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Le mobilitazioni in USA e nel mondo contro il razzismo e il capitalismo

L’omicidio di George Floyd a Minneapolis il 25 maggio è stato l’innesco di una situazione esplosiva che covava da tempo. Le diseguaglianze di classe e razziali, la corruzione, i diritti democratici affossati in molti stati in USA sotto forma di violenta repressione poliziesca, e le conseguenze contro i più deboli della pandemia, sono stati la spinta per enormi mobilitazioni di massa in tutto il paese, portate avanti con una determinazione che non si era vista nemmeno nelle proteste degli anni '60 e '70.

In centinaia di metropoli e centri urbani la risposta contro il governo dello stato capitalista più potente al mondo, gli Stati Uniti, non si ferma da quel giorno. Le settimane di mobilitazioni hanno iniziato a rompere la diga messa come argine dal sistema per impedire che le proteste in difesa degli elementari diritti democratici si legasse a una sollevazione sociale anticapitalista.
Nei primi giorni la risposta poliziesca è stata pesantissima. L’uso sistematico della violenza militarizzata della Guardia Nazionale, l’uso di nuove armi antisommossa contro le manifestazioni di massa anche pacifiche, la minaccia di utilizzare l’esercito, l’utilizzo della sigla "Antifa" come capro espiatorio, hanno gettato altra benzina sul fuoco. Da una parte la sovraesposizione mediatica da parte dei mezzi di informazione dei momenti di rabbia della gioventù afroamericana emarginata contro negozi e supermarket, e l’inserimento delle provocazioni delle organizzazioni dell’ultradestra dall’altra, non hanno impedito che questa ondata di mobilitazioni si fermasse. Le parole della portavoce di Black Lives Matter Tamika Mallory "enough is enough (quando è troppo è troppo)” o slogan come “No justice, no peace (Niente pace senza giustizia)”, utilizzato già nel 1986 quando il giovane afroamericano Michael Griffith venne massacrato a New York da razzisti bianchi, sono stati la colonna sonora in ogni corteo.
Persino all’interno del Partito Democratico si sono alzate voci inneggianti alla repressione e al possibile uso dell’esercito contro le mobilitazioni di massa. Ma ben presto l’atteggiamento è parzialmente cambiato. Con le proteste che invece di placarsi si infiammavano in tutti gli stati e nelle metropoli come New York, Los Angeles, Detroit, Chicago, le autorità, alti gradi militari e lo stesso Pentagono hanno per ora scaricato limitatamente le polizie locali promettendo riforme, limitazioni dei budget e dell’uso della forza.

Questa rivolta negli USA è un segnale di una nuova fase storica, e non è solo la rabbia nera verso secoli di omicidi razzisti o di poliziotti impuniti per l'assassinio di afroamericani disarmati. È l’espressione della sofferenza sociale di intere comunità e delle enormi differenze sociali tra ricchi e poveri, di una classe media sempre più in via di proletarizzazione, di decine di milioni di disoccupati, dello sfruttamento capitalistico dei lavoratori sempre più pianificato scientificamente, della disperazione delle popolazioni rurali e native per i territori depredati e desertificati dall’estrazione di fonti energetiche fossili, e infine del dolore e della rabbia per l’emergenza Covid-19 che ha salvaguardato solo la classe dominante. È il segnale di una coscienza di classe che si sta risvegliando lentamente dal suo torpore. È la sempre maggiore consapevolezza che il sogno di un nuovo modello di società, il famoso “sogno” di Martin Luther King, può essere raggiunto solo attraverso la lotta di classe.

Questo si è visto molto bene in diverse situazioni dove i lavoratori si sono uniti alle parole d’ordine di BLM condividendo enormi mobilitazioni di massa. Lo sciopero generale del 12 giugno a Seattle ha visto la partecipazione di studenti e lavoratori con una marcia di protesta di almeno 60.000 persone, nella quale le rivendicazioni anticapitaliste erano chiarissime, come quelle per la difesa di posti di lavoro in tutta l’area industriale e contro la pesante realtà della disoccupazione.

Anche lo sciopero generale lanciato in diversi stati per il Juneteenth – 19 giugno, storica data dell’abolizione della schiavitù – ha avuto una riuscita sbalorditiva. Uno dei maggiori scioperi del Juneteenth è stato indetto dall'International Longshore and Warehouse Union (ILWU), che ha bloccato il lavoro per otto ore in tutti i 29 porti lungo la costa occidentale degli Stati Uniti. Come tutti gli scioperi generali indetti da BLM, coinvolgono i lavoratori di qualsiasi etnia. Dopo 4 settimane di proteste ininterrotte, il 19 giugno sono scese in piazza in centinaia di migliaia di persone ad Atlanta ed a Oakland, in California, unendo nella lotta la costa est e la costa ovest degli Stati Uniti.


LOTTA DI CLASSE AL RAZZISMO E INTERNAZIONALISMO

Le battaglie contro il razzismo negli Stati Uniti hanno avuto l’appoggio e la solidarietà dei rivoluzionari di tutto il mondo. Le proteste che stanno avvenendo al di fuori degli Stati Uniti, dall'Europa all'Australia, dal Giappone all'Africa, dal Messico al Brasile hanno unito le proteste contro l'uccisione di George Floyd alle risposte contro la brutalità razzista delle polizie locali verso le popolazioni native, verso i migranti e verso le minoranze etniche e religiose, come in Brasile ed Australia.
In Australia, in particolare, enormi marce di protesta hanno attraversato tutto il continente da Perth a Wollongong, da Sydney a Melbourne, e in migliaia hanno legato la lotta americana con la difesa dei diritti della popolazione nativa aborigena, ricordando le sofferenze del post-colonialismo britannico e le discriminazioni contro il popolo LGBT. In Australia la brutalità della polizia e del sistema giudiziario assume forme diverse rispetto agli Stati Uniti, forme che non possono essere facilmente documentate. Ma la violenza è evidente nelle ferite sui corpi e nelle anime degli aborigeni, nelle loro storie di vita.
"Black lives matter" è diventato quindi un richiamo radicale per gli aborigeni e gli abitanti delle isole dello Stretto di Torres e in tutto il paese, ma non è una novità. La novità di queste proteste è quella di molti lavoratori australiani bianchi che hanno deciso di unirsi ai nativi per richiamare l'attenzione su tutta questa violenza.
In Europa, l’appello di Black Lives Matter ha percorso con manifestazioni enormi tutte le principali capitali, in particolare Berlino, Londra e Parigi.

I rivoluzionari sanno che la lotta per la democrazia e per la difesa dei diritti marciano insieme con la lotta di classe. Le parole di Malcom X sono chiarissime: “non esiste il capitalismo senza il razzismo”. La lotta contro la violenza degli stati capitalisti e il razzismo possono avere successo solo con un profondo progetto e programma rivoluzionario.
I rivoluzionari si stanno battendo contro il capitalismo sempre più in crisi che distrugge il pianeta, discrimina gli esseri umani per genere, razza, orientamento sessuale e identità, che ci sfrutta, e il cui unico obiettivo è l'aumento permanente del profitto a scapito delle nostre vite e dei nostri corpi.

In queste settimane il Partito Comunista dei Lavoratori, in una logica di fronte unico, è impegnato in iniziative di difesa dei lavoratori immigrati, di denuncia della loro condizione e di condanna delle violenze subite, per unire le proprie ragioni con le ragioni della mobilitazione in corso negli USA e nel mondo.
Ruggero Rognoni

Patto d'azione anticapitalista: In Italia come negli USA: contro sfruttamento e razzismo di stato

Pubblichiamo il comunicato nazionale del Patto d’azione anticapitalista, cui il PCL partecipa, a sostegno della campagna di solidarietà con la ribellione di massa negli USA

Da Minneapolis a tutte le città USA, da settimane si sviluppa in tutte le forme un grande movimento di massa contro le uccisioni razziste della polizia che è divenuta una lotta contro Trump e l'intero sistema del capitale USA, fondato sullo sfruttamento e il razzismo interno e sul dominio e l'oppressione dei proletari e dei popoli oppressi dall'imperialismo.

