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Presidenziali francesi 2017: un' altra prova della fase di crisi acuta del capitalismo

Nessuna aspettativa per i lavoratori se non nelle lotte!


Il contesto è chiaro a livello internazionale e, a maggior ragione in Francia: la borghesia è in una fase di crisi acuta dalla quale non uscirà facilmente. Da qui il senso dell'offensiva capitalista attuale, ovvero infliggere un attacco senza precedenti recenti alla classe operaia.
E ciò porta direttamente a dei fenomeni di regressione politica e sociale delle forze borghesi: nel quadro di una crisi persistente, la sinistra riformista tradizionale al governo dopo aver illuso la classe operaia si fa espressione, spesso incarnazione, dell'offensiva reazionaria capitalista e favorisce la proliferazione di forze di estrema destra, xenofobe e populiste. Le forze riformiste borghesi, che nel periodo 2008- 2012 avevano cavalcato l' illusione delle masse con promesse di riforma sociale e di rinnovo del welfare, hanno quindi messo da parte per un momento la destra storica, ma hanno presto prodotto il presente risultato suicidandosi politicamente e hanno chiaramente tradito e peggiorato la condizione della classe lavoratrice, dei giovani,i quali vivono la maggior parte della loro esistenza lavorativa e educativa in un panorama stagnante, dove la crisi é una costante che cancella un futuro e ferma il presente.
La base da cui partire, quindi, parlando delle elezioni presidenziali francesi in questo quadro é che la classe lavoratrice non può riporvi alcuna aspettativa, che non sia quella nelle lotte, unica vera via per imporre rivendicazioni in grado di incidere.

Si tratta inoltre di elezioni presidenziali che si collocano in uno scenario potenzialmente molto sfavorevole alle forze riformiste e reazionarie presenti, in quanto il prodotto della scorsa della primavera, ovvero il movimento contro la Loi Travail et son monde, è più che presente e sfida il clima di calma sociale che si vuole imporre dall'alto.

A partire dai giovani- La regola della precarietà verso l' uberizzazione.

In Francia, la disoccupazione giovanile è al 25%, anche al 40% in alcune zone. I giovani sono fra i primi rappresentanti della precarietà diffusa, in quanto anche il possesso di un diploma non costituisce una garanzia di un futuro impiego. In più, anche decidendo di proseguire gli studi, una larga percentuale di studenti francesi, il 40%, é obbligata a lavorare- cosiddetti jobs étudiants (spesso iper ricattati sotto foodora, deliveroo, etc)- in contemporanea con l' università, per appunto potersela finanziare. Università nelle quali le condizioni di lavoro si degradano sempre di più, governo dopo governo.
Non a caso, Hollande nella campagna 2012 avevo fatto dei giovani e dell' istruzione un caposaldo del proprio programma e, infatti, non si é risparmiato in quanto a relative riforme. A partire dalle università appunto, dove ha fatto votare una legge Loi Fioraso che prevede la fusione di varie facoltà in ottica di riduzione dei costi di gestione e servizio, implicando una riduzione dei posti di lavoro, soppressione di corsi di laurea, un aumento di studenti nelle classi e dunque una degradazione generale delle condizioni di studio, ma anche di lavoro per dipendenti e insegnanti. Una legge che inoltre prevede una strutturazione dei percorsi formativi in funzione dei bisogni delle imprese locali. Ma l'azione di riforma del governo sul fronte scuole e università non si ferma a questo, ma anzi ha continuato il disegno filo-padronale di un' università modellata sulle necessità economiche delle grandi industrie del paese grazie a una legge, approvata a fine 2016, introduttiva del numero chiuso nei masters, cioé una selezione classista che favorirà soltanto gli studenti più abbienti che potranno riorientarsi, mentre invece chi non se lo potrà permettere sarà costretto ad abbandonare gli studi.
Quindi, un' altra prova del fatto che, per innalzare i profitti in tempo di crisi, i primi ad essere attaccati sono i diritti dei giovani, studenti e lavoratori. Contro questa offensiva all' indirizzo dell' insegnamento superiore, si stanno costruendo mobilitazioni nel paese: a Tolosa e in varie università a Parigi (Paris 3 e Paris 7 es.), dove attraverso assemblee generali si dà corpo ad una risposta per rivendicare delle condizioni di studio e di vita degne.

Premessa e bilanci.

E' necessario quindi fare un breve bilancio di quello che è stato il quinquennato di Hollande, in particolare questi ultimi due anni.
L' introduzione dello stato d' emergenza ha costituito un gravissimo attacco alle libertà e i diritti fondamentali: fin dall'inizio infatti, chiaramente, i destinatari effettivi sono stati i lavoratori. Già dall'autunno prima degli attentati a Parigi, si registravano un certo numero di scioperi economici e politici sparsi per il paese. Accanto alla crescita delle mobilitazioni diffuse si é infatti prodotta una gravissima censura ed è stato messo in moto un potentissimo meccanismo di repressione delle lotte, con divieti di manifestare, divieti di assembramento, rappresaglie sui luoghi di lavoro, strapotere alle forze dell'ordine e una profonda lesione alla dignità personale dei lavoratori e studenti nelle piazze: manifestazioni semi autorizzate e ingabbiate( ovvero con un dispiegamento immane delle forze dell'ordine a circondare e chiudere i percorsi), perquisizioni all'entrata e all'uscita dei cortei, persona per persona, con palpeggiamenti e percosse.
E' utile poi precisare la portata antioperaia di questo provvedimento, creato appositamente e applicato tre volte dalla Francia gaullista per far fronte ai moti indipendentisti algerini (FLN) durante la guerra d' Algeria (1954-1962). Applicato altre volte oltre mare negli anni ottanta e, più recentemente, nel 2005 in banlieue a Parigi per far fronte alle proteste che scoppiarono a seguito della orribile morte di due ragazzi, in fuga dalla polizia. Dal 15 novembre 2015 é stato ormai prolungato per 5 volte.
Alla questione dello stato di emergenza si collega anche la situazione relativa allo stato delle forze dell'ordine, essendo che il Ministro dell' Interno vede i suoi poteri raddoppiati: in questo quadro si inserisce infatti il nuovo procedimento di riforma della pubblica sicurezza, ovvero un ampliamento dell'uso delle armi da parte della polizia, aumento dei controlli di identità e delle perquisizioni, alleggerimento dei parametri di legittima difesa (ovvero la possibilità di sparare, se l' interpellato non ottempera all' ordine di fermarsi per due volte di seguito) e l' innalzamento delle pene per reati d' oltraggio, violenza contro pubblico ufficiale e simili.
Un ''libera tutti'' delle forze dell' ordine per continuare a spadroneggiare nei quartieri popolari (da ultimo, lo stupro di Thèo a Aulnay- sur- Bois) e reprimere le lotte: in Francia attualmente sono circa 2000 i processi a carico di militanti sindacali e attivisti politici di estrema sinistra, scattati nel corso del movimento contro la Loi Travail.
Emblematico il caso Goodyear (otto ex- dipendenti sindacalisti CGT per i quali sono stati disposti nove mesi di prigione per aver voluto difendere il proprio impiego contro la chiusura dello stabilimento nel 2014). Un altro esempio é quello di uno studente dell'Università di Paris X Nanterre: da semplice accusato, si trova ormai da 10 mesi in detenzione provvisoria in attesa di un processo non ancora fissato (l' arresto preventivo in Francia, attualmente, può prolungarsi fino a tre anni). O quello della repressione che subiscono i liceali, soprattutto dei quartieri: l' ultimo caso la serie di proteste organizzate in Justice pour Théo, dove la polizia arrivata in gran forze, carica, ferma vari studenti, la maggior parte dei quali minorenni, con rischio denuncia, notte in commissariato con percosse e, solitamente, comparizione immediata come a Levallois (banlieue di Parigi).

Tutto per reprimere la protesta organizzata contro i provvedimenti filo-padronali che hanno caratterizzato l' operato di Hollande e quindi del Partito Socialista alla guida del paese: ovvero la Loi Hamon( via libera a concorrenza fra imprese e deregolamentazione), il Credito di Imposta per la competitività e l' impiego CICE( che offriva 20 miliardi di euro alle grandi imprese, quando il salario minimo SMIC é stato aumentato di 9 centesimi in gennaio 2016), l' Accordo Nazionale Interprofessionale ANI e la Loi Macron che hanno preparato il terreno per quella che è stata la Loi Travail, approvata con il 49.3, cioè con la fiducia, l' 8 agosto 2016.
Da ultimo recentemente vi è stata l' approvazione di una misura di legge volta a depenalizzare una serie di reati come l' abuso di ufficio e vari in ambito corruzione/ estorsione, proprio in seguito agli ''scandali'' che hanno colpito la maggioranza dei candidati, ovvero Fillon, Le Pen e Macron.

Avanguardia di lotta.

