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In difesa di Alfredo Cospito

 


Trotskismo e anarcoinsurrezionalismo. L'assurda vicenda di Alfredo Cospito

Da dieci anni ormai il compagno anarchico Alfredo Cospito, aderente alla FAI-FRI, si trova in carcere a seguito di un attentato dimostrativo alla Scuola Allievi dei Carabinieri di Fossano, compiuto con un ordigno a basso potenziale che non ha causato vittime né feriti.

La FAI-FRI (Federazione Anarchica Informale – Fronte Rivoluzionario Internazionale), da non confondere con la Federazione Anarchica Italiana, è un gruppo di cellule anarco-insurrezionaliste a struttura “orizzontale” (quindi privo di vertici e basato sull'azione individualistica dei suoi aderenti) che basa la sua azione soprattutto sulla clandestinità e sulla lotta armata.

Alfredo Cospito, dopo l'arresto del 2012, ha rivendicato il ferimento del dirigente Ansaldo nucleare Roberto Adinolfi, avvenuto a Genova il 7 maggio 2012, e nel 2016 è stato imputato per associazione sovversiva con finalità di terrorismo nell'ambito dell'operazione “Scripta Manent”, che ha visto coinvolti anche altri militanti anarchici.

Dal luglio del 2022 l'imputazione ai danni di Alfredo è stata cambiata in quella, assurda se contiamo l'entità dell'attentato da lui compiuto, di “strage politica”, che prevede la pena in assoluto più alta del nostro regime carcerario, ovvero l'ergastolo ostativo.

Per rendere l'idea, basti pensare che tale pena non è stata usata nemmeno contro i mafiosi responsabili della strage di Capaci!

Dal 5 maggio del 2022 Alfredo è sottoposto alla tortura disumana del regime 41-bis che, contrariamente a quanto il pensiero comune è portato a credere, non si applica solamente nei confronti dei boss mafiosi ma viene anzi applicato anche a molti militanti politici e dal quale si può uscire solo attraverso l'abiura delle proprie idee o la delazione ai danni di altri compagni.

Ed è proprio per le sue idee che è stato sottoposto a tali restrizioni, perché dall'interno del carcere ha continuato a diffondere il suo pensiero attraverso scritti e corrispondenza e questo per lo Stato borghese è assolutamente inaccettabile: se ti trovi recluso, impossibilitato all'azione pratica, non devi azzardarti neanche ad approcciarti a quella teorica!

Un aneddoto che rende l'idea di quanto il loro Stato “democratico” permetta la libertà di parola ai compagni incarcerati, il 20 ottobre durante l'udienza presso il tribunale di sorveglianza di Sassari, mentre Alfredo era collegato in video-conferenza e cercava di leggere la propria dichiarazione, gli è stata tolta la voce premendo un bottone. La dichiarazione in questione è stata inoltre secretata dai giudici, e se i suoi avvocati la diffondessero all'esterno rischierebbero seri guai giudiziari.

Ad aggravare il quadro, dal 20 ottobre scorso Alfredo è entrato in sciopero della fame, sciopero che nelle sue intenzioni si concluderà solo con la sua morte. Come dargli torto: se lo Stato borghese ti toglie la libertà di agire, scrivere, parlare e financo pensare, si può forse chiamare vita l'oblio nel quale le istituzioni repubblicane ti confinano?

Da marxisti rivoluzionari, noi non siamo contro la violenza tout court. Siamo comunisti, non pacifisti; la nostra bandiera è quella rossa, non quella arcobaleno« della pace.

Lo Stato uccide continuamente, tramite le sue forze armate grazie alle quali è pericoloso persino tornare a casa la notte dopo essere usciti con gli amici (Aldrovandi) o tenere in tasca qualche grammo di hashish (Cucchi) perché simili affronti possono anche costare la vita al malcapitato di turno.

Lo Stato, ed è cronaca di questi giorni col caso della (finta) condanna ai padroni responsabili della morte di Luana D'Orazio, legittima gli omicidi dei proletari da parte dei capitalisti: viviamo in una “democrazia” nella quale per una bomba a basso potenziale in una caserma dei Carabinieri si viene condannati all'ergastolo ostativo e per una strage in fabbrica nella quale muoiono sette operai (ThyssenKrupp) ti becchi qualche annetto magari da scontare ai domiciliari nella tua villa con piscina.

Quindi la domanda è: chi è davvero il violento? Chi legittima omicidi e vessazioni dettate da una supremazia di classe che in un mondo giusto non dovrebbe aver ragione di esistere, o chi lotta contro le ingiustizie quotidiane e contro una classe e un sistema che storicamente ha dichiarato guerra alle classi meno abbienti?

Come dice Lev Trotsky nel suo scritto “Terrorismo e comunismo”: «Non lo capite, o bigotti! Ve lo vogliamo spiegare. Il terrore dello zarismo era rivolto contro il proletariato. La gendarmeria dello zar accoppava gli operai che lottavano per il regime socialista. Le nostre commissioni straordinarie fucilano i proprietari di fondi, i capitalisti, i generali, che tentano di ristabilire il regime capitalista. Capite voi questa... sfumatura? Sì? Essa basta perfettamente per noi comunisti!»

Va però detto che, come non siamo contrari alla violenza dettata dalla lotta di classe, essa non ha senso in situazioni e condizioni che non vedano coinvolto largamente il proletariato.

Le azioni isolate, il terrorismo individuale, il lottarmatismo non hanno senso se alle spalle non si ha la classe operaia organizzata e cosciente. Compito dell'avanguardia rivoluzionaria è formare la coscienza di classe tra le masse proletarie, non farsi individualmente “avanguardia” tramite azioni assolutamente scollegate dalla lotta di classe e dal movimento operaio.

Anche perché se ci si “immola” singolarmente, la vendetta dello Stato borghese sarà implacabile contro un singolo, cosa che non gli sarebbe possibile contro larghe masse organizzate.

Lo spiegava sempre Trotsky in un altro suo scritto (“La loro morale e la nostra”, nel quale, polemizzando contro lo stalinismo, toccava en passant anche l'argomento del terrorismo):

«Il terrorismo individuale è ammissibile o no, dal punto di vista della «morale pura»? Sotto questa forma astratta, per noi la domanda non si pone nemmeno. I borghesi conservatori svizzeri tributano tuttora elogi ufficiali al terrorista Guglielmo Tell. Le nostre simpatie vanno senza riserve ai terroristi irlandesi, russi, polacchi, indù ribellatisi a un gioco politico e nazionale. Kirov, satrapo brutale, non suscita in noi alcuna compassione. Noi restiamo neutrali riguardo a colui che l’ha ucciso solo perché ignoriamo i suoi moventi. Se apprendessimo che Nikolaev ha colpito consapevolmente nell’intento di vendicare gli operai di cui Kirov calpestava i diritti, le nostre simpatie andrebbero senza riserve al terrorista. Ma ciò che è decisivo ai nostri occhi non è il movente soggettivo, bensì l’utilità oggettiva. Il tale mezzo può condurci alla meta? Per il terrorismo individuale, la teoria e l’esperienza testimoniano del contrario. Noi diciamo al terrorista: non è possibile sostituirsi alle masse; il tuo eroismo troverebbe di che applicarsi utilmente solo in seno a un movimento di masse. Nell’ambito di una guerra civile, l’assassinio di taluni oppressori non appartiene più al terrorismo individuale. Se un rivoluzionario facesse saltare in aria il generale Franco e il suo stato maggiore, è dubbio che quest’atto susciterebbe l’indignazione morale, persino fra gli eunuchi della democrazia. In tempo di guerra civile, un atto di questo genere sarebbe politicamente utile. Così, per quel concerne il problema più grave – quello dell’omicidio – le regole morali sono del tutto inoperanti. Il giudizio morale è condizionato, col giudizio politico, dalle necessità interne della lotta».

Tirando le somme, pur non condividendone in pieno le azioni per i motivi esplicati, da comunisti rivoluzionari non possiamo non esprimere la nostra massima solidarietà al compagno Alfredo Cospito e a tutti gli anarchici e le anarchiche che subiscono le vessazioni dello Stato borghese per gli ideali che li animano.

Perché Alfredo venga tolto dall'inumano regime di 41-bis e possa interrompere il suo sciopero, perché la violenza repressiva non spenga in questo modo la vita di un anarchico che non ha ucciso nessuno.

Contro lo Stato borghese, le prigioni e il 41-bis!

Partito Comunista dei Lavoratori

Nablus: altri cinque martiri per la causa palestinese

 



Nella notte tra ieri a oggi a Nablus, a 60 Km a nord di Gerusalemme, in Cisgiordania, l'esercito sionista di Israele ha colpito ancora.

A cadere, questa volta, 5 giovani militanti della "Fossa dei Leoni", una delle più recenti e vive formazioni di resistenti palestinesi.

Wadee El-Houh (31 anni), Hamdi Sharaf (35 anni), Ali Antar (26 anni), Hamdi Qayyem (30 anni), Meshal Zahi Baghdadi (27 anni), questi i nomi dei combattenti uccisi. Wadee era uno dei fondatori del gruppo.

Numerosi anche i feriti, perché non pago della mattanza, l'esercito sionista subito dopo se l'è presa con la gente scesa in strada a protestare.

Naturalmente questi giovani palestinesi erano dei terroristi per chi da oltre 70 anni terrorizza e mette a ferro e a fuoco tutta la Palestina, solo grazie alla copertura dall'imperialismo a stelle e strisce e a ruota degli imperialismi d'Europa.

Per noi, come per chiunque sappia distinguere aggredito e aggressore (di questi tempi pare complicato se pensiamo all'inversione che certa sinistra fa di Ucraina e Russia), sono eroici resistenti a cui va tutta la nostra solidarietà e il sostegno di chiunque proseguirà, anche per loro, la lotta di liberazione dall'occupazione israeliana.


PER LA DISTRUZIONE RIVOLUZIONARIA DELLO STATO SIONISTA.

PER UNA PALESTINA UNITA LAICA E SOCIALISTA (con pieni diritti democratici di minoranza nazionale per la popolazione ebraica)

PER L'UNITÀ SOCIALISTA DEL POPOLO ARABO

PER LA FEDERAZIONE SOCIALISTA DI TUTTO IL MEDIO ORIENTE

Partito Comunista dei Lavoratori

L'ex ministro Ferrero loda Berlusconi


«Anche un orologio fermo due volte al giorno segna l’ora giusta. [...] Berlusconi ha detto che è preoccupato per la situazione di guerra in cui siamo [...] ha detto che aveva riallacciato i rapporti con Putin. Dov'è il problema? [...] Oggi quindi Berlusconi... ha detto una cosa vera e si è fatto interprete di un sentimento di timore per la guerra e di necessità di dialogo che condivide la maggioranza degli italiani.»

