Domenica 17 e lunedì 18 novembre si terranno le elezioni regionali dell’Emilia-Romagna.
Il nostro Partito non potrà
essere presente a questa competizione a causa delle leggi elettorali
antidemocratiche e che impongono un numero esorbitante di sottoscrittori per
poter presentare la lista. In questo modo verrà a mancare sulla scheda
elettorale la sola forza politica che si è sempre e solo schierata a fianco
delle lavoratrici e dei lavoratori e non si è mai compromessa con accordi di
governo sia a livello locale che nazionale contro i loro interessi.
Il significato politico di queste
elezioni va oltre l’ambito regionale e assume un significato nazionale.
Anche se è molto probabile una
riconferma del centro-sinistra alla guida della regione, essa come le altre che
si stanno svolgendo, dalla Liguria all’Umbria, entra nel confronto tra il
governo e l’opposizione in un quadro di rafforzamento del carattere bipolare
del quadro politico
Dalla parte del governo si
cercano di rafforzare le basi di consenso ad una linea politica che, al di la
della becera propaganda post-fascista, raccorda una politica economica molto
attenta alla contabilità degli interessi del grande capitale imperialista e di
Confindustria, oltre che compatibile con i dettami europei, all’insegna
dell’equilibrio dei conti pubblici, con un percorso di torsione autoritaria nei
confronti del più ampio spettro delle mobilitazioni sociali e che colpisce in
prima battuta lavoratori, sindacalisti, migranti, studenti, attivisti per la Palestina e per l’ambiente
(DDL 1660).
Questa torsione autoritaria
rappresenta oggi un pericolo immediato per le ragioni di tutti i settori
oppressi della società ed è per questo che il Partito Comunista del Lavoratori
è impegnato nella costruzione unitaria, con altre forze politiche e sindacali,
di ogni possibile mobilitazione per combatterla.
Dal lato dell’opposizione liberale
dietro lanci propagandistici di misure quali ad esempio, il salario minimo o
gli investimenti nella sanità, misure che questa parte politica si è ben
guardata dal varare quando era al governo, e una postura di opposizione
democratica nei confronti della gestione dei flussi migratori (caso Albania) e
contro i decreti sicurezza del Governo, laddove su entrambi i fronti PD e M5S non possono certo dire di
avere la coscienza a posto, i risultati elettorali eventualmente favorevoli
sono posti sul piatto di un accreditamento presso quello stesso grande capitale
imperialista come compagine più credibile e seria di governo rispetto alla
destra post-fascista.
Insomma, in gran parte il
confronto tra governo e opposizione si riduce ad un teatro degli equivoci, ad
una lotta tra concorrenti a rappresentare i medesimi interessi della classe
capitalista e dove perciò nessuna delle due parti porta avanti i bisogni di
milioni di salariati che rimangono ancora privi di una propria rappresentanza
politica.
A livello locale le differenze
tra le posizioni dei due poli si fanno ancora più sottili.
A ruoli invertiti qui in Emilia-Romagna
è il centro-sinistra a rappresentare ed assicurare la continuità di governo
mentre il centro-destra punta soprattutto ad una vittoria dell’alto valore
simbolico e, come abbiamo detto, da spendere nei rapporti di forza tra governo
e opposizione a livello nazionale.
Proprio l’Emilia-Romagna
rappresenta un modello di governo compatibile e fruttuoso per gli interessi
capitalistici.
Una Regione, quella
emiliano-romagnola, governata da sempre dal Pd e dai suoi alleati e che si
avvicina il più possibile ad una gestione dell’amministrazione pubblica funzionale
al grande capitale e alla piccola e media industria, in altri termini
all’interesse medio e trasversale del capitalismo emiliano.
La risultante di questa
conduzione politica sono stati negli anni la speculazione edilizia, la
cementificazione e il consumo di suolo responsabili insieme mancato intervento
contro il dissesto idrogeologico dei grandi disastri dovuti alle recenti
alluvioni.
