed il suo aumento tornerà stabilmente ad essere di 51 euro).

È un contratto che conferma il solco tracciato dal precedente accordo natalizio delle Funzioni centrali (Ministeri ed enti) e tutta la stagione contrattuale dal 2015 (che con metalmeccanici, chimici e commercio ha scambiato pochi soldi, il semplice recupero di una bassissima inflazione, con l’ingabbiamento della contrattazione aziendale, le flessibilità su orario e organizzazione del lavoro).

È questo, allora, un accordo che restituisce dignità e valorizza chi lavora nella scuola? Suvvia, non scherziamo! Quindici ore di strenuo combattimento verbale per ottenere ciò che già si sapeva dal 30 novembre 2016 che si sarebbe ottenuto?
La dura lex dell’ARAN non poteva concedere di più, e così è stato. E lo squallido teatrino terminato alle 7.15 del 9 febbraio è servito solo ad allungare i tempi. E meno male che ci sono le elezioni, altrimenti si poteva restare nel limbo per altri dieci anni. Ma se questa è la mossa elettorale più astuta studiata dalle agili menti che attorniano Renzi, viene il dubbio che la cricca del PD abbia poche idee ma ben confuse. I voti della scuola Renzi se li è giocati con l’arrogante “me ne frego” di fronte allo sciopero del 5 maggio 2015 contro la Buona scuola. Ed ora spera di riconquistarli così? Concedendo un aumento dovuto e rinviando altre tematiche scottanti (aumento dell’orario di servizio, codice etico, sanzioni disciplinari) ad una seconda fase della contrattazione?
Forse qualcuno dovrebbe avvertirlo che l’unica cosa giusta e doverosa sarebbe togliersi di torno, e far sì che i sindacati difendano di nuovo e davvero i lavoratori.
Perché ci poteva essere un’altra la conclusione. Se si fosse deciso di portare in piazza centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici, si sarebbe potuta aprire una nuova stagione conflittuale, in grado di proseguire e rilanciare il grande sciopero del 2015, in grado di irrompere nella campagna elettorale, ribaltare i rapporti di forza e conquistare un vero contratto acquisitivo. Perché, nonostante loro, nonostante tutto, c’è ancora chi combatte per una scuola pubblica, gratuita e democratica, che non calpesti la dignità di nessuno.

Il PCL è con questa parte della scuola e dell’università. Per difendere veramente diritti, salari e condizioni di lavoro, bisogna ora respingere questo accordo, bocciandolo nelle assemblee e nelle consultazioni, e soprattutto riprendere una stagione di mobilitazione. Perché i contratti si conquistano nelle lotte, e non intorno ai tavoli. La lotta contro la “Buona scuola” e tutte le controriforme liberiste deve quindi proseguire, oltre e contro questo contratto sbagliato.

Partito Comunista dei Lavoratori

Grave atto intimidatorio questa notte nei confronti di un rappresentante SGB di Ravenna

La sezione Romagna del PCL esprime la più sentita solidarietà di classe ad Antonio, delegato SGB, contro l’aggressione di stampo mafioso-fascista che ha ricevuto nella notte di ieri. Nella notte del 20, degli ignoti hanno infatti squarciato tutte e quattro le gomme della vettura di Antonio. Un chiaro avvertimento indirizzato a un delegato che sta affrontando insieme a SGB due importanti vertenze che riguardano la Marcegaglia di Ravenna, da un lato la vicenda Ferrari, e dall’altro la vicenda LB Coop, in cui sono emerse condizioni di lavoro vergognose e gravi situazioni al limite del caporalato.

Un’azione sindacale incisiva e sicuramente scomoda, stando alle parole stesse dell’impresa che dichiara “guerra” agli iscritti SGB.

Questi gesti infami compaiono quando un sindacato finalmente cessa di essere concertazione a tutti costi, scivolando a volte nella connivenza, per ridiventare davvero sindacato, ossia tutela e difesa dei diritti dei lavoratori. Siamo certi che il lavoro e la lotta di delegati e lavoratori appartenenti a SGB non si fermerà davanti a un’infame intimidazione.
Il PCL Romagna, che è sempre stato a fianco dei lavoratori Ferrari e LB Coop, rinnova la sua vicinanza in primis ad Antonio e a tutti i delegati SGB del territorio, ma anche a tutti i lavoratori delle cooperative colpite dalla vergognosa guerra di classe portata avanti dal padronato.
Partito Comunista dei Lavoratori - sezione Romagna

Respingiamo le aggressioni fasciste


Solidarietà ai compagni aggrediti
Nella notte, alla periferia di Perugia, due simpatizzanti di Potere al Popolo sono stati aggrediti mentre affiggevano manifesti elettorali. A loro ed in particolare a Mario Pasquino, che ha anche subito ferite da coltello, esprimiamo la nostra piena solidarietà e l'augurio di una pronta ripresa.

In una campagna elettorale che vede le destre all'attacco, ed in particolare la presenza di forze neofasciste, ancora una volta dobbiamo affrontare la pratica intimidatoria e reazionaria di chi, spinto dallo sdoganamento delle ideologie più retrive, pensa di risolvere lo scontro politico passando per l'aggressione fisica.

La crescita militante delle organizzazioni di estrema destra, che porta con se queste conseguenze, non può essere affrontata con il richiamo a leggi che lo stato borghese non rispetta pur avendole varate, come la legge Mancino, ma con la ripresa delle lotte sociali per una prospettiva di superamento di questa società di sfruttamento, che giustifica con la sua necessità di repressione anche le formazioni fasciste.

Mentre affrontiamo la chiusura della campagna elettorale ribadiamo che solo un'iniziativa unitaria e di massa può togliere il terreno di propaganda e di costruzione politica a queste forze e che dopo il termine dei comizi non cesserà l'allarme per gli antifascisti, che dovranno continuare a costruire un ampio fronte di lotta.