Lo ha dichiarato l'ex ministro del governo Prodi Paolo Ferrero, dirigente nazionale di Rifondazione Comunista. C'è da restare trasecolati. Berlusconi nel suo famoso discorso ai propri deputati non si è affatto limitato a esprimere «un sentimento di timore per la guerra». Ha presentato la guerra d'invasione dell'Ucraina da parte della Russia del 24 febbraio come una risposta alle provocazioni militari di Zelensky, mirata a rimpiazzarlo «con gente per bene». Una lodevole operazione militare speciale che solo la resistenza ucraina all'invasione ha «purtroppo» trasformato in guerra. In altri termini Berlusconi ha detto che è l'Ucraina che ha imposto la guerra al suo «dolcissimo» amico russo, che generosamente voleva chiudere il tutto in una settimana.

Ora: come può Ferrero lodare come «una cosa vera» la cinica rappresentazione putiniana della guerra d'invasione dell'Ucraina, col suo carico di morte, distruzioni, dieci milioni di sfollati? Dichiararsi contro la NATO e l'imperialismo di casa nostra significa forse abbellire l'imperialismo altrui, e le relazioni amicali con questi di un vecchio arnese reazionario come Berlusconi?

Il punto è che quando non si hanno principi si può fare tutto. Si potevano ieri votare da ministro di Prodi le spese di guerra dell'imperialismo NATO come si può oggi presentare come atto di pace il sostegno di Berlusconi alla guerra di Putin.

L'orologio di Ferrero funziona forse benissimo, ma di certo non è l'orologio del comunismo, e nemmeno della pace.

Partito Comunista dei Lavoratori

 

Nasce un governo della reazione

 


Per il fronte unico di classe e di massa

Un ministro della difesa tratto dalla lobby dell'industria militare tricolore. Un ministro degli interni pescato dall'entourage di Matteo Salvini, che già rivendica il controllo della Guardia Costiera come indennizzo per la mancata conquista del Viminale. Un ministero dell'ambiente da cui scompare persino la dizione di “transizione ecologica”. Una ministra del lavoro consulente delle aziende in materia di licenziamenti, da sempre fanatica del Jobs Act e già componente del CdA di Leonardo. Un ministro dell'istruzione già collaboratore di Gelmini e degli 8 miliardi di tagli alla scuola pubblica, che ora contrappone “il merito” al bisogno. Una ministra della “Famiglia e della Natalità”, già portavoce del Family Day, che nega anche formalmente il diritto all'aborto, peraltro accompagnata da altri esponenti dell'integralismo cattolico più reazionario, da Alfredo Mantovano ad Alessandra Locatelli. Più in generale, una pletora di ministri di estrazione missina, in omaggio alle diverse cordate che hanno sospinto la scalata di Giorgia Meloni. Il baricentro del nuovo governo è questo. Un governo a guida postfascista.

La nuova Presidente del Consiglio intende preservare il filo di continuità della politica liberal-confindustriale di Mario Draghi nei suoi assi portanti: PNRR, fedeltà alla UE, atlantismo. Ma il suo margine di manovra sul versante economico-sociale è estremamente limitato dalla recessione annunciata, dal peso ingombrante del debito pubblico, dall'indisponibilità tedesca e olandese a un nuovo indebitamento europeo per affrontare la crisi energetica, dal profilo che si va delineando per il nuovo Patto di stabilità sulle politiche di bilancio, principalmente fondato sul contenimento della spesa pubblica. Le promesse elettorali un tanto al chilo alla propria base sociale (flat tax) sono già in cavalleria, e la catastrofe del governo inglese non consiglia avventure in fatto di conti pubblici. Già il nodo pensioni si stringe al collo del nuovo governo, che non sa come quadrare il cerchio, mentre la crisi delle bollette colpisce frontalmente il lavoro salariato e ampi settori di piccola borghesia. La verità è che il nuovo governo della destra dovrà gestire politiche di austerità tradizionalmente affidate al centrosinistra.

Per questo il governo agirà sul terreno compensativo di politiche reazionarie ideologicamente marcate, funzionali a preservare la riconoscibilità della destra agli occhi di un blocco sociale altrimenti deluso. Il militarismo patriottico in fatto di Difesa registrerà un salto. L'asse di Meloni col governo polacco in fatto di politica atlantista e di asse diretto con gli USA serve a incassare la contropartita di un rafforzamento italiano sul fronte Sud della NATO, in Nord Africa e in Africa. Le politiche “della famiglia e della natalità” celebreranno la funzione della donna madre, finanzieranno e sosterranno le organizzazioni pro life, colpiranno in varie forme i diritti di aborto, e i diritti LGBT. Vedremo con quale tempistica e intensità. Ma la traccia appare segnata dalla stessa composizione del governo.

È il tempo di promuovere contro il nuovo governo a guida postfascista una vera opposizione di massa, che richiede non un “blocco democratico” coi borghesi liberali oggi al macero, né il bricolage routinario di tante iniziative autocentrate in ordine sparso, spesso tra loro concorrenziali, ma piuttosto la costruzione di un fronte di classe e di massa, che unisca nell'azione tutte le sinistre politiche e sindacali. Un fronte che intrecci le battaglie democratiche con le ragioni del proletariato. Solo così si può alzare un argine alla destra. Solo così si può riaprire dal basso un nuovo scenario politico. Le lotte salariali in Gran Bretagna, in Belgio, in Francia, negli stessi USA, sono un punto di riferimento esemplare per la classe lavoratrice italiana, un vento che va raccolto.

Il governo della destra ha il sacro terrore di un'esplosione sociale, perché capisce che è l'unico evento che può sbarrarle la strada. Lavorare all'innesco di una mobilitazione di massa e darle una prospettiva anticapitalista è la necessità del momento. Sicuramente è e sarà il terreno di impegno del PCL.

Partito Comunista dei Lavoratori

Scioperi operai in Francia

 


Centocinquanta manifestazioni in tutta la Francia, grande corteo a Parigi. Una giornata nazionale di sciopero intercategoriale convocata da CGT, Force Ouvrière, Solidaires. 500000 lavoratori nelle piazze su scala nazionale secondo le cifre fornite dal sindacato CGT. Non è ancora una marea travolgente ma è più di un'azione sindacale ordinaria.


L'impulso all'azione di lotta viene dal basso. Da tre settimane gli operai delle raffinerie della Total sono in sciopero con i picchetti all'entrata per chiedere un forte aumento salariale. La Total nei primi sei mesi del 2022 ha accumulato 10 miliardi di profitti netti. L'inflazione in Francia, poco più bassa che in Italia, sta mangiando il potere d'acquisto. Gli operai della Total chiedono semplicemente di redistribuire i profitti. La Total prima ha opposto un rifiuto, poi ha offerto un aumento del 7%. La CFDT ha accettato, la CGT lo ha respinto perché «assolutamente inadeguato». A questo punto gli scioperi si sono estesi alle altre raffinerie con richieste analoghe, bloccando il rifornimento di benzina in larga parte del paese. Il governo è intervenuto precettando i lavoratori in sciopero. Il risultato è che lo sciopero si è esteso, combinando le rivendicazioni salariali con la difesa del diritto di sciopero. Il tutto alla vigilia del passaggio parlamentare della legge di bilancio, dove un governo privo di una maggioranza parlamentare ha evocato l'utilizzo dell'articolo 49 della Costituzione della Quinta Repubblica: quello che consente al governo di varare una legge senza il voto dell'aula parlamentare, a meno di essere sottoposto a un voto di sfiducia. L'impossibile convergenza parlamentare di NUPES e RN di Marine Le Pen è usata da Macron per affondare il colpo. Sarebbe la prima volta nella storia della Francia che l'articolo 49 viene applicato sulla legge nazionale di bilancio.

In questo quadro generale la burocrazia sindacale di CGT è stata indotta a proclamare una giornata nazionale di sciopero. Il suo obiettivo è duplice: rimontare il sorpasso della CFDT nelle recenti elezioni sindacali, consolidare la propria direzione sul movimento di sciopero per evitare dinamiche fuori controllo. A ciò si aggiunge la “concorrenza” d'immagine con la France Insoumise di Mélenchon, che cerca di intestarsi la rappresentanza politico-elettorale degli scioperi nel nome della creazione di un fronte popolare che unisca tutte le componenti del popolo francese. Un approccio populista e interclassista. Mentre il Partito Comunista Francese si allinea alla burocrazia CGT, di cui è parte, contro «abusive interferenze politiche». Tanto per dare l'idea delle contraddizioni che attraversano la NUPES francese.

Vedremo gli sviluppi della situazione. I marxisti rivoluzionari francesi hanno un ruolo importante nell'avanguardia, e spingono alla generalizzazione del conflitto. I ferrovieri, gli infermieri, gli insegnanti, l'intero settore energetico, diverse aziende industriali, hanno ieri scioperato a fianco dei lavoratori delle raffinerie. Non solo in segno di solidarietà, ma rivendicando un aumento generale dei salari di almeno il 10% (7% per il recupero sull'inflazione e 3% per la redistribuzione dei profitti) e un salario minimo intercategoriale di 2000 euro.
Certo è che dopo l'ascesa degli scioperi operai per rivendicazioni salariali, in Gran Bretagna, in Belgio, negli Stati Uniti, è venuto il momento della Francia. Non è il momento migliore per Macron, che in questo clima ha annunciato il ritorno alla carica per l'aumento dell'età pensionabile. Una prova di forza che si annuncia durissima.

Tutto il movimento operaio italiano deve dare solidarietà al proletariato francese e alla sua lotta. Di certo lo fa il nostro partito. La migliore azione di solidarietà è quella di fare come in Francia, come in Gran Bretagna, come in Belgio, come negli Stati Uniti, rompendo finalmente la lunga pace sociale che la burocrazia CGIL ha garantito ai padroni e ai governi italiani.
Per un forte aumento salariale unificante di 300 euro netti, la scala mobile dei salari, il blocco immediato delle bollette e dei prezzi alimentari. Per una lotta generale che vada sino in fondo. Non per un fronte popolare interclassista, ma per un governo dei lavoratori e delle lavoratrici.