E, in tutto ciò, la Loi Travail inizia ad essere applicata, mentre in contemporanea riprendono gli scioperi non solamente economici, come le giornate nazionali del 6 e del 7 marzo dove le Poste, la Sanità e i Centri per l' impiego sono massivamente scesi in piazza contro privatizzazioni, soppressione posti, chiusura uffici, riduzione mezzi, orario e salari.
Attorno a questa grande giornata di mobilitazione, che ha visto anche una partecipazione studentesca contro la selezione in master e le fusioni, si produce un' ulteriore dimostrazione di come la scorsa primavera abbia generato un livello di coscienza tale da essere difficile da sedare e mettere a tacere.
Proprio dalle facoltà è partita, in larga parte, la protesta il 9 marzo e, a livello sindacale, i militanti si sono distinti dai vertici ancorati all'idea di un dialogo sociale possibile, costruendo reti tali radicalizzare tanti giovani lavoratori e intere categorie (esplosione della rabbia dei portuali di Le Havre e il blocco delle raffinerie).
Attualmente in Francia la stampa registra una media di 176 conflitti al giorno, ad esempio solo contando la settimana che va dal 6 febbraio al 10 febbraio 2017 (245, 150 e 115 le tre settimane precedenti). Le due settimane precedenti dunque, con 245 e 150 conflitti al giorno, registravano delle giornate nazionali di mobilitazione che quindi aumentavano le cifre, mentre nell'ultimo periodo in questione le 176 vertenze in corso si sono svolte in assenza di appelli nazionali. Si tratta di un record senza precedenti recenti.
Si ha una progressione regolare e questa si può tradurre anche in un' esplosione sociale generalizzata. Con tale aumento di mobilitazioni, cresce lo scarto tra la rappresentazione politica o elettorale e le preoccupazioni, i bisogni della classe, poiché questa collera sociale non si collega a nessuno dei candidati borghesi. La rabbia popolare potrebbe rapidamente cercare e trovare un' espressione pubblica. Le manifestazioni in seguito allo stupro di Théo perpetrato dalla polizia, avvenuto giovedì 2 febbraio 2017, annunciano una delle prime riprese sul piano dell'inversione dei rapporti di forza.
Il livello medio della conflittualità sociale ha avuto certamente un nuovo picco con le giornate di sciopero del 6, 7 e 8 marzo 2017.
Bisogna puntualizzare che l' anno passato era in un' atmosfera simile, ma di intensità minore a fine gennaio/ inizio febbraio- in particolare fine febbraio/ inizio marzo( dove il numero medio di vertenze era di 130 al giorno), che é nato il movimento generale contro la Loi Travail il 9 marzo 2016.
E' nel settore dell'educazione nazionale, seguito da quello della sanità, che si conta il maggior numero di scioperi. La lotta degli Atsem, educatori della scuola d' infanzia, contro la soppressione di classi e il calo di ore, certamente ha contribuito al rilancio attuale.
Ben evidenziata la forza motrice di alcuni settori d' avanguardia, quest'anno ci sono tutte le condizioni affinché la quantità di vertenze si diffonda, generalizzando lo scontro.
Il settore della sanità pubblica riporta, a partire dalle prime due settimane di febbraio, almeno 84 stabilimenti in protesta.
Ovvero una quantità maggiore rispetto al mese di dicembre 2016 (78) e più della metà dell'insieme di quelli verificatisi nel mese di gennaio 2017 (144) nella medesima categoria.
Nel complesso, è soprattutto la funzione pubblica che è in lotta, senza contare poi i lavoratori intermittenti, i disoccupati e i precari contro la riforma dei sussidi di disoccupazione o i ferrovieri contro la riforma di privatizzazione delle ferrovie.

Dal movimento contro la Loi Travail, catalizzatore di molteplici scioperi economici e conflitti sociali in più settori, è stato rimesso quindi in primo piano il ruolo decisivo della classe operaia (da rimarcare che la congiunzione dello sciopero nelle raffinerie, fra i portuali e fra i ferrovieri ha fatto tremare la classe dirigente), e questo é il risultato: una coscienza diffusa che, malgrado il mancato appello passato al ''tutti insieme'' e allo sciopero generale, continua a farsi sentire, nella riproposizione di quelle stesse parole d' ordine.
L' auto-organizzazione dei lavoratori e degli studenti è tale, anche se in costruzione, da non poter essere messa a tacere facilmente dal processo elettorale della borghesia e dalle sue frange repressive.

Avanguardia larga- Basta con la filosofia del ''male minore'', vogliamo tutto!

Il leitmotiv della ''sinistra riformista per scacciare la destra, del meno peggio'' è più che mai anacronistico, soprattutto nel contesto francese attuale dove i padroni che giustificano licenziamenti, delocalizzazioni, smantellamenti di intere produzioni in nome del calo di profitti e bilanci negativi, in realtà già godono dei benefici che la Loi Travail ha dato loro. Dicono ai lavoratori, agli studenti che c'è tanta crisi, che bisogna accontentarsi di un lavoro misero, sottopagato e da sfruttati...Ma quante imprese sono realmente fallite, quante azioni perse? No, perché, il padronato francese, dicono i dati, é in buonissima salute: solo nell' ultimo trimestre del 2016 i dividendi versati agli azionari sono aumentati dell'11,2%, cioé di 35 miliardi di euro. Il 2016, nel complesso, ha visto gli azionisti( tra cui BNP Paribas esperta nel commercio di armi in Medio Oriente) del CAC 40- principale indice borsistico francese, ed uno dei più importanti del sistema Euronext, spartirsi ben 75 miliardi di euro di dividendi. Contemporaneamente il governo Hollande ha dato 22 miliardi ai padroni a titolo di credito di imposta per accrescere la competività sul mercato. Ma tutto ciò, presentato come una misura per favorire le assunzioni, ha avuto l' effetto opposto, ovvero il proseguimento dell'ondata di licenziamenti.
Un esempio su tutti, il caso dell'accordo di competitività Renault firmato da confederali il 31 dicembre 2016 (aumento ore di lavoro, straordinario non a parità di salario, aumento della produzione e quasi 7 000 licenziamenti, etc.) o di quello della PSA di luglio 2016, sempre sulla stessa linea: ovvero quando il dialogo sociale é un altro aspetto dell'attuale offensiva senza precedenti contro le condizioni di lavoro ora in Francia.

E' dunque a partire da tutto ciò, che da queste elezioni la classe operaia, a maggior ragione, non otterrà niente, come non dovrà fidarsi dei proclami anti- sistema e ''rinnovatori'' provenienti dai candidati borghesi.
Innanzitutto da destra, dove Macron e Fillon rivaleggiano fra loro per chi debba offrire al padronato i lavoratori più ricattabili e a buon mercato, per accattivarsi i più ricchi e accrescere i ranghi dei più poveri.
Per esempio Fillon, che spiega ai lavoratori l' ineluttabilità dei sacrifici in tempo di crisi: infatti, per farvi fronte, aveva impiegato fittiziamente per anni moglie e figli in Parlamento per una somma come un milione di euro! Ma questa é stata la scelta dei Republicains LR, nel tentativo di restituire un' immagine di rigore e stabilità in salsa ultra- cattolica (antiabortista e omofoba) e reazionaria. Nonostante il processo intentato a suo carico, le smentite e i tentativi di sottrarsi alla giustizia non mancano, complice l' omertà di un' intera classe dirigente; contrariamente a quello che succede dal lato dei lavoratori e degli studenti, il lato dei fermi per aver lanciato una pietra, degli arresti preventivi e del carcere per avere difeso il proprio posto di lavoro. Si ha dunque ragione di credere che disporre dei fondi pubblici per arricchirsi sia la routine, anche se a farlo é l' ex primo ministro del governo Sarkozy (2007- 2012) che non si vuole dimettere come, al contrario, hanno già iniziato a fare molti del suo staff.
Tutto ciò nel seguente quadro di un programma che prevede fra le tante misure antioperaie: un taglio di 100 miliardi alla spesa pubblica (pari all'8% del totale) in cinque anni; cinquanta miliardi di riduzione della pressione fiscale diretta (40 per le imprese e 10 per le famiglie); aumento del 2% dell'Iva (circa 16 miliardi) per non diminuire gli oneri contributivi a carico delle aziende; cancellazione dell' imposta patrimoniale (5,5 miliardi) per non fare fuggire i ''ricchi''; abolizione della durata legale dell'orario di lavoro settimanale (cancellazione, cioè, delle 35 ore) lasciando alle singole aziende la possibilità di stabilire gli orari in sede di concertazione, nel rispetto del solo limite europeo delle 48 ore settimanali; aumento dell'età pensionistica a 65 anni entro il 2022; diminuzione progressiva delle indennità di disoccupazione. Senza citare il versante sicurezza genere guerrafondaio, fra proposte di leve obbligatorie, aumento dell'esportazione di armi (campo in cui la Francia è il terzo paese a livello mondiale) e dei dispositivi ''anti-terrorismo'' da saggiare sulla pelle dei giovani delle banlieues e dei compagni.
Al contrario, invece, c'é chi, come lo yuppie Macron, continua la scalata ai vertici del potere: dall' ENA( Ecole Nationale Administration, uno dei luoghi d' élite di riproduzione della classe dirigente francese), all' approdo fra i consiglieri di Hollande come rampollo promotore degli interessi del gran padronato, cosa che gli garantisce poi un posto alla Rotschild. L' esperienza acquisita al soldo dei padroni, gli frutta la carica di Ministro dell' Economia sempre del governo Hollande, nel corso del quale non solo promuove la Loi Macron di cui sopra, ma si pone anche alla testa del processo di acquisizione della Piooneer da parte della Francia, per una somma equivalente a 3,5 miliardi di euro. Fondatore del movimento En Marche! (...contro i lavoratori), colui che ha parlato degli operai come di '' analfabeti'', il servo del capitale francese promotore degli interessi della peggio borghesia reazionaria propone quello che già aveva iniziato durante il governo della sinistra riformista, del PS di Hollande: una deregolamentazione del mondo del lavoro, taglio delle tutele e dei diritti sindacali, abbassamento dei costi della manodopera (salario), svendita dei contributi previdenza a privati e sgravi fiscali alle imprese, all' insegna della depauperizzazione della funzione pubblica. L' invito a lavorare sempre di più per guadagnare sempre di meno mal si concilia, insomma, con il fatto che Macron stesso guadagnasse più di un milione alla Rothschild. Senza contare l' assurdità, dopo un simile curriculum filopadronale, contenuta nella dichiarazione d' essere ''né di destra né di sinistra'', cosa che non sa neanche di tecnocrate senza partito, ma solo di servo della borghesia.

Basta illudersi con candidati borghesi reazionari che non hanno nulla di nuovo, se non attacchi su attacchi contro i lavoratori e le lavoratrici in nome della flessibilità e a scapito dello stato sociale.