Partito Comunista dei Lavoratori

Per una sinistra rivoluzionaria. Il nostro programma


IL PROGRAMMA PER UNA SINISTRA RIVOLUZIONARIA


Siamo entrati nel decimo anno dall’inizio della crisi economica. Renzi, Gentiloni, Padoan e Draghi ci dicono che la crisi è oramai finita, ma le cose non stanno realmente così. La ripresa italiana è la più bassa in Europa, il nostro Pil è ancora ben lontano dai livelli pre-crisi e in questi anni è andato perduto il 25% della capacità produttiva del paese.La crisi però non ha colpito tutti allo stesso modo in questi dieci anni. Da una parte sono aumentati i disoccupati, i salari sono crollati, il lavoro si è precarizzato e molti piccoli commercianti sono stati costretti a chiudere; dall’altra le grandi aziende, le multinazionali e i gruppi finanziari hanno fatto profitti favolosi e i top manager hanno incassato compensi d’oro spropositati. Tutti i dati confermano che la disuguaglianza sociale non è mai stata così alta. Eppure tutte le forze dell’arco parlamentare italiano non fanno altro che tutelare gli interessi di questa elite economica. Basti pensare a come tutti i leader politici, Salvini e Di Maio compresi, sono andati a scodinzolare al convegno di Cernobbio, che riunisce ogni anno il gotha dell’alta finanza. Oppure basta ricordarsi di come tutti i governi dagli anni 90’ ad oggi non abbiano fatto altro che tagliare i finanziamenti ai servizi sociali che riguardano tutti (sanità, pensioni, scuola, ricerca…) per drenare quattrini a favore delle grandi imprese sotto le forme più svariate (incentivi economici, sgravi fiscali, investimenti pubblici, privatizzazioni…).

Tutto questo è inaccettabile ed è durato fin troppo. È ora di una rivoluzione, che rovesci completamente questo sistema politico-economico in cui i diritti, i bisogni e le aspirazioni dei tanti sono calpestati in nome dei super-profitti di pochi. Fino ad oggi hanno governato i banchieri, gli speculatori, i faccendieri… proprio quelli che la crisi l’hanno provocata. È ora che al governo vadano i lavoratori, che invece finora la crisi l’hanno pagata. Ci hanno sempre detto che non ci sono le risorse per una politica diversa, per una politica a favore delle classi popolari. Ma in realtà queste risorse ci sono, il problema è che sono concentrate nelle mani di una ristretta minoranza. È lì che dobbiamo andare a prenderle per metterle a disposizione della società nel suo complesso. Finché non faremo questo, non ci sarà mai un vero cambiamento.


NO AL PAGAMENTO DEL DEBITO


Qualsiasi governo voglia davvero prendere misure a sostegno dei lavoratori, dei disoccupati e dei pensionati si troverà innanzitutto di fronte all’ostacolo rappresentato dall’Unione Europea e dal pagamento degli interessi sul debito pubblico. Le istituzioni europee in questi anni non hanno fatto altro che imporre in modo inflessibile le più spietate politiche di austerità, proprio per far rispettare il pagamento del debito.


È bene ricordare che il debito dello Stato italiano è stato contratto solo in minima parte da famiglie e piccoli risparmiatori, mentre il grosso è nelle mani di banche, assicurazioni e fondi d’investimento, sia nazionali che internazionali. Di fatto ci hanno spremuto con le politiche di lacrime e sangue solo ed esclusivamente per garantire la remunerazione del grande capitale finanziario.

Di fronte a questa vergogna, tutte le forze politiche si limitano a parlare di “avviare trattative con le istituzioni europee”, ma il caso della Grecia ci ha insegnato che la Trojka non è disponibile a fare la minima concessione, a costo di trascinare un intero paese nella miseria più nera. Non è possibile fare politiche di spesa sociale e allo stesso tempo restare all’interno dei parametri di questa Unione Europea.


  • Abolizione del pareggio di bilancio nella Costituzione.

  • Rifiuto del pagamento del debito, tranne che ai piccoli risparmiatori.

  • Rottura unilaterale dei trattati europei, NO all’Unione europea capitalista.

PER LA NAZIONALIZZAZIONE DEL SISTEMA BANCARIO


Mentre l’Istat ci dice che 18 milioni di italiani sono a rischio povertà, il governo ha stanziato la bellezza di 26 miliardi di euro per salvare le banche venete e il Monte dei Paschi di Siena. E questo potrebbe essere solo l’inizio, visto che l’intero sistema bancario italiano è in sofferenza a causa dell’alto numero di crediti deteriorati.


Anche la Banca Centrale Europea ha pompato liquidità a piene mani sui mercati finanziari per tenere a galla le banche. Il conto di questo fiume di denaro è stato presentato alle popolazioni dei vari paesi europei attraverso le politiche di austerità.


In pratica tutti i sacrifici che ci hanno imposto sono serviti per consentire alle banche di mantenere alto il livello dei profitti, proseguire nelle loro speculazioni azzardate e premiare i manager responsabili del dissesto con liquidazioni a sei zeri.


  • Nazionalizzazione del sistema bancario, senza indennizzo per i grandi azionisti e con garanzia pubblica per i depositi dei piccoli risparmiatori.

  • Creazione di un’unica grande banca pubblica nazionale, in grado di mettere in campo gli investimenti necessari a rilanciare l’economia.

LA LOTTA ALLA DISOCCUPAZIONE E LA DIFESA DEL SALARIO


I governi in questi anni hanno trovato un modo molto originale per combattere la disoccupazione: consentire alle aziende di licenziare più facilmente, sia con il Jobs Act che con i contratti precari. Il risultato è che i posti i lavoro non sono aumentati, ma sono diminuiti. In Italia ci sono oggi più di 3 milioni di disoccupati e tutti i nuovi contratti sono a termine.


Peraltro la disoccupazione è stata trasformata in un business: gli uffici pubblici di collocamento sono stati sostituiti da agenzie interinali private e i corsi di formazione per i disoccupati sono serviti solo per incassare i fondi europei.


