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Una storia che ci riguarda: assemblea-dibattito sabato 2 aprile

Volentieri diffondiamo:

Sabato 2 aprile alle ore 16 presso il Circolo Arci Guernelli, via Gandusio 6/a


*ASSEMBLEA – DIBATTITO*


Sul tema:
UNA STORIA CHE CI RIGUARDA: Francesco Ficiarà, operaio FIAT
licenziato.


*Sostegno e solidarietà per la reintegra di Francesco Ficiarà in FIAT, per
tutti gli operai che lottano*


Intervengono:

*Francesco Ficiarà – Operaio Saldatore FIAT Cnh Modena

*Francesco Doro – Operaio licenziato (Padova), Comitato centrale FIOM

*Giorgio Cremaschi -  Ex Presidente della FIOM

Il PCL e i referendum. I nostri sì. Il nostro no. La nostra proposta classista e anticapitalista.

Siamo alla vigilia di una intensa stagione referendaria.

Non idolatriamo il referendum. Non pensiamo possa sostituire la mobilitazione e la lotta di massa. Ma non siamo certo indifferenti alla natura concreta dei referendum e al loro esito. Per questo ci schieriamo senza riserve a sostegno dei referendum che abbiano un carattere progressivo e di contraddizione rispetto alle politiche e agli interessi dominanti. E' il caso dei referendum annunciati di questa primavera: sia del voto referendario che si terrà il 17 Aprile, sia dei referendum sociali e ambientali richiesti attraverso la raccolta firme che inizia ad Aprile.


IL NOSTRO SI AI REFERENDUM SOCIALI E AMBIENTALI

Ci schieriamo innanzitutto a favore del SI nel referendum del 17 Aprile, nel quadro della continuità della lotta contro “Lo Sblocca Italia” e contro gli interessi delle grandi multinazionali petrolifere e estrattive. Il governo punta apertamente al suo fallimento, a partire dalla data prescelta e dalla indicazione di astensione. Il suo terrore è una vittoria del SI come nel 2011 sull'acqua pubblica. E' una buona ragione per batterci come allora a favore del SI.
Ci schieriamo a sostegno della richiesta referendaria contro la cosiddetta “Buona Scuola”, in continuità con le ragioni della grande mobilitazione di un anno fa: contro i super poteri dei dirigenti scolastici, il potenziamento dei finanziamenti privati alla scuola, la subordinazione della scuola al mercato e al profitto d'impresa. Un anno fa il governo Renzi inciampò sulla scuola. Si tratta di procurargli un nuovo inciampo.
Ci schieriamo a sostegno della richiesta referendaria sui temi del lavoro in continuità con la lotta di milioni di lavoratori contro il governo Renzi: per il ripristino dell'articolo 18 , contro la liberalizzazione degli appalti, contro la super precarizzazione dei voucher, per i diritti generali del lavoro. Renzi ha fatto del cavalcamento dell'offensiva padronale contro il lavoro, a partire dalla Fiat, l'asse della propria politica. La richiesta referendaria si contrappone di fatto al cuore stesso del renzismo.
In conclusione: ci schieriamo a sostegno di tutti i referendum sociali e ambientali che abbiano una connessione, diretta o indiretta, con le ragioni della classe lavoratrice e con le domande progressive di democrazia.
Per questo su ognuno di questi terreni il PCL e le sue strutture di partito aderiscono, ai vari livelli, ai relativi comitati referendari, partecipano alla raccolta delle firme, si impegnano nelle forme possibili al successo dell'iniziativa referendaria: per il SI all'abrogazione delle leggi anti operaie, anti sindacali, anti ambientali.