Partito Comunista dei Lavoratori

Lettera aperta alle compagne e ai compagni del PRC

 


Alle compagne e ai compagni del Partito della Rifondazione Comunista


Il necessario fronte unico di lotta contro il governo delle destre, che noi proponiamo a tutte le sinistre politiche, sindacali, associative e di movimento, non può e non deve silenziare il confronto interno alla sinistra. Combinare la massima unità d’azione con la massima franchezza nella critica ci pare il metodo più onesto di relazione. Il più leale perché il più sincero.

Partiamo da un principio di realtà. Unione Popolare ha largamente mancato, com’era prevedibile, l’annunciato ritorno in Parlamento. A migliaia di militanti era stato spiegato che nascondere la riconoscibilità di una sinistra classista sotto le vesti di una lista civico-progressista avrebbe favorito un approdo istituzionale; che il sostegno di Mélenchon avrebbe fatto la differenza col passato; che la crisi del M5S aveva liberato un nuovo spazio; che la subalternità di Sinistra Italiana al PD aveva fatto chiarezza. Che questa volta, insomma, era la volta buona per riscattare la sinistra cosiddetta radicale dalla sua marginalità.

I fatti hanno smentito alla radice tutto l’impianto di questa argomentazione. Sinistra Italiana entra in Parlamento, il M5S si rilancia con un profilo “sociale” capitalizzando la crisi del PD, l’effetto Mélenchon dura lo spazio di un discorso e del relativo applauso. Unione Popolare resta al palo, con un voto di poco superiore a quello di Potere al Popolo nel 2018. L’impegno generoso di tante compagne e compagni è esposto al disincanto e all’amarezza.

Ora i fatti hanno bisogno di una spiegazione. Il punto non è il risultato elettorale in quanto tale, se non di riflesso, ma la natura di un'impostazione politica che di elezione in elezione ripropone da quindici anni la stessa minestra. Prima Sinistra Arcobaleno, poi Rivoluzione Civile di Ingroia, poi l’Altra Europa con Tsipras, poi Potere al Popolo, poi La Sinistra con Fratoianni, infine Unione Popolare con De Magistris. Qual è l’elemento comune di queste diverse esperienze? La rimozione della centralità del lavoro salariato nel nome della cittadinanza democratica, a volte giustizialista, a volte progressista, a volte sociale, più spesso un impasto di tutti questi ingredienti. E al tempo stesso l’esibizione ogni volta di una nuova sigla e di una nuova figura con cui incorniciarla: Ingroia, Spinelli, Tsipras, De Magistris, tutti annunciati come i salvatori, tutti immancabilmente smentiti. Senza che si sia mai tracciato un bilancio.

L’elemento che semmai ha distinto Unione Popolare rispetto alle esperienze precedenti sta nell’ancor più marcato carattere personalistico e autocentrato attorno alla figura di De Magistris e alla sua cultura cittadinista e istituzionalista. Assieme al gruppo dirigente di Rifondazione Comunista, De Magistris ha ricercato sino all’ultimo minuto utile l’accordo col M5S, nonostante venisse da un'intera legislatura di governo antioperaio e antipopolare. Il risultato è stato quello di contribuire a riverniciare come soggetto “di sinistra” un partito borghese, cioè ad avallare l’operazione trasformista di Conte. Il tentativo di correggere la rotta nelle settimane successive, dopo il rifiuto di Conte, non poteva rimontare gli effetti del guasto prodotto, a danno della stessa Unione Popolare. È vero che Potere al Popolo non ha condiviso l’apertura al M5S da parte di De Magistris e del PRC. Ma non ha messo in discussione l’impianto politico-culturale da cui quella proposta veniva: la ricerca di un blocco civico-progressista al posto di una sinistra di classe anticapitalista.

Questa impostazione rivolta alla “cittadinanza”, a scapito della centralità del lavoro salariato, non è isolata in Europa. È stata coltivata da Tsipras quale coperta ideologica della propria ascesa al governo dopo il 2015, quando gestì i memorandum della Troika contro le lavoratrici e i lavoratori greci. È stata assunta come marchio culturale da Podemos, che oggi siede con quattro ministri nel governo dell’imperialismo spagnolo, votando l’aumento delle spese militari e l’allargamento della NATO. È da tempo richiamata da Mélenchon, già ministro di Jospin al tempo dei bombardamenti di Belgrado, che ha costruito la propria France Insoumise attorno a un impasto populista di sinistra, sensibile al tricolore, equivoco sull’immigrazione, indifferente all’autodeterminazione delle colonie francesi d’oltremare. E che oggi, in nome dell’alleanza con il Partito Comunista Francese, i Verdi e la socialdemocrazia francese (NUPES) ha di fatto rimosso la stessa rottura con la NATO. Sono questi i riferimenti internazionali esibiti e rivendicati da De Magistris e Unione Popolare nella speranza (vana) di un beneficio elettorale. Ma cosa hanno a che fare con una prospettiva anticapitalista?

Ciò che ha fatto e fa la differenza in termini di fortune elettorali tra queste sinistre riformiste e la sinistra “radicale” di casa nostra è la diversa relazione con le dinamiche di massa.
Tutte le sinistre riformiste prima richiamate hanno incrociato processi di radicalizzazione. L’ascesa di Syriza fu il sottoprodotto della resistenza sociale prolungata delle lavoratrici e dei lavoratori greci alla rapina del capitale finanziario. Podemos fu innalzato dalla mobilitazione di massa degli indignados nel 2011. La parabola di Mélenchon si è intersecata con grandi mobilitazioni radicali contro Hollande e Macron. Il loro successo elettorale fu sempre un effetto distorto della radicalizzazione sociale. E quando ha portato quelle sinistre al governo, le ha poste contro le lavoratrici e i lavoratori e ne ha innescato la crisi.

In Italia lo stesso film è stato girato negli anni ‘90 e nei primi anni 2000, quando Rifondazione prima raccolse la domanda di rappresentanza e di svolta di ampi settori di massa, e poi la tradì in cambio di ministeri, votando missioni militari (Iraq e Afghanistan), precarizzazione del lavoro (con la terribile controriforma del Pacchetto Treu, votata nel 1997, quando il PRC era “solo” in maggioranza), detassazione dei profitti (7 miliardi di euro di riduzione annua solo per banche ed assicurazioni), etc... Quello fu il punto di rottura e di declino non solo del PRC, ma del movimento operaio italiano. Il salto dell’arretramento della sua coscienza politica, dei suoi livelli di mobilitazione, della sua stessa rappresentanza politica. A tutto vantaggio non solo dei padroni, ma dei peggiori populismi reazionari e della loro penetrazione nell’immaginario collettivo dei salariati. Le percentuali elettorali della sinistra radicale, tutta, sono la registrazione di questa dinamica. La ritirata di Rifondazione nel civismo democratico e progressista, nell’ultimo decennio, non ha fatto che accompagnare e aggravare il processo.

Si può invertire la rotta solo con un cambio drastico. Solo assumendo la classe operaia come riferimento centrale e la prospettiva di rivoluzione socialista come obiettivo strategico. Solo ponendo a tema la ricostruzione del partito della classe lavoratrice attorno ad un programma anticapitalista. Il partito che oggi manca, l’unico di cui le lavoratrici e i lavoratori hanno bisogno. Un partito che in ogni lotta e movimento si batta per unificare il fronte di classe, sviluppare la sua coscienza, ricostruire la fiducia nelle proprie forze, fare della classe operaia la direzione egemone di tutte le lotte di emancipazione e liberazione: ambientaliste, di genere, contro la guerra e gli imperialismi.

Questo cambio drastico di prospettiva è inseparabile da un bilancio. Il bilancio che il gruppo dirigente del PRC si è mostrato incapace di fare. Quando nel 2006 rompemmo col PRC, nel momento stesso della sua compromissione con Prodi, lo facemmo nel nome di una prospettiva strategica alternativa, realmente di classe e comunista. Allo stesso tempo indicammo che la scelta governista avrebbe avuto conseguenze deleterie sul PRC in quanto tale. Le elezioni del 2008 dimostrarono che avevamo avuto ragione anche su questo. Purtroppo per le tante e i tanti militanti colpiti dalla sconfitta, la logica comprensione che l’alternativa che avevamo indicato due anni prima era l’unica corretta fu bloccata assurdamente da una pretesa battaglia di sinistra all’interno del partito guidata da Paolo Ferrero. E così, come in altre drammatiche situazioni nella storia del movimento operaio, tante compagne e compagni in buona fede dimenticarono il passato recente. In questo caso dimenticarono che Paolo Ferrero era stato il solo ministro del PRC nel governo, che aveva votato a favore di tutte le misure antioperaie e militariste, e che non aveva mai, fino al disastro elettorale (dopo la caduta del governo per scelta di Mastella), sollevato la minima obiezione ad una politica di cui con Bertinotti era stato il massimo artefice e su cui non ha mai fatto alcun bilancio critico. Molte e molti di coloro che allora si illusero sulle posizioni di Ferrero sono “tornati a casa”, demoralizzati. Tante e tanti altri hanno retto di fronte a sempre nuove sconfitte. È ora che essi e quei pochi giovani che si sono aggiunti a loro traggano finalmente il bilancio del passato e del presente, e prendano un’altra via. La stessa che gli proponemmo per anni nel PRC e poi con la nostra rottura nel 2006. Gli effetti del crollo previsto del PRC sono ricaduti su tutti, anche sul PCL. Ma la prospettiva anticapitalista, rivoluzionaria, internazionalista è l’unica bussola da cui ripartire. L’unica che può segnare un cammino di coerenza, tanto più in tempi difficili.

Per questo vi proponiamo di costruire insieme il Partito Comunista dei Lavoratori. Un partito che non si è mai subordinato ai partiti borghesi né mai ha dovuto nascondersi in liste civiche.
Un partito comunista, di nome e di fatto.

Partito Comunista dei Lavoratori

Il portafoglio del clima

 


L'impossibilità di un capitalismo verde

Il 4 ottobre lo Swiss Re Institute ha messo nero su bianco il volume di miliardi necessario, a suo dire, per realizzare l'obiettivo delle emissioni zero entro il 2050 a livello mondiale. Si tratta di 290000 miliardi di dollari. Per rispettare questa esigenza, ogni anno andrebbero messi sul piatto a livello globale 9400 miliardi: elettrificazione delle strade, decarbonizzazione ed energie rinnovabili, infrastrutture, riconversione industriale...

Però lo stesso Swiss Re Istitute lamenta disgraziatamente il fatto che negli ultimi dieci anni «...appena il 2% delle risorse necessarie è stato realmente indirizzato a favore delle azioni di contrasto al cambiamento climatico».

