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No al piano coloniale Trump-Netanyahu

  Per la continuità della mobilitazione unitaria contro il sionismo e l'imperialismo 15 Ottobre 2025 L'universo politico mediatico a...

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No al piano coloniale Trump-Netanyahu

 


Per la continuità della mobilitazione unitaria contro il sionismo e l'imperialismo

15 Ottobre 2025

L'universo politico mediatico a 360 gradi sta celebrando il piano Trump per la Palestina con la retorica più grottesca. Anche i commentatori più sobri si sperticano in lodi commosse per la ritrovata “pace” in Medio Oriente, attribuendo a Donald Trump il ruolo storico di pacificatore.

Ma di quale pace stiamo parlando?

Cessazione dei bombardamenti, scambio dei prigionieri, ingresso degli aiuti alimentari: se l'accordo si limitasse a questo sarebbe ovviamente del tutto legittimo e positivo. Ma non è questo il contenuto di fondo dell'accordo. Al contrario. Questo è solo il bordo inzuccherato di un bicchiere velenoso. Velenoso per il popolo palestinese, per la sua resistenza, per la sua liberazione. Chi non vede questo ignora semplicemente la realtà. E danneggia pesantemente la stessa mobilitazione antisionista.

Guardiamo in faccia la realtà dell'accordo. Di ciò che dice e di ciò che tace.


LA REALTÀ DELL'ACCORDO DI “PACE”

La Cisgiordania, di cui il piano non parla, è abbandonata di fatto alla furia dei coloni e delle forze di occupazione. Il fatto che a Ramallah persino i festeggiamenti per i prigionieri liberati siano stati proibiti dalle autorità israeliane, e che le case dei loro familiari siano state saccheggiate preventivamente dai militari occupanti a fini di intimidazione, ci parla dell'immutata quotidianità del terrore sionista. Non meno della prostrazione fisica dei prigionieri palestinesi liberati dopo anni o decenni di torture e angherie.

Per Gaza è prevista un'occupazione militare multinazionale a guida americana sotto la supervisione diretta del Presidente USA. Mentre le forze di occupazione sioniste che ancora controllano oltre il 50% della Striscia manterranno in ogni caso una propria presenza militare. Si tratta di un protettorato mandatario di classica tradizione coloniale. Un'occupazione per procura. Due milioni di gazawi, dopo due anni di genocidio, non avranno neppure il diritto formale a eleggere una propria rappresentanza, ridotti a oggetto passivo di un piano concordato tra imperialismo USA, Stato sionista e borghesie arabe.

Lo Stato sionista, che ha distrutto Gaza, non verserà un solo euro per la sua ricostruzione. Il punto 10 del piano Trump affida la ricostruzione al libero mercato di capitali privati, con l'obiettivo dichiarato di edificare “città medio-orientali”: investimenti immobiliari di lusso garantiti dalle monarchie del Golfo in concerto con le grandi compagnie americane ed occidentali.

I palestinesi poveri di Gaza, con le proprie case distrutte dai bombardamenti, non potranno certo comprare i nuovi immobili di lusso. Saranno destinati alla vita di paria in accampamenti di fortuna, in uno stato permanente di umiliazione e ricatto.
In compenso, è già partito lo sgomitamento tra le grandi aziende e i rispettivi governi per la spartizione del bottino. Il cosiddetto Consiglio di pace sarà solo il comitato d'affari di questo business. Ignoti tecnocrati palestinesi, scelti dalle potenze straniere, daranno copertura all'operazione. L'Italia manderà i carabinieri a supporto delle proprie ragioni contrattuali.

Per le organizzazioni della resistenza palestinese non c'è futuro in questo piano imperialista se non quello della propria subordinazione e/o della propria resa.

La cosiddetta Autorità Nazionale Palestinese, che già svolge da tempo un ruolo di polizia sussidiaria delle forze di occupazione in Cisgiordania, ha prontamente offerto la propria collaborazione al piano Trump alla ricerca di uno strapuntino a Gaza. Ma dovrà guadagnarsi il lasciapassare dello Stato sionista, per il momento non disponibile.