IL NOSTRO NO ALLA RIFORMA ISTITUZIONALE DI RENZI

Parallelamente sosteniamo le ragioni dei referendum richiesti e previsti in materia istituzionale.
Si tratta della richiesta referendaria di abrogazione della nuova legge elettorale varata da Renzi ( Italicum) e del progetto di Riforma costituzionale Renzi/Boschi cui si collega: un progetto bonapartista che consegna ad una minima maggioranza relativa il pieno controllo del processo legislativo, del Parlamento e quindi dell'insieme delle cariche istituzionali. Un progetto che incarna il senso stesso del renzismo: la vocazione dell'uomo solo al comando come nuovo paradigma delle relazioni sociali ed istituzionali nei diversi ambiti della vita pubblica: nello Stato, nell'azienda, nella scuola. Renzi intende fare del referendum istituzionale annunciato per il prossimo ottobre il momento di legittimazione della propria politica di questi anni (Job Act, Buona Scuola, tagli alla Sanità e ai servizi) e, al tempo stesso, di incoronazione plebiscitaria del proprio potere al servizio di quella politica. Non è un caso se Confindustria, l'Associazione delle Banche Italiane ( ABI), tutte le organizzazioni e consorterie della borghesia italiana, appoggiano apertamente il progetto istituzionale di Renzi: vedono nel suo possibile successo una compiuta traduzione istituzionale del proprio dominio sociale. E perciò stesso un ulteriore strumento di rafforzamento dei propri interessi e dei piani di aggressione contro il lavoro. Per questa stessa ragione è interesse di tutti i lavoratori la vittoria del NO al progetto istituzionale di Renzi. In continuità con le ragioni dell'opposizione sociale alle sue politiche.
Il PCL ha dunque aderito nazionalmente al Comitato del No alla Riforma Boschi e sostiene la domanda di referendum per il SI all'abrogazione dell'Italicum. Contro ogni posizione di indifferenza, presente anche in alcuni ambienti della sinistra, verso questa battaglia democratica elementare.


PER IL RILANCIO DELLA MOBILITAZIONE DI MASSA E DI CLASSE

Il nostro impegno unitario sul fronte referendario si accompagna però ad una caratterizzazione autonoma di impostazione politica. Un'impostazione classista e apertamente anticapitalista.

Parliamoci chiaro. Le stesse direzioni politiche e sindacali della sinistra italiana che oggi promuovono i referendum hanno contribuito in modo decisivo a che si arrivasse alla scadenza referendaria nelle condizioni peggiori. Il movimento di lotta contro il Jobs Act dell'autunno 2014 è stato prima disarmato e poi condotto su un binario morto. La grande mobilitazione di massa contro la “Buona Scuola”della primavera del 2015 è stata privata della necessaria continuità e largamente dispersa. L'ultima Legge di Stabilità del governo, che colpisce frontalmente la sanità pubblica, è passata senza un'ora di sciopero dei principali sindacati. Da un anno la mobilitazione sociale è di fatto silenziata, a tutto vantaggio del renzismo, ma anche dei populismi reazionari concorrenti ( Salvini e Casaleggio). La stessa stagione referendaria è stata concepita come surrogato della lotta di massa . In queste condizioni anche il risultato dei referendum è a forte rischio. E una sconfitta referendaria, in particolare sui temi della riforma istituzionale e del lavoro, avrebbe a sua volta una ulteriore pesante ricaduta sullo scenario generale .

E' dunque necessario rilanciare la mobilitazione generale di massa, a partire dalla centralità del lavoro. Contro il blocco inaccettabile dei contratti pubblici da ormai sette anni. Contro la pretesa confindustriale di subordinare il rinnovo dei contratti a nuovi peggioramenti delle condizioni del lavoro e dei diritti. Per la ricomposizione di una piattaforma generale di svolta che possa unire milioni di lavoratori, di precari, di disoccupati in una lotta di massa risoluta. Tanto radicale quanto lo è l'attacco di padronato e governo. Non dimentichiamolo: in tutta la storia italiana le grandi vittorie democratiche, anche quelle referendarie, sono state la risultante della mobilitazione del movimento operaio. Pensiamo al divorzio e all'aborto. Senza movimento di lotta dei lavoratori, si va a sbattere anche sul piano della democrazia. Come dimostra la storia della “seconda Repubblica”.