È la confessione – se ve ne era bisogno – del fallimento del capitalismo sul versante climatico. Ossia dell'incapacità strutturale dell'economia di mercato fondata sul profitto di perseguire gli stessi obiettivi che formalmente declama. Se non che lo stesso istituto conclude che per cambiare la rotta «sarà cruciale l'impegno del settore privato... Perché ciò avvenga il pubblico deve creare un quadro... adeguato che spinga le aziende a reindirizzare il capitale esistente in investimenti sul clima». Detto in prosa: lo Stato riduca ulteriormente le tasse sugli investimenti ecologici dei capitalisti e la mano invisibile del mercato compirà il miracolo che sinora ha mancato.

Il capitale batte cassa nel momento stesso in cui dichiara fallimento. Un mondo capovolto che ruota su sé stesso. Solo una rivoluzione anticapitalista può salvare il pianeta riorganizzando alla radice l'economia mondiale.

Partito Comunista dei Lavoratori

Entra sulla scena la classe operaia iraniana

 


La ribellione di massa si estende

La ribellione al regime teocratico iraniano si estende. La mobilitazione delle donne ha prima coinvolto le principali università del paese, poi si è allargata alle scuole superiori e ai licei.
Ora nel varco aperto dai giovani fanno irruzione gli scioperi operai. Nelle industrie petrolifere e petrolchimiche dell'Iran, a partire dalle raffinerie della provincia di Bushehr, di Abadan nell'Ovest e di Kengan nel Sud, gli operai hanno incrociato le braccia in appoggio alla sollevazione degli studenti e delle donne contro la repressione sanguinosa del regime. Gli scioperi sono stati accompagnati dal blocco degli accessi alle fabbriche con l'uso di automobili e pneumatici bruciati. Nell'agitazione entrano anche rivendicazioni salariali, come già negli scioperi del 2021. Ma oggi la motivazione essenziale è politica. Ad Assaluyeh gli operai scandiscono “Non temere, restiamo uniti”, “ Morte al dittatore”. La parola d'ordine “donne, vita, libertà” ha scavato nel profondo dell'immaginario collettivo della giovane generazione .

Valuteremo la dinamica degli avvenimenti. Ma l'irruzione degli scioperi operai è un fatto carico di potenzialità enormi. Nel 1978-'79 furono gli scioperi operai nell'industria petrolifera a preparare la cacciata dello Scià. La memoria lunga di quell'evento è rimasta nella storia dell'Iran. Solo la classe operaia può unificare ed estendere la ribellione della gioventù e aprire una crisi rivoluzionaria nel Paese..

Campisti putiniani di casa nostra o simpatizzanti tali, che vedono il mondo attraverso il prisma degli schieramenti geopolitici e non delle classi sociali, fanno il verso ai mullah e alla loro polizia religiosa inveendo contro il solito “complotto imperialista” e appoggiando la repressione del regime. Una vergogna infame. Noi stiamo come sempre dall'altra parte della barricata, al fianco della ribellione operaia e studentesca. Per un governo dei lavoratori e delle lavoratrici iraniani/e, l'unico che possa spazzare via dall'Iran la dittatura islamista e ogni interesse imperialista. La costruzione del partito della rivoluzione in Iran è posto dai fatti all'ordine del giorno.

Partito Comunista dei Lavoratori

Podemos in armi

 


7 Ottobre 2022

Rifondazione e Potere al Popolo hanno qualcosa da dire?

Il governo spagnolo ha approvato in Consiglio dei ministri la sua terza legge finanziaria. La particolarità rispetto alle leggi precedenti è l'aumento del 25% (!!) delle spese militari: oltre 12 miliardi. La ministra delle finanze María Jesús Montero, trionfante, ha dichiarato che lo stesso trend progressivo di aumento sarà necessario anche negli anni futuri consentendo così alla Spagna per il 2027-2029 di raggiungere il 2% del PIL di spese in armamenti richiesto dalla NATO. “Gli impegni del Presidente Sanchez si devono rispettare” ha dichiarato Montero. Non si riferiva a quelli presi con gli elettori, ma a quelli presi con i generali.

Il punto è che Podemos ha ben quattro ministri nel governo dell'imperialismo spagnolo. Ministri che si guardano bene dall'uscirne. Sfoggiano alate parole di pace, ma votano le spese di guerra del proprio governo. Proprio come facevano Bertinotti e Ferrero con Prodi.
Il punto è che Podemos è l'alleato spagnolo di Unione Popolare, appena celebrato da Luigi De Magistris in campagna elettorale, incassandone il plauso. PRC e Potere al Popolo hanno fatto la ola. Hanno ora qualcosa da dire?

Partito Comunista dei Lavoratori

No all’accordo criminale di allargamento della NATO!

 


Dichiarazione congiunta tra Collettivo Rivoluzione Permanente (CoReP), Comitato provvisorio di ricostituzione dell’Opposizione Trotskista Internazionale (OTI) e PCL

Il nostro partito ha preso una chiara posizione di difesa della Ucraina contro l’aggressione dell’imperialismo putiniano. Allo stesso tempo abbiamo ribadito la nostra totale contrapposizione agli imperialismi occidentali, incluso quello italiano, dichiarando che se l'attuale guerra di aggressione russa in Ucraina si fosse trasformata in una vera guerra tra Russia e NATO (o una parte di essa) noi avremmo modificato la nostra posizione, passando a un disfattismo bilaterale contro entrambi gli imperialismi in lotta. Per questo abbiamo in particolare condannato a fine giugno (si veda il nostro sito in data 29/06/2022) l’allargamento della NATO a Svezia e Finlandia, definendolo giustamente “criminale”. A luglio abbiamo realizzato, proprio a partire dal nostro testo, una dichiarazione comune con i compagni del Collettivo Rivoluzione Permanente (CoReP), un'organizzazione trotskista con gruppi in Austria, Francia, Spagna, Turchia. Con questo raggruppamento avevamo già firmato una dichiarazione comune riferita all’aggressione russa all’Ucraina, pubblicata sul nostro sito il 18 luglio scorso. Proprio la vicinanza temporale dei due testi (scontati i tempi di discussione, emendamento e traduzione in varie lingue) avrebbe dato il senso della posizione generale comune con i compagni del CoReP. Purtroppo, prima una incomprensione sull’accettazione o meno di due emendamenti finali al testo, poi gli impegni estivi legati alla presentazione elettorale (anche se limitata in Liguria in forma piena, ma anche in altre regioni senza presentazione effettive), ci ha portato a un ritardo nella pubblicazione in italiano, di cui chiediamo scusa ai nostri lettori e alle nostre lettrici e ai compagni del CoReP. In ogni modo, le posizioni qui espresse restano del tutto valide ad oggi, così come il riferimento alla situazione curda, che ha alcune somiglianze con quella ucraina, in particolare sulla questione dell’armamento del popolo oppresso da parte dell’imperialismo USA, e che inoltre è un punto gravissimo dell’accordo sull’adesione alla NATO di Svezia e Finlandia, perché prevede, su richiesta turca, la fine di ogni aiuto ai rifugiati curdi.



Nel 2014 i combattenti curdi erano esaltati in Occidente come gli eroi della guerra contro l’organizzazione terroristica islamica ISIS. Largamente armati dalla NATO e in primo luogo dall’imperialismo USA (senza che, giustamente, gli attuali sedicenti pacifisti o i semiputitiani ci trovassero niente a che ridire), erano la forza di prima fila di quella guerra.
Pochi obiettarono persino alla scelta – questa secondo noi gravemente errata – del YPG/YPJ di combattere successivamente non solo con l’appoggio, ma materialmente, insieme alle truppe USA.

Nel 2015, per conservare la Turchia nella NATO, Trump ha autorizzato l’invasione militare decisa da Erdogan nel Nord della Siria, destinata a cacciare il PKK-YPG. Erdogan aveva dal 2012 al 2015 finanziato e ospitato le bande islamiste della Siria (in particolare Al-Nusra legata a Al-Qaeda).

Oggi tutto questo è dimenticato in nome del confronto con l’imperialismo russo. In maggio, il governo riformista di Svezia (SAV, partito socialdemocratico) e il governo di fronte popolare di Finlandia (SDP-Kesk-Vihr-Vas-SFP) hanno deciso di aderire alla NATO. Lo Stato turco ha messo delle condizioni. Il 29 giugno il summit di Madrid della NATO ha accettato la loro richiesta. Erdogan avrà tutte le armi che vuole, Svezia e Finlandia rinunceranno a ogni residuo di difesa dei rifugiati politici (già si stanno preparando le liste di espulsione).

La nostra condanna di questo criminale accordo non potrebbe essere più forte. Lo sviluppo e il rafforzamento della NATO rientrano nel nuovo devastante quadro mondiale di scontro, e domani forse guerra aperta, tra le vecchie potenze imperialiste capeggiate dagli USA e il nuovo blocco imperialista Cina-Russia nato dal crollo o trasformazione capitalistica dei vecchi regimi stalinisti.

Di fronte a questa situazione, in cui lo scontro reale è quello tra le borghesie capitalistiche dei due fronti, noi, da leninisti conseguenti, ci dichiariamo per il disfattismo bilaterale e la trasformazione dello scontro imperialistico in guerra civile e rivoluzione socialista. Però, sempre da leninisti, noi sappiamo distinguere tra le potenze imperialiste e gli Stati e le nazioni che non lo sono. Per questo siamo incondizionatamente dalla parte del popolo curdo contro tutti i suoi nemici, si chiamino Erdogan, Assad, Fatah al-Cham (ex Al-Nusra) o ISIS-Daesh, e siamo perché esso si armi per la sua difesa in qualunque modo possibile, così come continuiamo a sostenere l’Ucraina nella sua lotta per difendere l’indipendenza nazionale dal tentativo dell’oligarchia russa di distruggerla.

Ciò senza alcun sostegno politico alle direzioni di tali Stati o nazioni, e sempre nella prospettiva della rivoluzione socialista.

Naturalmente riconosciamo la differenza tra il governo Zelensky e una organizzazione piccolo-borghese radicale come il PKK. Ma non sosteniamo le misure sociali prese dal PKK-PDY-YPG nazionalista, il suo culto del capo (Abdullah Ocalan), le sue misure antiarabe nel mini stato del Rojava e i suoi compromessi con l’imperialismo americano.

Ma ciò non toglie che la difesa di una nazione aggredita o oppressa sia un dovere in ogni caso, anche quello dell’Ucraina, come fece la Russia rivoluzionaria nel 1920 rispetto alla Turchia dominata dal borghese Kemal contro la Grecia appoggiata dall’imperialismo inglese.