Anche chi un lavoro ce l’ha, ha visto ridurre drasticamente il potere d’acquisto del suo stipendio. I salari italiani sono tra i più bassi d’Europa. Tanti, pur di lavorare, hanno accettato condizioni di lavoro sempre peggiori. Giornate di lavoro di 10-12 ore, lavoro domenicale, finte partite iva, corrieri pagati a consegna… fino al lavoro nero e al caporalato.


Siamo arrivati al paradosso del lavoro gratuito: il sociologo Domenico De Masi, tenuto in grande considerazione dal Movimento 5 Stelle, sostiene che per ridurre la disoccupazione, i disoccupati dovrebbero lavorare gratis…


Tutto questo deve essere completamente ribaltato. Per aumentare l’occupazione innanzitutto bisogna che chi ha un lavoro non lo perda; in secondo luogo il lavoro disponibile deve essere distribuito tra tutti attraverso la riduzione dell’orario di lavoro. Inoltre ai lavoratori e ai disoccupati devono essere riconosciuti i mezzi necessari per vivere dignitosamente.


  • Abolizione del Jobs Act, ripristino dell’art. 18 e sua estensione a tutti i lavoratori dipendenti. Nessuno deve essere licenziato senza giusta causa.

  • Trasformazione dei contratti precari in contratti a tempo indeterminato.

  • Salario minimo intercategoriale fissato per legge, non inferiore ai 1.400 euro mensili.

  • Una nuova scala mobile che indicizzi tutti i salari all’inflazione reale.

  • Salario garantito ai disoccupati pari all’80% del salario minimo.

  • Riduzione dell’orario di lavoro a un massimo di 32 ore settimanali a parità di salario.

  • Abolizione delle agenzie interinali e ritorno al collocamento pubblico.

  • Contrasto frontale al lavoro nero, le aziende che ne fanno uso devono essere espropriate.

UN’ECONOMIA SOTTO IL CONTROLLO DEI LAVORATORI

Ci hanno sempre raccontato che “il privato funziona meglio”, eppure la crisi ha completamente sfatato questo mito. Guardiamo a cosa hanno portato le privatizzazioni: aumento generalizzato di prezzi e tariffe, peggioramento complessivo dei servizi ai cittadini e peggioramento delle condizioni di lavoro dei dipendenti delle aziende privatizzate. Le privatizzazioni e le esternalizzazioni hanno inoltre aperto la strada, attraverso il sistema degli appalti e dei sub-appalti, alle infiltrazioni della criminalità organizzata in una serie di settori, come quello dei rifiuti.
Ancora più desolante è il panorama delle infinite crisi industriali. Non si contano le imprese che, nonostante gli aiuti pubblici, hanno chiuso, licenziato e delocalizzato all’estero per risparmiare sulla manodopera.


In questi casi la soluzione non può essere “l’intervento pubblico”, che in Italia va sempre a finire allo stesso modo: lo Stato ci mette i soldi, ma la gestione e i profitti rimangono nelle mani dei privati. È invece necessario rimettere in discussione la proprietà e la gestione private di una serie di attività economiche. Questo è ancor più vero nel campo dei servizi essenziali per la collettività (energia, acqua, trasporti, telecomunicazioni…), che per la loro stessa natura non possono essere impostati sulla logica del profitto.


Non si tratta solo di nazionalizzazioni, ma di controllo dei lavoratori sulla produzione. Nelle grandi aziende “la proprietà” non ha alcun ruolo attivo: si tratta di cordate di grandi azionisti, che si limitano a nominare il management e intascarsi i dividendi in modo totalmente parassitario. La gestione delle imprese deve essere affidata agli operai, agli impiegati e ai tecnici che ci lavorano ogni giorno, che le conoscono in modo approfondito e che le fanno funzionare concretamente.
Aziende dirette da un comitato democraticamente eletto da tutti i lavoratori, senza il fardello degli utili agli azionisti e dei bonus milionari ai manager, potranno funzionare molto meglio di prima.


  • Esproprio di tutte le aziende che chiudono, licenziano e delocalizzano.

  • Nazionalizzazione di tutte le aziende privatizzate.

  • Nazionalizzazione dei grandi gruppi industriali, senza indennizzo eccetto che per i piccoli azionisti.

  • Nazionalizzazione delle reti di trasporti, telecomunicazioni, energia, acqua e ciclo dei rifiuti.

  • Tutte le azienda nazionalizzate siano poste sotto il controllo e la gestione dei lavoratori.


PENSIONI PUBBLICHE E DIGNITOSE PER TUTTI


Viviamo in un mondo paradossale, dove tutto funziona all’incontrario. Da una parte abbiamo la disoccupazione giovanile al 35% e dall’altra riforme che continuano ad alzare l’età pensionabile. Così ci sono i giovani che non trovano lavoro e allo stesso tempo gli anziani che sono costretti a continuare a lavorare.


Si dice che questo è necessario per i conti dell’Inps. In realtà le casse dei lavoratori dipendenti sono sostanzialmente in pareggio. Il problema è che sono a carico dell’Inps una gran quantità di spese che niente hanno a che fare con le pensioni. È il caso degli ammortizzatori sociali, ma anche della decontribuzione fiscale sulle nuove assunzioni regalata da Renzi agli imprenditori assieme al Jobs Act.
Se vogliamo creare lavoro per i giovani, cominciamo mandando in pensione chi ha già lavorato tutta una vita.

  • Abolizione della legge Fornero.

  • In pensione con 35 anni di lavoro o 60 anni di età.

  • Pensione pari all’80% dell’ultimo salario e comunque non inferiore al salario minimo.

PER UN SISTEMA SANITARIO UNIVERSALE E GRATUITO


Anni di tagli hanno devastato il sistema sanitario nazionale. Negli ospedali mancano i fondi, c’è carenza di personale e le apparecchiature non sono adeguate.

