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Non si ferma la rivolta antirazzista nelle città americane

L'avanguardia della gioventù USA, nera e bianca, si ribella alla polizia e al governo

Saint Paul, Chicago, Detroit, Washington, New York, Atlanta, Houston, Denver, San Francisco... Il grosso degli Stati americani e tutte le grandi città degli USA sono investiti da una mobilitazione radicale di decine di migliaia di giovani, per protestare contro l'assassinio a Minneapolis di George Floyd, uomo di pelle nera, da parte di un poliziotto bianco, e chiedere l'arresto dei quattro agenti corresponsabili dell'omicidio.

Non è una sollevazione dalle proporzioni di massa, ma neppure un'ordinaria protesta antirazzista. Non ha le dimensioni della grande rivolta nera del 1967, ma è molto più estesa di quella di Los Angeles del 1992. Di certo è assai più ampia e radicale di quella che nel 2014 investì la città di Ferguson per un omicidio simile. Nel 2014 si mobilitò essenzialmente il movimento del Black Lives Matter, un movimento importante di pelle nera. Oggi la rivolta ha tutti i colori: afroamericani, bianchi, ispanici, in larghissima maggioranza giovani, in buona parte donne. È la rivolta del popolo della sinistra americano, quello forgiatosi in Occupy Wall Street e poi sviluppatosi contro il trumpismo.

L'elemento antirazzista è centrale, ma si intreccia con ragioni di classe. La grande crisi del 2008 ha accresciuto tutte le disuguaglianze della società americana. La lunga ripresa del decennio successivo, costruita su precarizzazione e supersfruttamento, le ha paradossalmente approfondite. È stata la ripresa di Wall Street, non certo degli operai americani con diritti tagliati o di studenti impiccati a una montagna di debiti. Questo divario a sua volta ha spesso un colore. Una famiglia nera di Minneapolis guadagna in media 36000 dollari l'anno, il 44% di una bianca. Solo una famiglia nera su quattro possiede una casa, a fronte del 76% dei bianchi. La divaricazione sociale si sovrappone a quella razziale e la sospinge.

La pandemia ha fatto il resto. L'esplosione del contagio negli USA ha colpito la comunità nera più di ogni altra. Nel Kentucky solo l'8% della popolazione è di colore, ma lo sono quasi un quinto dei morti di Covid. I lavoratori più a rischio, meno protetti e meno pagati, dagli infermieri ai dipendenti dei supermercati, sono in larga parte neri o latini. Diverse inchieste e denunce parlano di numerose discriminazioni nei tempi di soccorso dei malati di colore, mentre oggi milioni di neri sono in prima fila nel nuovo esercito di licenziati e disoccupati. George Floyd è diventato il simbolo di tutte queste ragioni. Nere, ma non solo nere. La composizione sociale dei manifestanti – studenti, precari, disoccupati – ne è un riflesso.

La polizia americana, lo Stato americano, sono il bersaglio centrale della protesta. La polizia è il concentrato peggiore e più odiato del razzismo USA. Una polizia largamente bianca, guidata da ufficiali bianchi, abituata a esercitare violenza ordinaria contro i neri. Il fatto che degrado ed emarginazione metropolitane si addensino innanzitutto tra i neri fortifica a sua volta il pregiudizio razziale tra le forze dell'ordine. Soprusi, umiliazioni, violenze poliziesche sono pane quotidiano nelle grandi periferie americane, segnando l'esperienza di vita di milioni di giovani. L'omicidio razziale, spesso impunito, ne è solo il risvolto più tragico. Per questo la rivolta oggi si scaglia contro la polizia, le sue macchine, i suoi edifici, sino a dare alle fiamme il commissariato dei quattro agenti assassini.

A tutto questo si aggiunge il fattore politico. Trump ha investito sin dall'inizio nella divisione razziale per capitalizzare il consenso bianco e dividere la classe operaia americana. L'operazione è in parte riuscita con la conquista di un settore importante del proletariato bianco della grande industria. Il nuovo corso protezionista anticinese all'insegna dell'America first mira a consolidare questo blocco sociale. Ma ora la pandemia e la nuova grande crisi capitalista mettono Trump in difficoltà. La sua gestione dell'emergenza sanitaria, concausa della tragedia, è stata rovinosa.
Il sistema sanitario privato, nel quale Trump più di ogni altro si è identificato, è stato un moltiplicatore criminale, non solo nei fatti ma agli occhi di larga parte della società americana, inclusi tanti proletari bianchi. Ora il Presidente USA cerca di risolvere il problema dell'ordine pubblico minacciando di sparare o di scatenare cani feroci (ricorso tragico dell'Alabama schiavista), e mobilitando le truppe federali a sostegno della polizia, come non accadeva dal 1992. Ma la radicalità della risposta d'ordine a difesa della polizia, nel momento in cui proprio la polizia è sotto accusa, rischia di ampliare il fossato. Nel mentre, la pandemia è ben lungi dall'essere liquidata, e la nuova recessione è ormai in pieno corso.

Il Partito Democratico degli USA , a partire dal candidato Joe Biden e dal suo sponsor Obama, criticano naturalmente l'assassinio poliziesco, ma lavorano al riflusso della protesta di piazza, una protesta che non controllano e in larga parte subiscono. L'unico loro timore è che Trump possa recuperare nei sondaggi come uomo d'ordine contro "le violenze" dei manifestanti. Non si distingue in questo la cosiddetta ala “socialista” del Partito Democratico, che ha visto scendere in piazza il suo stesso popolo e non sa bene come riportarlo all'ovile.
L'evocazione di (fantasiose) presunte infiltrazioni di suprematisti bianchi nelle manifestazioni da parte di questo ambiente mira a boicottare il movimento, provocare defezioni, riportare la calma. Il commentario delle sinistre riformiste italiane avalla, in varie forme, l'operazione. Così come ha avallato il ritiro di Sanders dalla competizione elettorale in obbedienza allo stato maggiore democratico, in omaggio all'eterno bipolarismo USA.

Noi stiamo, da marxisti rivoluzionari, su un altro binario, quello della costruzione di un movimento di classe e di massa indipendente negli USA, e in esso di una egemonia anticapitalista.
Per questo salutiamo la ribellione dell'avanguardia della gioventù americana, bianca e nera, e ne rivendichiamo senza riserve la radicalità antipoliziesca e antigovernativa. Per questo diciamo che il futuro della ribellione e delle sue ragioni è affidato all'incontro col più vasto proletariato americano.
Decine di milioni di lavoratori e di lavoratrici sono e saranno investiti da una nuova gigantesca crisi sociale, che colpirà nuovamente lavoro, salari, diritti. Una irruzione sulla scena della lotta di classe di questa immensa massa di salariati è il fattore che potrebbe fare la differenza e segnare davvero una svolta.
In questi anni di Trump, contro tante previsioni disfattiste, si sono sviluppate lotte importanti dei salariati USA, dal movimento nazionale dei fazzoletti rossi nella scuola alle lotte operaie, radicali e prolungate, della General Motors. Vedremo quale sarà l'impatto della crisi su queste dinamiche sociali. Di certo la ribellione in corso dell'avanguardia della gioventù parla anche e soprattutto a loro.
Partito Comunista dei Lavoratori