• No all’accordo criminale di allargamento della NATO
• No alle armi al regime reazionario di Erdogan
• Giù le mani dai rifugiati curdi in Svezia e Finlandia
• Terrorista non è il PKK, ma la NATO e l’OTSC (alleanza militare tra Russia e paesi satelliti)
• Per lo scioglimento incondizionato dei due blocchi militari
• Ritiro delle truppe turche e siriane dai territori curdi
• Per il diritto incondizionato del popolo curdo alla sua autodeterminazione
• Per un Kurdistan indipendente, unito e socialista, nell’ambito di una Federazione socialista del Medio Oriente

Collettivo Rivoluzione Permanente (Austria, Francia, Spagna, Turchia)

Comitato provvisorio internazionale di ricostituzione dell’Opposizione Trotskista Internazionale (OTI)

Partito Comunista dei Lavoratori (Italia)

Italpizza. Giudici borghesi, giù le mani dalle lavoratrici e dai lavoratori in lotta!

 


5 Ottobre 2022

Il Partito Comunista dei Lavoratori esprime la massima solidarietà al SI Cobas e alle lavoratrici e ai lavoratori che ha diretto nello scontro con Italpizza per la conquista di un importante riconoscimento sindacale.

Le operaie e gli operai hanno usato giustamente gli strumenti consentiti loro dalla lotta di classe: scioperi, picchetti e manifestazioni. Per questo sono stati assurdamente denunciati. La magistratura borghese oggi, però, non si limita a questa ingiustizia, ma arriva all’aberrazione tipica di un vero e proprio regime antioperaio, di accogliere la richiesta padronale di processare il SI Cobas per il risarcimento dei danni che l’azienda avrebbe subito. Risarcimento che potrebbe arrivare alla cifra stratosferica di 500.000 euro.

Che i padroni del settore della logistica e della produzione siano feroci sfruttatori di lavoratrici e lavoratori lo sappiamo da sempre. Ma oggi assistiamo a un salto di qualità e al diretto attacco della magistratura e degli istituti giuridici dello stato borghese ai più elementari diritti sindacali.
Guerra, disoccupazione, inflazione, miseria distruzione ambientale sono il prezzo quotidiano che la classe lavoratrice e le masse popolari pagano ogni giorno in ossequio a quell’autentico sistema di rapina sociale rappresentato dall’organizzazione borghese della società. Ora si aggiunge questa infame repressione giudiziaria.

Colpiscono uno, colpiscono tutti. Tutte le organizzazioni che fanno riferimento alla classe operaia devono scendere immediatamente sul terreno della lotta e contribuire a costruire il più ampio fronte unitario di massa della classe lavoratrice sulla base di una vertenza generale unificante che risponda ai suoi interessi immediati e futuri.
L’unica soluzione è aprire una fase nuova nella prospettiva anticapitalista del governo dei lavoratori, l’unico che può garantire veramente le condizioni di vita della classe operaia e i diritti democratici di tutte e tutti.

Partito Comunista dei Lavoratori

Dichiarazione del Comitato Centrale del RRP (Russia) sulla situazione attuale

 


5 Ottobre 2022

Pubblichiamo il comunicato del Revolyutsionnaya Rabochaya Partiya (Partito Operaio Rivoluzionario) sull'avvio e sui primi effetti della cosiddetta mobilitazione parziale annunciata da Putin. Il comunicato critica duramente e coraggiosamente la guerra e la mobilitazione, e invita a ricorrere a mezzi legali per evitare laddove possibile la chiamata al fronte. Siamo al fianco dei compagni e delle compagne russe in questa loro importante e decisiva battaglia di classe, che è per loro oggi innanzitutto una battaglia contro la loro borghesia imperialista affamatrice e criminale.



L'annuncio e l'inizio della mobilitazione parziale in Russia è l'evento più significativo da molto tempo a questa parte.

A malincuore, dopo un lungo ritardo, le autorità hanno comunque deciso di adottare pratiche di mobilitazione su larga scala. Non c'è stato nulla di paragonabile a questo fin dalla Grande Guerra Patriottica.

La riluttanza a mobilitarsi è ovvia e comprensibile.

Lo Stato russo, come è noto alla persona media, mirava alla DE-mobilitazione della popolazione; il governo non aveva bisogno di opposizione, ma non aveva nemmeno bisogno di sostenitori. Tutte le funzioni politiche sono state assunte dall'apparato burocratico, che ha cercato di trasformare tutta la vita pubblica in una cerimonia ufficiale. Questo era il quadro che si stava delineando all'inizio del regno di Putin, quando l'avanguardia operaia era stata frantumata nelle lotte di classe degli anni Novanta, e poi sono arrivati i “sazi” anni 2000. Così la maggioranza della popolazione ha "accettato" questo tacito patto: i cittadini non si occupano di politica, la politica non si occupa dei cittadini. E così è stato per molto tempo, e i singoli – seppur numerosi – eccessi non sono diventati un sistema.

E anche quando "esperti" e orchestratori dilettanti hanno iniziato a operare in Ucraina, l'illusione ha retto. Ma ora quell'accordo è finito per sempre. Ora la macchina statale ha iniziato a mostrare e ad accrescere il dispotismo, interferendo con la forza nella vita dei cittadini, sbattendo le persone al fronte, distruggendo l'abituale vita da retrovia, e per di più su scala massiccia, colpendo milioni di persone alla volta. Il modo in cui i cittadini russi hanno percepito il cambiamento è visibile nella crescita dell'ansia, nella scomparsa del patriottismo, negli stati d'animo di panico, nell'indignazione della gente. E questi sono solo i primi giorni, ma non si vede fine della mobilitazione. La famigerata operazione rischia di diventare permanente.

La violenza sul fronte interno e la crescita dell'illegalità e dello sfruttamento non potranno che aumentare. I funzionari sono in combutta con il capitale.

Lo Stato ha teoricamente (!) garantito che i mobilitati manterranno il loro posto di lavoro. Ovviamente qui si parla solo di coloro che lavorano con un contratto, quando milioni di persone lavorano senza contratto, grazie allo stesso governo. Non ci saranno posti di lavoro per loro. Anche questo patetico emendamento non è comparso immediatamente, ma sotto la pressione dell'opinione pubblica.

La Duma ha apparentemente (!) approvato una legge per il blocco dei debiti per i mobilitati. Il presidente dell'Associazione bancaria ha dichiarato che se iniziassero a condonare i debiti, le banche potrebbero fallire. Quindi anche la morte non è una scusa per non pagare: il giogo fiscale sarà ereditato. Resta da vedere se la soluzione del blocco rimarrà, dato che le leggi vengono stampate e passano attraverso il ciclo completo di approvazione nel giro di poche ore.

Questa è la situazione dei mobilitati. Non andrà meglio per il fronte interno: lo sradicamento di trecentomila specialisti abili e qualificati dall'economia porterà nel prossimo futuro a un aumento dello sfruttamento dei lavoratori rimasti, perché ora sarà necessario lavorare per se stessi e per gli uomini arruolati al fronte. Allo stesso tempo, nessuno parla di un aumento dei salari. L'inflazione e l'aumento dei prezzi continueranno a devastare il già esiguo paniere alimentare dei lavoratori. E nessuno parla di misure contro l'inflazione. Non si parla nemmeno della nazionalizzazione delle imprese strategiche oggi nelle mani di proprietari "efficienti". Lasciamo che siano i lavoratori a pagare l'operazione con il loro sudore nelle retrovie, con il loro sangue nella zona di guerra, mentre la proprietà e i profitti sono affari privati della borghesia, e i funzionari non si intrometteranno negli affari privati.

Violenza, oppressione e sfruttamento sono diventati una realtà per milioni di cittadini russi, grazie a questa decisione, seppur "parziale".

Non sappiamo esattamente quando l'usura dei pezzi di ricambio dovuta alla mancata sostituzione delle importazioni e l'obsolescenza del parco macchine utensili dovuta all'industria delle macchine utensili "ottimizzata" porteranno all'inceppamento dell'industria nel suo complesso.

Non sappiamo quando le istituzioni statali, divorate dalla corruzione e dalle tangenti, inizieranno a sgretolarsi e a crollare sulle teste dei cittadini comuni.

Né possiamo dire con esattezza quante altre decisioni sbagliate saranno prese da una "élite" decaduta e invecchiata al fronte e sul fronte interno. E quante migliaia di vittime costerà ai lavoratori.

Ma ciò che è certo è che la lotta sta diventando l'unico mezzo di autoconservazione per la classe operaia. I lavoratori non sono bestiame e non si lasceranno degradare a bestiame, aspettando obbedientemente le rappresaglie.

Se la borghesia e i burocrati iniziano una guerra di classe contro i lavoratori, sappiamo che i lavoratori non esiteranno a rispondere. E che i lavoratori hanno tutto per vincere.

Compagni! Se siete stati chiamati al fronte, il partito ha un ufficio di assistenza legale che può consigliarvi sulla legalità della chiamata, e sulle modalità e strategie che possono aiutarvi in questa situazione. Contattate i nostri gruppi tramite messaggio privato o i compagni che ne fanno parte.

Nessuna operazione che non sia un'operazione di classe!

Revolyutsionnaya Rabochaya Partiya (Partito Operaio Rivoluzionario)

Solidarietà del sindacalismo di classe italiano al SUTNA argentino

 


Come la repressione colpisce i lavoratori in ogni angolo del mondo. Anche in Argentina, le esemplari lotte operaie per un salario dignitoso si scontrano con l'apparato giudiziario e poliziesco che mette sotto accusa uno dei principali dirigenti del SUTNA, sindacato che rappresenta i lavoratori delle fabbriche di pneumatici. Riportiamo di seguito due comunicati di solidarietà al SUTNA da parte dei sindacati italiani SGB e SI Cobas.

Solo una mobilitazione proletaria su scala planetaria può spazzare via le istituzioni borghesi, espressione di questo sistema, il capitalismo, sempre più decadente.



SGB AL FIANCO DELLA LOTTA DEL SUTNA ARGENTINO

Il Sindacato Generale di Base esprime la propria solidarietà ad Alejandro Crespo, segretario generale del sindacato argentino SUTNA (Sindicato Único de Trabajadores del neumático Argentino), denunciato penalmente per la sua azione di lotta in difesa dei lavoratori delle fabbriche di pneumatici Pirelli, Bridgestone, Fate ed altre.

A fronte di un tasso di inflazione che in Argentina ha ormai toccato quota 100%, la parte datoriale ha concesso, in sede di trattiva per il rinnovo del contratto collettivo, un aumento del 38% in busta paga.