Alla rivolta di massa che ha risposto colpo su colpo e in tutte le forme alla repressione di Stato con l'uso della guardia nazionale e dell'esercito, si è un unito un vasto movimento, Black Lives Matter, con la diffusa partecipazione di bianchi, e un ampio movimento giovanile a fianco della popolazione nera ha infranto le barriere razziali in nome della comune condizione di sfruttamento e di oppressione.
In molte piazze le masse manifestano insieme a gruppi sindacali classisti e combattivi a dimostrazione del fatto che il barbaro omicidio di George Floyd ha fatto da detonatore di un malcontento che covava già da tempo in seno al proletariato a seguito di una crisi capitalistica resa ancor più profonda con l'emergenza CoVid 19.
Dagli Stati Uniti  è partito un vento di protesta operaia e popolare che tocca diversi paesi del mondo, e, in Europa, la Francia e la Gran Bretagna in particolare.
Da esso ci viene quindi la spinta a rilanciare, sviluppare anche in Italia, la lotta contro lo sfruttamento capitalista/imperialista e il razzismo di Stato, che in questi ultimi anni è stato ulteriormente inasprito con i due Decreti Sicurezza di Salvini e confermato da una sanatoria-farsa che non riconosce ai lavoratori immigrati la possibilità di denunciare le condizioni di supersfruttamento, lasciando l’emersione al buon cuore (o convenienza) dei padroni e dei capitali, cioè gli unici veri beneficiari delle politiche razziste e xenofobe.
Anche e ancor più in Italia la violenza contro gli immigrati è insita e funzionale al sistema del capitale, è esercitata sistematicamente e direttamente come arma di ricatto dai caporali e dai padroni, nei campi come nei ristoranti, nelle fabbriche come nei magazzini.
Come hanno dimostrato e stanno dimostrando i lavoratori della logistica, solo la lotta unitaria dei lavoratori e delle lavoratrici, autoctoni e immigrati da ogni angolo della terra, può imporre una battuta d'arresto sia alle logiche schiavistiche dei padroni, sia al veleno del razzismo profuso a piene mani dalle destre e alimentato dalle politiche dell'UE e dei governi al servizio dei padroni di scaricamento della crisi sulle condizioni di lavoro, reddito, diritti, salute , sicurezza
Non a caso, quando i lavoratori con dure lotte riescono a conquistare dignità e diritti nei luoghi di lavoro, il capitale chiama lo Stato ad esercitare la violenza di classe, come dimostra chiaramente quanto è avvenuto e sta avvenendo alla Fedex/TNT di Peschiera Borromeo nei pressi di Milano.,

La rivolta statunitense, così come l'impatto drammatico che la crisi-Covid sta determinando sulle vite di miliardi di proletari a ogni angolo della terra, richiamano con forza la necessità storica del rovesciamento del capitalismo , dei suoi stati e dei suoi governi Serve l'organizzazione politica e sociale di classe e la costruzione di un ampio fronte  unito di classe organizzato, sia in Italia che su scala internazionale.
È quindi con questo spirito di unità internazionalista che il Patto d’Azione invita a partecipare alle iniziative in corso in questi giorni davanti ai consolati USA, in consonanza con le iniziative analoghe negli altri paesi europei, e come momento di un’iniziativa più generale contro il razzismo in Italia, strumento di divisione e oppressione del proletariato.
Patto d’azione anticapitalista - per un fronte unico di classe

Per una scuola sicura, insegnanti, genitori e studenti uniti nella lotta

Il PCL aderisce alla giornata di mobilitazione nazionale della scuola

24 Giugno 2020
Il PCL aderisce alla giornata di mobilitazione nazionale indetta dalla associazione Priorità scuola, e dà indicazione di unificare in un patto d'azione le forze di avanguardia. Obiettivo: unificare e mobilitare le forze sociali in campo, lavoratori studenti, su un programma di rivendicazioni finalmente liberatorio e intransigente:

- stabilizzazione subito del precariato e definizione certa di un percorso di reclutamento

- aumento immediato degli organici ATA

- internalizzazione del personale educativo

- finanziamenti all'edilizia e messa in sicurezza degli edifici scolastici

- diminuzione degli alunni per classe senza diminuzione del tempo scuola

- ritiro dei finanziamenti alla scuola privata


Il governo Conte bis procede a vele spiegate lungo la via disegnata dai suoi predecessori, di entrambi gli schieramenti istituzionali, nello smantellare e dequalificare la scuola pubblica.

Il buco di oltre 200mila insegnati della scuola primaria e secondaria previsto a settembre, combinato con la cronica mancanza di personale tecnico, amministrativo e ausiliario, con il perdurare e anzi con l'espandersi del personale educativo esternalizzato, abbasserà ulteriormente la qualità complessiva della scuola garantita dallo stato. Il tutto aggravato dalla mancanza di un piano efficace a garanzia della salute di studenti e lavoratori in previsione di una possibile recrudescenza del Covid-19.

In questo scenario si allargano gli spazi per investimenti lucrosi del capitale nella scuola privata a tutti i livelli, eguagliando la via privatistica già collaudata per lo smantellamento della sanità pubblica, in particolare in Lombardia, la regione che in assoluto è la più colpita dai contagi del coronavirus. La regione che più di ogni altra dimostra il fallimento del sistema capitalistico nel difendere gli interessi della collettività

Il silenzio assenso dei sindacati confederali, durato mesi, non ha dato alcun risultato tangibile per i lavoratori, ma è servito unicamente a imbrigliare quelle forze disponibili a lottare. Come sempre, solo i lavoratori e gli studenti con la loro mobilitazione possono cambiare la situazione.

Oggi, 25 giugno, può essere l'inizio di una mobilitazione che deve necessariamente proseguire e sfociare in una lotta senza quartiere nel prossimo autunno, seguendo la via maestra dell'organizzazione dei lavoratori in organismi di massa indipendenti e democraticamente organizzati a livello nazionale.
Partito Comunista dei Lavoratori

Con la ribellione sociale e antirazzista negli USA!

Appello per un'iniziativa unitaria nazionale

Gli avvenimenti in corso negli USA, con lo sviluppo di un imponente movimento antirazzista contro le violenze della polizia e il retroterra sociale e culturale che le alimenta, sono un fatto enorme.

Il movimento Black Lives Matter non raccoglie solamente una domanda di uguaglianza e democrazia, ma rivendica le ragioni sociali degli sfruttati, chiama in causa l'ipocrisia del principale imperialismo oggi esistente al mondo, svela che la sua politica di potenza nei confronti di altre nazioni e popoli oppressi è solo la manifestazione del suo volto poliziesco in casa propria nei confronti dei lavoratori e dei giovani americani, in particolare della popolazione nera, ispanica, asiatica. Donald Trump ha dato sicuramente a questo volto la sua espressione più ripugnante.

Il movimento Black Lives Matter, per la sua stessa natura, non riguarda solamente gli USA. Milioni di lavoratori e lavoratrici immigrati in Europa sperimentano ogni giorno sulla propria pelle la violenza oppressiva del capitalismo e il suo profilo razzista: leggi discriminatorie nel nome della “sicurezza”, supersfruttamento, caporalato, soprusi e angherie quotidiane, violenze omicide della malavita, repressione poliziesca delle lotte dei lavoratori e delle lavoratrici immigrati/e. Una realtà difesa nei fatti, in forme diverse, da tutti i governi.

Non a caso, in diversi paesi europei (Francia, Germania, Gran Bretagna) le manifestazioni di solidarietà con il Black Lives Matter chiamano sul banco degli imputati le violenze di casa propria, la tradizione imperialista e coloniale in cui affondano le proprie radici, le statue che la simboleggiano, contro ogni forma di nazionalismo e sciovinismo.

Per queste ragioni vogliamo che anche in Italia si sviluppi un movimento analogo a quello che si va dispiegando in altri paesi d'Europa, capace di unire la battaglia contro il razzismo alla battaglia dei lavoratori e delle lavoratrici contro lo sfruttamento, contro il capitalismo, contro ogni discriminazione e violenza poliziesca.

Proponiamo presidi unitari presso l'ambasciata e i consolati USA nel corso di questa e della prossima settimana a sostegno di Black Lives Matter e della mobilitazione in corso negli Stati Uniti.