PER UNA CAMPAGNA POLITICA CONTRO RENZI, SENZA AUTOCENSURE

La parola d'ordine della sconfitta e cacciata del governo Renzi va posta apertamente, senza autocensure e rimozioni.

La scelta del Comitato Nazionale del NO alla Riforma istituzionale di evitare la contrapposizione politica al governo Renzi e di confinare la campagna referendaria sul solo terreno giuridico costituzionale è una scelta potenzialmente suicida. Significa disarmare il carattere di massa della campagna. Subire passivamente la prevedibile campagna politica del renzismo ( “ vogliono impedire la modernizzazione dell'Italia a favore del caos, cancellando le mie magnifiche riforme...”). Favorire la capitalizzazione a destra dello stesso scontro referendario col governo, visto che nè Salvini nè M5S rimuoveranno certo le proprie ragioni politiche. La verità è che l'autocensura politica del Comitato del NO verso il renzismo serve solo a coprire l'imbarazzo della minoranza PD e la sua capitolazione a Renzi. Una resa che invece andrebbe chiamata e denunciata col suo proprio nome.

Il PCL non si subordina a questa scelta. La nostra campagna per il No alla riforma Boschi e per il SI alla cancellazione dell'Italicum è e sarà apertamente e dichiaratamente politica. E' parte della campagna di massa per la sconfitta politica del renzismo: il progetto politico più reazionario della storia repubblicana italiana. Per questo consideriamo grave che la CGIL, il principale sindacato dei lavoratori, continui a non pronunciarsi sul referendum istituzionale. Per questo chiediamo pubblicamente che tutte le organizzazioni del mondo del lavoro, a partire dalla CGIL, si pronuncino apertamente per il NO. Il NO alla riforma Boschi è il NO a Renzi: è il NO all'aggressione frontale ai lavoratori e ai sindacati. E' il NO alla distruzione della scuola pubblica e della sanità. Tutti i sindacati e le organizzazioni di massa che si sono pronunciati contro queste politiche hanno il dovere di pronunciarsi contro il governo che le ha realizzate e tanto più contro il suo incoronamento plebiscitario. Ogni ambiguità su questo terreno è inaccettabile.


PER UNA SOLUZIONE ANTICAPITALISTA, NON SOLO “DEMOCRATICA”

La nostra battaglia per la sconfitta del renzismo non muove solo da motivazioni costituzionali e democratiche. Muove da un progetto anticapitalista.

Certo, siamo a difesa di tutte le conquiste democratiche strappate dal movimento operaio contro ogni progetto reazionario teso a distruggerle. Per questa ragione abbiamo contrastato negli ultimi 20 anni la subordinazione delle sinistre italiane alla cosiddetta Seconda Repubblica. La subordinazione alla logica del maggioritario contro il principio elementare del proporzionale. La subordinazione alla governabilità del capitale contro il principio della rappresentanza del lavoro. Il renzismo è anche l'ultimo figlio di quella subordinazione disastrosa.

Ma non ci identifichiamo nella Costituzione del 1948. Non ne facciamo un feticcio. Non ne nascondiamo la natura storica borghese e compromissoria, a tutela della proprietà privata e del Concordato con la Chiesa. Ci battiamo per una Repubblica dei lavoratori, basata sulle loro strutture democratiche di massa, sulla loro organizzazione, sulla loro forza. Perchè solo una Repubblica dei lavoratori può realizzare l'autentica democrazia: rovesciando l'attuale dittatura di industriali, banchieri, Vaticano; e dando alla maggioranza della società il potere di decidere del proprio futuro. Portare questa prospettiva in ogni lotta è la ragione del Partito Comunista dei Lavoratori. Anche sul terreno di una battaglia referendaria.
Partito Comunista dei Lavoratori

No ad un nuova impresa di Libia

Rullano i tamburi di una nuova impresa di Libia.