Per Hamas e le forze della resistenza, che in questi due anni hanno combattuto valorosamente, il piano Trump-Netanyahu prevede il disarmo e l'esilio. Al più, nell'attesa della subentrante “forza multinazionale di stabilizzazione” (e dunque nel suo proprio interesse), Trump consente ad Hamas un ruolo provvisorio di polizia locale per mantenere l'ordine. Non più di questo. Lo Stato sionista lo accetta in cambio dell'impegno di Hamas al disarmo.

In sostanza: Trump ha garantito a Israele l'impegno al disarmo di Hamas, ed ha garantito ad Hamas che Israele non riprenderà la guerra dopo la liberazione degli ostaggi. Di certo il negoziato diretto fra gli uomini di Trump e la direzione di Hamas è stato determinante mercoledì scorso per sbloccare l'accordo “di pace”. Ma presentare questo accordo come una vittoria della resistenza sarebbe davvero un macabro scherzo. L'intero piano di “pacificazione” imperialista del Medio Oriente richiede la distruzione della resistenza palestinese.


UN ACCORDO “FIGLIO DELLA MOBILITAZIONE”?

Chi presenta l'accordo “di pace” come un sottoprodotto positivo della grande mobilitazione in Occidente contro il genocidio sionista confonde la propria fantasia con la realtà.

L'accordo non è figlio della mobilitazione antisionista ma dello sfondamento militare di Israele in Medio Oriente.
È vero: mai l'odio contro Israele è stato tanto grande nel mondo, e questo è sicuramente causa ed effetto della grande mobilitazione internazionale contro il genocidio. Ma al contempo mai la forza militare di Israele è stata tanto grande nella regione mediorientale.

In due anni, grazie al sostegno militare delle grandi potenze imperialiste, in primo luogo dell'imperialismo USA, la guerra di Israele ha progressivamente piegato a proprio vantaggio i rapporti di forza nella regione. Ha ridimensionato l'Iran, ha annientato la direzione di Hezbollah, ha capitalizzato il crollo del regime siriano. Tutto ciò ha incentivato alla lunga il rilancio degli Accordi di Abramo, cioè la gravitazione dei regimi arabi attorno all'attuale vincitore militare della partita. Trump è stato l'attivo mediatore di questa ricomposizione. Ha portato in dote ad Israele l'apertura, una dopo l'altra, delle borghesie arabe. Ed ha offerto in cambio ai regimi arabi (Qatar in primis) le proprie garanzie da possibili attacchi israeliani

L'accordo, naturalmente, non è privo di contraddizioni ed incognite. I regimi arabi vorrebbero qualche promessa, fosse pure retorica, sulla questione palestinese a beneficio delle proprie opinioni pubbliche. La Turchia neoottomana di Erdogan si candida a contrappeso regionale dello Stato sionista. Gli imperialismi europei cercano spazi affaristici e diplomatici in queste contraddizioni in funzione della loro più generale relazione negoziale con gli USA. Ma, al di là di contraddizioni e incognite, resta il dato di fatto: l'accordo “di pace” è un indubbio successo dell'imperialismo USA e dell'amministrazione Trump. Che ha bisogno di una normalizzazione del Medio Oriente per potersi concentrare sulla sfida del Pacifico verso la Cina.

Peraltro, la normalizzazione dei rapporti tra paesi arabi ed Israele, ed il coinvolgimento in questa dell'India, libera un canale di transito commerciale alternativo (India, penisola arabica, Tel Aviv) alla Via della Seta cinese. Anche questo è parte del piano Trump.

Un altro fattore nella dinamica degli avvenimenti è stato il relativo isolamento della resistenza palestinese in Medio Oriente. Grande è la sproporzione tra la grande mobilitazione pro Palestina in Occidente e il livello di mobilitazione delle masse arabe.
Subito dopo il 7 ottobre, diversi paesi arabi (Giordania, Iraq, Tunisia...) videro imponenti mobilitazioni di solidarietà coi palestinesi, in aperta polemica coi propri governi. Ma in seguito il movimento arabo ha conosciuto un progressivo riflusso. L'eccezione del Marocco, dove il movimento pro Palestina resta importante, non cambia il quadro d'insieme. Di certo questo riflusso ha favorito lo spazio di manovra dei governi arabi verso Israele e l'imperialismo USA, consentendo loro di massimizzare le pressioni sulla direzione di Hamas per indurla ad accettare il piano Trump.