Il processo di privatizzazione ha poi portato a una divisione di classe tra pazienti di serie A, che possono permettersi di pagare le prestazioni e hanno una corsa preferenziale, e pazienti di serie B, che invece devono aspettare mesi per un esame, spesso all’interno della stessa struttura.

  • Raddoppio immediato dei fondi destinati alla sanità.

  • Abolizione di ogni finanziamento alla sanità privata e della pratica privata all’interno delle strutture pubbliche. Per un unico sistema sanitario pubblico e gratuito.

  • Abolizione dei ticket sui medicinali e sulle prestazioni specialistiche.

  • Nazionalizzazione sotto controllo dei lavoratori dell’industria farmaceutica.

  • Difesa dei piccoli presidi ospedalieri.

PER UN’ISTRUZIONE PUBBLICA, GRATUITA E DEMOCRATICA


Le scuole e le università italiane versano in uno stato pietoso, soprattutto per la mancanza di risorse adeguate. Tutti i costi vengono scaricati sulle famiglie: aumento delle tasse scolastiche e universitarie, contributi extra richiesti alle famiglie, riduzione delle borse di studio… In questo modo il diritto allo studio non è garantito per tutti, tanto più che aumentano i numeri chiusi e i test d’ingresso.
Il governo Renzi ha peggiorato una situazione già compromessa. Con la riforma della “Buona Scuola” le scuole sono state trasformate in aziende in concorrenza tra loro. Con l’alternanza scuola-lavoro, utilizzando la scusa di “formare i giovani”, gli studenti vanno a fornire manodopera gratuita alle aziende e l’unica cosa che imparano è ad essere sfruttati.


  • Abolizione della Buona Scuola e dell’alternanza scuola-lavoro

  • Raddoppio dei fondi destinati alla pubblica istruzione. No a qualsiasi finanziamento alle scuole private.

  • Per un piano nazionale di edilizia scolastica.

  • No al numero chiuso e ai test d’ingresso nelle università e nelle scuole.

  • No ai contributi delle famiglie alle spese scolastiche. La scuola pubblica deve essere gratuita.

  • Per una scuola pubblica, laica e gratuita per tutti.

PER L’UNITA’ TRA LAVORATORI ITALIANI E IMMIGRATI


Ci vogliono far credere che la colpa di tutti i mali – dalla disoccupazione ai tagli dei servizi sociali, dal degrado delle periferie al problema casa – sia degli immigrati. Tutti i partiti fanno a gara a chi adotta la posizione più razzista e repressiva sul tema dell’immigrazione. In questa competizione disgustosa il ministro Minniti si è aggiudicato il primo premio, appaltando la gestione dei profughi alle bande di tagliagole libici, in totale dispregio dei diritti umani.


Ogni menzogna è buona per alimentare il clima d’odio contro gli stranieri. La balla più clamorosa è quella per cui gli immigrati ricevono soldi dallo Stato, quando in realtà i fondi pubblici vengono intascati dai privati che gestiscono i centri di accoglienza, dove i migranti sono reclusi in condizioni disumane.


In realtà oggi in Italia gli immigrati rappresentano una parte importante della classe lavoratrice in molti settori, dall’edilizia alla logistica, dalla manifattura all’assistenza sanitaria. Ogni legge che discrimina gli immigrati non fa altro che indebolire i lavoratori nel loro complesso e alimentare una guerra tra poveri, utile solo a chi vuole mantenere l’attuale sistema di potere.


  • Abolizione del decreto Minniti, della Bossi-Fini e di tutte le leggi che discriminano gli immigrati.

  • Abolizione del reato di immigrazione clandestina.

  • Diritto di voto per chi risiede in Italia da un anno.

  • Cittadinanza dopo 3 anni per chi ne faccia richiesta.

  • Cittadinanza italiana per tutti i nati in Italia.

LA LOTTA PER I DIRITTI DELLE DONNE


Tutte le forze politiche oggi fanno un gran parlare di violenza sulle donne, discriminazioni di genere, di abusi sessuali… ma nei fatti quale assistenza ricevono le donne in difficoltà dallo Stato? I consultori pubblici sono stati in gran parte smantellati. L’assistenza dei parenti anziani ricade interamente sulle famiglie. Persino il diritto all’aborto è messo in discussione dall’obiezione di coscienza dei medici, che raggiunge in media livelli tra il 70 e l’80%.


Dietro la retorica “rosa” a buon mercato la realtà è che, con il peggioramento della legislazione sul lavoro e i tagli ai servizi, è peggiorata anche la condizione delle donne. Di quale diritto alla maternità si può parlare per una lavoratrice precaria o assunta con il Jobs Act? Come potrà resistere alle molestie sessuali del suo datore di lavoro una lavoratrice che rischia di essere licenziata e lasciata in mezzo ad una strada? Come può una donna con figli emanciparsi davvero se non ci sono abbastanza posti negli asili nido pubblici e le rette degli asili privati sono proibitive?


  • Applicazione del pieno diritto all’aborto. Abolizione dell’obiezione di coscienza del personale medico.

  • Ripristino e potenziamento dei consultori pubblici.

  • Rete capillare di asili nido e scuole materne, pubblici e gratuiti, che coprano l’effettivo orario lavorativo.

  • Rete di strutture pubbliche per il sostegno ai parenti anziani.

PER IL RISCATTO DEL MEZZOGIORNO


Durante la crisi il divario tra Nord e Sud si è ulteriormente accentuato. Nel Mezzogiorno il 46% della popolazione è a rischio povertà e la disoccupazione giovanile in certe zone tocca punte del 60%. Nel giro di vent’anni sono emigrati due milioni e mezzo di persone dal Sud.
La presa della criminalità organizzata sul territorio diventa sempre più soffocante. La mafia, camorra e la ‘ndrangheta monopolizzano grandi fette dell’economia e spesso l’intreccio tra amministrazioni pubbliche, gruppi imprenditoriali e organizzazioni criminali è così fitto che è impossibile distinguere tra attività legali e illegali.