Ma la cornucopia per il capitale
non è finita qui: grandi opere inquinanti, privatizzazioni soprattutto in tema
di sanità, precarizzazione del lavoro sono altrettanti capitoli dell’autentica rapina
subita dalle classi popolari italiane a tutto vantaggio di padronato e finanza
in un territorio per altro colpito da numerose crisi industriali e da un
vertiginoso rincaro dei prezzi.
Persino sul terreno
dell’edificazione della rapina sociale futura l’Emilia-Romagna si è distinta.
Il suo governatore, Bonaccini, è stato infatti tra i primi promotori
dell’autonomia regionale differenziata, ossia la secessione dei ricchi, seppur
in salsa emiliana. Oggi il passaggio al contrasto dell’attuale legge varata dal
governo, contrasto che però si limita ad una volontà di emendamento e non di
abrogazione come invece vogliono i sottoscrittori del referendum, non cancella
le responsabilità di un’amministrazione che persino su questa base si è posta
in posizione ancillare nei confronti dei grandi interessi capitalistici.
L’Emilia-Romagna, perciò, viene
esibita dal PD e dai suoi alleati come esempio di “buon governo”, di fruttuosa
amministrazione e gestione dei conti pubblici anche in funzione di un
accreditamento per il governo nazionale. Bisogna pero vedere a quale altare si
portano i propri doni. In questo caso è chiaro: il capitale e le banche.
Il centrodestra, che parte
svantaggiato, non ha sostanzialmente un programma di governo diverso. Dal punto
di vista degli interessi che tutela la linea di fondo dell’attuale
amministrazione può essere completamente riciclata. Il significato politico
sarebbe porre l’eventuale affermazione, come abbiamo detto, sul piatto dei
rapporti di forza tra governo e opposizione nazionali in funzione di un
ulteriore rafforzamento del governo Meloni.
In definitiva scegliere tra De
Pascale, centro-sinistra, e Ugolini, centro-destra, è come scegliere tra il
gatto e la volpe. Le lavoratrici e i lavoratori emiliano-romagnoli non hanno
nulla da guadagnare, e purtroppo tutto da perdere, dalla vittoria di uno dei
due.
Se spostiamo lo sguardo a
sinistra troviamo la lista Emilia-Romagna per la Pace, l’Ambiente e il Lavoro,
che candida Federico Serra e che è sostenuta da Potere al Popolo, PCI e
Rifondazione Comunista.
Questa lista, in contrapposizione
sia al centro-destra che al centrosinistra, si presenta con un programma pieno
di buoni propositi. Però rileviamo come, per essere un programma
anticapitalista e non meramente riformista, manchi il protagonismo della classe
lavoratrice e delle organizzazioni che vi fanno riferimento, la
nazionalizzazione sotto controllo operaio delle aziende che licenziano,
inquinano e ledono l’incolumità dei lavoratori, il controllo operaio delle
condizioni di sicurezza sul lavoro e sugli uffici di collocamento. Insomma,
mancano le fondamentali parole d’ordine di classe nella direzione di una
piattaforma rivendicativa unificante al servizio della costruzione del più
ampio fronte unico della classe lavoratrice.
Inoltre, il passaggio sul
sostegno alla causa palestinese non è chiaro: infatti non compare la
rivendicazione della liberazione del territorio palestinese dal fiume Giordano
al mare e un appoggio chiaro alla resistenza sia in Palestina che nel Libano. Ciò
accade a causa dell’attardarsi di forze come Rifondazione Comunista e del PCI
sulla rivendicazione dei due stati per due popoli, rivendicazione oggi
evidentemente fuori dalla storia, invisa alla resistenza palestinese e invece
significativamente sostenuta tanto dal PD che dalla destra filosionista. Non
certo una bella compagnia.
Ciò che vogliamo porre in
discussione però non riguarda la caratura più o meno di sinistra del programma
che in realtà rischia di rimanere lettera morta. Un programma per quanto
radicale procede zoppicando sulle gambe di organizzazioni politiche su cui non
si possa fare affidamento.