Prime adesioni:

Democrazia Atea, La Città Futura, Partito Comunista dei Lavoratori, Partito Comunista Italiano, Partito della Rifondazione Comunista, Partito Marxista-Leninista Italiano, Potere al Popolo, Rete dei Comunisti, Sinistra Anticapitalista


(in aggiornamento)

Iniziative di sostegno e solidarietà con il movimento di massa negli USA

Lo sviluppo di un grande movimento di massa antirazzista negli USA contro le violenze poliziesche, su rivendicazioni sociali e politiche di svolta, rappresenta oggi il principale fatto internazionale sul terreno della lotta di massa. Un fatto che non a caso sta trascinando movimenti di solidarietà in numerosi paesi europei (Francia, Gran Bretagna, Germania) chiamando in causa in ogni paese le violenze razziste e poliziesche contro i lavoratori e le lavoratrici immigrati/e.

Vogliamo che anche in Italia si produca un analogo movimento di solidarietà con la lotta di massa negli USA.
La proposta di una campagna unitaria di solidarietà ha incontrato sui territori la disponibilità di diversi soggetti politici e sindacali, anche con forme di promozione comune delle iniziative, senza logiche sbagliate di primogeniture o preclusioni.
Le iniziative si svolgeranno innanzitutto nelle principali città, sull'intero territorio nazionale, a partire da presidi di piazza presso l'ambasciata e i consolati degli Stati Uniti. E si relazioneranno positivamente, in una logica di fronte unico, con ogni altra iniziativa di difesa dei lavoratori immigrati, di denuncia della loro condizione, di condanna delle violenze subite, che richiami la comunanza delle proprie ragioni con la mobilitazione in corso negli USA.

Pubblichiamo qui il primo elenco delle iniziative di solidarietà già definite. Pubblicheremo nella prossima settimana date e luoghi delle altre iniziative in preparazione. Nel prossimo prospetto saranno anche indicate le organizzazioni aderenti ad ogni iniziativa, a partire dalle prime qui indicate, in modo da fornire a tutti un primo quadro complessivo della campagna in corso.


Prime iniziative:

Milano, mercoledì 24 giugno, Piazza Stati Uniti D'America, ore 18
Fabriano (Ancona), sabato 27 giugno, Piazza del Comune, ore 10
Palermo, lunedì 29 giugno, presso il Consolato USA, ore 17:30
Padova, sabato 4 luglio, ore 16
Coordinamento nazionale delle sinistre di opposizione

La democrazia di Carlo Bonomi

Confindustria va all'attacco ma chiede alla CGIL di disarmare le resistenze

In Italia occorre «una democrazia negoziale costruita e radicata su una grande alleanza pubblico-privato su cui il decisore politico non ha delega insindacabile per mandato elettorale, ma con cui esso dialoga incessantemente attraverso le rappresentanze del mondo dell'impresa, del lavoro, delle professioni, del terzo settore, della ricerca e della cultura. [...] una solida cornice di impegni decennali.» (Carlo Bonomi, Il Sole 24 Ore, 17 giugno)

Questo concetto della democrazia negoziale è la cifra della nuova politica di Confindustria. A Bonomi non basta la democrazia borghese tradizionale, quella per cui il parlamento “democraticamente eletto” (con leggi elettorali più o meno truffaldine, coi mezzi di informazione in mano ai capitalisti, coi mille strumenti di condizionamento e controllo della classe lavoratrice, dalle burocrazie sindacali al clero sino ai partiti borghesi, che son tutti sul libro paga dei padroni, come rivelano i loro stessi bilanci) esprime a sua volta il governo quale comitato d'affari della borghesia. No, Bonomi non si accontenta di soluzioni ordinarie. Vuole tenere il governo borghese sotto pressione, sottoporlo alla propria vigilanza, costringerlo a un rapporto vincolante e quotidiano con le richieste di Confindustria. Cui non basta un proprio governo, vuole anche dettargli direttamente il passo, i tempi, la direzione di marcia (gli «impegni decennali»), ben oltre i limiti della legislatura. In altri termini, vuole commissariare l'esecutivo. Quello di oggi e di domani.

Non è una petizione casuale. È in arrivo una massa gigantesca di risorse finanziarie di provenienza europea che Confindustria vuole intascare. Ma soprattutto avanza la più grande crisi del dopoguerra che scuote il capitalismo italiano come nessun altro in Europa. E Confindustria chiede infatti misure di guerra.

Confindustria chiede un impegno decennale nella riduzione del debito pubblico (gonfiato dai trasferimenti alle imprese, dalle garanzie statali sui crediti alle imprese, dai continui tagli di tasse ai capitalisti, oltre che dalla profonda recessione), e per questo denuncia una spesa sociale troppo sbilanciata sulla spesa previdenziale. Colpire la spesa per le pensioni è dunque il primo impegno decennale che Confindustria chiede al governo; la condizione per incassare la fiducia di banche e assicurazioni che investono sui titoli pubblici, tenere bassi gli interessi, ottenere finanziamenti a buon mercato.
Confindustria chiede l'abbattimento del costo del lavoro: taglio del cuneo fiscale a vantaggio delle imprese, e a carico della fiscalità generale (dunque dei lavoratori); cancellazione definitiva delle causali sui contratti a termine, visti da ora in poi come unica vera forma contrattuale e la via più agile per i licenziamenti; taglio delle ferie in agosto e massima flessibilità degli orari per recuperare produttività, ordini e commesse; distruzione annunciata di un milione e mezzo di posti di lavoro (secondo cifre confindustriali); ammortizzatori a più basso costo (“basta finanziamenti a pioggia” a sostegno del reddito) per liberare altri miliardi a favore dei profitti. Perché la pioggia di miliardi è produttiva se ingrassa i capitalisti, è assistenziale se sorregge i disoccupati, tra i quali i licenziati dai capitalisti. Questo è il secondo impegno decennale.

Ma Confindustria non si avventura da sola su questa linea d'attacco. Non segue la linea Marchionne del 2010-2011, quella dello scontro frontale con la FIOM e la CGIL. Al contrario. Prova a coinvolgere la CGIL nella «democrazia negoziale», ad assorbirla nella «solida cornice di impegni decennali»: Bonomi offre a Landini un posto al tavolo della concertazione, in cambio della sua funzione di ammortizzatore e controllore delle possibili resistenze della classe al programma confindustriale. “Non è il momento del conflitto, è il momento della mediazione sociale” ha replicato prontamente Landini, mostrando di aver colto e raccolto il segnale. La direzione è chiara: l'emergenza della grande crisi sospinge l'unità nazionale tra padroni e burocrazie, dove i padroni guidano e i burocrati seguono. Come sempre.

Rompere il patto sociale in gestazione, unire l'azione delle forze d'avanguardia attorno a una piattaforma indipendente, portare la piattaforma di lotta tra le masse per costruire un grande fronte unico di mobilitazione e resistenza, costruire nella lotta una direzione alternativa del movimento operaio e sindacale: sono i compiti dell'avanguardia di classe nella prova di forza che si prepara in autunno.
Partito Comunista dei Lavoratori