Una provocazione che non poteva restare senza risposta: immediatamente i lavoratori del SUTNA hanno occupato il palazzo del Ministero del Lavoro proclamando lo sciopero prolungato a tempo indeterminato. Mentre i media al servizio del padronato si sono subito scagliati contro quella che è una legittima quanto elementare rivendicazione salariale, Crespo si trova ora a doversi difendere dall’accusa della magistratura.

Ancora una volta i fatti dimostrano, in Argentina come in Italia, dove nell’estate appena trascorsa la Procura di Piacenza ha messo agli arresti domiciliari e disposto misure cautelari per alcuni dirigenti del SI Cobas e della USB (Sindacato Generale di Base | LE LOTTE OPERAIE NON SI PROCESSANO! MANIFESTAZIONE NAZIONALE SABATO 23 LUGLIO A PIACENZA (sindacatosgb.it)), che rimane come sempre necessaria una risposta unitaria e coesa dell’intera classe lavoratrice, che travalichi ogni frontiera nazionale, ogni differente appartenenza di categoria o di sigla.

L’aggravarsi delle varie crisi in atto (bellica, energetica, inflattiva, pandemica), che seminano sempre più un diffuso malcontento, mettono tutti noi di fronte all’urgenza di una mobilitazione generale prolungata.

Nessuna lotta sindacale vada sotto processo. Paghi chi non ha mai pagato: padroni, capitalisti, governi borghesi.

Con Alejandro! Con tutti i lavoratori colpiti dalla repressione poliziesca e giudiziaria! (1)

Sindacato Generale di Base



SOLIDARIETÀ DEI LAVORATORI SI COBAS AI COMPAGNI ARGENTINI DEL SUTNA IN LOTTA E AL LORO LEADER ALEJANDRO CRESPO

Cari compagni del SUTNA, il SI Cobas, sindacato di base italiano, esprime la sua piena solidarietà alla vostra decisa lotta per la difesa del salario, a fronte di un’altissima inflazione, e contro la dura resistenza delle aziende del settore gomma, inclusa l’italiana Pirelli, che hanno deciso la serrata.

Piena solidarietà anche al vostro segretario generale Alejandro Crespo, denunciato dal governo.

Ovunque i governi e le istituzioni borghesi sostengono i padroni contro i lavoratori, anche in Italia dove nel luglio scorso il coordinatore nazionale del SI Cobas Aldo Milani è stato messo agli arresti domiciliari insieme ad altri militanti del sindacato con accuse false e infondate.

La risposta di lotta di migliaia di lavoratori ha fatto ritirare gli arresti.

Anche in Italia l’aumento del costo della vita sta falcidiando i salari, e si rende necessaria una risposta generalizzata di lotta. Insieme ad altri sindacati di base, stiamo preparando lo sciopero generale del 2 dicembre, per il salario e contro la partecipazione del governo italiano alla guerra in Ucraina e il riarmo, per l’unione internazionale dei lavoratori di tutti i paesi – compresi ucraini e russi – contro i rispettivi governi e contro il capitalismo che produce sfruttamento e guerra.

La vostra lotta è un esempio per tutti i lavoratori anche in Italia.

Auguriamo pieno successo alla vostra lotta, adoperandoci per promuovere il sostegno dei lavoratori combattivi della Pirelli in Italia. (2)

SI Cobas – Commissione per la Solidarietà Internazionale





(1) https://www.sindacatosgb.it/sgb-al-fianco-della-lotta-del-sutna-argentino/

(2) https://sicobas.org/2022/09/29/argentina-solidarieta-del-si-cobas-ai-compagni-argentini-del-sutna-in-lotta-e-al-loro-leader-alejandro-crespo/

Intervista a un compagno del Revolyutsionnaya Rabochaya Partiya

 


1 Ottobre 2022

English translation

Pubblichiamo questa intervista fatta a un compagno russo del Revolyutsionnaya Rabochaya Partiya, RRP (Partito Operaio Rivoluzionario), che si è coerentemente espresso contro la guerra in Ucraina e contro l’imperialismo russo. Per garantire la sicurezza del nostro compagno omettiamo il suo nome, così come tutti i nomi di luoghi. Il compagno ha inoltre insistito a utilizzare nell’intervista l’espressione “operazione militare speciale” anziché “guerra”. Ci ha spiegato che anche solo l’uso della parola guerra, infatti, potrebbe essere sufficiente per subire una denuncia amministrativa. Auguriamo a lui e alle altre compagne e compagni buon proseguimento di lotta.

L'intervista è stata fatta poco prima dell'annuncio da parte di Putin della cosiddetta mobilitazione parziale. Va quindi tenuto conto di questo per ciò che riguarda i giudizi e le analisi contenute nelle risposte del compagno (n.d.r.)


Compagno, ci puoi riassumere la posizione del tuo partito sulla guerra?

Sì, certo. La posizione del mio partito è stata esposta abbastanza dettagliatamente. Dopo il nostro ultimo congresso, che si è tenuto nel maggio di quest’anno, la nostra posizione è stata confermata definitivamente. È basata sulle conclusioni del lavoro di Vladimir Ilich Lenin L'imperialismo, stadio supremo del capitalismo, e appellandosi a questo lavoro, alla teoria dell’imperialismo, noi non riteniamo che vi sia un imperialismo buono. Io non l’ho mai pensato. Guardiamo per esempio il dirigente del Partito Comunista della Federazione Russa (PCFR) Gennadii Andreevich Ziuganov, e il famoso filosofo di sinistra Žižek. Talvolta le loro opinioni combaciano, e in questo caso hanno combaciato. Le loro posizioni sulla borghesia hanno combaciato. Slavoj Žižek e Gennadii Ziuganov pensano che ci sia un capitalismo buono che si oppone a quello cattivo. Dal punto di vista di Žižek è il capitalismo occidentale che è più progressivo di quello russo, e conformemente Ziuganov sostiene la posizione opposta, che il capitalismo russo sia più progressivo di quello occidentale. In realtà la loro posizione è la stessa. Io non penso che un capitalismo imperialista possa essere progressivo. La posizione del nostro partito si riferisce proprio a questo. Può essere letta sul nostro sito, e anche sui nostri gruppi, precisamente su Facebook, e sulla rete sociale russa VK, VKontakte, che è quella che principalmente usiamo, nonché su Telegram. L’abbiamo esposta sia come una posizione programmatica a parte, sia come parte della risoluzione del nostro congresso.


Ci puoi raccontare quando e perché ti sei unito al Partito Operaio Rivoluzionario?

Allora, nel 2014 io tendevo già ad avere delle vedute, delle idee di sinistra. Poi ho avuto un cambiamento. Direi che all’epoca ero un po’ più liberale di adesso. Forse perché non sono abbastanza istruito, o perché vivo in un posto di provincia, non capisco molte cose. Non dico che sono omofobo o transofobo, ma non capisco molte cose sulle questioni di genere. Non capisco molte cose dei cosiddetti partiti neomarxisti, dove vedo molta pretenziosità. A un certo punto, un membro del Comitato Centrale del nostro partito mi ha scritto su internet. L’hanno fatto anche con altre persone. Quando vedevano che qualcuno sembrava interessato al socialismo, al comunismo, gli scrivevano sulla rete sociale VK: «Ciao, ti interessano le idee comuniste? Vorresti entrare nel nostro partito?». Il partito cerca di fare propaganda un po’ come Gandhi [ride]: prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono, e infine li batti! Per un certo periodo noi siamo stati anche derisi per questo, poi hanno iniziato anche loro a usare questa tecnica, perché funziona. Sì, e io sono entrato nel Partito Operaio Rivoluzionario proprio in questo modo. All’epoca si dava molta importanza alle questioni identitarie, ciò che chiamiamo il marxismo occidentale. Anche se anche abbiamo dato molta importanza anche al leninismo e all’analisi marxista, quando era vivo il nostro fondatore. Ecco, poi letteralmente dopo un anno sono andato al congresso, e con mio stupore e addirittura choc ho visto che al congresso sono stato promosso candidato, ed eletto nella Commissione Centrale di Revisione. Non me l’aspettavo, ed è stata una grande sorpresa. Sono stato eletto anche un'altra volta ma ho chiesto di essere esentato per validi motivi, a causa di problemi personali. Sul mio partito voglio dire ancora una cosa: da quando sono entrato ci sono state due scissioni, delle quali una abbastanza grande. Come prima, continuiamo la nostra posizione di appoggio critico al PCFR, non corriamo dietro il discorso identitario. Anche se ultimamente in Russia il discorso conservatore in quanto tale si è come standardizzato, come se fosse diventato “normale”. Gli inviti alla violenza verso le minoranze vengono praticamente accettati, e questo non va bene. Un conto è discutere quanti generi ci sono, 50 o 60, e un altro discorso è quando per delle persone è davvero pericoloso vivere su questo pianeta, semplicemente. È una cosa un po’ diversa, e su questo io sostengo la posizione che contro queste cose bisogna lottare con tutti i metodi, con tutti i mezzi. Contro i pericoli alla vita delle persone, perché abbiano il diritto a una vita sicura, a un lavoro, ecc.


Come descriveresti il sistema politico russo? Ritieni che la Russia sia un paese imperialista?

