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vai della seta at 03:43
Il devastante terremoto che ha investito la Birmania, col suo impressionante numero di vittime e distruzioni, favorisce l'attenzione sul regime militare che la domina, la guerra interna che l'attraversa, le sue relazioni internazionali. Aspetti rimossi molto spesso dall'eurocentrismo di larga parte della sinistra europea, tanto più se di estrazione “campista”.
La Birmania è oggi divisa in due parti distinte. Da un lato le aree controllate dallo spietato regime militare del generale Min Aung Hlaing, emerso dal colpo di Stato del 2021: un regime di tipologia fascista fondato sul terrore; dall'altro le aree conquistate dalla composita resistenza al colpo di stato da parte di diversi gruppi etnici e dalla Forza di Difesa Popolare (PDF), i quali fanno capo al cosiddetto “Governo di unità nazionale”, basato sui parlamentari eletti in opposizione ai militari golpisti. Insomma, da un lato la dittatura militare, dall'altro una coalizione borghese liberale.
L'imperialismo cinese (e il suo alleato russo) svolgono un ruolo centrale in Birmania. A novembre 2024 il generale golpista Min Aung Hlaing ha partecipato in prima fila al vertice dei Paesi del fiume Mekong convocato dalla Cina. A febbraio 2025 è stato ricevuto con tutti gli onori da Putin a Mosca, per incassare dalla Russia jet e droni con cui bombardare la guerriglia. Un bombardamento criminale che non si è fermato neppure nei giorni catastrofici del terremoto.
Soprattutto la Cina è base di appoggio decisiva del regime militare birmano sotto il profilo politico ed economico. Non è un caso. La Birmania si affaccia sul Golfo del Bengala e sul Mare delle Andamane, accedendo direttamente alle rotte marittime dell'Oceano Indiano. Rotte commerciali di alta rilevanza strategica per la Cina, perché le consentono di ridurre la propria dipendenza dallo Stretto di Malacca, collo di bottiglia dei traffici transoceanici conteso da diverse potenze.
Non solo. La Birmania, a dispetto della sconfinata povertà della stragrande maggioranza della sua popolazione, è ricca di risorse: petrolio, legname, pietre preziose, giada (che da sola fa il 50% del PIL birmano), ma anche terre rare. Anche per questo il corridoio economico Cina-Birmania è parte vitale della Via Della Seta, disseminata di oleodotti e gasdotti. Gli investimenti dei grandi monopoli cinesi nelle infrastrutture del paese, in particolare in dighe e porti, hanno accresciuto la dipendenza debitoria della Birmania dalla Cina, e dunque il potere di quest'ultima sulla Birmania.
Tuttavia, nell'ultimo anno il rafforzamento della guerriglia contro la giunta militare, la sua imprevista estensione e consolidamento, il rischio di una saldatura vincente fra l'opposizione liberale alla giunta e gli imperialismi occidentali (USA e UE), hanno molto impensierito Pechino. Da qui una manovra spregiudicata della Cina che da sei mesi combina la continuità del proprio sostegno alla giunta militare con l'avvio di relazioni e aiuti all'opposizione interna. Xi Jinping non vuole trovarsi spiazzato. Vuole preservare ad ogni costo il proprio controllo imperialistico sul paese, quale che sia l'esito – imprevedibile – della guerra civile che l'attraversa.
All'imperialismo cinese poco importa se a governare la Birmania saranno generali golpisti o borghesi liberali. L'essenziale è che il paese resti nell'area di influenza cinese, e non finisca fra le braccia di imperialismi concorrenti.
Per la stessa simmetrica ragione è essenziale ricondurre la coraggiosa mobilitazione popolare contro l'odiosa giunta militare a una prospettiva antimperialista. Alla prospettiva di un governo operaio e contadino: l'unico che possa distruggere dalle fondamenta gli apparati militari golpisti, realizzare una vera riforma agraria, rompere con ogni imperialismo, garantire una vera svolta.
Partito Comunista dei Lavoratori