LA PRIGIONE DEL CONSENSO


Una fame bulimica di giustizialismo attraversa la società italiana. I manettari si moltiplicano, aiutati nel sostegno alle loro tesi da un certo genere di stampa e di politica. Il tema della giustizia dura e pura, che non guarda in faccia nessuno, è davvero in salute. Porta con sé un valore aggiunto che molto interessa il potere: genera una idea di efficienza, rendendo della dea bendata una immagine incorrotta e monolitica. Una giustizia forte legittima, forse è meglio dire evoca, istituzioni muscolose e integerrime.
Curiosamente, con una piccola indagine, che ciascuno di noi può compiere in proprio, è davvero facile trovare persone disposte a “buttare via la chiave” per somministrare punizioni esemplari verso i propri simili, a prescindere dal reato commesso, dalle condizioni di salute, dalla durezza della carcerazione. Questi tombaroli, sono però gli stessi, che come naturale, se incappati nelle maglie della giustizia, proveranno a ricevere la sanzione più benevola, sfruttando tutte le possibilità previste dalla legge, magari bordeggiando ai limiti. Pagheranno il migliore avvocato nella loro disponibilità, non indispettiranno in qualsiasi modo il giudice, rappresenteranno nel dibattimento la via del pentimento. Non troverete nessun tombarolo pronto a invocare per sé stesso il massimo della pena, la condanna esemplare, il supplizio peggiore fonte di massima espiazione.
Già questo primo aspetto della questione ci pone di fronte a un paradosso bello e buono. Non siamo tutti uguali di fronte alla legge. Per il soggetto deve essere clemenza, per l’altro da noi sia pure rigore. Io sono buono, tu sei il cattivo.
Di certo non è automatico apparire sani nel vigore e puri, al fine di generare consenso. Un consenso che nella abitudine odierna si tende a misurare attraverso indicatori diversi dall'esercizio del diritto elettorale. È una facilitazione per chi esercita il potere politico, dal momento che questi indicatori, corrispondenti allo strumento del sondaggio, all'agire dei social, e al consueto addomesticamento del contesto da parte dell’informazione televisiva, possono essere controllati e indirizzati arbitrariamente e senza efficaci forme di controllo.  
Il meccanismo più utilizzato per serrare le fila dell’opinione pubblica, o se preferite del popolo, o ancora dei singoli cittadini, è quello di costruire un nemico, assoluto e facilmente spendibile, da combattere almeno in apparenza, con rigore. Fino all'emergenza Covid hanno funzionato bene i migranti. Il passato governo giallo-verde ne ha costruito una rappresentazione di guerra che ha retto in maniera egregia e ha generato consenso.
Il nemico ideale deve essere inoffensivo, fragile, non avere appigli nel sistema, esecrabile nella diversità, e possibilmente generare sentimenti di sottinteso razzismo, non dichiarato esplicitamente. Il nemico deve essere diverso, non assimilabile, possibilmente reo di colpe più o meno precisate. Portatore di malattie, di illegalità, immorale, pronto a delinquere. Facile a essere passivo e sfruttato. La logica capitalista rimesta in politica, e al suo linguaggio si adatta bene. 
La pandemia ha interrotto questa comoda situazione. Mancavano i migranti, pur restando gli stilemi. Assenza di sbarchi, un lock down che guarda caso ha interessato anche le organizzazioni criminali, prime sfruttatrici del bisogno di emancipazione delle masse provenienti dai paesi sottosviluppati.
Si era per questo alla ricerca di un nuovo nemico. Quanto meno di un nuovo argomento in grado di accomunare le componenti più qualunquiste dell’opinione pubblica, di tenere in sordina una sinistra sempre più debole nel promuovere idee vicine a quella che dovrebbe essere l’identità ideale.
A cavallo dell’emergenza Covid, il tema della giustizia si è rivelato il luogo più adatto dove pescare. In particolare, per le caratteristiche di fragilità e impotenza dei soggetti che vi appartengono si è rivelato l’universo carcerario. Rigore dunque.
Un sondaggio pubblicato dall’Istat nel giugno 2018, e dedicato alla percezione d’insicurezza dei cittadini, indica che il 39,4% del campione si sente poco sicuro, fino ad arrivare a non uscire di casa. Il dato si articola in successive declinazioni. A fronte, solo il 6,4% del campione ha vissuto la paura concreta di essere sul punto di subire un reato. La differenza è notevole, indicando un terreno fertile dove cercare di cercare consenso. Come dire un pesce su due abbocca.

