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Fermare la violenza! La violenza non ci fermerà!


Per la costruzione di un femminismo radicale, anticapitalista e anticlericale

21 Novembre 2016
Verso la manifestazione del 26 novembre
CAPITALISMO DE-GENERE 

Scenderemo in piazza il 26 novembre contro la violenza sulle donne, una violenza che è strutturale e funzionale a questa società costruita in modo gerarchico perché basata sullo sfruttamento; ossia alla società divisa in classi, dove oppressione e repressione si coniugano obbligatoriamente e prendono forme differenti, ma contro le donne si sommano e moltiplicano.

Ci confrontiamo costantemente con una realtà fatta di diritti negati, di arretramento sociale e false illusioni di emancipazione che ci rinchiudono in una gabbia. La violenza è quotidiana, passa nei rapporti interpersonali, nei rapporti sociali, sui luoghi di lavoro, dai piccoli gesti alle minacce, sino agli attacchi fisici. Il rischio di abuso in particolare si concentra nella famiglia, luogo sociale ideologicamente pensato come “privato” e che si presta a diventare il vertice delle tensioni che si sviluppano nella società e il punto dove queste si scaricano.

Questa violenza però non si batte cambiando le parole che usiamo, non si batte con le leggi speciali. Neanche con le rappresentanze istituzionali dove solo poche si guadagnano il diritto di presenza, ma non certo quello di decidere, tantomeno di decidere in nostro favore. L’oppressione si combatte con la presenza politica delle donne, attraverso le nostre lotte e la difesa del diritto di decidere di sé. La nostra lotta è vincente se passa per la possibilità di essere autonome, di vivere liberamente i nostri sentimenti, di avere i luoghi dove difendere le donne sotto attacco.

Ci insegnano le donne polacche e le donne del continente sudamericano che solo facendo sentire alta la nostra voce si possono ottenere risultati. Ci manca, rispetto a loro, un'organizzazione nazionale che possa essere collettore delle energie complessive. La frammentazione che vive il movimento femminista in Italia ha ormai smesso di essere ricchezza ed è ora un limite che non fa proseguire oltre gli incontri nazionali isolati, come speriamo che non sia il caso di questa manifestazione.


LIBERI CORPI IN LIBERO STATO 

Il cosiddetto Piano straordinario anti-violenza del governo Renzi non è altro che una manovra paternalista e democristiana che si concretizza nel togliere autonomia e risorse ai centri anti-violenza ridotti di fatto a operare come "meri esecutori di servizio". È dunque necessario respingerlo con la prospettiva di ridare centralità a due battaglie imprescindibili per la liberazione delle donne: la battaglia per il lavoro e quella per la liberazione sessuale.

Lavorare meno, lavorare tutte; e superamento della disparità salariale fra uomini e donne. Per una ripartizione generale del lavoro, attraverso la riduzione dell'orario di lavoro a parità di paga, che consenta a tutti e soprattutto a tutte di definire in piena libertà la forma delle proprie relazioni sentimentali e sessuali, senza subordinarsi ai vincoli imposti dal bisogno materiale. Vogliamo disfarci del lavoro domestico a cui la crisi economica e l’indebolimento del sistema di welfare ci stanno condannando, e promuovere la socializzazione del lavoro di cura.

Liberazione sessuale significa innanzitutto strappare alla morale borghese e alla Chiesa Cattolica il diritto di definire cosa è uomo e cosa è donna, di disciplinarne e irreggimentarne i corpi e circoscriverne il ruolo sociale. Con questo spirito laico e materialista vogliamo liberarci dal principio ideologico della maternità come destino biologico delle donne, ripensando la genitorialità, dunque, come diritto e libera scelta responsabile di ciascuno, omosessuale o etero, single o in coppia. Allo stesso tempo, rivendichiamo l’accesso gratuito agli strumenti di contraccezione, il diritto di accedere liberamente e gratuitamente all’aborto e quindi anche l’abolizione del privilegio dell’obiezione di coscienza.

Riconosciamo infine nella Chiesa un nemico storico delle donne e della loro emancipazione, e dunque rivendichiamo la necessità della costruzione di un femminismo radicale, anticapitalista e anticlericale, che prospetti la separazione fra Stato e Chiesa e l’abolizione dei privilegi del Vaticano.
Partito Comunista dei Lavoratori - Commissione contro le oppressioni di genere

L’incessante capitolazione di Tsipras: la versione ellenica della Buona Scuola

Fianco a fianco degli studenti greci, resistere alle imposizioni della troika, costruire un’alternativa socialista


Dopo essere riuscito alla fine di settembre a far approvare la privatizzazione delle municipalizzate dell'acqua potabile di Atene e Salonicco, il governo Tsipras prosegue imperterrito ad eseguire gli ordini della troika arrivando in questi giorni a proporre una riforma della scuola dai contenuti fortemente classisti, una vera e propria Buona Scuola in salsa greca che richiama nei suoi scopi fin troppo da vicino l'atroce riforma Renzi-Giannini.