Il governo Renzi reclama la guida della missione internazionale.

L'Italia si appresta a tornare nella sua vecchia colonia, dove già inaugurò campi di concentramento e gas asfissianti contro la resistenza berbera al prezzo di 100.000 morti.

Dicono che l'obiettivo centrale dell'intervento è sconfiggere ISIS.

Mentono. L'obiettivo vero è la spartizione della Libia. È il controllo dei suoi giacimenti petroliferi. Dentro una lotta spietata tra Francia e Italia, fra Total ed Eni.

Il capitalismo francese ha giocato di anticipo mandando truppe a Bengasi a sostegno del generale Haftar, per mettere le mani sui giacimenti petroliferi della Cirenaica. Tutta la stampa italiana chiede a Renzi di intervenire per non farsi scavalcare dai francesi e difendere gli interessi dell'Eni. Renzi teme di perdere voti infilandosi in una avventura. Ma non vuole perdere la faccia agli occhi di quel grande capitale tricolore che si è candidato a rappresentare in Italia e nel mondo. Per questo si è assicurato, per decreto (10 Febbraio), il controllo diretto delle truppe speciali tramite i servizi segreti: un decreto che assegna loro, testualmente, “licenza di uccidere e impunità per i reati”.

Il governo Renzi taglia i fondi della sanità, minaccia le pensioni di reversibilità, abbatte i trasferimenti pubblici ai comuni e ai servizi, regala ai padroni continui tagli di tasse. Ma trova i soldi per prolungare la missione militare in Afghanistan, per mandare altri 500 soldati in Iraq, e ora per “la licenza di uccidere” in Libia. La chiamano “guerra al terrorismo”. Ma dopo 20 anni di cosiddette “guerre al terrorismo”, proprio il peggiore terrorismo fondamentalista conosce uno spaventoso sviluppo, con gravi conseguenze sulla sicurezza stessa di persone innocenti nelle città europee. “Le loro guerre, i nostri morti”, questo il bilancio. Mentre la fuga disperata dalle guerre di enormi masse umane viene respinta in Europa da muri, ruspe, fili spinati, e da un'ondata di odiosa xenofobia, al prezzo di nuove morti e nuove sofferenze. In una spirale senza fine.

È ora di dire basta alla guerra, alle guerre del capitalismo, alle guerre per i profitti di pochi pagate da tutti. Non un uomo, non un soldo, per la nuova impresa di Libia!

Solo la liberazione della società dal capitalismo e dall'imperialismo può dare una vera pace all'umanità. Solo una rivoluzione socialista può porre fine alle guerre.

Per questo lotta il Partito Comunista dei Lavoratori (PCL). L'unico partito della sinistra italiana che non ha mai appoggiato missioni militari.

Partito Comunista dei Lavoratori

12 marzo: Il PCL aderisce alle manifestazioni contro la guerra e promuove la mobilitazione

