L'impossibilità di un capitalismo verde
Il 4 ottobre lo Swiss Re Institute ha messo nero su bianco il volume di miliardi necessario, a suo dire, per realizzare l'obiettivo delle emissioni zero entro il 2050 a livello mondiale. Si tratta di 290000 miliardi di dollari. Per rispettare questa esigenza, ogni anno andrebbero messi sul piatto a livello globale 9400 miliardi: elettrificazione delle strade, decarbonizzazione ed energie rinnovabili, infrastrutture, riconversione industriale...
Però lo stesso Swiss Re Istitute lamenta disgraziatamente il fatto che negli ultimi dieci anni «...appena il 2% delle risorse necessarie è stato realmente indirizzato a favore delle azioni di contrasto al cambiamento climatico».
È la confessione – se ve ne era bisogno – del fallimento del capitalismo sul versante climatico. Ossia dell'incapacità strutturale dell'economia di mercato fondata sul profitto di perseguire gli stessi obiettivi che formalmente declama. Se non che lo stesso istituto conclude che per cambiare la rotta «sarà cruciale l'impegno del settore privato... Perché ciò avvenga il pubblico deve creare un quadro... adeguato che spinga le aziende a reindirizzare il capitale esistente in investimenti sul clima». Detto in prosa: lo Stato riduca ulteriormente le tasse sugli investimenti ecologici dei capitalisti e la mano invisibile del mercato compirà il miracolo che sinora ha mancato.
Il capitale batte cassa nel momento stesso in cui dichiara fallimento. Un mondo capovolto che ruota su sé stesso. Solo una rivoluzione anticapitalista può salvare il pianeta riorganizzando alla radice l'economia mondiale.