A proposito di ciò, altre proclamazioni assurde e facilmente smentibili arrivano da Marine Le Pen del Front National, che ultimamente si è dichiarata anti-sistema: tutto ciò dopo avere condotto i suoi affari in tranquillità nel pieno del mandato al Parlamento Europeo, al quale deve un rimborso di 340 000 euro per avervi impiegato vari amici del FN. Tra l' altro non è la sola: nel suo partito sono in molti ad essere a stretto contatto con la giustizia per loschi simili affari che si aggirano sempre sul milione di euro. Alla resa dei conti, la reazione di Le Pen si è concretizzata nel rifiuto di rispondere alla citazione in tribunale opponendo l' <>. Non è invece certo che i lavoratori, per i quali Marine Le Pen prevede innanzitutto distruzione della sécurité sociale (sistema sanitario e assistenza sociale) e dei diritti sindacali a fronte di vari regali fiscali alle imprese, possano a loro volta utilizzare l' <> rispetto ad un programma populista, xenofobo, amico dei padroni e rispetto ai 2000 processi politici in atto.
Fillon, Le Pen, Macron: a dispetto della propaganda, si tratta di tre prodotti puri del sistema capitalista francese, del quale sono anche i migliori difensori.

Cosa si presenta sul versante della sinistra riformista, sulla base del contesto di crisi precedentemente analizzato?
Riciclatosi nel suicidio politico del PS Partito Socialista, Benoit Hamon: segno del rifiuto e incapacità di trarre un bilancio del quinquennato che ha devastato il mondo del lavoro e i giovani, superando praticamente Sarkozy.
I 5 anni di PS al potere, dal lavoro domenicale nella Loi El Khomri alla prosecuzione della demolizione dei servizi pubblici(es. protection sociale, v. pensioni, sussidi,etc.), vedono Hamon presente e attivo in linea con il voto di tali misure nefaste e non solo, in quanto anche Ministro dell' Educazione Nazionale per un periodo e per questo responsabile di provvedimenti meritocratici e classisti, come quelli contro le scuole delle banlieues dove, un ampio taglio di budget, pregiudica di fatto il diritto allo studio degli studenti di estrazione proletaria.
Non a caso smentire il programma di Hamon ha come obiettivo principale di disilludere e risvegliare quella parte di giovani in cerca di un riferimento. In primis attraverso l' analisi della proposta sulla revenu universelle (salario universale), una manna dal cielo per le imprese e un attacco diretto alla contrattazione collettiva: in concomitanza con l' approvazione della Loi Travail nel decreto che facilita i licenziamenti, si pone quindi la necessità di mantenere il potere d' acquisto della prevedibile gran massa dei disoccupati. E, sempre nell'ottica di favorire le imprese, la revenu universelle comporta anche l' abbassamento dei costi del contenzioso per eventuali reintegri, di quelli della manodopera (ce ne sarà meno e in condizioni di totale ricatto). Il tutto appunto senza sopprimere sgravi fiscali e incentivi aziendali in nome del profitto.
Il salario universale/ revenu universelle é una misura dichiaratamente contro i lavoratori, ma soprattutto contro le lavoratrici: questa incentiverebbe praticamente il ricollocamento definitivo delle donne salariate nella sfera domestica, sottoponendole allo sfruttamento e alla subordinazione del lavoro di cura (poiché, ''in tempi di crisi'', significherebbe un ammortizzazione dei costi). Ulteriore pesante ripercussione sulla vita delle donne lavoratrici poi, poiché la revenu universelle cancellerebbe ogni forma di autonomia ed emancipazione, donando nuova forza al patriarcato in seno alla famiglia e in generale, in quanto, nella maggioranza dei casi, lavorerebbe solo l' uomo. Una misura retrograda e paternalista, atta ad isolare e a privare di risorse le donne, foriera di subordinazione, economica e sociale, totale.
Senza contare che salario universale significa soprattutto, e nella pratica, distruzione del welfare di assistenza e aiuti sociali.
Infatti, la riflessione sul tema ha origine da una proposta lanciata al Senato da liberali come Madelin e Poisson e da Lefebvre, ex ministro di Sarkozy, mentre a sinistra, da Verdi e Parti de Gauche (Melenchon). Trattandosi di un dibattito incentrato in particolare sul montante, tutti i partecipanti concordavano sui presupposti: la soppressione dell' insieme dei sussidi sociali, per sostituirli con un' entrata unica (di portata, quindi, inferiore) della quale tutti i cittadini quali che siano, disoccupato, azionista, giovane, vecchio o percettore di salario minimo, usufruirebbero. Sotto una vestigia apparentemente neutra, si cela invece una misura interclassista contro le fasce di lavoratori socialmente in difficoltà. Un' altra conferma di quanto, in realtà, questo candidato rimanga un prodotto di un PS reazionario, poiché si ostina a propinare, in maniera più o meno nascosta, la storia della pace sociale, il cui eco risuona, a livello internazionale, negli attacchi alla classe operaia di questi anni(v. Syriza o Podemos).
Per cui tale proposta programmatica di Hamon si avvicina piuttosto ad visione della destra a riguardo: un salario universale versato a tutti, una sorta di sussidio universale di 750 € al mese, sarebbe addirittura inferiore alla somma soglia di povertà del paese, recentemente riformulata ed equivalente a 1000€. Misura la cui applicazione coinciderebbe con lo smantellamento degli ammortizzatori sociali per fasce a basso reddito (relativi all' alloggio, alla famiglia etc.), senza invece unire, al limite, le due cose. Salario universale o sussidio di sopravvivenza?
Ma i paradossi continuano: tale provvedimento sarebbe, secondo Hamon, da mettere in pratica a partire dal 2022, cioé alla fine del quinquennato!
Nello specifico, il processo si compone di diverse tappe: la prima, dal 2018, consistente nell' aumento della RSA fino a 600 €; lo stesso anno, nel ''reddito di sopravvivenza'' a tutti i giovani fra i 18 e i 25 anni; lanciare infine una '' grande conferenza cittadina'' per definire il montante e il finanziamento(!) di tale cosa; infine, estenderla a tutta la popolazione per 750 €. Altro aspetto interessante, è che quindi sul finanziamento di questa revenu universelle tutto tace, con un' unica certezza: l' intento, condiviso ben oltre le frange di Hamon, di sopprimere i prelievi per servizi sociali e assistenziali dai salari, e di trasferire il finanziamento sulla base dell'imposta gravante sull'insieme della popolazione. E' molto chiaro dunque il perché dei liberali difendano così strenuamente l' ipotesi di questa riforma: si tratta, niente di meno, che di un abbassamento del costo del lavoro notevole. Il tutto sulla pelle dei lavoratori, perché le casse delle grandi imprese francesi e dei grandi padroni non vengono mai citate in queste occasioni. Casse che vengono rimpinguate grazie allo sfruttamento della forza lavoro della manodopera salariata. I lavoratori finanzieranno essi stessi il suddetto sussidio: una divisione della ricchezza fra poveri. La messa in atto della revenu universelle distruggerebbe tutto ciò che il lavoro dipendente offre attualmente, attraverso prelievi di parte del salario: assicurazione pubblica e obbligatoria contro la disoccupazione, la vecchiaia e la malattia. Grandi risparmi per i datori con la distruzione del welfare sociale aziendale, a vantaggio delle mutue private (AXA, ad esempio) e di chi se le potrà permettere.
Infine il salario universale sarebbe una scusa perfetta per abbassare il salario minimo (SMIC) e anche i salari in generale. Con l' effetto di un aumento dei livelli di sfruttamento e un aggravamento della precarietà, grazie alle raffiche di licenziamenti.
Chiaramente quindi, anche Hamon, si colloca in un quadro di soccorso al padronato alla disperata ricerca di guadagni data dalla caduta tendenziale del saggio di profitto, un padronato che licenzia massivamente e introduce l' illusione del lavoro indipendente alla Uber.
La filosofia dell'uberizzazione e della revenu universelle come ''emancipatrice'', altro non é se non un mezzo necessario al capitalismo per accompagnare la precarietà e l' abbassamento dei salari. Accettarla significa accettare l' aumento del peso della dominazione dei padroni sui lavoratori che subiscono lo sfruttamento e la disoccupazione quotidianamente.