Il PCL aderisce e partecipa alle manifestazioni contro la guerra promosse per il 12 marzo, in continuità con le iniziative del 16 gennaio.
Abbiamo lavorato sull'appello, chiedendo e ottenendo la rimozione di ogni passaggio che potesse sottintendere, fosse pure implicitamente, una posizione di tipo “campista” (di sostegno alla Russia di Putin, all'Iran e ad Assad). Perché una simile posizione avrebbe subordinato il movimento contro la guerra ad uno schieramento di potenze in guerra. Laddove è per noi fondamentale che il movimento contro la guerra si ponga in contrapposizione a tutti gli interessi imperialisti e a tutte le politiche di potenza, anche tra loro confliggenti, assumendo come unico riferimento le ragioni sociali e democratiche dei lavoratori e delle masse oppresse di ogni paese.
L'impostazione ottenuta ha favorito l'allargamento del fronte promotore a soggetti che non avevano partecipato alle manifestazioni del 16 gennaio (come Sinistra Anticapitalista). Un allargamento unitario che consideriamo positivo.
L'appello presenta ugualmente genericismi, e alcuni richiami da cui dissentiamo: come il riferimento ad un'Italia “neutrale” quale fattore di “pace”. L'Italia è un paese imperialista, tra paesi e potenze imperialiste. Nessun imperialismo può essere fattore di pace, quale che sia la sua collocazione diplomatica, perché si fonda sull'oppressione diretta o indiretta di altri popoli. Solo il rovesciamento dell'imperialismo, e dunque del capitalismo su cui si fonda, può liberare uno scenario di vera pace. Che è inseparabile dall'emancipazione e liberazione da ogni oppressione.
Tuttavia, il limite pacifista dell'appello non cancella la sua valenza positiva e progressiva. Tanto più a fronte dei possibili preparativi di guerra in Libia, e della tragica continuità della macelleria siriana.

Poniamo semmai l'esigenza di allargare il fronte della mobilitazione contro la guerra, fuori da ogni logica minoritaria, per trasformarlo in un fattore politico capace di incidere sullo scenario italiano. Per questo abbiamo proposto e proponiamo la ricerca attiva di una convergenza unitaria nella mobilitazione anche con forze e associazioni dell'"integralismo pacifista" (Zanotelli), così come con forze del movimento operaio e della sinistra, politica e sindacale. Per questo proponiamo comitati unitari contro la guerra che, nel rispetto delle diversità di posizioni e del loro confronto, siano capaci di aggregare in ogni territorio il fronte di mobilitazione più vasto.
In ogni mobilitazione il PCL porterà il profilo complessivo della propria proposta indipendente: classista, internazionalista, socialista.




Di seguito, il testo dell'appello per il 12 marzo

Mobilitiamoci il 12 marzo in tutto il paese

Il nostro paese è in guerra. Questo è il primo fatto chiaro che va denunciato e su cui vogliamo chiamare alla mobilitazione per rompere il muro di bugie della propaganda del circo mediatico di regime.