Le due riforme condividono infatti l'obbiettivo di piegare l'educazione all'impresa, di aggravare la mercificazione dell'istruzione, e in conclusione di annientare definitivamente l'idea di un sistema educativo democratico, pubblico e di massa attraverso la retorica tossica della meritocrazia.
Nella Buona Scuola renziana questa logica si è principalmente abbattuta sugli insegnanti, per mezzo del concentramento smisurato di poteri nelle mani del dirigente scolastico, della differenziazione salariale dei docenti e della loro gerarchizzazione attraverso l'inserimento di diversi ruoli e funzioni, della chiamata diretta, del tagli del personale ATA, dell'esternalizzazione dei servizi a cooperative ed enti privati; il tutto condito dalle immancabili regalie alle scuole private in forma di defiscalizzazione delle tasse di iscrizione e dell'apertura all'ingresso di fondi privati in tutti gli istituti.

La versione di Tsipras della Buona Scuola amplifica brutalmente la natura classista della scuola colpendo direttamente la vita quotidiana degli studenti e il modo in cui vivono il percorso formativo, proponendo di vincolare l'accesso all'università al superamento di test specifici per i licei, l'inserimento di esami intermedi nel percorso delle scuole superiori, al servizio della logica della differenziazione dei titoli di studio, concepiti ormai alla stregua di curricula professionali.

Nell'una come nell'altra riforma, immancabile è la proposta dell'alternanza scuola-lavoro, che la terminologia eufemistica di Tsipras ha tradotto in “attività sociali”.

Essere uno studente nelle scuole dell'Europa travolta dalla crisi capitalista significa doversi confrontare quotidianamente con le discriminazioni classiste.

Anche in Italia, anche prima della Buona Scuola, la valutazione degli studenti era già piegata ad una logica di merito incentrata sul rispetto di determinati requisiti: il mantenimento di una media voto, la frequenza, il comportamento corretto, il superamento di test.
Questi metri di valutazione partono inevitabilmente da basi del tutto diseguali: il ceto d'appartenenza, l'estrazione familiare, la provenienza, sono elementi che incidono sull'approccio e sui modi d'apprendimento degli studenti. Nel contesto della crisi generale del capitalismo che si esprime nella contrazione dei salari, nella venuta meno di tutele di tipo welfaristico, nel caro libri, nell'aumento dei costi di spostamento e nella perdita in qualche modo anche di razionalità del sistema del trasporto; nelle diverse prospettive che diversi tipi di scuole sono in grado di offrire materialmente e nell'immaginario delle famiglie e degli studenti, risulta evidente come il concetto di meritocrazia sia solo la foglie di fico dietro cui nascondere le disuguaglianze, lo sfruttamento, la logica della produttività e quella della professionalizzazione dell'educazione.
La Buona Scuola di Tsipras interviene in questo ambito senza fronzoli e abbellimenti, senza nemmeno tentare di mascherare la natura classista e ingiusta del progetto generale a cui fa riferimento, proponendo una demarcazione forte tra scuole per i figli delle classi popolari e scuole per le classi dirigenti e padronali, e prospettando ulteriori paletti anche nella differenziazione meritocratica e classista tra singoli studenti all'interno delle medesime scuole.

Alla Buona Scuola di Renzi si è opposto un grande movimento di lavoratori della scuola, con il più grande sciopero di categoria della storia repubblicana. Quel movimento non ha trovato la solidarietà di un movimento studentesco e la disponibilità immediata di cui aveva disperato bisogno per generalizzarsi.
Oggi gli studenti greci si sono mobilitati contro la Buona Scuola di Tsipras.
Nei giorni della vittoria di Donald Trump alle elezioni americane è un fatto politico molto importante. In una fase caratterizzata dall'avanzata di movimenti populisti e reazionari, capaci di conquistare e abbagliare importanti settori popolari e di classe, la sinistra politica internazionale è da un lato ancora incatenata alle sue illusioni riformiste, malgrado la tragedia greca di Tsipras si sforzi ogni giorno di essere d'esempio nel mostrare non solo l'impossibilità di fatto di ogni tipo di riforma del capitalismo, ma anche l'inevitabile capitolazione ai padroni e ai potenti di chi di questo tipo di illusioni riformiste rimane prigioniero. Dall'altro, perennemente tentata di accodarsi ai movimenti populisti confusi, interclassisti e in certi casi apertamente reazionari, come drammaticamente testimoniato dall'apertura di credito o dall'aperta capitolazione di buona parte della sinistra in Italia al Movimento 5 Stelle o in Spagna a Podemos.

La disponibilità alla lotta, alla mobilitazione, all'investimento in parole d'ordine progressive, in completa controtendenza di fase, sono il dato oggettivo che è stato ripetutamente confermato negli anni scorsi dalla lotta contro la Legge El Khomri dei lavoratori francesi, dalla condensazione delle lotte salariali, sociali e giovanili negli Stati Uniti nei 13 milioni alle primarie per Sanders (poi svenduta dallo stesso con la sua capitolazione alla Clinton), dalla stessa lotta dei docenti contro la riforma Renzi-Giannini, e da ultimo anche dalle lotte che in Grecia si stanno lentamente e faticosamente riorganizzando dopo il tradimento di Tsipras.