Tutto ciò ripropone un nodo strategico centrale per la resistenza palestinese. Solo l'incontro fra resistenza palestinese e rivoluzione araba può spezzare la dominazione sionista e imperialista sulla regione, e liberare la via per la stessa liberazione della Palestina. In altri termini, una Palestina unita dal fiume al mare, libera laica e socialista, è indissolubile da un movimento rivoluzionario di liberazione dell'intera nazione araba e della regione mediorientale. Ciò che richiede a un tempo un cambio di direzione e prospettiva della stessa resistenza palestinese e lo sviluppo del marxismo rivoluzionario tra le masse arabe, a partire dalla loro avanguardia.


CONTINUARE LA MOBILITAZIONE ANTISIONISTA. PER LA ROTTURA DI OGNI RELAZIONE CON ISRAELE

Il colpo subito dal popolo palestinese e dalla sua resistenza non deve significare in alcun modo un arretramento della mobilitazione antisionista in casa nostra. Al contrario. La mobilitazione internazionale a sostegno della Palestina è, se possibile, più importante di prima.

Le diplomazie imperialiste sono ovunque al lavoro per ripulire l'immagine di Israele e cancellare la memoria del genocidio. Gli stessi governi che hanno finanziato e armato per due anni la barbarie sionista contro il popolo di Gaza e Cisgiordania cercano non solo di abbellire il cosiddetto accordo “di pace” ma di intestarsene il merito. Governo Meloni in primis. Questa operazione va denunciata e contrastata ovunque: nelle scuole, nelle università, nei luoghi di lavoro. Nessuno deve sfuggire alle proprie responsabilità. Nessun crimine, nessuna complicità, devono essere rimossi o perdonati.

La battaglia per la rottura di ogni relazione con lo Stato sionista deve continuare, a partite dal blocco a oltranza di ogni traffico con Israele nei porti e negli aeroporti. Il fronte unico di lotta che si è realizzato, dopo la spinta del 22 settembre, nelle grandi giornate dello sciopero generale del 3 ottobre, e nella gigantesca manifestazione del 4 ottobre, dev'essere salvaguardato e rilanciato contro ogni logica di defilamento o di ripiegamento autocentrato. Il Partito Comunista dei Lavoratori sarà impegnato ovunque in questa direzione.

Partito Comunista dei Lavoratori

Sciopero per la Palestina!

 


No all'aggressione alla Flottilla. No al piano Trump-Blair-Netanyahu

2 Ottobre 2025

Testo del volantino che verrà distribuito in occasione dello sciopero generale del 3 ottobre


English version


Mentre Trump e Netanyahu varano un piano neocoloniale per la Palestina e per Gaza, la marina militare dello Stato sionista tutela il proprio blocco navale nel mare di Gaza minacciando, aggredendo, sequestrando le imbarcazioni della Flotilla. È un fatto gravissimo e inaccettabile.

Il blocco navale di Gaza che dura da diciotto anni (...altro che 7 ottobre) è di fatto parte integrante della guerra genocida che Netanyahu ha scatenato contro il popolo palestinese. Denunciarlo e contestarlo non solo è un diritto ma un dovere. Questo è lo scopo dichiarato della Global Sumud Flotilla.

L'aggressione alla Flotilla da parte di Israele è la riprova, se ve ne era bisogno, che lo Stato sionista conosce una sola legge: quella della prevaricazione e del terrore contro ogni turbativa, persino simbolica, dei suoi interessi di Stato oppressore. È la stessa pratica del terrore di questi due anni di guerra a Gaza e in Cisgiornania col loro carico di morte e distruzioni. Una pratica non solo impunita, ma sostenuta, finanziata, armata da tutti i governi cosiddetti democratici. E avallata da tutte le potenze imperialiste, vecchie e nuove.

Il governo italiano ha fornito a Israele una copertura totale. Sino ad addossare agli attivisti della Flotilla la responsabilità dell'aggressione di Israele nei suoi confronti. Nessuna meraviglia: è lo stesso governo che tutela l'accordo militare dell'Italia con Israele, che offre l'aeroporto di Sigonella al rifornimento degli aerei israeliani, che fornisce a Israele attraverso Leonardo elicotteri da impiegare contro la resistenza, che concede all'ENI il mare di Gaza per ricavarne profitti.