  • Piano di investimenti pubblici per il potenziamento dell’industria, delle infrastrutture e dei servizi al Sud.

  • Bonifica immediata dei territori inquinati da rifiuti tossici.

  • Esproprio delle aziende legate alla criminalità organizzata e confisca dei beni dei mafiosi.

LA DIFESA DELL’AMBIENTE


A mettere in pericolo l’ambiente in cui viviamo è soprattutto la logica del profitto. Inquinamento, speculazione edilizia, trivellazioni stanno distruggendo il territorio e la qualità della vita.
Si investono miliardi in grandi opere, come la Tav, che hanno un alto impatto ambientale e sono utili solo per far guadagnare le imprese di costruzione. E intanto le reti periferiche e i trasporti per i pendolari sono in stato di abbandono.


Il territorio, devastato dalla cementificazione selvaggia, è allo stremo: ogni pioggia diventa un’alluvione e ogni scossa sismica una tragedia.


  • Per un piano nazionale di riassetto idro-geologico del territorio.

  • Abbattimento degli eco-mostri e riqualificazione delle aree degradate.

  • Esproprio e riconversione delle aziende che inquinano.

  • No alle grandi opere inutili, per un trasporto pubblico efficiente e gratuito.

RIPRENDIAMOCI I SINDACATI


Durante la crisi i sindacati si sono dimostrate incapaci di contrastare efficacemente l’offensiva padronale. Ogni accordo sindacale non ha fatto altro che ratificare i passi indietro del movimento operaio. La distanza tra le burocrazie sindacali e i lavoratori che dovrebbero rappresentare non è mai stata così forte.


A questo si aggiunga che sono state adottate leggi volte a limitare pesantemente il diritto di sciopero, soprattutto nel pubblico servizio. Anche sul terreno della rappresentanza sindacale, con il Testo Unico del 10 gennaio 2014, si è imposto un giro di vite aumentando il peso degli apparati sindacali a scapito del controllo dal basso da parte dei lavoratori.


Sosteniamo tutte le lotte reali promosse dalle forze sindacali di classe, dentro una battaglia più generale per l’unificazione del movimento operaio.


I lavoratori devono riprendersi i loro sindacati e trasformarli nuovamente in organizzazioni democratiche di lotta, che siano in grado di difendere davvero i loro diritti.


  • Abolizione di tutte le leggi anti-sciopero.

  • Rappresentanze sindacali democratiche, con i soli delegati eletti dai lavoratori.

  • Piena agibilità per tutte le organizzazioni sindacali.

  • I rappresentanti sindacali devono essere revocabili in qualsiasi momento dell’assemblea che li ha eletti.

  • Salario operaio per i funzionari sindacali.

ROVESCIARE UN FISCO CLASSISTA


Si fa un gran parlare di lotta all’evasione, ma senza il minimo risultato concreto. Questo perché il sistema fiscale italiano è strutturato in modo da intrappolare i piccoli e lasciar passare i grandi. Mentre i lavoratori dipendenti vedono una fetta troppo grande della loro busta paga svanire in tasse e i piccoli commercianti sono letteralmente strangolati dalla pressione fiscale, i grandi patrimoni vengono messi al sicuro nei paradisi fiscali.


Tutti i governi si sono ben guardati da andare a toccare le rendite più alte e invece hanno spostato il peso del carico fiscale sui redditi bassi, anche attraverso il continuo innalzamento delle imposte indirette come l’Iva che, essendo slegate dal reddito, colpiscono soprattutto i ceti meno abbienti.


  • Abolizione delle imposte indirette.

  • Tassazione fortemente progressiva, che vada a colpire soprattutto i grandi patrimoni.

  • Esproprio del patrimonio dei grandi evasori fiscali.

LA LOTTA PER I DIRITTI CIVILI E DEMOCRATICI


Non solo siamo costretti ad una quotidianità di disoccupazione, precariato e sfruttamento, ma lo Stato pretende di regolamentare e reprimere in modo bigotto tutti gli altri aspetti della nostra vita, dalle preferenze sessuali alla gestione del tempo libero.

  • Estensione del matrimonio anche alle coppie dello stesso sesso.

  • La possibilità di adozione deve essere indipendente dalla composizione del nucleo famigliare.

  • Abolizione delle leggi repressive del consumo di stupefacenti e di tutte le misure liberticide sia legali che amministrative (daspo, coprifuoco ecc.) rivolte in particolare contro le forme di socialità libere e non commerciali.

PER IL DIRITTO ALLA CASA


Il problema della casa riguarda un numero di persone sempre più grande. Prezzi, affitti e mutui sono al di fuori della portata di disoccupati e lavoratori precari. Il numero di case popolari è ridotto ai minimi termini e crescono ogni anno gli sfratti, i pignoramenti e le esecuzioni immobiliari. Allo stesso tempo le città sono sempre più cementificate a causa della speculazione edilizia e in tutta Italia ci sono ben 7 milioni di case sfitte, molte di queste appartenenti alle grandi immobiliari.

  • Censimento e riutilizzo di tutte le case sfitte.

  • Esproprio del patrimonio delle grandi immobiliari.

  • Per un piano nazionale di edilizia popolare.

PER LA LAICITA’ DELLO STATO


È inaccettabile che in Italia la Chiesa cattolica eserciti continue ingerenze sui diritti e sulle libertà delle persone. D’altro canto la Chiesa non assolve solo ai suoi compiti “spirituali”, ma è una vera e propria potenza economica, che controlla uno sterminato patrimonio immobiliare, banche e grandi consorzi imprenditoriali come la Compagnia delle Opere. Come se tutto questo non bastasse, la Chiesa gode ancora di consistenti privilegi statali e finanziamenti pubblici.


  • Per la separazione tra Stato e Chiesa.

  • Abolizione del Concordato e dell’8 per mille. Nessun finanziamento pubblico o regime fiscale di favore per le confessioni religiose.

  • Esproprio del patrimonio immobiliare e finanziario della Chiesa e delle sue organizzazioni collaterali.