In particolare riguardo alla presa che una simile misura può avere in prima battuta sui giovani, bisogna aggiungere che la liberazione dal lavoro salariato non può partire da una proposta simile e da chi la propone (padronato) ma, in via transitoria, semmai sarebbe dell'ipotesi di un salario studentesco, a fronte del taglio delle borse e per la difesa del diritto allo studio, che si dovrebbe discutere.
La lista dei candidati prosegue con Melenchon e la sua <>: ex mitterrandista, ex deputato dell' Essonne, ex funzionario del ministero dell' Insegnamento superiore sotto Jospin e attualmente deputato europeo (Front de gauche 2009 e ora Parti de gauche, presente in Senato)... Non si può certo affermare che Melenchon sia un volto nuovo, a dispetto del dinamismo delle etichette.
Presentatosi già nel 2012, a questa nuova tornata tenta la carta anti -sistema a partire dal suo slogan <> -Io voto e loro se ne vanno, sul modello quasi sia degli indignados spagnoli, con quali non ha nulla in comune. Senza contare poi la prova che la sua presenza si manifesti solo in campagna elettorale attraverso contenitori larghi e apparentemente interclassisti per radunare semplicemente voti, illudendo -stavolta -quella può essere una parte della sinistra arresasi alla disfatta del PS, complice anche il fatto della mancata presentazione del PCF in autonomia, perché in parte suo sostenitore. Un sondaggio di fine gennaio collocava il candidato di Franche Insoumise al quinto posto nelle intenzioni di voto: con il 10% al primo turno, Melenchon sembra sorpassato dallo sprint che le primarie hanno dato ad Hamon. Malgrado ciò, sul piano delle alleanze/ equilibri borghesi, Melenchon rappresenta potenzialmente un ostacolo per i socialisti nel pieno di un processo di ricostruzione (Hamon) volto a riconquistare la base persa e a mantenere la fiducia del padronato: infatti non bisogna sottovalutare l' influenza della France Insoumise in una certa parte della classe operaia e dei giovani.
La retorica populista sinistrorsa che, alienata completamente da qualsiasi tipo di mobilitazione, lotte sociali e ambienti sindacali, è altro rispetto alle rivendicazioni della classe operaia con cui Melenchon non ha nulla a che spartire, e così può solo radunare in maggioranza bacini di giovani piccolo borghesi e borghesi senza precisi riferimenti politici. A partire dall'opera di lancio dell'attuale campagna, ''L' avvenire in comune'', a slogan come ''Partecipa alle sesta Repubblica'' o incitamenti alla rinascita della Francia nazione, si articolano, nella realtà, in un programma spaventosamente ego-centrato e reazionario, espressioni campiste e neosovraniste quanto alla questione del Medio Oriente, dei rifugiati, dell' industria e della sicurezza nazionale.
Non si parla della classe operaia e dell' abrogazione della Loi Travail come punti cardine, ma si prosegue sulla strada dell'austerity, relegando il protagonismo delle masse alla sola fase della campagna elettorale e questo si nota anche facendo il paragone con il precedente programma del 2012 dal libro ''L' humain d' abord'' (Prima l' umano) a ''L' ére du peuple'' (L' era del popolo), composto da contributi online dei sostenitori. Preso atto dell'aumento dell'orario di lavoro e sue modificazioni con la Loi Travail, Melenchon propone una sesta settimana di congedi pagati, una settimana di 35 ore senza ore supplementari e di 32 ore in caso di lavoro nocivo e rischioso o notturno: apparentemente attraente per molti lavoratori dipendenti. La cosa interessante é che, in caso, prima di vedere la luce, queste proposte dovrebbero passare innanzitutto da una <>. Si svela quindi, fin dall' inizio, la natura filo padronale di un programma che non fa che annullare e retrocedere su diritti sindacali, politici e sociali. Infatti si tratterebbe di misure dichiaratamente connesse ad una politica di <>, quella in cui si sono imbarcate molte direzioni sindacali confederali nell'ultimo quinquennato e che ha favorito una parte sola: quella dei grandi capitalisti francesi. Se questa fosse la via, cioè di un fantomatico gratificante accordo reciproco fra padroni e lavoratori, non bisogna illudersi: è sempre il tentativo borghese di propagandare ''la pace sociale''.
Entrando nel dettaglio rispetto al paragone fra le due campagne 2012 e 2017, si nota come le rivendicazioni di Melenchon siano gradualmente retrocesse da timbro progressista riformista a bisbiglio compiacente gli interessi della classe dominante. E' palese riguardo al salario minimo (SMIC): quando nel 2012 Melenchon rivendicava 1 700 euro, oggi diventano 1 326 netti; modesta rivendicazione rispetto ai 1 424 euro stimati per <> e ai 1 700 euro rivendicati dalla CGT!
Denunciare ciò come qualcosa di insufficiente, regressivo e controproducente non vuole denigrare la lotta minimale e transitoria alla precarietà, ma sottolineare come non vi sia corrispondenza con il contesto attuale di una gravità assoluta (fra inflazione, disoccupazione e licenziamenti di massa, etc.), dove é e rimane la borghesia la padrona: oltre all' andamento più che positivo del CAC 40, vi é appunto il caso dei vertici Renault Nissan, fra cui Carlos Ghosn che ha guadagnato, in chiusura bilanci 2016, 6,5 miliardi di euro!
Gli <> tradiscono il proprio nome anche nei confronti dell'argomento debito pubblico: da annullare parzialmente, in aggiunta alla creazione di un <>.
Riguardo a quest'ultimo poi, la diminuzione costante della francese imposta patrimoniale (ISF Impot sur la fortune) comporta un abbassamento del budget dello Stato, obbligandolo ad indebitarsi presso grandi banche, i cui rispettivi proprietari, che con gli interessi dello Stato si arricchiscono, sono gli stessi beneficiari della riduzione dell' imposta stessa! Quindi qual è la soluzione per Melenchon, se non quella di continuare a favorire le banche sottraendo il plusvalore prodotto dai lavoratori? Non vi é alcuna denuncia del meccanismo del << debito>>, astuzia del neoliberismo capitalista e quindi illegittimo e da abolire completamente, per lanciare invece una socializzazione del sistema bancario.
Nazionalismo e protezionismo, altri pilastri programmatici in salsa sciovinista repubblicana: un servizio civico obbligatorio <> o gli atteggiamenti xenofobi verso i lavoratori distaccati, sono una vera e propria incursione sul terreno dei politici più reazionari.
Nessuna spinta internazionalista e solidale, da parte dell'eurodeputato, verso rifugiati, lavoratori che fuggono dalle guerre e vivono in Europa in condizioni misere e indegne; anzi, a volte, anche pronunce contrarie all'apertura delle frontiere o alla libertà di installazione. Ancora peggio sulla Siria, dove l' unica direzione si rivela quella di proseguire nell'alimentare e supportare l' imperialismo francese e il suo esercito -<< costruire la pace in Siria>>. La conduzione da un punto di vista nazionale dell'analisi sulle guerre in corso e la presa di posizione a favore dell'una o dell'altra borghesia in lotta per l' egemonia in Medio Oriente: un programma populista costruito su basi filo imperialiste, neosovraniste e campiste. Prendere le parti delle Stato francese -dove gli abusi della polizia nelle banlieues arrivano fino all' omicidio, dove i militanti contro la Loi Travail perdono la vista nei cortei a causa di flashballs, tisers etc-, e considerarlo <>, sostenere che la polizia si debba <> senza smettere di aumentarne lo strapotere, é paradossale, é lontano anni luce dalla vita e dagli interessi delle classi popolari francesi. Anche dopo lo stupro di Théo da parte di un gruppo di poliziotti, Melenchon ha osato parlare di una polizia <>.
Uno stato che, sulle politiche economiche, deve essere espressione di un <>, favorito senza altro dall' uscita dall' UE, per la << sovranità>> dello Stato -nazione francese. Il protezionismo economico, caro non solo a Melenchon, ma anche al FN, si fa portatore della stessa logica: privilegiare le imprese francesi perché ciò permette di salvaguardare il lavoro in Francia.
L' esempio della Alstom Belfort é la prova di tale logica filo padronale: guadagnando un' enormità di profitti, la multinazionale ha minacciato la soppressione di 600 posti di lavoro con l' annuncio della chiusura del sito. I partigiani del protezionismo, allora, sono intervenuti a favore della nazionalizzazione: quella però del recupero dell'impresa <> previo grande indennizzo, ovvero soldi pubblici. Perché salvare Alstom con i soldi dei contribuenti, quando la si potrebbe mandare avanti con quelli degli azionisti? Perché l' <> che propone Melenchon, é quello con i capitalisti.