Sì, l’ho già detto rispondendo alla prima domanda. Sì, la Russia è un determinato paese imperialista. E anche se si tratta di un imperialismo secondario rispetto a quello americano, per esempio, questo non giustifica affatto l’imperialismo russo. Anzi, al contrario: io mi sono reso conto di alcuni elementi di questo imperialismo all’università, quando studiavo pedagogia adolescenziale. Io vedo che le nostre élite sono infantili, in un certo senso. Ricordano un adolescente che è stato umiliato, e in un dato momento cerca di compensare questa umiliazione, di compensarla con la violenza: più violenza c’è, meglio è! Questo mi ricorda anche l’esempio di Israele. Da noi questo viene detto apertamente. Perché Israele attacca i propri vicini? Perché lo fanno i turchi? Perché noi non possiamo? Cioè fanno i duri, come direbbero i giovani. Israele non chiede scusa di nulla, mai. Se sparano a qualcuno, la gente se ne sbatte. Non si scusa, bombardano, dicono che sparano ai terroristi, e a loro tutto è perdonato. C’è come un desiderio di recuperare il terreno perduto, di modo che parlino con te alla pari nel mondo capitalistico. E il metodo è mostrare la tua ferocia da duro, essere dei duri. Questo ricorda davvero il comportamento di un adolescente complessato. Su questo piano, certo, l’imperialismo russo è disgustoso, ma a parte questo non è né migliore né peggiore di quello americano, e di quello occidentale più in generale. Per quanto riguarda l’Unione Europea in quanto tale, non mi sembra che conduca una politica imperialistica. Altra questione è quella dell’imperialismo cinese che è in crescita, come anche quello turco. Adesso tutti parlano della Russia, ma più in genere ci sono delle tendenze pericolose nel mondo. Per quanto riguarda il sistema politico russo, io lo descriverei come bonapartista. Cosa vuol dire? L’élite russa è concentrata intorno alla figura del presidente, ed è costituita dall’oligarchia e dalle istituzioni che si occupano di amministrare la forza. Sono la base del potere putiniano. Questi apparati di sicurezza esercitano una funzione determinata, cioè da un lato frenano gli oligarchi con qualche slogan populista (la difesa del popolo semplice, ecc.), ma cercano di compiacere anche la piccola borghesia e la classe operaia, nonché il capitale finanziario e industriale. Quelli che vengono chiamati “gli amici di Putin” (anche se io non direi che sono suoi amici, in realtà). Ecco, questo destreggiarsi può essere molto lontanamente paragonato all’epoca napoleonica, cioè di Napoleone III, del secondo impero francese. Certo, questo è un paragone lontano. A me personalmente sembra anche che il sistema politico russo ricordi il peronismo in Argentina. Per quanto riguarda l’Argentina, l’appoggio a Juan Perón dal basso era talmente vario che i suoi sostenitori, dalle vedute diverse, si sono praticamente fatti la guerra, contando che tra i peronisti ci sono stati i peronisti di sinistra, i montoneros, e i peronisti della A.A.A., l’Alleanza Anti-Comunista Argentina. Certo, da noi non c’è un fenomeno simile, ma mi sembra che la Russia putiniana ricordi per certi versi il peronismo.


Che sentimenti ci sono nella popolazione a proposito della guerra? Cosa pensa la classe operaia? Vi sono delle proteste?

Comincio dalle proteste. Di proteste ce ne sono state, ma sono durate molto poco. Diciamo che con le sanzioni ci hanno molto aiutato (cioè, non noi, ma il nostro governo). Con le sanzioni ci hanno aiutato così bene che adesso alcune fabbriche di automobili sono praticamente chiuse. La produzione è stata ridotta o trasferita ad altre fabbriche. Il settore automobilistico si trova in una grande caduta. Quindi, le persone non possono davvero protestare. E anche se possono, la maggioranza ha semplicemente paura. C’è un episodio interessante che vi racconto. Le poche proteste che ci sono state ci sono state in primavera, e si sono interrotte molto presto. La cosa interessante è che si sono interrotte anche le azioni a sostegno dell’”operazione speciale”! Il Partito Nazional Bolscevico russo, i naz-bol come li chiamiamo (una specie di guardia seminazista), manifestava a sostegno dell’”operazione speciale”, e li hanno messi dentro lo stesso, senza fare distinzioni! Quindi il concetto è: non andare a manifestare e basta! E i problemi che sono legati alla perdita del lavoro sono più sentiti. Adesso non ci sono proteste. Ci sono probabilmente su internet, ma su internet si può trovare di tutto… Sì, c’è la “coscienza della nazione” che ha scelto di emigrare, ma loro non sono considerati dalla maggior parte della popolazione. Tornando all’inizio della domanda, scusate se vi rispondo a lungo… I sentimenti della popolazione sono contradditori. Qui il punto è che all’interno della popolazione della Russia, con l’eccezione di una parte marginale, non ci sono persone che giustificano il governo di Kiev. Alcuni considerano l’Ucraina un paese fratello, anzi probabilmente sono la maggioranza. Ma il governo di Kiev viene considerato praticamente come un governo di occupanti, come degli agenti del Dipartimento di Stato, cioè degli americani, come se non fosse un vero governo ucraino. E a partire da questo si forma l’opinione che bisogna liberarli, abbattere questi occupanti, e pum!, l’Ucraina diventa “normale”… Con l’eccezione dell’Ucraina occidentale. C’è una convinzione metafisica che gli ucraini tendano alla Russia, e che se cercano di dirlo, i nazisti, cioè i battaglioni nazisti, li picchiano in testa per strada. È vero, questi battaglioni nazisti ci sono, e la loro presenza serve a rafforzare questo mito. I nazisti ci sono davvero, e sono ben visibili. Penso che ce ne siano di più che in Russia, in questo momento. I nostri si sono nascosti tutti. O si sono “travestiti” sotto altre forme, come cosacchi, come gente che parla del mondo russo, patrioti, ecc. Quindi c’è questo desiderio di rendere l’Ucraina “libera”, anche se loro veramente non chiedono questo. C’è questa idea che si tornerà indietro nel tempo, che poi riprenderemo a venire a trovarci, a venire in vacanza reciprocamente, che Zelenski riprenderà a girare delle stupide commedie russe, come faceva prima negli anni 2000… che la pace e l’amicizia torneranno tra noi, come prima, basta abbattere il governo di Kiev... Ovviamente le cose non andranno così. Per quanto riguarda l’opinione della classe operaia, è un po’ simile a quella generale. Alla gente non piacciono i metodi. Molti giustificano gli obiettivi, ma non gli piacciono i metodi con i quali l’”operazione speciale” viene condotta. Non pensano che gli ucraini siano dei veri nemici. A qualcuno non piacciono né i metodi né gli obiettivi, ma comunque non amano il governo di Kiev, si preoccupano per la popolazione del Donbass, sulla quale si spara sul serio, e dicono: «Perché lo fanno?». Ma lo fanno… Per esempio, mia mamma si preoccupa molto e del tutto sinceramente per i bambini del Donbass che muoiono… Ma noi capiamo che i bambini non muoiono solo lì. In questo non c’è nessuna cattiveria, né odio. C’è questo sincero desiderio di rendere questo paese “libero”, nel nostro senso ideologico, fare loro del bene… Forse è difficile spiegare tutto questo a degli stranieri…


Ci puoi raccontare dove lavoravi all’inizio della guerra, e perché hai deciso di licenziarti? Che lavoro fai adesso?

Questa è una storia a parte. Allora, all’epoca io lavoravo in una fabbrica meccanica, di mitragliatori. Per l’esattezza, ero direttamente in produzione. Il punto è che la settimana precedente l’inizio dell’”operazione speciale” io non sono andato al lavoro. Stavo molto male, e naturalmente ho sofferto anche dell’evoluzione della situazione politica. Alla fine mi sono fatto forza e ho detto: bene, domani vado al lavoro. La mattina mi sono alzato, prendo il filobus, guardo il telefono, e vedo che nei nostri gruppi c’è un casino… Tutti urlano, tutti dicono: hanno attaccato, hanno attaccato… In precedenza c’erano stati molti falsi allarmi: la Russia è intervenuta, non è intervenuta, ecc… Quindi non si capiva. Quando sono arrivato al lavoro mi aspettavo come minimo che mi licenziassero. Come minimo, o che mi togliessero tutti i premi di produzione possibili… Insomma, mi aspettavo che mi facessero una lavata di capo, che il capo mi distruggesse e mi mangiasse. Ma di me non gliene sbatteva niente a nessuno. Tutti sembrano davvero persi, molto seriamente. Eravamo nella sala fumatori, il nostro capo è arrivato correndo e ha detto: via i telefoni, tutti al lavoro, le notizie le leggerete dopo! Quindi nessuno mi ha considerato. A me era finito l’internet sul telefono, mi erano finiti i soldi. E lì è molto difficile uscire a ricaricare, perché è molto difficile uscire dal territorio della fabbrica. E tutti i discorsi erano sul fatto che l’economia sarà distrutta, che saremo sotto embargo totale, ecc. E che era sensato fare scorte di generi alimentari, cosa che infatti ho fatto anch’io. Letteralmente dopo due giorni, quando ho ricevuto lo stipendio, abbiamo comprato da mangiare per due mesi, pensando che i prezzi sarebbero schizzati. Poi sono iniziate tutte queste psicosi sullo zucchero, ecc. Insomma, in generale eravamo abbastanza spaventati. Cosa succederà adesso? Onestamente, io non pensavo che con tutte le sanzioni l’economia avrebbe retto così bene. Non direi che la situazione è perfetta, ma noi ci aspettavamo molto di peggio, onestamente. Ci aspettavamo sicuramente la deflazione del rublo. La gente è andata a comprare dollari, poi si sono messi a imprecare. Quando non mi ero ancora licenziato, un mio collega si lamentava di non aver comprato dollari prima, poi dopo alcuni mesi piangeva e correva dicendo: "Perché non ho venduto i dollari?", perché il rublo si è molto rafforzato. Perché mi sono licenziato? Mi sono licenziato per vari motivi. Ho avuto davvero un esaurimento morale. Vorrei anche aggiungere che io sono comunque un armaiolo russo. Non so se conoscete la scultura della Madre Patria di Volgograd [Stalingrado], che in realtà è un insieme di sculture composto di tre parti. C’è un monumento a Magnitogorsk [città industriale sugli Urali], dove il Lavoratore Retrovia consegna una spada al Soldato dell’Armata Rossa. A Stalingrado, la Madre Patria solleva questa spada, e conformemente a Berlino il Soldato Liberatore, che ha una bambina tedesca in braccio, abbassa questa spada. "Basta, la guerra è finita". Cioè, "l’ho sollevata, ho scacciato il nemico, basta, adesso non serve più". Insomma, questo Soldato Liberatore non agita la spada come un sadico, non taglia a fette i bambini tedeschi con questa spada. Noi non facciamo le armi per questo! Volevo dire questo… non so se le mie metafore sono comprensibili. Comunque, mi sono licenziato anche per motivi professionali. Io non avevo una qualifica abbastanza buona, quindi non andava bene per la produzione in cui lavoravo. Ho provato ad andare in un altro reparto, ma non ce l’ho fatta, quindi mi sono dovuto licenziare. Infine, certamente anche motivi politici hanno influito sulla mia scelta. Mi stavano finendo i soldi, adesso lavoro nel settore privato, nell’amministrazione di condomini.


Come hanno reagito la tua famiglia e i tuoi conoscenti alla tua scelta?