La definizione di Israele come “paese amico”, e della Flotilla come presenza ostile, sta in questo quadro. L'appello corale alla Flotilla da parte della Presidenza della Repubblica, dei vertici della Chiesa, di larga parte della cosiddetta opposizione parlamentare, perché rinunciasse a violare il blocco navale accontentandosi di qualche pacca sulle spalle misura solamente la complicità istituzionale con Israele di tutta la politica borghese. La stessa che un anno fa in Parlamento votò la spedizione navale in Golfo Persico contro gli houthi, al fianco di Israele e contro la resistenza palestinese.

L'aggressione alla Flotilla e la complicità di cui quest'aggressione gode è un ulteriore fascio di luce sul vero volto del piano Trump-Netanyahu. La pace eterna che il piano rivendica è quella dei cimiteri. Una pietra tombale sull'autodeterminazione della Palestina. I palestinesi sono privati di ogni voce in capitolo sulla loro sorte. Ogni loro resistenza è minacciata di distruzione totale. Sulla Cisgiordania si lascia mano libera a Netanyahu, mentre Gaza è affidata ad un protettorato coloniale angloamericano con tanto di occupazione militare. A garanzia di Israele, degli interessi imperialisti, degli appetiti di affaristi e immobiliaristi. Una infamia. Di cui sono complici tutti i governi arabi e tutti gli Stati imperialisti, incluse la Russia e la Cina, che dichiarano il proprio appoggio al piano di pace di Trump augurandogli pieno successo.

È la riprova che i palestinesi non hanno amici in alto, ma solo in basso. Nel coraggio della loro resistenza, nella mobilitazione pro Palestina della giovane generazione di tutto il mondo, nella classe lavoratrice internazionale.

Viva lo sciopero per la Palestina contro lo Stato coloniale di Israele e la sua barbarie genocida!

Per il blocco a oltranza nei porti e negli aeroporti di ogni traffico con Israele, con potere di controllo e di veto dei lavoratori sulle merci in entrata e in uscita.

Giù le mani dalla Flottilla.

No al protettorato neocoloniale previsto dal Piano Trump-Blair-Netanyahu.

Per la piena autodeterminazione del popolo palestinese.

Per il diritto del ritorno dei palestinesi nella propria terra.

Per una Palestina unita dal fiume al mare, libera dal sionismo, dall'imperialismo, da ogni forma di colonialismo.

Per una Palestina laica e socialista, in un Medio Oriente socialista.

Partito Comunista dei Lavoratori

Lo sciopero e le manifestazioni del 22 settembre per la Palestina

 


La giornata dello sciopero generale per la Palestina, promosso dall'Unione Sindacale di Base, CUB e SGB ha registrato un indubbio successo politico. Le ottanta manifestazioni di piazza tenutesi in altrettante città grandi e piccole hanno visto una partecipazione eccezionalmente ampia. Una partecipazione soprattutto di giovani e giovanissimi, studenti delle scuole superiori e dell'università, che hanno invaso strade e piazze, in diverse centinaia di migliaia, portandovi una carica combattiva radicale.


A Roma, Milano, Torino, Napoli, Bologna, persino i dati di partecipazione forniti dalle questure hanno largamente travalicato tutte le previsioni della vigilia. Per fare un solo esempio, la questura di Roma, che aveva previsto una partecipazione di 8000 manifestanti, è stata costretta a dichiarare una partecipazione di oltre 20000 persone.

La pressione di piazza si è tradotta in molteplici azioni dirette e di massa: presidi, occupazione e blocco delle stazioni ferroviarie, di autostrade, di snodi portuali. In alcuni casi la polizia ha caricato e ha fatto arresti (Milano, Bologna), ma nella maggior parte delle situazioni, nonostante le leggi forcaiole sull'ordine pubblico, non sono state in grado né di impedire né di contrastare le azioni di blocco. Anche questo ha misurato la forza delle manifestazioni.

Non solo. La stessa stampa borghese è stata costretta a testimoniare innumerevoli casi di accoglienza solidale delle manifestazioni e delle azioni di blocco da parte di automobilisti, passanti, persone affacciate ai balconi. La bandiera della Palestina ha sventolato ovunque per l'intera giornata.
Il sentimento pro Palestina è plebiscitario nella società italiana. Le ottanta manifestazioni del 22 settembre gli hanno dato un'espressione e un volto.