On contrattaque! Organizziamo la risposta!

La risposta in questo frangente può essere una sola: quella marxista rivoluzionaria presente nelle lotte, la sola in grado di esprimere la situazione della classe e quindi ribaltarla sul piano dei rapporti di forza nella lotta contro la borghesia. E contro quest' ultima, queste elezioni presidenziali vedono Nathalie Artaud di Lutte Ouvriere LO e Philippe Poutou del Nouveau Parti Anticapitaliste NPA schierati.
E perché la risposta sia più partecipata e meglio organizzata possibile, si sfruttano tutti i canali disponibili, perché la dominazione della borghesia reazionaria è tale che anche le elezioni presidenziali sono un corollario importante e, perché la demarcazione rispetto alle forze padronali sia la più chiara in assoluto, le elezioni diventano un mezzo in più a questo fine.

Philippe Poutou del Nouveau Parti Anticapitaliste è l' unico candidato operaio e anticapitalista presente in questa campagna, l' unico candidato alle presidenziali in lotta per difendere il proprio posto di lavoro. Poutou infatti è un militante sindacale che da anni si batte contro la chiusura dello stabilimento Ford di Blanquefort (33). Dal 2007 il colosso dell'automobile ha minacciato lo smantellamento della fabbrica, ma la mobilitazione costruitasi attorno alla forza dell' auto-organizzazione (grazie alla tenacia della CGT Ford) nel 2008 ha fatto sì che Ford fosse costretta a ritirare le minacce e a rilanciare nuovamente la produzione. Attualmente però sugli operai pesano nuove minacce: si prospetta un fermo dell' attività per la fine del 2018; ma i lavoratori, forti della passata esperienza, da gennaio stanno organizzando una serie combattiva di scioperi a scacchiera, sui turni, per filiera, blocchi autostradali e sit-in per costringere l' azienda a ritrattare. Nell'organizzazione della vertenza, Poutou si batte per difendere il proprio posto lavoro e gli altri 600 CDI che Ford vuole sopprimere nel 2018.
La candidatura di Poutou, poiché ricorda ai padroni la capacità e la forza della classe operaia che non lascia niente e vuole tutto, costituisce una grande minaccia per la classe dirigente che, nonostante i tentativi vari di boicottaggio, censura e allontanamento dalla scena mediatica, non può ignorare a lungo i bisogni e le rivendicazioni dei lavoratori, dei giovani, degli studenti, delle donne e dei precari che dall'anno scorso assediano i suoi palazzi.
Dopo cinque anni di politiche antisociali al servizio delle associazioni padronali e dei ricchi, i lavoratori non vogliono più subire passivamente licenziamenti, lavoro precario, salari da fame, sono stanchi di pagare la crisi del capitale. La candidatura di Poutou, lontana da ogni personalismo reazionario, irrompe nello scenario elettorale borghese per rovinare i piani padronali di imposizione della pace sociale, ed é una voce militante in più dei lavoratori organizzati, degli scioperi diffusi, degli studenti e dei migranti e il programma infatti lo conferma e ribadisce: quelle erano e sono le rivendicazioni del movimento contro la Loi Travail.
La realtà dello stato attuale delle cose le pone come imprescindibili.
A partire dall' interdizione dei licenziamenti attraverso l' espropriazione di tutte le aziende, tutti i settori e i gruppi che progettano di sopprimere posti, di fermare o mettere in atto dei piani di licenziamenti; l' accesso alle scritture contabili da parte dei lavoratori e dei giovani. Da settembre 2016 sono stati annunciati più di 40 000 licenziamenti entro la fine dell' anno stesso. Tutti i settori sono coinvolti: da SFR (5000) a Alstom, General Electric, Areva, IBM, Intel, Servier, Société Générale, Sanofi, Vallourec, Michelin, Latécoère, Carrefour. I padroni li chiamano con diversi nomi: <>, <> o ancora <>, ma la miseria che vi si cela ò la realtà per moltissimi lavoratori. La lista cresce poi con la tecnica, ormai rodata nelle aziende, delle pressioni per le <>, pena il licenziamento in tronco. Dal 2008, con la messa in atto della <>, sono circa 320 000 i contratti che in media vengono interrotti ogni anno, senza contare quelli meno visibili perché a seguito di ''accordo reciproco''. In Francia si verificano una cosa come 55 000 licenziamenti al mese, dei quali il 75% per <>. Conseguentemente i licenziamenti formalmente economici sono sempre meno e questo favorisce le imprese in quanto il numero delle impugnazioni continua a diminuire a causa dell'innalzamento dei costi delle procedure, a fronte poi delle sempre più scarse possibilità di vittoria. Avere accesso alle scritture contabili costituisce così un aggiunta programmatica necessaria affinché i lavoratori minacciati conoscano lo stato reale delle imprese, sempre nell'ottica di strutturare al meglio la mobilitazione dentro e fuori il luogo di lavoro.
In una società capitalista dove la maggioranza di persone può fare affidamento solo sulla propria forza lavoro per vivere, perdere l' impiego comporta l' impossibilità di pagare un affitto o un mutuo, di mangiare, di scaldarsi o di spostarsi, ovvero di, come minimo, sopravvivere: in Francia a fine 2016 si registravano 25,8 milioni di impiegati di cui 3 milioni di lavoratori indipendenti e 22, 9 milioni di lavoratori dipendenti. Questo implica così che, masse di salariati, siano oggi lavoratori poveri costretti a dover accettare più di un lavoro per avere un' entrata sufficiente ad arrivare a fine mese, accrescendo il precariato (infatti il 13% degli impieghi, cioè 3, 4 milioni di persone, sono in un grave stato di precarietà). In ciò non può che dimostrarsi ulteriormente la necessità di portare avanti istanze rivoluzionarie poiché in rottura con l' esistente, e realistiche poiché unica reazione alla gravità della stato delle cose, per rovesciare i rapporti di forza attuali in favore della classe operaia.
Le lotte non mancano come non manca la repressione, e quello che è successo a Goodyear Amiens ne è la prova: mobilitati da anni contro la continua minaccia d' arresto della produzione, in un clima che aveva causato più suicidi e sparso disoccupazione, otto fra gli organizzatori della vertenza sono stati accusati di sequestro di persona (di un rappresentante del datore presentatosi nel corso di regolare assemblea sindacale), per poi vedersi assegnare pene altissime, carcere compreso. Mentre quindi i vari Fillon, Macron e Le Pen, invischiati in affari di nepotismo, appropriazione indebita di soldi pubblici per fini personali etc., rifiutano di comparire davanti alla giustizia, gli operai vengono incarcerati per aver difeso il proprio impiego; come i liceali che difendono la scuola pubblica si fanno notti in commissariato e comparizioni immediate per un sit in...
Sono circa 2000 i processi in corso contro militanti sindacali, giovani e attivisti per essere scesi in piazza contro la Loi Travail!
Contro la massima padronale <> e contro la giustizia borghese, il programma dell'NPA , il cui portavoce è un operaio in lotta come la maggioranza in questo paese, non può che rilanciare e ribadire con forza i bisogni della classe operaia: interdizione dei licenziamenti, espropriazione delle grandi industrie e controllo operaio della produzione, accesso ai bilanci e ai conti degli azionisti CAC 40, amnistia per tutti gli accusati... Per l' abrogazione della Loi Travail e il suo mondo!
E contro qualsiasi tipo di demagogia protezionista e nazionalista d' aiuto ai padroni, contro la disoccupazione e la povertà crescente, Poutou e l' NPA si battono per la ripartizione del tempo di lavoro esistente fra tutti e tutte, per una giornata lavorativa di 32 ore, per l' assunzione a tempo indeterminato dei precari, per uno SMIC (salario minimo) di 1700 euro al mese come minimo.
E la presentazione del Nouveau Parti Anticapitaliste è fondamentale in vista del rovesciamento dei rapporti di forza a vantaggio della classe operaia, a maggior ragione nel clima attuale di grande precarietà; rovesciamento possibile solo sfruttando ogni mezzo capace di incitare e costruire una classe organizzata nell'azione. La mobilitazione contro la Loi Travail, come la resistenza messa in atto a Notre- Dame- des- Landes ad esempio, dimostrano che questa è la realtà, gli utopici sono quei candidati come Le Pen del FN che pretendono di avere un programma sociale in assenza di proposte concrete sull'aumento dei salari, delle pensioni o della disoccupazione e additano gli immigrati come nemici e non il padronato francese, del quale sono i primi difensori e promotori.
In tale scenario, solo Poutou sta portando avanti una campagna concretamente in rottura con il capitalismo, per contribuire a costruire una rappresentazione politica per gli sfruttati, per il mondo del lavoro.
Per questo sostenere la necessità di un sistema sanitario 100% pubblico con prestazioni esclusivamente e interamente a carico della Sécurité sociale, è imprescindibile insieme alla fine delle privatizzazioni dell' intero settore pubblico e alla soppressione di tutte le mutue private; come è fondamentale ribadire la libertà di circolazione e d' installazione per i migranti e i rifugiati; la fine dell'intervento militare imperialista francese con il ritiro delle sue truppe, in Medio Oriente (dove il capitale francese difende i suoi interessi, es. Total) come altrove; la fine dello stato d' emergenza (che Hollande dal novembre 2015 ha prolungato cinque volte) insieme al disarmo della polizia (in particolare tiser e flashball) e la dissoluzione delle BAC che spadroneggiano nei quartieri popolari; una rottura internazionalista con l' UE, per un' altra Europa basata sulla solidarietà fra i popoli contro lo sfruttamento e tutte le oppressioni; la fine del nucleare e una pianificazione energetica reale per fermare la degenerazione climatica; eguaglianza fra tutti e tutte, uomini e donne, nell'accesso alla salute (per un' IVG libera e gratuita e il libero accesso alla contraccezione), al lavoro, ad un alloggio; la nazionalizzazione delle banche sotto controllo dei lavoratori.
Nel quadro francese dove il machismo colonialista rimane una costante nelle pratiche quotidiane e nella sostanza, poi un' opposizione anticapitalista e antirazzista nei confronti di tutti i tipi di discriminazione è una rivendicazione ineluttabile: a partire dall'estensione degli stessi diritti per tutte e tutti, in sostegno alle lotte dei sans -papiers, ai rifugiati a causa delle guerre imperialiste, perché la lotta contro l'islamofobia (v. es. campagna contro il burkini iniziata dal governo socialista) e il razzismo sia una battaglia di classe. Infine ciò si collega strettamente ad un' altra rivendicazione importante: la fine dello stato d' emergenza che ha criminalizzato un intero movimento sindacale e incoraggiato gli abusi della polizia sulla classe operaia dei quartieri, spesso originaria delle ex -colonie.

Nos vies, pas leurs profits! Le nostre vite, non i loro profitti!

Un programma anticapitalista non piace alla classe dirigente, quella dei grandi partiti, dei media, delle alte amministrazioni, del padronato. I lavoratori possono contare solo sulle proprie forze per portare avanti le proprie rivendicazioni con tutti i mezzi a loro disposizione.
Questa candidatura rompe e si oppone alla funzione presidenziale, contro tutti i professionisti della politica che con la nostra classe non hanno nulla a che vedere.
Al contrario, si tratta di una candidatura che ribadisce che la sola possibilità di vincere parte dalla discussione collettiva, dall'unità della classe. Nelle mobilitazioni non si elegge qualcuno per essere rappresentati cinque anni, ci si auto-organizza confrontandosi costantemente per decidere come continuare. La candidatura di Philippe Poutou costituisce una maniera in più affinché la classe si doti di strumenti utili alla difesa dei propri interessi e riesca ad imporre le proprie rivendicazioni. La presentazione di un operaio, il solo fra tutti gli altri candidati, spiegando che bisogna unire le lotte, permette di intravedere un altro avvenire.

Notre premier tour sera...social!
22 aprile 2017: Prepariamo la risposta, costruiamo il primo turno sociale!