  • Abolizione dell’ora di insegnamento della religione cattolica nelle scuole.

NO ALL’IMPERIALISMO


Lo Stato italiano non ha i fondi per le scuole e gli ospedali, ma spende miliardi di euro in armamenti e missioni militari all’estero. Le truppe italiane in Iraq, in Libano, etc. non sono lì per portare la pace, ma per tutelare gli interessi economici delle imprese italiane. La proiezione estera delle imprese italiane, a partire dall’Europa dell’Est e dall’Africa, a caccia di materie prime ei di lavoro a basso costo ha un carattere classicamente imperialista.
Mentre Trump apre un focolaio di guerra dopo l’altro dalla Corea alla Palestina, è semplicemente scandaloso ma significativo che l’Italia sia ancora parte della coalizione militare della Nato guidata dall’imperialismo Usa.


  • Drastica riduzione delle spese militari.

  • Ritiro delle missioni militari all’estero.

  • Fuori l’Italia dalla Nato. Chiusura delle basi Nato e americane sul territorio italiano.

PER IL GOVERNO DEI LAVORATORI


Il sistema di democrazia parlamentare in Italia è marcio. Il parlamento non è più simbolo di “sovranità e rappresentanza popolare”, ma sinonimo di privilegi, scandali e corruzione.
Tutto si riduce ad una finzione. Ogni cinque anni ci chiamano a votare, ma tanto il programma di governo è già scritto dalle banche, dalla Confindustria e dalle istituzione europee. Tutte le decisioni fondamentali vengono prese da una potente burocrazia statale che nessuno ha eletto: banche centrali, dirigenti dei ministeri, enti amministrativi, commissioni di esperti, garanti, magistrati, prefetti…
La risposta a questa crisi politica non è quella di “riavvicinare i cittadini” a queste vecchie istituzioni screditate in nome di una falsa democrazia. Bisogna invece creare nuove istituzioni, in grado di rappresentare davvero i giovani, i lavoratori, i disoccupati e i pensionati.
Serve una democrazia dei lavoratori, fatta di consigli di delegati eletti nei luoghi di lavoro e di studio, di comitati nei quartieri popolari, di assemblee popolari cittadine. La vecchia burocrazia statale deve essere smantellata e il controllo dei lavoratori deve essere esteso a tutti i rami della vita pubblica.


  • Eleggibilità e revocabilità di tutte le cariche pubbliche.

  • Un tetto alla retribuzione delle cariche pubbliche, che corrisponda allo stipendio medio di un lavoratore qualificato.

  • Controllo dei lavoratori a tutti i livelli della pubblica amministrazione.

UNA PROSPETTIVA INTERNAZIONALISTA


Questo programma entra apertamente in contrasto con tutte le compatibilità del sistema capitalista. D’altronde il capitalismo ha dimostrato di essere un sistema che funziona solo per una ristretta minoranza, ma non è in grado di risolvere i problemi delle grandi masse.
Il nostro modello non è certo il “socialismo reale” che esisteva nei paesi dell’est, dove tutto era deciso dall’alto da un’onnipotente burocrazia statale e i diritti politici dei lavoratori erano calpestati. Il socialismo per cui ci battiamo è quello in cui le principali leve dell’economia non sono nelle mani di un’oligarchia parassitaria, ma appartengono a tutti e il loro utilizzo viene pianificato democraticamente attraverso il controllo dei lavoratori.
Questo programma non può essere realizzato su scala nazionale, non vogliamo isolare l’Italia dal resto del mondo. Siamo anzi convinti che se ci mettessimo con decisione su questa strada rivoluzionaria, offrendo finalmente un’alternativa all’austerità senza fine dell’Unione Europea, saremmo seguiti dalle classi lavoratrici di un paese europeo dopo l’altro.
Solo così si potrebbe ricreare la base per un’unità genuina tra le nazioni europee, attraverso una federazione volontaria costruita su basi economiche completamente nuove.


  • Per la federazione socialista d’Europa

Chiudere gli spazi ai fascisti con un'iniziativa unitaria e di massa

 La moltiplicazione delle iniziative di CasaPound e Forza Nuova è all'ordine del giorno nella cronaca politica di questi anni. Ma i fatti di Macerata, il fuoco di un attivista fascista contro migranti con l'obiettivo di uccidere, il pubblico sostegno di Forza Nuova a Traini ed anzi il nuovo rilancio della campagna xenofoba, hanno rappresentato un salto, amplificato dalla campagna elettorale e dai suoi effetti mediatici

I fascisti si nutrono naturalmente della spazzatura rovesciata contro i migranti da tutti i partiti dominanti. La Lega di Salvini è il principale frullatore di questa spazzatura. Il M5S contribuisce in forme più raffinate al medesimo impasto. Quanto al PD di Minniti, ha gestito in prima persona la stretta antimigranti in tutti i suoi risvolti peggiori (taglio ai soccorsi in mare, campi di concentramento in Libia, decreti sul “decoro”...). Le tre destre - nel loro insieme e in concorrenza tra loro - hanno tutte concimato il terreno di coltura dei fascisti. Ma i fascisti non sono né il PD, né il M5S, e neppure la Lega. Sono qualcosa di diverso. Non sono una destra qualsiasi. Sono organizzazioni di combattimento mirate alla distruzione del movimento operaio e delle sue organizzazioni indipendenti. Lo sono programmaticamente, con la pubblica rivendicazione di un sistema di corporazioni che rimpiazzi la democrazia borghese. Lo sono nell'azione, con la pratica dell'aggressione contro militanti e organizzazioni della sinistra politica, sindacale, di movimento. La campagna ossessiva contro i migranti, l'azione vile e squadrista attentamente pianificata nei loro confronti, è solo il terreno prescelto per l'accumulazione delle forze e l'espansione del proprio bacino di consenso. La prospettiva strategica è assai più ambiziosa: l'affermazione di un proprio regime.