Siamo in guerra, assieme alla NATO e a tutto il cosiddetto Occidente, da 25 anni. Nonostante i milioni di morti, le devastazioni e le migrazioni bibliche provocate da questi interventi, il nostro come gli altri governi progettano e organizzano nuove imprese militari. Queste nuove imprese sono però inserite in un quadro diverso, nella Grande Crisi che attraversa il mondo da quasi dieci anni, nelle crescenti frizioni che questa crisi sta determinando tra poli e blocchi mondiali. Non sono più semplicemente guerre neocoloniali di espansione e stabilizzazione, ma si stanno trasformando in guerre di egemonia e sopravvivenza. In questo contesto, in questa competizione tra potenze, si determinano le guerre per procura successive alle primavere arabe: il massacro siriano, l’espansione dell’IS, la frammentazione della Libia, con i suoi fronti confusi e sempre in cambiamento.
La loro guerra, come dimostrano i fatti di Parigi, torna anche nelle nostre città, nella nostre strade, nei nostri luoghi di ritrovo. Le loro guerre non solo producono miseria, morte e sconvolgimenti sociali che sono la causa dell’esodo migratorio, ma stanno rendendo l’Europa e il nostro paese una caserma autoritaria, dove gli spazi di libertà e di agibilità democratica vengono drasticamente ridotti. La Francia ha costituzionalizzato uno stato d’emergenza che colpisce libertà fondamentali, nate in quel paese. Paese ove ora per legge si toglie la cittadinanza a chi è accusato di terrorismo e ha origini etniche e religione diverse da quelle dei cittadini “puri”. Torna in Europa così il razzismo di stato, mentre in Danimarca per legge si rapinano i profughi scesi dai barconi e la Svezia si prepara ad espellere, cioè a deportare verso fame e morte, 80000 migranti.
L’Unione Europea in guerra produce orrore e lo usa per giustificare sia la distruzione della democrazia sia le politiche di austerità. Si possono sforare i criminali vincoli del fiscal compact per comprare armi, ma non per costruire ospedali o scuole. UE e NATO, austerità e guerra sono oramai la stessa cosa.
Noi esprimiamo solidarietà e sostegno a tutti i popoli oppressi in lotta, a partire da quello curdo e palestinese, ma rifiutiamo la guerra e il coinvolgimento del nostro paese in essa.
Invece la decisione del governo Renzi di preparare e prima o poi fare la guerra in Libia ci espone a tutti i rischi terribili che abbiamo visto realizzarsi in altri paesi. Sempre più pesanti e costose sono le nostre missioni militari all’estero, da ultima quella di 1000 militari in Iraq, anche a protezione di affari privati. Intanto il nostro territorio viene militarizzato e avvelenato dagli strumenti di guerra. Si installano nuove terribili bombe termonucleari, si installano radar nocivi, si inquinano intere aree, si organizzano esercitazioni che mettono in prima linea intere città. Si comprano bombardieri e altre armi di distruzioni di massa mentre le si commercia in tutto il mondo.
Tutto il nostro paese è sempre più coinvolto nei danni, nei costi e nei nuovi crescenti rischi della guerra. Per questo bisogna mobilitarsi prima che si troppo tardi, per fermare la guerra e le politiche di distruzione della democrazia e dei diritti sociali che l’accompagnano. Bisogna farlo con tutta la forza e la determinazione possibili nel caso in cui l’Italia fosse per la quinta volta nella sua storia trascinata in una sciagurata guerra in Libia. Ma in ogni caso bisogna costruire una resistenza che risponda all’assuefazione alla guerra che ci stanno somministrando.
È necessaria una mobilitazione diffusa e permanente contro la guerra esterna e contro la guerra sociale interna che banche, multinazionali, interessi industrial militari vogliono imporci. Bisogna che l’Italia esca dalla NATO, alleanza che oggi non ha più alcuna giustificazione politica e morale.