Oggi più che mai i lavoratori non possono aspettarsi nulla dalle elezioni, ma è nelle lotte che, attraverso l' unità, possono organizzare una vera risposta al padronato. Per questo l' avanguardia larga nata la scorsa primavera sprona ad una sola cosa: la convergenza delle lotte. Il grande sciopero del 7 marzo 2017 (CGT- FO- SUD) che ha visto scendere in piazza lavoratori della sanità, centri per l' impiego e poste contro tagli, licenziamenti e privatizzazioni, lo dimostra nella pratica e nell' efficacia: 35000 persone solo a Parigi.
E infatti è sulla spinta dell' auto-organizzazione che SUD -Solidaire, SUD -POSTE 92, INFO' COM - CGT, CGT -GOODYEAR e le frange sindacali che si oppongono alla devastante politica di dialogo sociale portata avanti dagli apparati acriticamente, hanno avviato un percorso di intervento nelle mobilitazioni e in larghi settori per portare avanti la parola d' ordine della solidarietà, dell' unità e della coordinazione. Ma in primis quella dello sciopero generale: infatti dal 15 settembre 2017, ultima manifestazione contro la Loi El Khomri, le avanguardie più combattive non vogliono abbandonare la battaglia contro le politiche reazionarie e regressive del padronato e, in questi mesi, stanno costruendo la risposta con il proposito dello sciopero generale, il solo mezzo veramente in grado di affossare la classe dirigente.
Da un settore dell' avanguardia politica -fra i primi promotori i nostri compagni di Anticapitalisme&Révolution- courant NPA- e sindacale, questo appello inizia ad avere un' eco massiva e generale per ricostruire un pole ouvrier, un polo operaio, prova ad esempio anche la partecipazione degli studenti accanto ai lavoratori il 7 marzo.
Il 22 aprile 2017, alla vigilia del primo voto, un appello all' unico vero turno della classe operaia: quello sociale, nelle piazze, nelle vertenze, nell'auto-organizzazione! Fondamentale convergere e raggruppare le forze come sola misura per un rovesciamento dei rapporti di forza contro il capitale... Per la costruzione del primo turno sociale prima, durante e dopo le elezioni!

La borghesia non ha soltanto fabbricato le armi che devono darle la morte; ha prodotto anche gli uomini che le imbracceranno
Engels, Marx. Il Manifesto del Partito Comunista







Marta Positò

Contro l'Europa del capitale! Per l'Europa socialista!

assemblea pubblica nazionale del PCL

Roma, sabato 25 marzo ore 11:00, 

Via Cavour 50/A





La ricorrenza del sessantesimo anniversario dei trattati della CEE rappresenta l'ennesima scadenza intorno a cui si confrontano diverse prospettive e diversi orientamenti nell'arcipelago della sinistra sul tema dell'Europa.
Da un lato l'eterna litania diversamente declinata di una "Europa sociale e democratica" imperniata intorno alla proposta di "democratizzazione" dell'UE come leva di svolta sulle politiche sociali; dall'altro versante il nuovo slancio assunto da posizioni neosovraniste anche di sinistra, incentrate principalmente sull'uscita del capitalismo italiano dall'Euro come strumento di recupero della cosiddetta "sovranità nazionale" e di possibili nuove forme di redistribuzione della ricchezza.

Noi proponiamo una risposta diversa alla questione cruciale dell'Europa.
In primo luogo la speranza di una democratizzazione della UE è la ripetizione su scala continentale dell'illusione della riforma impossibile del capitalismo. Siamo da sempre contro l'Unione Europea. Una Unione di Stati capitalisti unicamente interessati a partecipare alla spartizione del mondo dopo la fine dell'URSS, nel nuovo mercato globale.
Ma la lotta contro l'Unione Europea può procedere da opposti versanti, politici e di classe, e mirare ad opposte prospettive.
Tutte le principali destre reazionarie continentali, dai Salvini alle Le Pen, cavalcano il sentimento antieuropeo, ma da un versante radicalmente opposto: una battaglia reazionaria che punta a far leva sulla crisi capitalista per costruire una soluzione reazionaria, in ogni Stato come sul piano continentale, senza per questo mettere in discussione, anzi proponendosi come continuatori delle politiche di rapina e dell'offensiva dominante contro i diritti sociali, sindacali e democratici del movimento operaio europeo come di tutti gli oppressi.

In una fase storica segnata dall'ascesa di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, col pieno di retorica nazionalista a coprire nuovi tagli ai diritti sociali e sindacali, ogni cedimento alle sirene del sovranismo e del nazionalismo, anche "di sinistra", rappresenta una vera e propria truffa: la borghesia in ogni Stato arruola i propri lavoratori contro i lavoratori di altri paesi, in una competizione mondiale di tutti contro tutti. I sacrifici che prima erano richiesti nel nome della globalizzazione e del libero scambio, ora sono invocati sempre più nel nome della Patria e della Nazione. Ma a pagare sono sempre gli stessi: i lavoratori. E a guadagnarci sono sempre gli stessi: i capitalisti e i loro profitti.

Il movimento operaio affronta questa fase di crisi profonda del capitalismo col peso sulle spalle della più profonda crisi storica della sua direzione politica. Il proletariato europeo ha a più riprese dato prova della sua disponibilità alla lotta, come mostrato chiaramente dall'enorme, generoso e prolungato sforzo di lotta prodotto dal proletariato greco o come ribadito dalla straordinaria mobilitazione di lavoratori e giovani francesi lo scorso anno contro la Loi travail del governo Hollande, sfidando lo stato di emergenza e lo stragismo fascioislamista; e più in generale come mostrato da ogni piccola e grande vertenza o mobilitazione che ha attraversato e attraversa i paesi del vecchio continente.

Ciò che invece è assente e da costruire è una direzione politica del movimento operaio che sappia dare a questa disponibilità, all'enorme forza ancora inespressa dalla classe operaia europea, una direzione rivoluzionaria, che sappia mettere le rivendicazioni transitorie al centro dell'agenda, che sappia porre la questione degli Stati uniti socialisti d'Europa. Per fare questo due ingredienti sono imprescindibili: l'indipendenza politica e programmatica tanto dall'UE quanto dalle borghesie nazionali, e la consapevolezza della centralità della questione del potere.

Solo un governo dei lavoratori, infatti, come espressione diretta del loro potere politico, può mettere veramente in discussione il capitalismo europeo e tutte le sue sovrastrutture politico-economiche, contro l'UE imperialista e contro ogni ripiegamento reazionario, diretta filiazione della crisi capitalistica mondiale.

Saremo anche noi a Roma, il 25 marzo, per riaffermare le ragioni di una soluzione classista e internazionalista alla crisi del capitalismo.


Per la costruzione di un partito internazionale della classe lavoratrice!

Per un governo dei lavoratori!

Per gli Stati uniti socialisti d'Europa!
Partito Comunista dei Lavoratori

Le loro ragioni, il nostro progetto

Prosegue il tesseramento 2017 al PCL

 

È passato un secolo dalla Rivoluzione d'ottobre. Un secolo da quando per la prima volta nella storia milioni di lavoratori, e con essi tutti gli sfruttati e i diseredati dell'Impero zarista, centro e periferia dell'impero capitalista, presero parola e varcarono il proscenio della storia, impossessandosene, e imposero loro stessi come soggetto e oggetto di un'azione politica che avrebbe cambiato le sorti dell'umanità.

Per molti, a sinistra, tutto ciò sarà tema di rievocazione commossa, con tanto di professione di fede, trovando magari occasione per interrompere per qualche attimo il loro tran tran quotidiano, a ciglio asciutto, fra sottoboschi assessorili e altrettante professioni di fede... alle istituzioni e ai poteri borghesi. Proprio quelle istituzioni e quei poteri che quella rivoluzione aveva mandato gambe all'aria.

Per noi no. Non ci interessano rievocazioni, perché si rievoca ciò che non solo è passato, ma che è concluso; ciò il cui svolgimento è stato compiuto e perciò stesso archiviato. Si rievocano gli spiriti, o i cari estinti. Per noi, invece, quella storia e quelle azioni non si sono interrotte (contrariamente a quello che dicevano venticinque anni fa gli apologeti del mondo libero [del capitale], e che ripete oggi, da buon ultimo, anche Fausto Bertinotti), ma hanno continuato a valere, a parlarci e a parlare. Per noi sono il contenuto di un'attività politica quotidiana, che costituisce la sostanza della nostra lotta contro quel capitalismo che, oggi come un secolo fa, sui suoi fallimenti manda uomini a morire e intere civiltà a schiantarsi.

Ed è in ragione di questa vigenza che sulla tessera del 2017 del Partito Comunista dei Lavoratori ci saranno loro, gli attori della nostra lotta. Migliaia di soldati - lavoratori in uniforme - che in quel fulgido frangente del 1917 marciano in direzione dello Smolny a Pietrogrado, in sostegno ai bolscevichi, innalzando drappi rossi e insegne inneggianti al potere dei Soviet e alla rivoluzione. Ai lati della strada, giovani, donne e bambini che seguono la marcia e si aggregano. Per la prima volta da protagonisti. Quel secolo vale ancora. Quella storia vale ancora.
Partito Comunista dei Lavoratori
(per contattare la Sez. di Bologna scrivi a pclavoratoribologna@gmail.com. La sezione di Bologna si riunisce tutti i lunedì alle ore 21 in via Marini 1/b)


In memoria di Piergiorgio Tiboni

19 Marzo 2017
Ci ha lasciato Piergiorgio Tiboni, coordinatore nazionale della Confederazione Unitaria di Base.
Per oltre cinquant'anni Tiboni è stato impegnato nella lotta sindacale sempre al fianco e alla testa dei lavoratori, delle lavoratrici e della loro avanguardia. Prima nella sua Brescia, poi come dirigente (fino a segretario generale) della FIM-CISL di Milano. Una realtà anomala nel panorama del sindacato di origine democristiana, anche nei tempi in cui questo, sfruttando la moderazione della CGIL, si presentava, sotto la segreteria di Carniti, come "di sinistra". Una esperienza che non poteva che venire repressa con lo sviluppo in senso reazionario della situazione politica italiana, dalla fine degli anni ’70, coi governi di unità nazionale, in poi.
Alla fine degli anni ’80 infatti la CISL e la FIM nazionali decisero di porre fine all'anomalia milanese. Nel 1990 Tiboni fu quindi espulso dal sindacato cattolico; lungi dal darsi per vinto e con una parte importante dei delegati e dei dirigenti sindacali della FIM di Milano, diede vita alla CUB.
Quali che siano state e siano tuttora le differenze di politica sindacale con la CUB, come Partito Comunista dei Lavoratori riconosciamo in essa un'organizzazione classista, contrapposta alla politica di collaborazione delle confederazioni sindacali maggioritarie. Una organizzazione che non ha mai tradito i lavoratori e le lavoratrici, anche in situazioni in cui altri sindacati di base capitolavano. Questo è stato il caso della lotta all’Alitalia del 2008, dove il nostro partito ebbe un ruolo importante, in particolare attraverso l'intervento in quella lotta del suo portavoce nazionale Marco Ferrando. In quella situazione avemmo al nostro fianco solo la piccola sezione della CUB, mentre le altre organizzazioni sindacali, inclusa la futura USB, tradirono i lavoratori, boicottandone la lotta.