È vero, il numero effettivo dei lavoratori/lavoratrici in sciopero è stato modesto. La burocrazia CGIL ha apertamente sabotato lo sciopero, temendo una sua riuscita. Per questo venerdì 19 aveva indetto una propria giornata di mobilitazione sul tema Palestina, con caratteri diversificati per territori e categorie: lo scopo evidente dell'iniziativa era disinnescare il rischio che settori importanti della propria base potessero aderire allo sciopero generale del 22 settembre.

Non solo, dunque, la CGIL non ha unito le proprie forze allo sciopero generale, ma ha puntato apertamente sul suo fallimento.
Questa manovra burocratica ha tuttavia mancato il proprio obiettivo sotto diversi aspetti. Nel settore dei servizi, nella sanità, e in particolare nella scuola, un settore importante della base CGIL ha scioperato. A Roma la presenza degli insegnanti in sciopero al fianco dei propri studenti è stata uno degli aspetti più significativi della grande manifestazione. Così come la presenza del personale sanitario in camice bianco nella manifestazione di Napoli.

Ma soprattutto, al di là dei numeri, conta il dato politico. Lo sciopero è stato visto con grande simpatia e sostegno anche da parte di quella maggioranza dei salariati che non vi ha partecipato. Prima di tutto dalla base di massa della CGIL, che si è identificata nella marea di giovani discesa nelle strade nel nome della Palestina. La sproporzione tra l'iniziativa in sordina del 19 e il successo di immagine dello sciopero del 22 è stata enorme. Uno smacco bruciante per l'apparato CGIL. Prova ne sia che per l'intera giornata del 22 la direzione della CGIL è stata muta, senza una sola parola di commento su quanto stava accadendo.

Ora, dopo il grande successo di immagine e di partecipazione alle manifestazioni, l'esigenza di un vero sciopero generale, unitario, di massa, contro lo Stato sionista, contro il governo italiano che lo sostiene, e per la liberazione della Palestina, assume un carattere ancora più evidente.

La giornata del 22 settembre pone a tutti la responsabilità di una prospettiva e azione di fronte unico. La burocrazia CGIL, dopo la magra figura, vorrebbe parlar d'altro per medicare la ferita. La direzione di USB vorrebbe lustrare il proprio successo d'immagine in chiave autocentrata. Ma a nessuno deve essere consentita la via di fuga. La marea di giovani scesa in piazza si attende una continuità della propria azione. I fatti tragici di Palestina, e la complicità del governo italiano, pongono ogni giorno di più tale necessità. Il tema stesso dello sciopero politico per la Palestina è ormai sdoganato e legittimato nella percezione di massa, così come il tema del blocco totale nei porti ed aeroporti di ogni trasporto d'armi, di ogni traffico commerciale con Israele.

Unire le forze in questa direzione, al di là di ogni steccato divisorio, è il compito del momento. Il PCL si batterà ovunque con questa parola d'ordine, assieme alla rivendicazione più generale della liberazione della Palestina dal sionismo e dall'imperialismo.
La grande manifestazione nazionale convocata unitariamente da tutte le organizzazioni palestinesi per il 4 ottobre a Roma sarà in questo senso un appuntamento centrale.

Partito Comunista dei Lavoratori

A sostegno degli scioperi per la Palestina

 


L'ulteriore salto dell'offensiva genocida dello Stato coloniale di Israele con l'invasione militare di Gaza City pone una volta di più l'esigenza della più ampia mobilitazione antisionista a sostegno della resistenza palestinese. Una mobilitazione che vada al di là della pur giusta e importante iniziativa della Sumud Flotilla sul terreno del soccorso umanitario della popolazione colpita. Peraltro la stessa difesa e protezione della flotilla dalle minacce militari omicide di Israele richiama la necessità di un salto della mobilitazione generale.

Il salto della mobilitazione passa per l'ingresso del movimento operaio nella lotta a sostegno della Palestina, attraverso l'arma dello sciopero generale combinato col blocco totale di ogni traffico portuale o aereo con Israele. Solo l'azione diretta, radicale, di massa del movimento operaio può incidere sui rapporti di forza, colpire materialmente lo Stato sionista, aiutare la resistenza palestinese. È un'esigenza che si pone in ogni paese, su scala europea, su scala mondiale.In questo quadro, il PCL sostiene tutte le diverse iniziative di sciopero promosse attualmente in Italia a sostegno della Palestina. 