Contro ogni illusione riformista e ogni capitolazione all'interclassismo dei movimenti reazionari e populisti, è compito dei rivoluzionari tenere dritta la barra sulla forza della classe degli sfruttati, degli oppressi, dei lavoratori.
Nella fase che stiamo conoscendo, le vecchie forme di potere politico hanno cominciato a sgretolarsi, e mai come oggi l'alternativa tra socialismo e barbarie si fa più pressante.
Solo l'aperta costruzione dell'alternativa socialista può dare a milioni e milioni di sfruttati uno sbocco progressivo. La strada da percorrere per questo progetto è quella della costruzione del partito internazionale della rivoluzione, che non ceda di un millimetro al compromesso con i partiti del potere e della borghesia, né dal versante riformista né da quello populista. Che abbia al centro della sua agenda un governo dei lavoratori come espressione diretta del loro potere politico, l'unico governo che può far piazza pulita dei privilegi, delle diseguaglianze, dello sfruttamento, delle privatizzazioni dell'acqua e delle varie Buone Scuole.
Partito Comunista dei Lavoratori

Libertà per i deputati curdi arrestati! Via il boia Erdogan!


Il regime di Erdogan ha compiuto un passo ulteriore nella propria deriva reazionaria. L'arresto in piena notte dei deputati curdi del HDP significa la decapitazione dell'unica vera opposizione parlamentare. La discussione apertasi sulla introduzione della pena di morte espone gli arrestati al rischio della vita. L'aperto sostegno parlamentare alle misure repressive del governo da parte dei partiti fascisti turchi dà il segno all'evoluzione in corso.
Il regime di Erdogan continua ed accelera il processo intrapreso dopo il fallito golpe militare del 15 luglio, in direzione di una concentrazione di poteri sempre più grande nelle mani insanguinate del presidente.

È il risvolto interno della politica neottomana in Medio Oriente. Una politica mirata all'annientamento ad ogni costo di qualsiasi spazio di autodeterminazione curda, dentro un progetto di espansione dell'area di influenza turca in Siria e in Iraq. La partecipazione turca alla battaglia di Mosul è parte di questo disegno. Come lo è l'intesa con Putin.

L'evoluzione in corso mette a nudo una volta di più l'ipocrisia degli imperialismi democratici d'Occidente. Le parole formali di preoccupazione espresse dagli USA e dalle cancellerie europee per il "rischio" autoritario in Turchia dopo il 15 luglio, servono solo a coprire l'immutata alleanza col boia Erdogan. Vitale per gli interessi NATO. Vitale per le politiche odiose e prezzolate di respingimento dei migranti in fuga dalle guerre.
La verità è che le “democrazie” europee ed americane sacrificano ogni decenza alla pelosa salvaguardia dei propri interessi imperialisti. Il governo italiano di Renzi e Gentiloni è parte integrante di questa politica complice ed ipocrita.

Il PCL denuncia senza riserve il regime reazionario di Erdogan e la repressione in corso in Turchia. Dichiara il proprio sostegno alle iniziative di opposizione in corso nelle città turche contro la nuova stretta del regime, e la piena solidarietà con la lotta del DIP (Partito Operaio Rivoluzionario, sezione turca del CRQI), che è partecipe della mobilitazione in atto. Propone una immediata mobilitazione unitaria davanti ai consolati e all'ambasciata turca in Italia, assieme alle associazioni e rappresentanze curde, per chiedere l'immediato rilascio di tutti gli arrestati.
Partito Comunista dei Lavoratori

NO A RENZI, NO AL GOVERNO AMICO DEI BANCHIERI. IN MIGLIAIA IN PIAZZA NONOSTANTE IL DIVIETO



Oggi Firenze ha vissuto una giornata importante. Migliaia di persone hanno deciso di sfidare il maltempo e sopratutto il divieto a manifestare, imposto dalla questura su ordine del governo PD, e dimostrare ancora una volta che non siamo disposti a piegare la testa. Lavoratori, studenti, disoccupati, giovani, mamme no inceneritore, immigrati, rifugiati, senza casa, sono scesi in piazza per ribadire un no deciso al governo Renzi ed al referendum costituzionale. Hanno dimostrato che non sarà uno stupido divieto a fermare la lotta, ne che la militarizzazione di una città faccia paura a chi ha voglia di lottare per i propri diritti. Una piazza numerosa, rumorosa e determinata ha imposto il diritto a manifestare. Un diritto calpestato dal governo Renzi in perfetta simbiosi con la riforma autoritaria della costituzione che questo governo, insieme al fido alleato Denis Verdini, sta portando avanti. Oggi abbiamo iniziato un sentiero, abbiamo dimostrato che una piazza unita non si fa intimidire, non c'erano buoni e cattivi ma migliaia di persone determinate a imporre un diritto calpestato. 

 CACCIARE RENZI ED IL PD NO AL REFERENDUM COSTITUZIONALE 

 Partito Comunista dei Lavoratori Firenze