Tiboni è stato l’anima e la grande figura pubblica della CUB. L’avanguardia di classe non lo dimenticherà. Salutiamo la sua memoria e esprimiamo le nostre condoglianze alla CUB e ai suoi familiari.
Partito Comunista dei Lavoratori

Comunicato stampa: solidarietà ai compagni Giorgio e Mimma,del C.S.A. Lazzaretto

La Sezione di Bologna del Partito Comunista dei Lavoratori esprime la propria solidarietà ai compagni Giorgio e Mimma,del C.S.A. Lazzaretto, oggetto di una chiara intimidazione di stampo squadristico.
Chi conosce Giorgio Simbola sa perfettamente che è da sempre un organizzatore instancabile delle lotte in difesa dei migranti, dei rifugiati politici e dei senza casa ed è soltanto ridicolo pensare che possa essere "servo" di qualcuno, tanto meno del PD,partito di potere, che egli ha sempre combattuto,in ogni manifestazione. Siamo certi che l'unico risultato che gli autori di questa "bravata"hanno ottenuto è il danno economico procurato a Giorgio e Mimma, perchè non pensiamo che i due compagni si faranno intimidire dallo squarcio di 4 pneumatici di un furgone e da una scritta a vernice sulla sua fiancata.

In ogni caso, non crediamo che questo brutto episodio li faccia recedere dalle lotte future in difesa dei soggetti più deboli, per i quali hanno combattuto sino ad oggi.
A Mimma e Giorgio,al C.S.A. Lazzaretto e al Sindacato Generale di Base, del quale Giorgio è militante e dirigente regionale, vanno tutta la nostra comprensione e solidarietà.
 
PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI
Sezione di Bologna
 

La scissione del PD e i movimenti a sinistra


La scissione del Partito Democratico è il fatto nuovo dello scenario politico.
Si tratta di fare una prima valutazione delle ragioni, della natura, delle ricadute politiche di questo evento sia sul versante della situazione politica sia sul versante della geografia della sinistra politica. In attesa di un quadro più definito che consenta i necessari approfondimenti.

La scissione del PD è stata sospinta dalla sconfitta clamorosa del renzismo nel referendum del 4 dicembre. La combinazione dell'indebolimento verticale del renzismo (a partire dalla caduta del governo Renzi) con la ricerca affannosa da parte di Renzi di una reinvestitura plebiscitaria (o per via di una precipitazione elettorale, o per via di una precipitazione congressuale, o per via dell'una e dell'altra insieme) ha sicuramente rappresentato un fattore di innesco della scissione.
Un segretario con pieni poteri sulle candidature, a partire dai capilista, era una minaccia di annientamento della presenza parlamentare della minoranza. Mentre la svolta tendenzialmente proporzionalistica del sistema politico, a seguito della sconfitta referendaria, favorisce lo spazio di rappresentanza di un nuovo soggetto politico. Anche per questo la scissione è figlia del 4 dicembre.

Al di là della contingenza, le fascine della scissione del PD si erano accumulate progressivamente nel tempo. Il renzismo ha scalato prima il PD e poi il governo, in rapidissima successione: portando una svolta plebiscitaria nella stessa gestione del partito, circondandosi di una giovane guardia di fedelissimi selezionata accuratamente negli anni (il partito della Leopolda), emarginando il vecchio gruppo dirigente del PD (la “rottamazione”). La scissione è anche e innanzitutto la replica vendicativa di settori portanti del vecchio gruppo dirigente contro un renzismo usurpatore, da sempre vissuto come corpo estraneo e abusivo. Massimo D'Alema in particolare ha avuto ed ha un ruolo centrale nell'incarnare questo sentimento e nel dargli una traduzione politica.

Le dimensioni della scissione saranno verificate nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. Ma è utile investigare i suoi caratteri politici.


GLI SBOCCHI DELLA SCISSIONE

Dal punto di vista della forma di organizzazione, non sembra che la scissione si dia uno sbocco organico “di partito”. La scelta prevalente sembra essere quella di un movimento politico, dal profilo più sfumato e processuale. La stessa gestione politica pubblica della scissione è stata confusa e minimalista nelle motivazioni (divergenze su date e percorso congressuale del PD, invece che su ragioni pubbliche riconoscibili), è stata segnata da divisioni interne (defezione di Emiliano), è apparsa poco determinata nella stessa azione di rottura (più fuoriuscita che vera scissione). Tutto ciò sembra indebolire al piede di partenza la portata dell'operazione e le sue potenzialità di polarizzazione nei territori.

Dal punto di vista della natura politica del nuovo soggetto è presto per esprimere una valutazione compiuta: un nuovo soggetto politico borghese di tipo ulivista (un PD riveduto e corretto) o una sorta di rifondazione socialdemocratica ( “partito del lavoro” legato alla burocrazia CGIL)? La risposta verrà dalla dinamica del processo in atto.

Le principali componenti politiche promotrici della scissione vengono dal campo borghese liberale. Si tratta della componente dalemiana e dell'area bersaniana del PD. La prima, organizzata attorno alla Fondazione Italianieuropei, ebbe un ruolo di traino nella mutazione progressiva dei DS da socialdemocrazia a partito borghese liberale nella seconda metà degli anni '90, guidando la stagione di controriforme sociali del centrosinistra (1996/2001). La seconda, nata dal ceppo del dalemismo, ha diretto il PD nel passaggio cruciale della grande crisi (2009/2013) gestendo il sostegno al governo Monti e alla relativa macelleria sociale. Complessivamente, il personale dirigente dei governi di centrosinistra dell'imperialismo italiano. L'emarginazione dal potere nella stagione del renzismo ha sicuramente indebolito le ascendenze dirette di questo ambiente presso il grande capitale. Ma non ha cancellato le sue radici politiche. Non a caso è la componente che maggiormente insiste nel rivendicare il nuovo soggetto come riedizione dell'Ulivo, e nel ricercare il coinvolgimento di forze e personalità borghesi del mondo cattolico.

A fianco di queste componenti, confluiscono nell'operazione di scissione con un ruolo rilevante soggetti ed aree del PD non dotate per lo più di configurazione propria (mescolati nel tempo con l'area bersaniana), ma che appaiono maggiormente interessati a una sorta di partito (borghese) “del lavoro”. È il caso del governatore toscano Enrico Rossi, con la suggestione del “partito partigiano del lavoro” e del suo (grottesco) richiamo alla rivoluzione socialista (!). È il caso di Guglielmo Epifani, portavoce della minoranza all'ultima Assemblea nazionale del PD, che ha speso non a caso il proprio intervento nel richiamare le ragioni sociali della separazione (Jobs Act, scuola, tasse). Si tratta di ambienti di una virtuale socialdemocrazia, che vedono la questione sociale come lo spazio politico di costruzione del nuovo soggetto. Ovviamente su una linea borghese governista (sostegno a Gentiloni per la legislatura), e con una prospettiva organica di centrosinistra (coalizione di governo col PD, nazionale e locale), ma con una specifica attenzione al rapporto con l'apparato CGIL, col quale ricostruire una relazione privilegiata. Peraltro la frequentazione delle iniziative scissioniste da parte di ambienti d'apparato CGIL è stata significativa e territorialmente diffusa, espressione della domanda di riferimento politico da parte di una burocrazia sindacale da tempo politicamente orfana.

Se la dinamica del nuovo soggetto porterà a uno sbocco borghese o “socialdemocratico” dipenderà da diverse variabili: il quadro compiuto delle componenti costituenti e il loro equilibrio interno, l'evoluzione della situazione politica, l'eventuale rapporto con le dinamiche in atto nella socialdemocrazia europea.


LE RICADUTE IMMEDIATE A SINISTRA

Di certo la nuova formazione è destinata, da subito, a riflettersi sugli assetti della sinistra italiana e sull'evoluzione della sua crisi.

L'operazione Pisapia, d'intesa con Renzi, (Campo progressista) esce spiazzata e indebolita dal nuovo evento. L'ex sindaco di Milano si è candidato a raggruppare un'area di sinistra da coalizzare con Renzi. Per questo chiede una legge elettorale col premio di maggioranza alla coalizione. Per la stessa ragione Pisapia scongiurava una scissione del PD («una sciagura per l'Italia»): non vuole una concorrenza a sinistra che possa cancellargli lo spazio. Ma ora che la scissione è sostanzialmente compiuta, non può che confluire nella nuova formazione o nel suo campo di riferimento, con un ruolo ben più marginale di quello sognato.

Un problema diverso si pone per Sinistra Italiana (SI), che ha appena concluso il proprio congresso. Una componente rilevante di SI (Scotto, Smeriglio, Ferrara) ha già abbandonato il partito alla vigilia del congresso, prima per trattare direttamente con D'Alema, poi per rivolgersi al Campo progressista di Pisapia, infine per confluire nella nuova formazione. Un'altra componente di SI, oggi minoritaria (D'Attorre), ha apertamente rivendicato in congresso la prospettiva di partecipazione alla costituente unitaria del nuovo soggetto, per poi aggregarsi successivamente ad essa. La maggioranza di SI (Fratoianni-Fassina) si è invece attestata per ora su una posizione autonoma: «Non possiamo fonderci con chi sostiene Gentiloni». In realtà vuole capire quale sarà la dinamica della scissione, cerca di non farsi travolgere da una possibile piena, e soprattutto vuole preservare un proprio peso contrattuale in vista di future possibili ricomposizioni. Fratoianni e Vendola hanno già attivato contatti col giro dalemiano, e Fratoianni ha già pubblicamente avanzato una disponibilità a ipotesi di alleanze elettorali (“liste plurali”) col nuovo soggetto in vista delle elezioni politiche.
Lo spazio e il ruolo di SI nel sommovimento politico in atto dipenderà sia dalla natura compiuta del nuovo soggetto (sbocco borghese o "socialdemocratico"), sia dalla consistenza della nuova formazione e dunque dal rapporto di forza che si verrà a determinare tra il nuovo soggetto e SI.