Ogni tempo ha la sua legge
Ettore Messana nell'aprile del 1941 diventa questore di Lubiana. Fino al maggio del 1942. Il fascismo vuole una Slovenia italianizzata. Messana organizza una rete di campi di concentramento, dove le vittime stimate saranno 19.000. La Commissione delle Nazioni Unite per i crimini di guerra ne chiede l’incriminazione. Nel 1945 anziché il carcere lo aspetta una promozione. Diventa Ispettore generale di pubblica sicurezza in Sicilia. Ulteriori dettagli e atrocità sul personaggio, se interessati, non mancano. 
Che a ogni tempo corrisponda una concezione specifica di giustizia è un fatto che non deve sorprenderci. Così come la soggettività e l’originalità del giudizio del colpevole anche all'interno del medesimo ordinamento. Oggi l’impunità del signor Messana, rappresenterebbe un evento insostenibile. Nel 1945 è stata possibile.
La mutazione dei valori sociali di riferimento fa variare l’entità del castigo. In altri casi, sporadici in termini di numeri, entrano in gioco considerazioni che esulano il postulato della legge. In Italia si parla molto e troppo si è parlato di riforma della giustizia. Il dibattito si concentra sui tempi. Nel 2016 il processo penale durava in media tre anni e nove mesi. In media. Questo è certamente un problema rilevante, che ha pure un risvolto classista. I meno abbienti, i poveri, difficilmente possono sostenere per un tempo così lungo le spese per la loro difesa. Faranno ricorso all'avvocato d’ufficio. In ogni caso la disponibilità economica condiziona la qualità della difesa di un imputato.
La legge è uguale per tutti, ma se possibile scegliete il miglior avvocato che potete permettervi. Per esempio.
L’unica primaria soluzione a questo stato di cose è quella di destinare risorse al meccanismo giudiziario. Informatizzare le procedure, ampliare le garanzie giuridiche, rendere i linguaggi adottati più consoni e comprensibili alle consuetudini odierne, semplificare i meccanismi che regolamentano le attività.
Il tema vero e forte è però un altro: la necessità di una rinnovata valutazione delle pene, legate oggi a una legislazione scaturita all'emergenza istituzionale della lotta alla mafia e al terrorismo. Oggi, 2020, da un punto di vista umanitario, e stante la situazione politica corrente, è ancora sostenibile l’entità di alcune condanne e la modalità della loro esecuzione all'interno dell’istituzione carceraria?
Questo si dimostra essere il vero punctum da discutere. Proprio ricordando il vecchio adagio che vuole la pena intenta a produrre gli effetti più intensi presso coloro che non hanno commesso l’errore. Focault, già nel 1975 centrava il problema. Il detenuto è ormai l’elemento annientato, qualsiasi sia il reato commesso. Seppure risultasse combattivo, irredento, aggressivo, violento, irriducibile, è sconfitto. Non dispone più del suo corpo, e la mente spesso vacilla. Il detenuto non conta più in sé stesso, ma vale il peso mediatico del simbolo che rappresenta. Un file da gestire, che sia oggetto di clemenza, oppure di accanimento. Quello che importa è il messaggio spedito verso l’esterno. La pena rimanda alla paura di subirla. E questo timore riguarda più l’innocente del colpevole. L’innocente porta in sé un doppio timore: della pena ingiusta e dell’errore. Il colpevole sta invece pagando un prezzo che ha messo in conto. È preparato al peggio.
Le leggi sono le condizioni colle quali uomini indipendenti ed isolati si unirono in società, stanchi di vivere in un continuo stato di guerra e di godere una libertà resa inutile dall'incertezza di conservarla.
Cesare Beccaria, non era uomo di spiccata vocazione democratica. Anzi. Però sull'esercizio della giustizia il suo pensiero utilitarista è ancora attuale.
Parafrasando. Se l’innocente ha doppia paura, la sua libertà è vissuta come un bene incerto e da conservare a qualunque condizione, come accadrebbe in guerra per la propria vita. La migliore condizione di tutela del bene è quella del consenso al più forte. Ovvero appartenenza al sistema, insieme alla speranza o alla presunzione di intangibilità.
Quello che viviamo oggi, rispetto all'amministrazione della giustizia, è il riflesso dell’impotenza della classe politica di generare decisioni autonome, probabilmente impopolari, ma lungimiranti, e portatrici di benefici per l’intera società. Nel dibattito regna poi l’incultura totale, obbligata o voluta non è dato capire, da parte dei diversi soggetti. 
Una guerra inizia e finisce. Vincitori e vinti. Armistizio e resa. Ricostruzione e prosperità. Questi sono i passaggi. Nel nostro paese la giustizia, è l’impressione di chi scrive, continua una guerra ancorata ai fantasmi del passato, che ha già vinto. Non ci si accorge che il nemico è sconfitto, o pesantemente ridimensionato. Si pugna verso i fantasmi, senza cogliere, forse a pieno, le priorità del presente.
S’intende che ci riferiamo a certe modalità di agire illegalmente, intese tali come comuni, mafiose o politiche, che appartengono al passato, e non sono certo assimilabili alle nuove forme di criminalità, che non intendiamo certo sconfitte, e tanto meno emerse nella loro completa geografia.
Con i dovuti distinguo, è forse il momento di attenuare eventuali livori, e iniziare a valutare un diverso atteggiamento dell’istituzione che possa essere assimilabile a iniziative di alleggerimento dei più duri regimi carcerari. Ci riferiamo in particolare all'applicazione del carcere duro, o 41 bis. Una misura emergenziale, che ha come obiettivo principale l’impedimento a mantenere contatti con l’organizzazione criminale di provenienza. Nei casi che citeremo più avanti, tra i vivi, questa necessità sembra essere venuta decisamente meno.
Per quanto la colpa sia stata grave, va sempre ricordato che ogni tempo ha la sua legge. L’opportunità che offre questo periodo storico allo stato è l’oggettivo riconoscimento della sconfitta di ogni manifestazione terroristica, e lo ripetiamo lo sbandamento di alcune fazioni appartenenti alla criminalità organizzata.
Tra i magistrati e i politici c’è chi sostiene che le leggi speciali e il carcere duro abbiano fortemente contribuito al successo dell’istituzione. È probabile. Ma forse ora è tempo di rivedere quei dispositivi, almeno nei termini che riguardano la quotidianità carceraria e l’entità delle condanne. Mostrare pietas verso chi è stato sconfitto, permetterebbe di avviare un percorso di pacificazione e comprensione rispetto a quanto accaduto negli anni di piombo. E soprattutto consentirebbe alla società civile, di aprire un vero dibattito sulle istanze che muovevano in quel periodo, e che sono rimaste sepolte dalla repressione della violenza. Il nostro paese ha una fame enorme di comprendere con chiarezza cosa è accaduto, storicizzando finalmente eventi che rimangono per sempre cronaca, e per questo soggetti a diverse interpretazioni. Anche la storia lo è, ma in misura minore, e maggiore è in essa l’immanenza di una verità condivisa.
Difendere gli indifendibili
Se proviamo a portare alla memoria le figure dei condannati che più frequentemente emergono dall'immaginario collettivo, troviamo Totò Riina e Giuseppe Provenzano, morti in carcere, rispettivamente nel 2017 e nel 2016, dopo lunga detenzione. Meno presente, in tutti i sensi, il fantasma di Matteo Messina Denaro, capomafia latitante dal 1993, e che certamente gode di importanti protezioni. Riaffiora ciclicamente il nome di Raffaele Cutolo. Sono difficili da rappresentare le vicende che riguardano la presunta trattativa Stato-mafia. Nell'ambito politico, alle cronache restano i nomi di Nadia Desdemona Lioce, più sfumati quelli di Roberto Morandi e Marco Mezzasalma, membri nel 2003 delle BR-Pcc. I viventi sono detenuti in regime di 41 bis.
Attenzione, chi scrive tiene a precisare, che i nomi sono citati in riferimento all'entità dell’emersione di una sorta di memoria collettiva. Ovvero, a parte il caso di cronaca presentato nel quotidiano da televisione e carta stampata, quanti di noi ricordano o conoscono con precisione, quei nomi e quelle trame delittuose, che a oggi dobbiamo ritenere essere ben più vive e pericolose?
Curiosamente, ed è giusto riflettere nel merito, nel paese dove la distrazione fiscale è stimata nell'ordine di circa cento miliardi di euro, la più alta d’Europa, se cerchiamo tra gli archivi della cronaca il nome di un grande evasore non lo troviamo. Così come è giusto domandarci quando conosceremo i colpevoli del crollo del Ponte Morandi, che il 14 agosto del 2018 ha causato 43 morti. Ancora è bene ricordare nell'elenco, i quattordici detenuti morti in carcere, durante le rivolte di marzo, generate dalla sospensione dei colloqui. La versione ufficiale parla di decessi causati da intossicazione da overdose. Tutti. Qualche commento? L’elenco, eterogeneo a dire il vero, potrebbe continuare, pur accolto con una certa distrazione da parte della pubblica opinione. Però subito l’attenzione si ravviva quando trattiamo di persone confinate nella loro immagine.
Non unica nel suo genere, la vicenda che ha interessato le sorti di Raffaele Cutolo è stata centrale nei giorni scorsi. La sua richiesta di arresti domiciliari ha sbancato nei talk, generato milioni di post nei social, sollevato le orde degli indignati a gettone di presenza. La ricordiamo brevemente, scivolando nella cronaca. Citiamo Raffaele Cutolo, proprio perché suo malgrado è giudicato un simbolo, e forse troppo facilmente può essere considerato un indifendibile. Di certo è un uomo di settantotto anni, recluso da oltre quaranta. Le sue colpe non si possono negare, il curriculum criminale è di tutto rispetto. Fino al 1982, e al trasferimento al carcere dell’Asinara Cutolo è stato un uomo potente. Ma da quella data inizio il suo declino. Oggi cosa ne resta? Un uomo malato, questo è accertato. Intervistato telefonicamente, l’avvocato Aufiero, il suo legale ne descrive così la condizione:
“… Cutolo viene ricoverato più o meno alle cinque del mattino, con massima urgenza il 18 febbraio. Per un 41 bis essere ricoverato alle cinque del mattino, significa che le condizioni di salute debbono essere particolarmente gravi. Esistono dei protocolli da rispettare, e se un detenuto viene portato in ospedale a quell'ora le sue condizioni sono particolarmente gravi. Riguardo a Cutolo, ne ho la certezza, avendo parlato con alcuni sanitari del carcere, nei giorni successivi. Mi è stato detto che è stato preso per i capelli. Anche se il presidente del Tribunale di Sorveglianza di Bologna, su questa mia affermazione non conveniva. Oltre questo aspetto sa qual è la diagnosi per la quale Cutolo veniva trasferito in ospedale? Glielo dico io: per episodi di incontinenza, e perché si sono verificati ripetuti episodi di caduta dal letto.
Io quando ho letto questo mi sono detto: Cutolo lo hanno portato in ospedale alle cinque del mattino perché era incontinente e cadeva dal letto?  Non mi sembrava possibile, e in effetti quando arriva in ospedale gli viene diagnosticata una polmonite bilaterale. Quando dico che il carcere di Parma non è idoneo a curare un detenuto di settantotto anni, non dico una cretinata. Mi ha riferito la moglie che già prima di Natale aveva questa tosse molto forte, e se lo ricoverano alle cinque del mattino perché bagna il letto, della polmonite evidentemente non si sono proprio accorti. Quando affermo tutto questo non dico una bestialità, ma porto dati oggettivi. Cutolo arriva alle cinque del mattino in gravi condizioni di salute, per me in fin di vita perché così mi è stato riferito. E se non fossero state gravi, non lo avrebbero ricoverato dal 41 bis, Cutolo Raffaele”.
 “… Che Cutolo abbia una condizione di salute incompatibile con il carcere, non lo dico soltanto io. C’è una nota della Direzione sanitaria del carcere del 15 aprile 2020, che anche il Tribunale di Bologna richiama, che afferma come lo stato di salute di Cutolo sia incompatibile con il carcere. L’Asl di Parma, con tre distinte note, dice che il carcere della città non è idoneo per curare una serie di detenuti, tra cui il mio assistito”.
Il Tribunale di Sorveglianza di Bologna ha respinto il ricorso della difesa.
Chi scrive non intende commentare.
La vera questione è che in uno stato di diritto bisogna avere il coraggio di difendere gli indifendibili. Che loro malgrado rimangono simboli. Completamente svuotati del loro potere, ma utili a chi politicamente vuole alimentare vecchie e nuove paure.

Mario De Pasquale

Bologna, il Coordinamento Unitario delle Sinistre di opposizione aderisce al corteo del 20 giugno

La crisi la paghino i padroni!

18 Giugno 2020
Il coordinamento delle sinistre di opposizione di Bologna aderisce al corteo regionale “Per un nuovo futuro” del 20 giugno 2020 indetto da numerose forze sindacali, politiche e associative.


INVECE DI SANITÀ, REDDITO E DIRITTI CI DANNO TAGLI, DISOCCUPAZIONE E POLIZIA.
NO! LA CRISI LA PAGHINO I PADRONI!