Sia lo sciopero generale promosso da USB per la giornata del 22 settembre sia le iniziative promosse dalla CGIL per il 19 settembre.Il sostegno pieno e incondizionato a ogni iniziativa di sciopero non ci esime dal rilevarne i limiti.La direzione della CGIL ha atteso due anni e sessantamila palestinesi assassinati per indire finalmente un'iniziativa di sciopero sulla Palestina. E lo ha fatto per la concorrenza dello sciopero generale promosso da Unione Sindacale di Base per il 22 settembre. In più ha articolato la propria iniziativa in modo differenziato per categorie e territori, ha limitato il più possibile la portata dello sciopero, ha riproposto nella sua piattaforma le illusioni senza futuro attorno all'ONU senza un sostegno alla resistenza palestinese.

Dal canto suo, lo sciopero generale promosso da USB il 22 settembre, pur essendo stato convocato per tutte le categorie, sull'intera giornata, e su una piattaforma più avanzata, risente della logica molto autocentrata del gruppo dirigente USB anche nel rapporto con gli altri sindacati di base. Una logica estranea alla costruzione reale di un largo fronte di massa.

Per questo, partecipando a tutte le iniziative di lotta e di mobilitazione a sostegno della Palestina, e quindi in primo luogo a tutte le azioni di sciopero convocate, riproponiamo in ognuna di queste l' esigenza decisiva del più ampio sciopero generale, unitario, radicale, di massa contro lo stato sionista e la sua barbarie genocida; contro tutti gli imperialismi vecchi e nuovi che lo sostengono o ne sono complici; per un sostegno incondizionato alla resistenza palestinese; per una Palestina libera dal fiume al mare, laica, democratica, socialista, in un Medio Oriente socialista, libero dal sionismo e dall'imperialismo.

Partito Comunista dei Lavoratori

CONTRO I LICENZIAMENTI COLLETTIVI DI YOOX NET-A-PORTER!

 


I primi di settembre uno dei maggiori siti di e-commerce di moda online Yoox Net-a-Porter, di recente acquisito dal gruppo tedesco LuxExperience, consegna ai sindacati un documento di 10 pagine in cui annuncia una procedura di licenziamenti collettivi: si tratta di 700 dipendenti in tutto il mondo (il 20% della forza lavoro complessiva) e 211 fra Bologna e Milano: circa 150 solo nella sede di Interporto, dove ci sono lavoratori e lavoratrici che rischiano di perdere il lavoro, anche dopo 20 anni di attività per la cosiddetta azienda “unicorno” del bolognese, come viene definita dalla stampa, creata da Federico Marchetti nei primi anni del 2000, e venduta nel 2021 al gruppo svizzero Richemont per 5,3 miliardi di euro.

Un numero spropositato, ma la cosa ancora più sconcertante è il fatto che l’azienda faccia scattare questi licenziamenti collettivi senza aver dichiarato lo stato di crisi e assolutamente in barba alle normali procedure, che avrebbero previsto degli incontri preliminari con i sindacati, e per giunta senza nemmeno prendere in considerazione l’uso di ammortizzatori sociali. 

No, niente di tutto questo: si sono limitati a comunicare questi tagli della forza lavoro adducendo come motivazioni le difficoltà di mercato e le perdite di bilancio.

Siamo alle solite: i padroni scelgono di scaricare il peso delle riorganizzazioni e dei loro errori strategici degli ultimi anni sui lavoratori, che nella loro idea dovrebbero accettarne passivamente le conseguenze. Tutto questo è vergognoso.

I sindacati Filcams-GGIL, Uiltucs-UIL e Fisascat-CISL hanno avuto un incontro con l’azienda mercoledì 10 settembre, in cui hanno presentato una diffida e richiesto, non una revisione della procedura di licenziamento, bensì la sua cancellazione e, come prevedibile, la dirigenza è rimasta sulle sue posizioni, con una generica apertura agli ammortizzatori sociali. Inaccettabile.

Nel frattempo, YNAP ha raccolto la solidarietà del sindaco di Zola Predosa Dall’Olmo che ha definito la situazione come “un pugno nello stomaco che non ci aspettavamo”, la Regione Emilia-Romagna ha convocato un altro incontro per il 17 settembre, e ora la vicenda ha assunto un rilievo nazionale, visto che di recente si è espresso anche il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso annunciando l’apertura di un tavolo di crisi per il 23 settembre.