Le ricadute del 4 dicembre sul sistema politico sono appena iniziate. Anche a sinistra.
Partito Comunista dei Lavoratori

Non una di meno: al movimento delle donne servono le lavoratrici


Al movimento 'Non una di meno' si prospetta un passaggio importante; dovrà avere il coraggio di assumere la prospettiva del rovesciamento di questa società, di questi rapporti di produzione, di questo sfruttamento domestico e lavorativo. Poiché disperdersi in rivendicazioni parziali e non sradicando alla radice la causa dell’oppressione patriarcale e dello sfruttamento capitalista farà perdere a noi donne e a tutte le soggettività oppresse la possibilità concreta di conoscere un altro mondo.

Nelle giornate del 4-5 febbraio a Bologna si è svolta l’assemblea nazionale autorganizzata di 'Non una di meno' per continuare la scrittura del “piano nazionale femminista contro la violenza” e definire le modalità dello sciopero globale transnazionale dell’8 marzo, cui l’Italia aderisce insieme ad altri quaranta paesi. L’incontro si è svolto su otto tavoli tematici, in cui sono stati individuati gli otto punti da inserire nel documento comune in vista dello sciopero.

Tuttavia le modalità di gestione della discussione e i risultati del tavolo 'Lavoro e welfare' sono apparsi a nostro avviso poco democratici.
Non condividiamo l’atteggiamento prevenuto delle organizzatrici dell’assemblea nei confronti delle donne appartenenti a un partito politico marxista, come se l'organizzarsi politicamente e avere una collocazione nella politica generale non possa appartenere anche alle donne, o come se le rivendicazioni femministe non abbiano legami con le scelte politiche attuate fino ad ora. E soprattutto non condividiamo la delegittimazione della prospettiva che il femminismo non possa integrarsi con un progetto di radicale trasformazione della società, con la prospettiva cioè dell’abbattimento del capitalismo e la fondazione di una società nuova dove non vige il principio dell’oppressione di una classe sull’altra, dell’uomo sulla donna e dell’uomo sull’ambiente.

Siamo rimaste inoltre basite dall’aggressività mostrata verso alcune compagne che ponevano all’attenzione dell’assemblea alcune rivendicazioni importanti per le donne e totalmente assenti nelle proposte delle organizzatrici dell’assemblea, proprio sul tema del lavoro. I rilievi alle lacune rivendicative, emerse anche dal dibattito del giorno 4, sono stati stigmatizzati come strumentali e facenti parte del movimento operaio – quindi “maschili” – e totalmente omessi nel report del giorno dopo. Il report, peraltro, non contiene affatto tutte le posizioni esposte, ma una sintesi (vagamente censoria) che le stesse organizzatrici si sono rifiutate di emendare in assemblea, e che per di più non è stato votato.
Il punto centrale che è emerso dal tavolo è il reddito di cittadinanza - o di autodeterminazione, come viene definito - assieme a un non meglio precisato salario minimo europeo ispirato al modello americano (15 dollari orari), che potrebbero essere un boomerang: un salario minimo su cui il padronato potrebbe attestarsi, livellando al ribasso le paghe generali, soprattutto se la rivendicazione del salario non viene unita alla battaglia per l’abolizione di tutte le leggi sulla precarietà, dai voucher alle infinite varietà di lavoro sommerso e non pagato. Il reddito di cittadinanza, slegato quindi dalla condizione lavorativa, non garantisce autonomia, ma al contrario, dati i rapporti reali tra i sessi e le classi, prospetta maggiori probabilità di rinchiudere le donne in casa vincolandole definitivamente a sostituire i servizi sociali nel lavoro di cura. Dunque non cambierebbe nulla della società che lo eroga, ma anzi potrebbe aggravare lo stato di cose esistenti; non influenza i rapporti sociali di sfruttamento e oppressione delle donne, ma al contrario rischia di istituzionalizzarli.

In secondo piano, o totalmente assenti, sono alcune rivendicazioni che pongono al centro il lavoro e la battaglia dentro ai luoghi di lavoro come terreno effettivo di autodeterminazione delle donne: la parità salariale, l’introduzione di un salario garantito per chi è in cerca di occupazione, il ripristino della scala mobile dei salari e delle pensioni, il rafforzamento degli ammortizzatori sociali, la lotta contro lo smantellamento della legge 104, la lotta alle vergognose forme di schiavismo a cui sono sottoposte alcune categorie di lavoratrici (badanti, braccianti...), la fine degli incentivi statali alle aziende che delocalizzano o chiudono attraverso accordi e tavoli istituzionali. Tutte queste istanze si ricollegano alla generale battaglia per la redistribuzione del lavoro fra tutti e tutte, e la conseguente riduzione dell’orario di lavoro a parità di paga con la prospettiva della socializzazione del lavoro di cura: l’unica vertenza che consenta a tutti, e soprattutto a tutte, di definire in piena libertà la forma delle proprie relazioni sentimentali e sessuali, senza subordinarsi ai vincoli imposti dal bisogno materiale.

Anche le modalità dello sciopero dell’8 marzo, che si vuole si svolga su due piani, quello "produttivo" e quello "riproduttivo", non sono veramente efficaci.
Sul piano produttivo, Non una di meno non ha costruito una vera interlocuzione con i sindacati, producendo la possibilità di organizzare lo sciopero su una piattaforma rivendicativa articolata in termini di difesa dei salari e dei diritti delle lavoratrici. Ci si è fermate alla richiesta di un loro appoggio, ma rifiutandosi essenzialmente di condividerne la gestione, cosa che non ha impedito ai sindacati di base di aderire anche se con modalità non unificanti, mentre ha dato sponda alla maggioranza della CGIL di lasciare il tutto nel vago e di non assumersi la sua responsabilità per la riuscita dello sciopero, con risultati che non saranno di grande impatto, malgrado la posizione favorevole dell’area di opposizione interna “Il sindacato è un’altra cosa” e la convocazione dello sciopero da parte della FLC. Dati questi presupposti, si tratta di uno sciopero che temiamo non darà i frutti che avrebbe potuto, e che non darà un segno di reale contrapposizione all’oppressione nei luoghi di lavoro e al capitalismo. Le donne che lavorano faranno fatica a capire perché scioperare senza rivendicazioni in merito ai loro diritti perduti, o per aumenti salariali e miglioramento delle condizioni di lavoro. Perché questo non le fa avanzare di un passo verso quella indipendenza economica necessaria alla liberazione dalla violenza e dalla schiavitù lavorativa e domestica.
Ancora meno efficace ci sembra lo "sciopero riproduttivo", che riguarda tutte quelle donne estromesse dal mondo della produzione capitalista che svolgono attività domestiche, di cura e assistenzialistiche a titolo gratuito al posto dello Stato, oltre a casalinghe, disoccupate, studentesse ecc. Per aderire ideologicamente allo sciopero, queste donne per un giorno non si dovrebbero occupare della cura di anziani e bambini e lavori domestici. In molti casi sarà difficile che qualcun'altro in famiglia lo faccia al loro posto, a meno che non dispongano di un sostegno maschile “democratico”, perché certamente a farlo non sarà lo Stato borghese, che ha scaricato sulle loro spalle una enorme quantità di lavoro invisibile risparmiando ingenti quantità di denaro.
L’evento simbolico non modifica né mette in discussione i rapporti reali.

Noi crediamo che sia invece necessario costruire una piattaforma politica che rivendichi l’abolizione delle leggi e normative sui servizi sociali che sono attualmente scaricati sulle donne (la sussidiarietà, le leggi regionali sulla cura dei malati e degli anziani, il taglio degli investimenti sulla scuola dell’infanzia...) così come delle controriforme della sanità che tolgono esami e screening per una vasta gamma di patologie femminili, tolgono finanziamenti ai centri antiviolenza e trasferiscono fondi ai consultori confessionali, riducendo i servizi dei consultori pubblici, tra l’altro trasformati, questi ultimi, in ambulatori di servizi di base, dove le donne sono semplicemente “utenti”. Ma vogliamo combattere anche contro i finanziamenti a pioggia di fondi ad asili e scuole paritarie, tutte confessionali, dove si formano bambini e bambine a misura di un mondo bigotto e misogino. È dunque di una società realmente laica che le donne e tutte le soggettività oppresse necessitano, una società liberata dagli interessi della Chiesa cattolica. In questo senso la battaglia per l’emancipazione femminile si inscrive in un processo rivoluzionario di rottura con la morale e con l’organizzazione economica e politica della società attuale, che prospetti come passaggio imprescindibile l’abolizione unilaterale del Concordato fra Vaticano e Stato, l’abolizione di tutti i privilegi fiscali, giuridici, normativi, assicurati alla Chiesa cattolica, a partire dalla truffa dell’8 per mille e dall’insegnamento religioso confessionale nella scuola pubblica.

Al movimento Non una di meno si prospetta dunque un passaggio importante: dovrà avere il coraggio di assumere la prospettiva del rovesciamento di questa società, di questi rapporti di produzione, di questo sfruttamento domestico e lavorativo. Poiché disperdersi in rivendicazioni parziali e non sradicando alla radice la causa dell’oppressione patriarcale e dello sfruttamento capitalista farà perdere a noi donne e a tutte le soggettività oppresse la possibilità concreta di conoscere un altro mondo.
Non una marea, ma mille rivoli che in queste condizioni non potranno mettere veramente in discussione chi oggi vive sullo sfruttamento delle donne.
Partito Comunista dei Lavoratori - Commissione di genere