Per quanto riguarda la mia posizione, in generale è capita benissimo. Mia mamma guarda molta televisione e tutta questa propaganda, quindi lei ha una posizione molto patriotica, diciamo così, o meglio filoputiniana. Mio padre ha una posizione un po’ più ragionevole e mi capisce, anche gli altri mi capiscono. Come dicevo, questa situazione viene vissuta in modo un po’ più profondo e complicato di quanto possa sembrare, specialmente dall’estero. La popolazione ha una percezione complicata. Poi non bisogna dimenticarsi che il Donbass esiste, lì ci vivono delle persone e gli sparano addosso in continuazione. Gli sparano gli ucraini, ormai con armi della NATO. Questo sta succedendo davvero. Adesso non voglio parlare di ipocrisia, però adesso tutti parlano dell’aggressione contro l’Ucraina, e ovviamente è un male, è orribile. Ciononostante, gli ucraini mitragliano in tutta tranquillità la regione di Lugansk, come se fosse una cosa normale, nell’ordine delle cose.


In Russia si parla dei crimini dell’esercito russo contro la popolazione civile? Tu personalmente cosa ne pensi?

Questa domanda è molto pericolosa, perché è molto vicina all’articolo del codice che mi potrebbe condannare, ma risponderò lo stesso [il compagno insiste a rispondere]. Prendo su me stesso tutta la responsabilità. In realtà non tutti ci credono. Sì, se ne parla. In effetti, questo è proprio uno dei motivi per i quali le persone non vogliono sostenere i metodi. Bisogna considerare che ci sono anche delle gravi perdite russe, sono davvero molto gravi. A molti non piacciono i metodi di combattimento, anche a molti ufficiali. Molti non capiscono, se ci sono delle armi così precise, così moderne, perché queste armi sparano non si capisce dove? Tutti sono convinti che questi colpi non siano intenzionali. Di questo sono convinti assolutamente tutti, tutti sono convinti che questi colpi siano casuali. Ma logicamente sorge la domanda: perché combattono in modo così “non professionale”? Io ho studiato molto dei conflitti locali, e non è mai successo che tutto andasse bene. Cioè, anche gli americani in Iraq hanno bombardato degli obiettivi civili, e quanti siano morti nella popolazione civile semplicemente non lo sappiamo, perché degli iracheni non importava nulla a nessuno. Gli iracheni non erano sostenuti dal centro capitalistico. Per non parlare del Vietnam, o di quante perdite ci siano state in Afghanistan durante l’intervento americano, e anche quello sovietico… non si capisce, perché nessuno si è preso la briga di contare. Qui invece c’è l’interesse di tutti. In ogni modo, da noi si parla più dei crimini di guerra ucraini. Per fare un altro esempio, qui in Russia ci ricordiamo tutti bene del tribunale dell’Aja sulla Jugoslavia. Sappiamo come tutte le parti del conflitto si sono comportate in Jugoslavia, ma i colpevoli sono risultati solo i serbi. Invece le condanne inflitte da quel tribunale ai criminali di guerra bosniaci e croati sono state ridicole: da due a dieci anni di galera per delle stragi. Per questo, da noi si dice: loro hanno due pesi e due misure, perché noi dobbiamo essere obiettivi in questa situazione? Anche noi useremo due pesi e due misure, allora. Adesso non è che voglio fare un discorso filosofico, ma qui mi sembra che in una situazione del genere nessuno abbia ragione. I crimini di guerra sono crimini di guerra, la guerra non è uno scherzo, non fa ridere.


Molti in Occidente criticano i propri media, dicendo che raccontano la guerra in modo molto unilaterale. Cosa ne pensi, come si comportano in proposito i media russi?

Si comportano esattamente allo stesso modo. L’espressione che avete usato risponde già alla domanda. Assolutamente allo stesso modo, battono sulla propria linea. Ignorano, negano, insinuano sui dati. Dicono in continuazione che i media occidentali sono uguali, che hanno due pesi e due misure, che sono controllati dalla volontà dei loro proprietari. Quindi i due casi mi sembrano assolutamente uguali, questi o quelli... Posso anche dire che i metodi dei media ucraini non sono molto diversi da quelli russi. È tutto quello che si può dire in materia.


Come pensi che si debba difendere l’Ucraina? Pensi che abbia il diritto a ricevere armi da altri paesi?

Qualunque paese indipendente ha il diritto di ricevere aiuto da altri paesi indipendenti e sovrani. Qualunque, è un diritto assolutamente naturale. In questo caso, vorrei dire che tutto questo mi ricorda il XVII secolo in America, nello specifico la politica coloniale. I francesi armavano gli algonchini con i moschetti, con un sacco di moschetti, mentre gli inglesi armano gli irochesi. Mi riferisco alla Guerra franco-indiana dei sette anni. Quelli si ammazzano allegramente l’un altro, distruggendo la natura circostante che gli dava le risorse. La insteriliscono, e così sono costretti ad andarsene a ovest, perché la loro terra è completamente svuotata. Anche gli algonchini se ne vanno più a ovest. Insomma, l’unica cosa che hanno ottenuto facendosi le guerre l’un l’altro è che hanno distrutto la propria terra e sono stati costretti ad abbandonarla. La quale terrà è stata felicemente abitata dai coloni europei, che avevano un’economia più avanzata, meno invasiva, quindi potevano avere un’agricoltura più intensiva, ecc. A loro non importava nulla, per loro quella natura era sufficiente. Questo è ciò che successe all’epoca. Comunque, per tornare alla risposta diretta: sì, qualunque paese ha diritto all’aiuto, o quanto meno a chiedere aiuto.


Cosa ne pensi delle affermazioni dei media statali russi, secondo le quali tutti gli ucraini sarebbero dei “nazisti”?

È semplicemente una fesseria, una fesseria! Vi rispondo con le parole di Jim Jarmusch: è una fesseria, una fesseria del c…! [scandisce lentamente le parole] Ma lasciatemi fare una rettifica, o una precisazione. Le affermazioni dei media russi suonano così, possono essere interpretate proprio così, ma il contesto è un po’ diverso, come ho detto. Cioè, dal punto di vista dell’ideologia corrente da noi, non tutta l’Ucraina è nazista. Innanzitutto, viene considerata nazista l’Ucraina occidentale. E questa espressione non indica un qualche territorio determinato, con dei confini. È una specie di formula metafisica. Una certa Ucraina occidentale è un’Ucraina nemica. È nemica, e fondamentalmente non è nostra, non ci appartiene. E poi c’è un’altra Ucraina, che non è nemica ma è subordinata, conquistata. Questa è l’Ucraina buona, giusta. E conseguentemente tutto il contesto di questi termini ideologici è che gli ucraini occidentali adesso hanno conquistato gli ucraini orientali, a parte il Sud-Est del paese e le regioni di Donetsk e Lugansk che si sono ribellate. Ma anche su questo bisogna dire che il movimento del Donbass è stato un movimento dal basso. All’inizio, l’anti-Maidan è stato un movimento assolutamente dal basso, che poi è stato conquistato e manipolato, prima dalle élite locali e poi dall’oligarchia russa. È stato conquistato e messo sotto controllo, ma in origine era una cosa dal basso. E questo non è successo solo nel Donbass, è successo anche nelle regioni centrali dell’Ucraina, Kherson, Zaporizia, Chernigov, Odessa. Sappiamo che lì hanno dato fuoco alla Casa dei sindacati con la gente dentro. Quindi stiamo parlando di scontri complessi. All’epoca c’era un sincero desiderio di fermare il nazionalismo ucraino. Comunque, con questi termini ideologici ormai la gente è completamente impazzita. La teoria che c’era prima e che metteva tutti in uno stesso fascio ora è sempre più marginale e sta acquisendo un po’ una piega. Per esempio, prendiamo l’uccisione di Daria Dugina. Non so come si possa essere così idioti da fare una cosa così. Praticamente, hanno creato una martire per questa teoria del “mondo russo”. Hanno fatto una specie di Giovanna D’Arco di questa donna con delle concezioni oscenamente reazionarie e nazionaliste. Mi viene anche difficile credere che in questo abbiano partecipato i servizi ucraini, perché è il regalo più grande che si potesse fare ai nazionalisti e agli sciovinisti russi. Dal punto di vista strategico-militare è stata un’azione assolutamente inutile. È stata semplicemente creata una martire, rafforzando questa unione generale e quest’odio, che c’è già abbastanza, e nel quale stiamo già annegando. Voglio aggiungere che io ho degli amici in Ucraina, e anche a loro cercano di lavare il cervello come si deve su questa questione, dopo l’inizio dell’”operazione militare speciale”. Chiedo sempre di scrivere “operazione militare speciale”, non g… [noi lo rassicuriamo] Dopo le ultime azioni ucraine andate a buon fine, la gente è piombata in una specie di odio. Io qui non posso dire: «Tonti, non capite niente», perché è una questione puramente emotiva.


Cosa pensi delle persone di sinistra che in Occidente dicono che bisogna sostenere Putin? Se avessi la possibilità di discutere con loro, cosa diresti loro?

Faccio questo esempio. C’è uno studioso russo che si occupa di America Latina, Oleg Iasinskii. Lui non vive in Russia, vive da molto tempo in Cile, mi sembra, o comunque in Sud America. Lui si esprime assolutamente e radicalmente a sostegno della Russia, pur sapendo che cos’è il capitalismo: lui è di sinistra, è un socialista. Ma lui fa anche un distinguo, che in questo caso è molto importante: «Io non vivo in Russia da molto tempo, non so più com’è, che cosa succede lì. Io vedo che cos’è l’imperialismo americano qui, in Sud America. È incredibilmente visibile, in Sud America è assolutamente ovvio. C’è un’interferenza incredibilmente chiara, diretta e selvaggia dell’imperialismo americano, nel suo aspetto più terribile». E anche qui si può capire questa persona, cioè, di fatto lui vede la situazione da una parte. Stop. Lui vede che l’imperialismo americano è il male. E non capisce che l’imperialismo russo appare come se fosse alternativo, anche se non c’è nessuna alternativa. Ecco dov’è il problema. Questo è quello che potrei dire su questa questione. E per quanto riguarda quelli che in Occidente sostengono l’imperialismo russo, penso che si tratti di stalinisti, perché so che agli stalinisti piace sostenere Putin, non da oggi. Dipende tutto da come arrivano a questa conclusione, che l’imperialismo russo sia in un certo senso migliore. Oleg Iasinskii ha uno sguardo soggettivo, molto soggettivo. E lui fa subito il distinguo: «Io non so com’è in Russia, io so com’è qui. Qui bisogna colpire e sconfiggere l’America». Capito? Poi, se si fanno varie congetture, o se ricevono qualche soldo, è sulla loro coscienza. Io certamente non sosterrò questa posizione, assolutamente no, no grazie. Costerebbe troppo. C’è qualcosa di più alto degli interessi personali. Bisogna essere delle persone di principio, mi sembra.

a cura di Elia Spina