Certo, le forze fasciste sono ancora molto ridotte. Il fascismo non è una minaccia immediata. Ma tutte le organizzazioni fasciste, in misura diversa, sono oggi in crescita. In crescita di consenso, grazie alle compromissioni e al disarmo della sinistra politica e sindacale di fronte alla crisi capitalistica e ai suoi effetti sociali. Ma anche in crescita organizzativa e militante del proprio inquadramento militare, anche grazie all'assenza di ogni seria azione di contrasto.

Ora questa dinamica va spezzata.

Non servono a nulla le petizioni costituzionali contro i fascisti. Non serve affidarsi alle famose leggi antifasciste della Repubblica borghese, o invocarne di nuove. Le leggi “antifasciste” non sono mai mancate, nella Prima come nella Seconda Repubblica. Ma i partiti fascisti hanno continuato a vivere e prosperare, prima col MSI, oggi con CasaPound e Forza Nuova, con le complicità e le connivenze di apparati dello Stato, che sono il vero cuore del potere e prevalgono su ogni legge formale. È ora di mettere da parte le illusioni. Solo il movimento operaio, solo la forza di una sua mobilitazione può mettere di fatto "fuorilegge" le organizzazioni fasciste.

Per questo proponiamo a tutte le organizzazioni del movimento operaio e sindacale, a tutte le organizzazioni antifasciste e antirazziste, di promuovere unitariamente l'occupazione preventiva delle piazze prenotate dai comizi fascisti, e concesse dalle autorità locali, per contrastarne dichiaratamente lo svolgimento. È la via di un fronte unico di massa che si assuma la responsabilità di chiudere il varco ai fascisti. Le grandi organizzazioni di massa antifasciste, sindacali e associative, non possono sottrarsi a questa responsabilità per subordinarsi al PD, come è accaduto con la diserzione della manifestazione di Macerata. Debbono assumersela apertamente e pubblicamente.

Questa è la posizione e proposta che il PCL avanza in ogni luogo di confronto interno al campo dell'antifascismo.
Partito Comunista dei Lavoratori

Tra divieto di sciopero e cestinamento della bandiera rossa: PaP tra Tsipras e Mélenchon

 I riferimenti internazionali di una formazione politica sono parte della sua identità. Nel caso di Potere al Popolo il bando di oscillazione dei suoi compositi riferimenti europei misura la natura riformista di un intero programma.

Il primo riferimento di PaP è stato Tsipras. Oggi è un riferimento velato dall'imbarazzo, ma niente affatto cancellato. Anzi. Nonostante tre anni di lacrime e sangue al servizio della Troika contro i lavoratori greci, Tsipras continua a presiedere il Partito della Sinistra Europea, cioè il partito di Rifondazione Comunista, colonna di PaP. Neppure le misure di Tsipras contro il diritto di sciopero, neppure gli scioperi dei lavoratori greci contro il governo greco a tutela dei propri diritti democratici e sindacali sono bastati a Rifondazione e PaP per rompere con Tsipras e a denunciare pubblicamente il governo Syriza-Anel.

Si obietterà che oggi PaP assume come proprio riferimento pubblico Mélenchon, che a sua volta si è distanziato da Tsipras. Ma disgraziatamente proprio la sommatoria di Mélenchon e Tsipras complica la situazione di PaP. Melenchon proibisce la presenza della bandiera rossa in ogni suo meeting rimpiazzandola con la bandiera tricolore francese. Respinge la “vecchia contrapposizione tra sinistra e destra” nel nome della nuova contrapposizione “tra oligarchia e popolo”. Rivendica testualmente «la potenza della Francia come seconda potenza marittima» e il proprio attaccamento alla patria. Respinge l'indipendenza delle colonie francesi dalla madrepatria («La Guyane è la Francia», ha dichiarato il 25 marzo 2017). Rivendica il rimpatrio degli immigrati senza contratto di lavoro («non abbiamo la possibilità di occupare tutto il mondo... del resto è la legge e io non so che farci», ha detto a France5 l'11 marzo; «i lavoratori distaccati portano via il pane ai lavoratori francesi che si trovano sul posto», ha affermato il 5 luglio 2016, e sono solo due esempi della retorica populista nazionalista del nostro).
Del resto Mélenchon fu ministro del governo Jospin che bombardò Belgrado.

Ora la domanda è: sarebbe questo il nuovo riferimento internazionale degli interessi degli sfruttati che Potere al Popolo sbandiera?
Le ragioni “per una sinistra rivoluzionaria” escono più che mai confermate dai fatti.

Partito Comunista dei Lavoratori

Non si disturba lo spettacolo! Fogli di via da Sanremo contro gli operai FCA


Nel nome dello spettacolo del Festival e del profitto, quei “violenti” operai son stati fermati e messi dietro le sbarre. Ora non potranno più mettere piede a Sanremo per almeno tre anni

 Non si disturba lo spettacolo, non si disturba il lusso e la televisione. Tanto basta - un po' di disturbo anche solo nel dietro le quinte - per calpestare la storia della lotta contro l'ingiustizia e le discriminazioni che subiscono cinque operai dell'FCA.

«Che roba Contessa all'industria di Aldo
han fatto uno sciopero quei quattro ignoranti
volevano avere i salari aumentati
gridavano, pensi, di essere sfruttati
e quando è arrivata la polizia
quei quattro straccioni han gridato più forte
di sangue han sporcato il cortile e le porte
chissà quanto tempo ci vorrà per pulire...»

Questa volta non si è arrivati al sangue degli operai, la polizia non è dovuta arrivare a tanto per zittire la voce di cinque lavoratori che, sfidando l'AD Marchionne e il gruppo FCA, in una contestazione osarono spingersi nella lesa maestà. La loro punizione fu il licenziamento, un licenziamento ingiusto che valse il loro reintegro al lavoro. Reintegro sancito anche da un giudice borghese, riconoscendo l'illegalità e l'illegittimità di quell'atto punitivo, ma che FCA evita di applicare mantenendo questi cinque operai, pericolosi perché potrebbero diffondere il germe della protesta, al di fuori dei luoghi di lavoro impedendo loro l'accesso.