Manifestiamo per :
- La fine immediata di ogni partecipazione italiana alle guerre in corso, con il ritiro delle truppe da esse e il ripristino dell’articolo 11 della Costituzione.
- Lo smantellamento delle basi e delle servitù militari, il rispetto del trattato di non proliferazione nucleare, la fine del commercio delle armi.
- L’uscita dell’Italia dalla Nato e da ogni alleanza di guerra. L’Italia deve diventare un paese neutrale per contribuire alla pace.
- La fine delle politiche persecutorie e xenofobe contro i migranti.
- La fine delle politiche di austerità e del sistema di potere UE che le impone.
- La cancellazione delle leggi sicuritarie che in tutta Europa nel nome della guerra al terrorismo stanno costruendo uno stato di polizia.
IL 12 MARZO IN TUTTA ITALIA MANIFESTIAMO CONTRO LA GUERRA DI FRONTE ALLE BASI E ALLE SEDI DELLA GUERRA


COORDINAMENTO CONTRO LA GUERRA, LE LEGGI DI GUERRA, LA NATO

PROMOTORI:
Aldo Silvano Giai, Nicoletta Dosio, Fulvio Perini, Alberto Perino, Bianca Riva, Cellerina Cometto, Mira Mondo, Eugenio Cantore, Eleonora Cane, Claudio Cancelli, Valentina Cancelli, Domenico Bruno, Franco Olivero Fugera, Italo Di Sabato, Valentina Colletta, Emanuele D’Amico, Danilo Ruggieri, Manuela Palermi, Ernesto Screpanti, Nella Ginatempo, Fabio Frati, Fabrizio Tomaselli, Stefano Zai, Giorgio Cremaschi, Gianpietro Simonetto, Emiddia Papi, Mauro Casadio, Aldo Romaro, Paola Palmieri, Francesco Olivo, Michele Franco, Sergio Cararo, luigi Marinelli, Franco Russo, Ugo Boghetta, Sandro Targetti, Bruno Steri, Leonardo Mazzei, Francesco Piccioni, Marco Santopadre, Selena Difrancescoantonio, Marco Tangocci, Giovanni Bacciardi, Vasapollo Luciano, Valter Lorenzi, Antonio Allegra, Dino Greco, Beppe Corioni, Moreno Pasquinelli, Guido Lutrario, Loretta Napoleoni, Gualtiero Alunni, Anastasi Dafne, Nico Vox, Carlo Formenti, Dario Filippini, Antonella Stirati, Maria Pia Zanni, Lorenzo Giustolisi, Sabino Derazza, Enzo Miccoli, Loredana Signorile, Mara Manzari, Roberto Vallocchia, Monica Natali, Luca Massimo Climati, Laura Scappaticci, Patrick Boylan, Sergio Bellavita, Ezio Gallori
Movimento NO TAV, Piattaforma Sociale Eurostop, Unione sindacale di Base, Centro Sociale 28 Maggio Brescia, Ross@, Campagna Noi Restiamo, Fronte Popolare, Noi Saremo Tutto, City Strike Genova NST, Collettivo Putilov Firenze, Rete NoWar, Economia per i Cittadini, Contropiano, Partito Comunista d’Italia, Rifondazione comunista Molfetta, Programma 101, Rete dei Comunisti, Associazione per la ricostruzione del Partito Comunista, Partito della Rifondazione Comunista, Partito Comunista dei Lavoratori, NO MUOS Milano, Comitato Difesa Sociale Cesena, Circolo agorà di Pisa, Comitato NO GUERRA NO NATO Brescia, Area Opposizione Cgil, Sinistra Anticapitalista, Carc


A Bologna:

Corteo regionale con concentramento alle ore 15 in Piazza S.Francesco

USB e Movimento 5 Stelle: una relazione equivoca

Il quotidiano La Stampa di sabato 5 marzo ha dedicato un lungo articolo alle relazioni particolari tra USB e M5S nella città di Roma, sino ad affermare l'esistenza di un negoziato in corso tra M5S e USB in vista delle prossime elezioni comunali, gestito in particolare da Roberta Lombardi, attorno allo scambio tra voto organizzato al M5S da parte di USB e concessione di un assessorato (al bilancio) per Luciano Vasapollo (direttore del Centro Studi Cestes e dirigente della Rete dei Comunisti).
USB ha smentito la “notizia” (il M5S non ci risulta). Naturalmente prendiamo atto. Ma il punto non è seguire il dettaglio di un'indiscrezione, probabilmente approssimativa e “scandalistica”, quanto capire se esiste o meno un retroterra politico sostanziale che possa averla alimentata. Purtroppo quel retroterra esiste. E non c'è bisogno di guardare dal buco della serratura.
Le manifestazioni sindacali di USB a Roma contro la giunta Marino (sacrosante) hanno ospitato in grande pompa il M5S, fornendogli uno spazio pubblico privilegiato ed ostentato. E non si tratta solo di Roma. In tutta Italia si sono moltiplicati i rapporti pubblici tra USB e M5S, documentati da assemblee, video, filmati, atti istituzionali di vario livello. Numerose iniziative territoriali di USB ospitano regolarmente parlamentari o consiglieri locali del M5S, valorizzandoli come interlocutori privilegiati del sindacato. I parlamentari pentastellati ricambiano l'attenzione (elettoralmente utile) con qualche interrogazione parlamentare (che non costa nulla). In qualche caso (Bologna) si è giunti ad assemblee pubbliche congiunte col M5S sul tema della casa (...quando il M5S cittadino aveva votato in consiglio comunale con Forza Italia lo sgombero poliziesco delle case occupate).
Non si tratta solo, peraltro, di una attenzione strettamente sindacale. La Rete dei Comunisti ha accompagnato con la propria presenza diretta iniziative parlamentari del M5S sul terreno della politica estera, in particolare in occasione delle pose “bolivariane” di Di Battista.
Si dirà: che male c'è? Non a caso il comunicato di smentita di USB rivendica il diritto del sindacato ad «interloquire con tutti», «in particolare con chi mostra interesse per ciò che afferma», al fine di «difendere al meglio i lavoratori». Ecco, questo è il punto. Il M5S è contro il movimento dei lavoratori.