Il coordinamento, espressione unitaria delle forze che fanno riferimento alla classe lavoratrice, promuove in ogni occasione la più ampia unità delle lavoratrici e dei lavoratori.
Le rivendicazioni avanzate dalla manifestazione sono centrali nella sua proposta.

SANITÀ: un unico Servizio Sanitario nazionale, pubblico e gratuito, rilanciato dal raddoppio dell'investimento pubblico nella sanità finanziato dal taglio alle spese militari e dalla tassazione delle grandi ricchezze; nazionalizzazione della sanità privata senza indennizzo per i grandi azionisti.

REDDITO: blocco dei licenziamenti, salari al 100% per i lavoratori in cassa integrazione, un reddito dignitoso per tutti coloro che si trovano senza lavoro e senza reddito (“reddito di quarantena”), la regolarizzazione dei lavoratori immigrati; la riduzione generale dell'orario di lavoro a 30 ore pagate 40, per ripartire il lavoro fra tutti in modo che nessuno ne sia privato

DIRITTI: diritto di assemblea, di sciopero e di manifestazione; diritto al controllo da parte delle lavoratrici e dei lavoratori delle condizioni di sicurezza del proprio lavoro, delle proprie mansioni, dei ritmi e intensità del proprio impegno lavorativo; no ai licenziamenti politici e alle violenze della polizia sui picchetti operai.

Padronato e governo dopo il crollo dell'economia e della produzione industriale, stanno preparando un conto salato per la classe lavoratrice e le classi popolari. È la solita ricetta per ricominciare a produrre profitti per i ricchi e continuare la rapina sociale a carico dei poveri. Dobbiamo urlargli in faccia il nostro secco NO: la crisi la paghino i padroni!


BASTA CON IL RAZZISMO E LE VIOLENZE DELLA POLIZIA
MASSIMA SOLIDARIETÀ CON IL MOVIMENTO ANTIRAZZISTA IN USA E NEL MONDO


In questi anni e in questi giorni abbiamo assistito ad un'impressionante sequela di violenze e omicidi da parte della polizia degli Stati Uniti. Il movente razzista è chiaro perché queste violenze colpiscono soprattutto la comunità afroamericana e le altre minoranze etniche non bianche.
Black lives matter, il movimento che sta guidando le manifestazioni di massa che in questi giorni stanno occupando le strade e le piazze delle maggiori città americane e stanno sconvolgendo la società e la politica statunitensi, denuncia l'uccisione di sempre più numerosi cittadini U.S.A. colpevoli di avere la pelle di colore diverso dal bianco e di non essere ricchi: Trayvon Martin, Michael Brown, Eric Garner, Freddie Gray, Tamir Rice, Sandra Bland, Philando Castile, Breonna Taylor e molti altri.
A questa terribile sequenza si aggiungono oggi George Floyd, soffocato in pieno giorno e Rayshard Broocks assassinato vigliaccamente con tre colpi di pistola alla schiena. Le giovani e i I giovani americani di ogni colore oggi dicono basta! Il loro testimone è raccolto ad ogni angolo del mondo da centinaia di migliaia di manifestanti, dalla Francia, all'Inghilterra alla Germania, e man mano il movimento si diffonde a livello internazionale all'antirazzismo si aggiunge la lotta contro la crisi del capitalismo, le enormi disuguaglianze sociali che esso produce che a loro volta sono fonte di tutte le possibili discriminazioni di tipo razziale, etnico, di genere e sociale
Anche in Italia, dove conosciamo bene le violenze poliziesche contro i giovani (ricordiamo Carlo Giuliani, Federico Aldrovandi, Stefano Cucchi e Riccardo Magherini), dobbiamo sviluppare il movimento di solidarietà con le mobilitazioni antirazziste e contro le discriminazioni sociali negli U.S.A. e nel mondo.
Basta con le violenze della polizia e dei governi che servono, contro le giovani e i giovani, le antifasciste e gli antifascisti, le lavoratrici e i lavoratori.
Come Floyd negli ultimi istanti di vita, we can't breathe, non possiamo respirare. Il capitalismo con la sua crisi ci sta soffocando! Con l'unità di tutti i settori oppressi della società costruiamo un' altra prospettiva, un altro futuro, un'alternativa di società.

VIDEO: Marco Ferrando alla contestazione degli Stati generali - Roma - 13/06/20



Intervento del compagno Marco Ferrando alla contestazione degli Stati generali dell'economia a Villa Pamphili.

"La maggior parte dei sudditi crede di essere tale perché il re è il Re, non si rende conto che in realtà è il re che è Re perché essi sono sudditi." (Marx)

Al capitalismo, società criminale fondata sul profitto, ai padroni e ai loro governi, contrapponiamo la mobilitazione e la rivolta di massa dei lavoratori, delle lavoratrici, della gioventù!

Costruiamo il fronte unico di classe e di massa! Per un'alternativa anticapitalista e socialista, in Italia e nel mondo!

PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

I monumenti al razzismo iniziano a crollare

Pubblichiamo un articolo di Socialist Resurgence che traccia l'origine e le motivazioni dell'ondata di contestazione che ha preso di mira i monumenti, all'interno del movimento mondiale antirazzista che nelle ultime settimane ha portato nelle piazze centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo, e negli USA messo in difficoltà l'amministrazione Trump.



I militanti antirazzisti per anni hanno chiesto la rimozione dagli spazi pubblici dei monumenti dedicati alle figure degli Stati Confederati d'America [1], e per anni hanno visto le loro richieste ignorate delle orecchie da mercante dei politici democratici e repubblicani, o impigliarsi nella burocrazia del governo. A volte questa indifferenza è servita a coccolare i razzisti, che usano questi simboli per promuovere la loro causa.

È importante capire che le statue e i monumenti commemorativi dei confederati non hanno nulla a che fare con la conservazione della storia, come coloro che li difendono verrebbero farci credere. Questi monumenti rendono omaggio all'oppressione degli afroamericani.

La maggior parte dei monumenti ai confederati fu eretta tra la fine degli anni '90 dell'Ottocento e gli anni '20 del Novecento, in uno sforzo comune di organizzazioni come le United Daughters of the Confederacy [2] per tenere i neri americani in uno status poco più che schiavista. Questo è lo stesso periodo della storia americana in cui le leggi Jim Crow divennero leggi di stato [3]. Altre statue furono erette negli anni '50, durante il movimento per i diritti civili, per intimidire gli afroamericani e impedire loro di unirsi alla lotta contro le leggi Jim Crow.

Con l'omicidio di George Floyd da parte dei poliziotti di Minneapolis, le manifestazioni sono esplose in tutti gli Stati Uniti, da sud-est a nord-ovest; poi dalle Americhe in Africa, Europa e Asia; dalle piccole alle grandi città. La gente chiede la fine dell'oppressione poliziesca e la fine dell'uccisione di afroamericani. Allo stesso tempo, attraverso il Sud, da Baltimora a Birmingham, le persone stanno unendo questa domanda di giustizia con quella di liberare il paesaggio dai monumenti confederati. In molti casi i manifestanti si sono assunti in prima persona questo compito e hanno abbattuto o distrutto statue.

Nel tentativo di placare la rabbia e le richieste dei manifestanti, i governatori e i sindaci del Sud, molti dei quali in passato si sono opposti a togliere questi monumenti al razzismo, stanno ora ordinando la loro rimozione. Il governatore della Virginia Northam ha recentemente annunciato la rimozione della celebre statua di Robert Edward Lee a Richmond. Richmond era la capitale degli Stati Confederati d'America. Dei combattenti confederati morti vennero seppelliti in quella che poi divenne nota come Monument Row. Northam ora ha ordinato la rimozione di tutti i monumenti confederati, nonostante fossero attrazioni turistiche della città. Il 9 giugno un giudice di Richmond ha emesso un'ingiunzione di 10 giorni contro la rimozione della statua di Lee. Alcuni manifestanti suggeriscono di lasciare il monumento a Lee in piedi, coperto, com'è ora, dai graffiti raffiguranti George Floyd e simboli del Black Lives Matter, come segno di giusto tributo all'America razzista.