Ma non ci facciamo illusioni e non ci aspettiamo grandi ribaltamenti da un governo che ci ha dimostrato a più riprese di essere dalla parte delle aziende e delle banche. Se si vogliono ottenere dei risultati i lavoratori e le lavoratrici uniti devono scendere in piazza e far sentire la loro voce, e rispondere all’arroganza di questi padroni che pensano di poter prendere qualsiasi decisione senza colpo ferire, trattando i dipendenti come fossero numeri per far quadrare i loro conti.

I sindacati hanno dichiarato lo stato di agitazione e sono state già previste almeno 16 ore di sciopero, di cui 4 sono già state usate lunedì 8 settembre con presidi davanti alle sedi bolognesi di Interporto e Zola Predosa, e un prossimo sciopero dell’intera giornata lavorativa è previsto per mercoledì 17, con concentramento davanti alla sede dell’Emilia-Romagna, dove si terrà il tavolo con l’azienda.

Bisogna essere compatti nella lotta, a prescindere dalla provenienza o dall’appartenenza sindacale: occorre unire le vertenze del territorio e colpire il padronato con scioperi, picchetti e la ripresa di un’incisiva azione sindacale.

Per questo il PCL dà piena solidarietà ai lavoratori e delle lavoratrici di YNAP in lotta: i licenziamenti massivi non devono passare!

CONTRO L’ARROGANZA DEI PADRONI SOLTANTO LA MOBILITAZIONE DELLA

CLASSE LAVORATRICE UNITA PUÒ OTTENERE DEI RISULTATI


 In un vile tentativo di intimidazione, i sionisti hanno attaccato in acque tunisine una delle navi della flottiglia umanitaria. Nonostante l'esplosione causata dall'aggressione, l'equipaggio è al sicuro.


La nave su cui navigano Greta Thunberg, Thiago Saif e parte del Comitato Direttivo della Global Sumud Flotilla (GSF) è stata colpita dall'attacco di un drone in acque internazionali. Secondo il comunicato ufficiale della GSF, una delle imbarcazioni principali, la Family Boat, che naviga sotto bandiera portoghese, «ha subito danni causati dal fuoco sul ponte principale e nell'area di stoccaggio sottocoperta» dopo essere stata bombardata da un drone.

Secondo le prime informazioni, «i sei passeggeri e l'equipaggio sono al sicuro». Inoltre, il comunicato ufficiale precisa che «è in corso un'indagine e, non appena saranno disponibili ulteriori informazioni, queste saranno rese note immediatamente».

«Gli atti di aggressione volti a intimidire e far fallire la nostra missione non ci dissuaderanno. La nostra missione pacifica di rompere l'assedio di Gaza e portare solidarietà al suo popolo continua con determinazione e fermezza». Nonostante il vile attacco, la flottiglia rimane salda nella sua missione di rompere l'assedio sionista al popolo palestinese che si trova a Gaza.

Celeste Fierro, che fa parte della flottiglia ma si trova su un'altra imbarcazione (Adara), è in viaggio verso la Tunisia, dove si trova un'altra parte della flottiglia.

Il sionismo e i suoi alleati stanno cercando di sabotare questa missione umanitaria, che intende rompere l'embargo illegale e portare cibo a Gaza. Di fronte a questa minaccia, dobbiamo raddoppiare la mobilitazione e la solidarietà internazionale.

Periodismo de Izquierda - MST
https://periodismodeizquierda.com/global-sumud-flotilla-el-sionismo-ataca-con-un-dron-a-uno-de-los-barcos/

SOLIDARIETÀ OPERAIA E MILITANTE A3 LAVORATOR3 DELLA FILIERA GRUPPO 8

 


SOLO LA LOTTA OPERAIA ABBATTE LO SFRUTTAMENTO

La sezione Romagna del Partito Comunista dei Lavoratori aderisce alla manifestazione del 6 settembre a Forlì, indetta da SUDD Cobas.