Il M5S è contro il lavoro: tutta la cultura pentastellata del reddito di cittadinanza parte dal presupposto che “il lavoro non c'è più, non ci sarà più, non vale la pena difenderlo”, e per questo occorre un sussidio sostitutivo di cittadinanza (inferiore oltretutto all'importo dell'attuale cassa integrazione). Non a caso il M5S ha rivendicato la chiusura delle acciaierie di Piombino, come oggi rivendica la chiusura dell'Ilva, in contrapposizione frontale con la lotta dei lavoratori e con ogni progetto che miri a difendere insieme lavoro e salute.

Il M5S è contro i lavoratori pubblici in particolare: siccome occorre liberare risorse da destinare alla piccola-media impresa (referente sociale centrale del M5S come di tanti movimenti reazionari), siccome occorre abolire l'Irap (come M5S rivendica dal 2013, alla coda dei settori più oltranzisti della destra), le risorse vanno prese dalla «zavorra parassitaria del pubblico impiego», come tante volte il M5S ha denunciato. È un caso che proprio Roberta Lombardi a Roma abbia annunciato una terapia d'urto contro i dipendenti comunali della città in caso di vittoria elettorale a 5 Stelle, con «inevitabili scioperi e disordini»? La collaborazione istituzionale preventiva di Lombardi col prefetto Tronca a Roma è di per sé inquietante.

Il M5S è contro il sindacato in quanto tale: se il lavoro non c'è più e non vale la pena difenderlo, che ragione ha di esistere un sindacato? Non a caso Grillo ha denunciato il sindacato in quanto tale come «residuo dell'Ottocento» da eliminare (in un comizio a Reggio Calabria, nel 2013); Casaleggio annuncia (nel suo ultimo libro) un futuro in cui «il sindacato non ci sarà più»; Di Maio ripete a ruota, da buon discepolo, il verbo dei Padri. Del resto, in una Repubblica plebiscitaria via web, controllata dalla “nuova democrazia” della rete, che ruolo possono avere rappresentanze collettive della classe lavoratrice? “Uno vale uno” è la cultura dell'atomizzazione individuale, risvolto naturale del potere plebiscitario.

Un sindacato dei lavoratori, a maggior ragione un sindacato che rivendica la propria coerenza sindacale, avrebbe il dovere di denunciare tutto questo. Di chiarire la vera natura del populismo grillino come variante del populismo reazionario, non a caso alleato di Farage in Europa, non a caso ostile agli immigrati, non a caso ambiguo e tartufesco sullo stesso terreno dei diritti civili, come abbiamo visto recentemente in occasione della legge Cirinnà.
A maggior ragione questa chiarificazione controcorrente sarebbe importante oggi, a fronte dell'enorme spazio che il populismo reazionario ha conquistato anche tra i lavoratori, grazie alle capitolazioni delle sinistre politiche e sindacali alle politiche di austerità dentro la crisi capitalistica.
Se invece si copre attivamente la natura del M5S, se addirittura lo si ricerca come propria sponda politica privilegiata, si fa davvero un pessimo servizio. Alla verità. Ai lavoratori. Al proprio sindacato. Sia che si ottenga in cambio la promessa di uno strapuntino istituzionale nella giunta di Roma (improbabile), sia che lo si faccia per esibire una interlocuzione politica “importante” purchessia, nella logica semplice, e antica, di un accreditamento istituzionale.
Partito Comunista dei Lavoratori