Gli operai comunali di Louisville, in Kentucky, hanno rimosso la statua dell'ufficiale confederato John B. Castleman da un importante spazio cittadino, il Cherokee Triangle. Il sindaco di Birmingham (Alabama) Randall Woodfin ha ordinato la rimozione di una statua confederata dai terreni della città, sapendo che la città avrebbe dovuto affrontare una multa di 25.000 dollari. Il governo dello stato dell'Alabama, in risposta, ha intentato una causa contro il sindaco e la città.

È probabile che anche la statua di Robert E. Lee a Charlottesville verrà rimossa, alla fine. Questa è la stessa statua che fu al centro della famigerata manifestazione Unite the Right del 2017, che vide l'omicidio di Heather Heyer, militante antirazzista, da parte del neonazista James Alex Fields. I militanti antirazzisti hanno tentato invano di far rimuovere questa statua per oltre un decennio.

L'attacco alle statue razziste non è limitato al sud degli Stati Uniti. In Inghilterra i manifestanti danno la caccia alle icone del passato razzista del loro paese. A Bristol i manifestanti hanno rovesciato una statua del mercante di schiavi Edward Colston e l'hanno gettata in acqua nel porto della città. A Londra i partecipanti a una manifestazione del Black Lives Matter hanno circondato un monumento a Winston Churchill deridendolo e scrivendoci su "Churchill era un razzista". Churchill era un noto razzista nei confronti di indiani, irlandesi, africani, indigeni australiani e tutti gli altri che non erano del suo colore e della sua classe.

Ci sono voluti anni di lotta per rimuovere alcuni degli omaggi razzisti agli Stati Confederati d'America. Ora, con le masse nelle strade che chiedono giustizia per George Floyd, le statue vengono rovesciate in pochi giorni e persino ore. Tale è il potere dei lavoratori.





[1] gli stati del Sud, che difendevano e volevano conservare il sistema schiavista

[2] Figlie Unite della Confederazione, associazione patriottica nata alla fine dell'Ottocento dedita a coltivare la memoria e la tradizione sudista. Legate non di rado ad ambienti fascisti e suprematisti bianchi

[3] leggi varate dopo l'abolizione della schiavitù e rimaste in vigore fino agli anni '60 del secolo scorso, istituzionalizzarono il razzismo introducendo il segregazionismo e la ghettizzazione dei neri in ogni ambito sociale
Hugh Stephenson

MANCATA ZONA ROSSA AD ALZANO LOMBARDO E NEMBRO - COMUNICATO STAMPA

Comunicato del Partito Comunista dei Lavoratori sull’inchiesta per la mancata “zona rossa” ad Alzano e Nembro denunciata dallo stesso PCL il 9 aprile


Il Partito Comunista dei Lavoratori esprime la propria soddisfazione per la scelta della procura di Bergamo di interrogare il presidente del Consiglio e i ministri degli Interni e della Salute in merito alla mancata istituzione della nei comuni di Alzano e Nembro. E non potrebbe essere altrimenti: è stato il Pcl infatti, tramite il suo Portavoce Nazionale Marco Ferrando a presentare per primo (alle procure di Bergamo, Brescia, Milano e Roma) denuncia contro il Governo, nonché contro la Regione Lombardia e Confindustria. E lo ha fatto in tempi certamente non sospetti: il 9 aprile scorso. Quando tutti facevano muro minimizzando ciò che accadeva e rimpallandosi le responsabilità. A cominciare dalla Lega di Salvini che oggi sostiene ma allora difendeva a spada tratta la politica delle fabbriche aperte a tutti i costi. I costi di migliaia di morti. 
Nel nostro esposto abbiamo sottolineato come la mancata zona rossa non era frutto di un semplice “errore” di valutazione del rischio ma era stata il risultato di un cinico calcolo economico: “costava troppo” chiudere una zona ad alta concentrazione industriale. Era la tesi di Confindustria Lombardia e sia la Regione che il governo l’hanno fatta propria. Adesso assistiamo allo squallido palleggiamento di responsabilità su chi poteva e doveva decidere: potevano e dovevano sia la Regione che il Governo. Ma hanno lasciato che, nei fatti, decidessero gli industriali. E il risultato sono stati i cortei dei camion militari pieni di bare.
Questo dimostra la vera natura di questo governo, che qualcuno si illude sia “progressista”. Pur sapendo che solo le mobilitazioni di massa di lavoratori e giovani - e un governo che riflette i loro interessi – possono cambiare le cose ci auguriamo che tutti i responsabili di questo massacro ne rispondano davanti alla giustizia.

https://www.giornalettismo.com/zone-rosse-denuncia-pcl/

PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI                                                                                             
10/06/2020

Polizia: sicari del capitalismo vestiti di blu

L'omicidio di George Floyd da parte della polizia, il 25 maggio, ha scatenato una tempesta di manifestazioni di protesta. In centinaia di città, proteste pacifiche sono state attaccate dalla polizia antisommossa. Finora dieci manifestanti sono stati uccisi, e migliaia di altri arrestati e feriti da proiettili di gomma e gas lacrimogeni. Ciò a cui abbiamo assistito, da Minneapolis a Filadelfia ad Atlanta a Washington, è uno scatenamento poliziesco da parte di un'istituzione razzista fuori controllo.

liberal [la sinistra borghese, non di classe, NdT] vogliono farci credere che la polizia sia neutrale e che siano qui a "proteggere e servire". Ci viene chiesto di credere che siano solo "poche mele marce" ad avere comportamenti violenti e razzisti. I comunisti respingono queste illusioni. La polizia esiste come forza armata di un sistema capitalista razzista. Questa violenza ha radici profonde che risalgono ai cacciatori di schiavi dell'epoca della tratta degli schiavi.


EPIDEMIA DI VIOLENZA POLIZIESCA CONTRO LA POPOLAZIONE DI COLORE

Gli ultimi anni hanno visto innumerevoli vittime di omicidio e violenza della polizia. Numerosi incidenti sono stati registrati in video da testimoni, con conseguenze minime o nulle per gli agenti di polizia coinvolti. Il movimento Black Lives Matter, che iniziò in risposta all'omicidio di Trayvon Martin, ha continuato a mobilitarsi mentre la polizia continuava ad uccidere Michael Brown, Eric Garner, Freddie Gray, Tamir Rice, Sandra Bland, Philando Castile e molti altri.

A Breonna Taylor hanno sparato otto volte nel sonno, quando la polizia ha eseguito un mandato di perquisizione senza preavviso. Il mandato era in teoria per una persona che era già in custodia di cautelare. Il suo ragazzo, Kenneth Walker, pensando si trattasse di una rapina, ha sparato contro la polizia, ferendo un poliziotto. Per questo è stato accusato di attacco di primo grado a un ufficiale di polizia e tentato omicidio, accuse successivamente ritirate. Non c'erano droghe in casa.

L'omicidio di Ahmaud Arbery da parte di un vigilante è stato inizialmente nascosto, fino a quando il video dell'orrendo omicidio è stato diffuso sui social. Gli assassini di Arbery sono stati arrestati non molto tempo prima del linciaggio di George Floyd.

Certo, da sempre c'è resistenza alla repressione poliziesca. A Houston, nel 1917, truppe di neri dell'esercito degli Stati Uniti presero le armi contro la polizia locale dopo che i poliziotti avevano attaccato un membro della loro unità. Durante gli anni '60 ci furono ribellioni contro la repressione della polizia a Detroit, Los Angeles, Trenton e in altre grandi città. Negli anni '90 ci fu la ribellione di Los Angeles, dopo l'assoluzione dei poliziotti che picchiarono selvaggiamente Rodney King. Più recentemente, le città di Ferguson e Baltimora sono esplose dopo gli omicidi della polizia di Michael Brown e Freddie Grey.


IL CAPITALISMO, LA POLIZIA E LO STATO

La questione relativa alla polizia e al suo rapporto con la società è importante per i comunisti. Molti sindacalisti, membri di nazionalità oppresse e militanti dei movimenti hanno provato sulla propria pelle la repressione della polizia. Qualsiasi lavoratore che abbia scioperato sa che i poliziotti sono chiamati a reprimere le azioni dei picchetti dei lavoratori e a interrompere gli scioperi.