La vicenda dei lavoratori della filiera Gruppo 8 è così platealmente vergognosa che per ampi settori della società civile (e persino per alcuni partiti alla guida di varie autorità locali, che finora hanno tenuto gli occhi ben chiusi) non è possibile non schierarsi dalla parte degli operai. Da dicembre dell’anno scorso i lavoratori si sono ribellati alle condizioni inumane di sfruttamento a cui venivano sottoposti, un regime di semi-schiavitù in cui dormivano in un capannone fatiscente lavorando 12 ore al giorno, 7 giorni su 7. Sono queste, infatti, le condizioni che come un cancro infestano il comparto del mobile imbottito, quel famoso Made In Italy che la destra postfascista erge a feticcio. È una malattia di lunga data che prevede sostanzialmente il subappalto non solo delle fasi produttive quanto del caporalato, aprendo e chiudendo del giro di poco aziende fittizie, che hanno come unico scopo quello di applicare condizioni di lavoro “cinesi”. Sono zavorre vuote, pronte per essere abbandonate alla prima protesta dei lavoratori o a qualche ispezione o indagine. Una delocalizzazione dietro casa. La giustizia borghese si è dimostrata clamorosamente inefficace, proprio in una provincia in cui il Sindaco ha cavalcato il tema della “sicurezza” in campagna elettorale. L’unica sicurezza che viene garantita è il profitto del padronato, tutelato proprio dagli elementi della destra cittadina che – in una corrispondenza di amorosi sensi – difendono fattivamente e politicamente lo sfruttamento e l’insicurezza creata dal sistema criminale emerso nella vertenza. Contro i lavoratori che scioperano, gli avvocati-politici dell’azienda invocano continuamente l’applicazione del DL 1660, rendendo chiaro (se ancora ce ne fosse bisogno) che questa norma repressiva serve solo a manganellare e incarcerare chi lotta per il posto di lavoro e un tipo di società diverso. Come Partito Comunista dei Lavoratori siamo al fianco degli operai della filiera Gruppo 8 e sosteniamo la piattaforma rivendicativa di Sudd Cobas, che altro non è che il ripristino delle condizioni minime e dovute. La tenacia di questi lavoratori ha scoperchiato un vaso di Pandora che rende questa vertenza molto di più di una diatriba sindacale, come qualcuno vorrebbe. I lavoratori di un intero comparto, a volte distanti solo pochi metri o chilometri, nell’ennesimo capannone fatiscente, guardano a questi colleghi che hanno alzato la testa. È dovere di tutta la classe operaia muoversi compatti nella lotta, a prescindere dalla provenienza o dall’appartenenza sindacale. Occorre unire le vertenze del territorio e colpire il padronato dove fa più male, il portafoglio, con scioperi, picchetti e la ripresa di un’incisiva azione sindacaleal di là delle sigle.  Il padronato tenta di dividere i lavoratori per provenienza geografica, settore, contratto, azienda; soffia sul razzismo per usare i pregiudizi come leva salariale, per fare in modo che chi lavora non si riconosca più come classe. Occorre una vertenza generale, che rimetta al centro la classe operaia: serve un fronte unico di classe! Come dimostra in modo esemplare questa vertenza, è la classe lavoratrice l’unica che ha la capacità di rovesciare i rapporti di sfruttamento: occorre dare vita a una nuova stagione di mobilitazione e strappare di nuovo quei diritti che sembravano acquisiti ma che il padronato ci ha tolto, con il silenzio e la connivenza delle burocrazie sindacali. Chiediamo:

  • La nazionalizzazione sotto il controllo operaio, senza indennizzo, di tutte le aziende che delocalizzano, anche dietro casa, basta con il sistema di subappalto, basta con il caporalato
  • Per una cassa nazionale di resistenza a sostegno degli scioperi
  • Per l’abolizione di tutte le leggi repressive finalizzate a colpire i lavoratori in lotta per il posto di lavoro. No al DL 1660.
  • Salari dignitosi! I salari sono fermi da vent’anni, è un’emergenza non più rinviabile. Reintroduzione della scala mobile e abolizione di sfruttamento e precarietà!
  • Per un’indennità di disoccupazione dignitosa per i giovani e le persone in cerca di lavoro

PER LA RIPRESA DI UNA MOBILITAZIONE OPERAIA GENERALE, UNIRE LE LOTTE, ABBATTERE LO SFRUTTAMENTO!

PER UN’ALTERNATIVA DI SOCIETÀ! PER UN GOVERNO DEI LAVORATORI E DELLE LAVORATRICI!