Il punto è che bisogna mettere
alla prova questi partiti facendo un bilancio della loro condotta precedente,
della coerenza o meno del loro posizionamento politico.
In questo bilancio, che questi
partiti non fanno, ma che noi abbiamo il dovere di chiarire agli elettori di
sinistra, deve essere posta la partecipazione a governi nazionali e locali in
coalizione con partiti borghesi e nella fattispecie con il PD.
Avviene ancora oggi che il PRC sia presente in
coalizioni che comprendono il PD in molte giunte locali del territorio Emiliano
Romagnolo (es. Forlimpopoli e Bertinoro).
L’attitudine alla ricerca di un
compromesso con quelle stesse forze che in queste elezioni in termini del tutto
propagandistici si dice di voler combattere è tanto più dimostrata dal tenore
della discussione congressuale che sta lacerando Rifondazione Comunista e che è
imperniata intorno alla possibile alleanza con il PD.
I riferimenti internazionali di
queste forze politiche rafforzano, se possibile, l’impressione di ambiguità
della loro collocazione politica.
L’infatuazione per il governo
Tsipras e Syriza che tradi il movimento di massa che aveva detto un grande no
al referendum sulle misure della Troika UE, l’ammirazione pe il governo
PSOE-Podemos che ha aumentato a dismisura la precarietà lavorativa, proseguito
le politiche persecutorie nei confronti dei migranti dei governi precedenti e ha
aumentato le spese militari. Governi di “sinistra” che hanno finito per tradire
le ragioni sociali della loro esistenza
Ma forse ciò che attrae di più
l’ammirazione nei confronti di queste sinistre è proprio il loro essere di
governo, ossia esemplificare perciò l’esito sperato della propria condotta
politica, la possibilità di conseguire un risultato elettorale utile alla
negoziazione di un accordo con il centro-sinistra con un successivo sperabile
sbarco al governo.
Per tutti questi motivi vogliamo
parlare chiaro ai compagni, elettori, iscritti e militanti di queste formazioni
politiche e chiedere loro se al di là dei proclami che valgono lo spazio di una
campagna elettorale, si possa riporre fiducia in dirigenti che proseguono la
china già contrassegnata da innumerevoli disastri: quello della ricerca di un
accordo con il centro-sinistra per strappare magari uno strapuntino nel
cosiddetto “campo largo”. Se non sia giunto il momento di rifiutarsi di farsi
prendere per il bavero ed invece incalzare i propri dirigenti per indurli ad
una virata di 180° verso la lotta di classe e la prospettiva del governo delle
lavoratrici e dei lavoratori, terreno sul quale troveranno il Partito Comunista
dei Lavoratori sempre disponibile alla massima unità d’azione.
Ai compagni che ci obbiettano che
un voto a sinistra sarebbe un segnale politico in quella direzione, rispondiamo
che nessuna lista rappresenta coerentemente gli interessi della classe
lavoratrice e dei settori oppressi e svantaggiati della società emiliana
Il centrodestra e il
centrosinistra sono due cavalli per uno stesso scudiero: il grande capitale.
La lista di sinistra vuole
conseguire un risultato, che, al di là dei buoni propositi, se positivo,
finisca nel paniere da spendere al tavolo del campo largo ossia quel campo a
guida PD autentico architrave della governabilità borghese.
Pertanto, diamo indicazione
astensione al voto ed al contempo invitiamo le compagne e i compagni, le
lavoratrici e i lavoratori, e tutte le organizzazioni che vi fanno riferimento
a costruire il più ampio fronte unico della classe lavoratrice, l’unico che
basandosi su una piattaforma rivendicativa anticapitalista, possa rovesciare lo
svantaggio nei rapporti di forza con la classe capitalista e aprire una
stagione nuova.
Una stagione nuova le cui
conquiste possano essere portate avanti e garantite non da un governo di quel o
quell’altro colore, ma da un governo di tipo nuovo: il governo delle
lavoratrici e dei lavoratori.
PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI
EMILIA ROMAGNA