L'attacco della polizia ai manifestanti di una contromanifestazione durante un raduno di estrema destra nel 2018 a Portland è un altro esempio del ruolo reazionario degli sbirri. Durante un'altra manifestazione dell'estrema destra che reclamava "libertà di espressione" ci sono stati scambi amichevoli tra polizia e manifestanti di estrema destra, fino ad arrivare a darsi il cinque fra loro. La cooperazione con il gruppo di estrema destra Oath Keepers [associazione paramilitare non governativa, con compiti simili a quelli della Protezione civile in Italia] è arrivata fino al punto che uno degli Oath Keepers ha aiutato la polizia ad arrestare un contromanifestante.

All'inizio di questa settimana, la polizia di Filadelfia ha fraternizzato con Proud Boys [gruppo neofascista, che ammette al suo interno soltanto gli uomini] e altri gruppi di estrema destra che vicino a una stazione di polizia si sono uniti in una sorta di gruppo di ronda di oltre 100 persone, armate di mazze da baseball e altre armi. I poliziotti hanno dato il cinque e applaudito questi sgherri, anche dopo che essi hanno intimidito manifestanti del Black Lives Matter attaccando fisicamente tre di loro. È stato riferito che c'erano canti che intonavano "le vite bianche importano" (“white lives matter”).

Lo Stato non è qualcosa di particolare per il capitalismo. Lo Stato è l'espressione della divisione della società in classi sociali con interessi contrastanti. In L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato Friederich Engels scrive che lo Stato è «un prodotto della società giunta a un determinato stadio di sviluppo, è la confessione che questa società si è avvolta in una contraddizione insolubile con se stessa, che si è scissa in antagonismi inconciliabili che è impotente a eliminare. Ma perché questi antagonismi, queste classi con interessi economici in conflitto non distruggano se stessi e la società in una sterile lotta, sorge la necessità di una potenza che sia in apparenza al di sopra della società, che attenui il conflitto, lo mantenga nei limiti dell'«ordine»; e questa potenza che emana dalla società, ma che si pone al di sopra di essa e che si estranea sempre più da essa, è lo Stato».

Lo Stato non esiste per "riconciliare" gli interessi delle varie classi; esiste per la sottomissione dei lavoratori e delle persone oppresse da parte della classe dirigente, la classe dominante. Ciò si esprime nella formazione di istituzioni come la polizia, l'esercito, le carceri e altri strumenti di coercizione volti a tenere in riga i lavoratori.

Negli Stati Uniti la natura della polizia è inseparabile dalla natura razzista del sistema. Le origini della polizia negli Stati Uniti, in particolare negli Stati del sud, possono essere in parte ricondotte alle pattuglie di sorveglianza degli schiavi, formate per catturare schiavi in fuga. Più tardi, la polizia è stata l'esecutore delle leggi Jim Crow di segregazione. Queste leggi rimangono una componente essenziale dell'attuale regime di incarcerazione di massa, che imprigiona centinaia di migliaia di giovani donne e uomini neri e mulatti.


POLIZIA E FASCISMO

In Italia e in Germania, durante l'ascesa dei movimenti fascisti, vi fu cooperazione tra polizia e gruppi fascisti. Questa collaborazione arrivò fino all'addestramento delle camicie nere di Mussolini da parte della polizia italiana. Negli Stati Uniti sono stati dimostrati collegamenti fra polizia, gruppi nazisti e Ku Klux Klan. Ad esempio, si stima che fino al 40% della polizia di Houston negli anni '70 fosse membro del KKK. Lo stesso si potrebbe dire dei dipartimenti di polizia in tutto il sud degli USA.

La polizia razzista non è qualcosa di isolato nel sud degli Stati Uniti. Le città del Nord hanno imposto una segregazione di fatto per anni attraverso il mantenimento razzista dell'ordine pubblico. Filadelfia, la cosiddetta "città dell'amore fraterno", ha una lunga storia di poliziotti razzisti. Il più famoso è l'ex commissario di polizia e sindaco di Filadelfia, Frank Rizzo. I poliziotti di Rizzo erano famosi per gli attacchi contro la comunità nera, incluse pratiche come il trasporto di giovani neri in quartieri bianchi ostili, in modo che dovessero rischiare la vita per tornare a casa a piedi, correndo. Sotto Rizzo, la polizia ha attaccato violentemente il Black Panther Party e le organizzazioni nere per i diritti civili.

Gli atteggiamenti razzisti della polizia di Filadelfia culminarono nel bombardamento della sede della comune del MOVE [gruppo di liberazione nera nato a Filadelfia negli anni '70] nel maggio 1985. Il 13 maggio, la polizia circondò la casa, sparò più di 10.000 colpi di munizioni e usò un camion dei pompieri per inondare la casa con oltre 450.000 litri d'acqua. Successivamente, un elicottero della polizia lanciò una bomba sul tetto della comune, provocando un incendio. Invece di usare i vigili del fuoco per estinguere l'incendio, si decise di lasciare che l'incendio bruciasse, distruggendo alla fine 61 case, lasciando 250 persone senza tetto e uccidendo 11 membri dell'organizzazione MOVE, tra cui cinque bambini.

L'unica persona ad essere incarcerata dopo questo crimine è stata Ramona Africa, membro di MOVE, unica adulta sopravvissuta all'attacco della polizia (anche un bambino, Birdie Africa, ne uscì vivo). Nessun poliziotto o pubblico ufficiale ha mai affrontato conseguenze legali.


I "SINDACATI" DI POLIZIA

Costruire un movimento di resistenza alla violenza della polizia significa smascherare nella società e nel movimento operaio il ruolo reazionario dei "sindacati" di polizia. I sindacati dei poliziotti non solo inventano giustificazioni per gli assassini presenti nelle loro file, ma sostengono politiche razziste e reazionarie come l'incarcerazione di massa. Nei ranghi dei sindacati e delle organizzazioni di lavoro, i sindacati della polizia svolgono un ruolo reazionario, opponendosi a iniziative progressive.

Il Fraternal Order of Police e la Police Benevolent Association sono i maggiori sindacati di polizia. Anche i Teamsters, la American Federation of State, County, and Municipal Employees (AFSCME) e il Service Employees International Union rappresentano la polizia e la polizia penitenziaria.
Costruire solidarietà, all'interno del movimento operaio, con il movimento Black Lives Matter significa sfidare il ruolo dei sindacati di polizia ed esigere che le federazioni sindacali taglino i rapporti con queste organizzazioni reazionarie e antioperaie.

I marxisti rivoluzionari respingono l'idea che la polizia sia una parte legittima del movimento operaio. Se da un lato i poliziotti possono provenire da famiglie della classe operaia, d'altra parte essi in quanto poliziotti servono gli interessi di un ordine sociale capitalista razzista. È il ruolo che svolgono in quanto esecutori dello Stato e della struttura economica esistenti ciò che è il fattore decisivo.

Lev Trotsky, scrivendo negli anni '30 a proposito dei poliziotti, disse: «Il lavoratore che diventa un poliziotto al servizio dello stato capitalista è un poliziotto borghese, non un lavoratore. Negli ultimi anni, questi poliziotti hanno combattuto molto di più con i lavoratori rivoluzionari che con gli studenti nazisti. Un tale addestramento non manca di lasciare i suoi effetti. E soprattutto: ogni poliziotto sa che i governi cambiano, ma la polizia rimane».

I comunisti respingono le richieste di "più poliziotti" e di "legge e ordine", poiché queste politiche prendono sempre di mira le nazionalità oppresse e i lavoratori. Questo è il motivo per cui, ad esempio, ci siamo detti contrari alla richiesta del leader del Partito Laburista Jeremy Corbyn di aggiungere migliaia di altri poliziotti a quelli già attivi in Gran Bretagna dopo alcuni attacchi terroristici.

Dobbiamo continuare a mobilitarci per la giustizia contro la violenza della polizia, e a lavorare per denunciare i legami tra gruppi neofascisti e poliziotti. Il futuro dei vari movimenti dipende dalla nostra capacità di collegare queste lotte per la giustizia contro il sistema. Ciò significa ritenere responsabili i sicari del sistema vestiti di blu.

Poliziotti assassini in galera! Giustizia per George Floyd! Giustizia per Ahmaud Arbery! Giustizia per Breonna Taylor! Per il controllo della comunità nera da parte della comunità nera! Libertà per tutti gli arrestati! Per il ritiro di tutte le accuse!



da Socialist Resurgence


John Leslie