Di questi coraggiosi e tenaci operai (Antonio Montella, Mimmo Mignano, Marco Cusano, Massimo Napolitano, Roberto Fabbricatore), tre si sono voluti catapultare a Sanremo, durante l'eccitazione del Festival della canzone italiana, dove il gruppo musicale "Lo Stato sociale" aveva portato i loro nomi sul palco durante la propria esibizione, per rendere loro onore e per ricordare l'ingiustizia che stanno subendo.

Tanto è bastato, appunto. Un volantinaggio di ringraziamento e a memoria della loro lotta uno striscione, e la volontà di avere qualche secondo di spazio mediatico, tra un'inquadratura ad un ottone dell'orchestra e una fuga sugli spettatori e sui fiori. Ma cinque operai che vogliano lo stesso spazio di un fiore del palco di Sanremo o di una strofa di una canzone? Ma non scherziamo, Contessa, quale sopruso, quale volgarità, imbrattare il palco scintillante con la notizia di cinque straccioni che vogliono tornare in fabbrica con condizioni di lavoro dignitose.

Per cui nel nome dello spettacolo, nel nome del Festival, nel nome di FCA e del profitto, quei “violenti” operai sono stati fermati e messi dietro le sbarre, come pericolosi criminali. Ma non basta. Non solo sono esiliati dal loro luogo di lavoro ma ora, grazie al coraggio delle forze dell'ordine e della questura, non potranno più mettere piede a Sanremo per almeno tre anni: foglio di via a questi pericolosi sovversivi, ché non diffondano la loro malattia nelle terre della 'ndrangheta, del turismo, dell'azzardo e delle canzoni coperte di fiori.
La tragica parabola di una democrazia della distrazione di massa fondata sulla repressione di qualsiasi contestazione o protesta e sull'insabbiamento di ogni forma di sfruttamento, speculazione, discriminazione e sopruso.

Il Partito Comunista dei Lavoratori esprime la più totale solidarietà a Antonio, Mimmo, Marco, Massimo e Roberto, come esprime la più totale solidarietà a tutti i lavoratori e le lavoratrici FCA sfruttati e colpiti nei loro diritti sindacali e nelle loro condizioni di lavoro. Allo stesso tempo, esprimiamo la nostra solidarietà e vicinanza a tutti i lavoratori e le lavoratrici in lotta, come quelli di TIM e di Embraco Whirpool, che a Sanremo hanno portato le loro proteste e vertenze.
Il nostro impegno “per una sinistra rivoluzionaria” vuole proprio dare voce a tutte queste lotte e alle ragioni del mondo del lavoro, nell'unica prospettiva che realmente ci interessa: quella della costituzione del governo dei lavoratori e delle lavoratrici sulla spinta di un fronte unico di classe e di massa.

Cristian Briozzo

Le donazioni a cinque stelle

 La discussione mediatica sulla vicenda delle mancate donazioni di parlamentari Cinque Stelle ha un carattere tanto grottesco quanto rivelatore.

L'aspetto più interessante non sta nella rivelazione della doppia morale o dell'ipocrisia delle persone coinvolte, che peraltro riflette come la punta di un iceberg la pasta mediocre del reclutamento istituzionale grillino. Sta invece nel sottotraccia implicito del confronto pubblico sulla questione.
Il sottotraccia comune sembra essere quello per cui le donazioni di un politico sono di per sé meritorie, misurano la sua autenticità, la sua lontananza dalla politica come mestiere. Da qui la rivendicazione da parte del M5S della propria diversità dagli altri partiti, a parte le fisiologiche mele marce.

Noi, che partiamo sempre da un'angolazione di classe, non populista, ci poniamo invece la domanda seguente: qual è il significato sociale del gesto politico delle donazioni?
La risposta è semplice. Le donazioni del M5S al fondo della piccola impresa segnalano il principale referente di classe del grillismo. Non conta l'importo irrisorio e simbolico della donazione. Conta la segnalazione del piccolo e medio padronato come base sociale prescelta dal M5S, come blocco di interessi su cui far leva. È lo stesso piccolo e medio padronato cui Di Maio sta promettendo peraltro ben più sostanziose “donazioni”, una volta al governo: abolizione di ciò che resta dell'Irap (che oggi finanzia la sanità pubblica), una ulteriore riduzione dell'Ires. Il tutto a carico dei salariati. Del resto, se Di Maio assume come esempio la riforma fiscale di Trump perché meravigliarsi?

E non si tratta solo di “piccolo” padronato. Se vuoi governare il sistema capitalista, tanto più in un paese a maturità imperialista come l'Italia, devi andare alla corte del grande capitale finanziario, cercare le sue benemerenze, guadagnarti il suo riconoscimento. È ciò che fa il buon Di Maio. Alla City di Londra non è andato a incontrare i piccoli padroni italiani, ma la grande finanza internazionale, i vertici delle grandi banche (anche italiane), il rapace mondo degli affari che gioca ogni giorno in Borsa. Offrendo tra l'altro alle banche l'impegno a incassare in tempi più celeri l'esproprio dei beni dei debitori insolventi. Il piccolo e medio padronato è dunque il bacino di relazioni e consenso che si vuol portare in dote al capitale finanziario, la classe che comanda davvero. La classe cui il M5S si prostra.

Lo scandalo non sta allora nelle mancate donazioni di qualche parlamentare ipocrita. Lo scandalo sta nella natura borghese di un M5S che chiede il voto ai salariati per continuare a donare ai loro padroni. Come gli altri partiti dominanti.

È la riprova che solo una sinistra rivoluzionaria può combattere da un versante di classe tutti i partiti padronali e i loro capi: Renzi, Berlusconi, Salvini, Di Maio. Solo un governo dei lavoratori può cambiare le cose.

Partito Comunista dei Lavoratori